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Il diritto d’autore si applica ai catologhi d’arte

Il diritto d’autore si applica ai catologhi d’arte

Con l’ordinanza n. 4038 dell’8.2.2022 la Corte di Cassazione ha definito la vicenda, sollevata dagli eredi del pittore Mario Schifano contro l’omonima fondazione, afferente la violazione e falsa applicazione dell’art. 70, nonché degli artt. 12, 13, 17 e 18, comma 3, R.D. n. 633/1941 [diritto d’autore].
Il caso nasce a seguito della pronuncia della Corte d’Appello di Milano la quale aveva considerato legittima la raccolta e pubblicazione in uno «Studio Metodologico» composto da sei volumi di tutte le 24.000 opere dell’artista Mario Schifano.
La Corte Suprema di Cassazione ha ribaltato la soluzione territoriale che aveva ritenuto lecita la catalogazione informatica di 24mila opere del pittore Schifano, poiché non aveva la finalità di consentire la fruizione artistica della riproduzione delle opere – anche in ragione delle copie delle opere in piccole dimensioni – né aveva scopo commerciale, ma scientifico. In forza di detti combinati assunti, valeva la deroga al primo comma dell’art. 70 l. aut. che recita testualmente:

Il riassunto, la citazione o la riproduzione di brani o di parti di opera e la loro comunicazione al pubblico sono liberi se effettuati per uso di critica o di discussione, nei limiti giustificati da tali fini e purché non costituiscano concorrenza all’utilizzazione economica dell’opera; se effettuati a fini di insegnamento o di ricerca scientifica l’utilizzo deve inoltre avvenire per finalità illustrative e per fini non commerciali.

La censura dei Giudici Supremi muove proprio dal tenore letterale dell’anzidetto primo comma dell’art. 70 l. aut. dal quale emerge che è consentita solo la riproduzione parziale delle opere dell’ingegno; pertanto, le opere dell’arte figurativa possano essere riprodotte solo parzialmente, nei dettagli, e non nella loro integrità.
Tale assunto ricalca il precedente principio di diritto già espresso dalla medesima Corte secondo il quale, la riproduzione di opere d’arte — inserite, nella specie, nel catalogo di una mostra — allorché sia integrale e non limitata a particolari delle opere medesime, quale che sia la scala adottata nella proporzione rispetto agli originali, non costituisce alcuna delle ipotesi di utilizzazione libera, previste in via di eccezione al regime ordinario dell’esclusiva dall’art. 70 l. aut. [cfr. Cass. n. 11343/1996].
La sentenza impugnata è risultata, altresì, esposta ad ulteriori censure su altri versanti funzionali, quali:
– la citazione o la riproduzione di brani o di parti di opera e la loro comunicazione al pubblico devono essere strumentali agli scopi di critica o discussione dell’utilizzatore. Il punto emerge dalla richiamata disposizione, oltre che dalla corrispondente norma di diritto internazionale, e cioè dall’art. 10 della Convenzione di Unione di Berna, resa esecutiva con I. n. 399 del 1978, secondo cui sono lecite le citazioni tratte da un’opera già resa lecitamente accessibile al pubblico, nonché le citazioni di articoli di giornali e riviste periodiche nella forma di rassegne di stampe, «a condizione che dette citazioni siano fatte conformemente ai buoni usi e nella misura giustificata dallo scopo» (paragrafo 1 dell’articolo): condizione, questa, operante anche per l’utilizzazione delle opere letterarie ed artistiche a titolo illustrativo o nell’insegnamento (paragrafo 2 dello stesso articolo);
– la riproduzione determinata da esigenze di ricerca scientifica può avvenire a solo scopo illustrativo. Vige, al riguardo, un limite analogo a quello operante per le altre esigenze indicate nell’art. 70, rispetto alle quali la Corte di Cassazione ha avuto modo di osservare che «la libertà di utilizzazione si giustifica essenzialmente con la circostanza che l’opera di critica, di discussione, di insegnamento ha fini del tutto autonomi e distinti da quelli dell’opera ‘citata’, i cui ‘frammenti’ riprodotti perciò stesso, non creano una neppur potenziale concorrenza con i diritti di utilizzazione economica spettanti all’autore» [cfr. Cass. n. 2089/1997].
Concludono i Giudici dell’Ermellino affermando che la Corte territoriale lombarda ha, inoltre, errato nel ritenere che la catalogazione informatica fosse incompatibile con «la fruizione artistica della riproduzione dell’opera, che richiederebbe ben altre dimensioni», poichè ha trascurato di considerare che il legittimo sfruttamento che compete all’autore ex art. 13 I. aut. ricomprende non solo il diritto di operare la moltiplicazione di copie fisicamente identiche all’originale, ma protegge – altresì – l’utilizzazione economica che può effettuare l’autore anche mediante qualunque altro tipo di moltiplicazione dell’opera in grado d’inserirsi nel mercato della riproduzione [cfr. Cass. n. 11343/1996). Ne discende, pertanto, che anche la riproduzione fotografica in scala di opere protette è idonea a porsi in concorrenza con i diritti di sfruttamento che competono al titolare.
Alla luce delle suddette considerazioni, la Corte ha formulato il seguente principio di diritto:

La riproduzione di opere d’arte, allorché sia integrale e non limitata a particolari delle opere medesime non costituisce alcuna delle ipotesi di utilizzazione libera; per godere del regime delle libere utilizzazioni, inoltre, detta riproduzione deve essere strumentale agli scopi di critica e discussione, oltre che al fine meramente illustrativo correlato ad attività di insegnamento e di ricerca scientifica dell’utilizzatore e non deve porsi in concorrenza con l’utilizzazione economica dell’opera che compete al titolare del diritto: diritto che ricomprende non solo quello di operare la riproduzione di copie fisicamente identiche all’originale, ma qualunque altro tipo di replicazione dell’opera che sia in grado d’inserirsi nel mercato della riproduzione, e quindi anche la riproduzione fotografica in scala.

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