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Art. 1372 — Efficacia del contratto

Art. 1372 — Efficacia del contratto

Il contratto ha forza di legge tra le parti . Non può essere sciolto che per mutuo consenso o per cause ammesse dalla legge [ 1399 3, 1453, 1896; l.f. 72 ].

Il contratto non produce effetto rispetto ai terzi che nei casi previsti dalla legge [ 1411, 1415 ].

L’eventuale comma dell’articolo ricompreso fra parentesi quadre è stato abrogato.

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Aggiornato al 1 gennaio 2020
Il testo riportato è reso disponibile agli utenti al solo scopo informativo. Pertanto, unico testo ufficiale e definitivo è quello pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale Italiana che prevale in casi di discordanza rispetto al presente.
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Massime correlate

Cass. civ. n. 27321/2017

Il patto obbligatorio di non concorrenza, consistente in un vincolo di modo nell’utilizzo di un cespite immobiliare, astringe il soggetto che l’ha stipulato, ma non il suo avente causa; esso, per produrre effetti anche nei confronti del nuovo acquirente, deve essere specificamente richiamato nell’atto di acquisto del terzo, in quanto la realità di un vincolo può configurarsi solo ove sia ipotizzabile un rapporto tra fondi mentre l’esclusione della concorrenza è utile non al fondo acquistato ma all’azienda che l’acquirente esercita su esso cosicché deve escludersi la sussistenza di una servitù.

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Cass. civ. n. 8604/2017

In tema di mutuo consenso alla risoluzione del rapporto di lavoro, non costituisce elemento idoneo ad integrare la fattispecie di tacita risoluzione consensuale il fatto che il lavoratore abbia, nelle more, percepito il TFR, ovvero cercato o reperito un’altra occupazione. (Nella specie, la S.C. ha ritenuto irrilevante lo svolgimento di altra attività lavorativa, per soli quindici giorni, circa quattro anni dopo il licenziamento intimato in forma orale).

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Cass. civ. n. 3471/2017

Lo statuto di una società “in house”, che ha natura negoziale, non produce effetto rispetto ai terzi, se non nei casi previsti dalla legge, ai sensi dell’art. 1372 c.c. (Nella specie, la S.C. ha cassato la sentenza impugnata che aveva ritenuto applicabile, al direttore generale di una siffatta società, la clausola di decadenza automatica alla cessazione dalla carica dell’amministratore unico, prevista dallo statuto, pur in carenza di un suo richiamo nel contratto individuale).

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Cass. civ. n. 22489/2016

In tema di mutuo consenso alla risoluzione del rapporto di lavoro, non è sufficiente il mero decorso del tempo fra il licenziamento e la relativa impugnazione giudiziale, essendo necessario il concorso di ulteriori e significative circostanze, della cui allegazione e prova è gravato il datore di lavoro; non costituisce elemento idoneo ad integrare la fattispecie di tacita risoluzione consensuale il fatto che il lavoratore abbia, nelle more, percepito il tfr, ovvero cercato o reperito un’altra occupazione.

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Cass. civ. n. 6900/2016

Il comportamento del titolare di una situazione creditoria che per lungo tempo trascuri di esercitarla, e generi un affidamento della controparte nell’abbandono della relativa pretesa, è idoneo a determinare la perdita della stessa, sicché l’inerzia del lavoratore può ingenerare nel datore di lavoro un ragionevole affidamento in ordine ad una sua volontà di recedere dal rapporto. (In applicazione di tale principio, la S.C. ha confermato la decisione di merito che aveva dedotto la volontà di non dare seguito al rapporto dall’inerzia del lavoratore che, sottoposto ad un intervento chirurgico, era rientrato al lavoro dopo un mese senza inviare alcuna certificazione medica attestante il suo stato di salute, né comunicare anche oralmente alcuna notizia al riguardo).

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Cass. civ. n. 2732/2016

Nel giudizio instaurato ai fini del riconoscimento della sussistenza di un unico rapporto di lavoro a tempo indeterminato, sul presupposto dell’illegittima apposizione al contratto di un termine finale ormai scaduto, il decorso di un significativo lasso temporale tra la cessazione dell’ultimo contratto e la messa in mora del datore da parte del lavoratore, in uno al reperimento, nelle more, di altra occupazione a tempo indeterminato, costituiscono indici sufficienti della volontà delle parti di porre definitivamente fine a ogni rapporto lavorativo e da configurare la risoluzione del rapporto per mutuo consenso. (Nella specie, la S.C. ha confermato la sentenza della corte d’appello che aveva accertato la risoluzione consensuale del rapporto atteso il decorso di cinque anni tra la cessazione dell’ultimo contratto e la contestazione stragiudiziale della legittimità del termine, nonché l’avvenuta assunzione della ricorrente a tempo indeterminato da parte di altro datore prima dell’instaurazione del giudizio).

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Cass. civ. n. 12781/2012

Per il principio di relatività dell’efficacia del contratto, accolto dall’art. 1372 c.c., la conciliazione giudiziale di una controversia attinente al rapporto di lavoro vincola solo gli stipulanti. (Nella specie, in applicazione dell’enunciato principio, la S.C. ha respinto il ricorso del lavoratore che, avendo conciliato con l’azienda municipalizzata Centrale del Latte di Roma una controversia per superiore inquadramento, pretendeva di opporre la transazione al Comune di Roma, presso il quale era transitato a seguito di accordo sindacale prevedente la costituzione del rapporto “ex novo”).

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Cass. civ. n. 3245/2012

La risoluzione consensuale di un contratto, per il quale la legge non prescriva alcuna forma particolare, può avvenire anche con una manifestazione tacita di volontà.

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Cass. civ. n. 2363/2012

La clausola di un contratto di appalto, nella quale si preveda che tutti i danni che i terzi dovessero subire dall’esecuzione delle opere siano a totale ed esclusivo carico dell’appaltatore, rimanendone indenne il committente, non può essere da quest’ultimo invocata quale ragione di esenzione dalla propria responsabilità risarcitoria nei confronti del terzo danneggiato per effetto di quei lavori, atteso che tale clausola, operando esclusivamente nei rapporti fra i contraenti, alla stregua dei principi generali sull’efficacia del contratto fissati dall’art. 1372 c.c., non può vincolare il terzo a dirigere verso l’una, anziché verso l’altra parte, la pretesa nascente dal fatto illecito occasionato dall’esecuzione del contratto.

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Cass. civ. n. 8504/2011

Lo scioglimento per mutuo consenso di un contratto di trasferimento della proprietà immobiliare, per il quale la legge richiede la forma scritta a pena di nullità, deve anch’esso risultare da atto scritto.

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Cass. civ. n. 8124/2010

In tema di appalti pubblici, qualora un consorzio di cooperative di produzione e lavoro (costituito ai sensi del r.d. 25 giugno 1909, n. 422), aggiudicatario di un appalto, abbia assegnato ad una cooperativa consorziata l’esecuzione dei lavori appaltati e quest’ultima ne abbia subappaltato una parte ad altra impresa estranea al consorzio, in caso di inadempimento dell’impresa consorziata subappaltante nei confronti dell’impresa fornitrice, il consorzio non ne è responsabile in solido con l’impresa assegnataria consorziata, atteso che – in assenza di disposizioni di legge speciali contrarie e non potendo trovare applicazione l’art. 13 della legge 11 febbraio 1994, n. 109, rilevante “ratione temporis”, che si riferisce alla partecipazione alle procedure di affidamento di imprese e consorzi in “associazione temporanea” – valgono la regola generale di cui all’art. 1372, secondo comma, c.c., a norma del quale il contratto non produce effetti rispetto ai terzi se non nei casi previsti dalla legge, e quella di cui all’art. 1292 c.c., per il quale la solidarietà passiva nel rapporto obbligatorio presuppone una specifica previsione della legge o del titolo.

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Cass. civ. n. 24133/2009

L’erede è vincolato dal contratto, anche se non trascritto, concluso dal “de cuius” e dalle obbligazioni dallo stesso nascenti, atteso che soltanto l’avente causa a titolo particolare “mortis causa” o per atto fra vivi è terzo e, come tale, non è tenuto, senza il suo consenso, a subire il debito del suo dante causa.

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Cass. civ. n. 10741/2009

Gli effetti del contratto debbono essere individuati avendo riguardo anche alla sua funzione sociale, e tenendo conto che la Costituzione antepone, anche in materia contrattuale, gli interessi della persona a quelli patrimoniali. Ne consegue che il contratto stipulato tra una gestante, una struttura sanitaria ed un medico, avente ad oggetto la prestazione di cure finalizzate a garantire il corretto decorso della gravidanza, riverbera per sua natura effetti protettivi a vantaggio anche del concepito e del di lui padre, i quali in caso di inadempimento, sono perciò legittimati ad agire per il risarcimento del danno.

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Cass. civ. n. 15603/2007

Il principio secondo cui il contratto non può avere effetto che tra le parti, salvo che nei casi previsti dalla legge, esclude che possano ritenersi legittimati ad agire per la nullità di una clausola arbitrale i garanti di una delle parti contrattuali, coobbligati in virtù di altro contratto, non potendo i medesimi essere convenuti innanzi all’arbitro né farsi promotori di un giudizio arbitrale.

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Cass. civ. n. 17503/2005

In tema di risoluzione consensuale del contratto, il mutuo dissenso, realizzando per concorde volontà delle parti la ritrattazione bilaterale del negozio, dà vita a un nuovo contratto, di natura solutoria e liberatoria, con contenuto eguale e contrario a quello del contratto originario; pertanto, dopo lo scioglimento, le parti non possono invocare cause di risoluzione per inadempimento relative al contratto risolto giacché ogni pretesa od eccezione può essere fondata esclusivamente sul contratto solutorio e non su quello estinto.

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Cass. civ. n. 3122/2003

La transazione intervenuta tra lavoratore e datore di lavoro è estranea al rapporto tra quest’ultimo e l’Inps, avente ad oggetto il credito contributivo derivante dalla legge in relazione all’esistenza di un rapporto di lavoro subordinato, giacché alla base del credito dell’ente previdenziale deve essere posta la retribuzione dovuta e non quella corrisposta, in quanto l’obbligo contributivo del datore di lavoro sussiste indipendentemente dal fatto che siano stati in tutto o in parte soddisfatti gli obblighi retributivi nei confronti del prestatore d’opera, ovvero che questi abbia rinunziato ai suoi diritti. Pertanto, attesa l’autonomia tra i due rapporti, la transazione suddetta non spiega effetti riflessi nel giudizio con cui l’Inps fa valere il credito contributivo.

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Cass. civ. n. 12476/1998

L’efficacia del negozio di risoluzione per mutuo dissenso non può decorrere da un momento successivo alla sua stipulazione, attribuendo così efficacia ultrattiva al precedente contratto, in quanto ciò contraddirebbe l’essenza del negozio solutorio e la natura degli interessi che, in riferimento alla sua causa, esso è destinato a soddisfare.

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Cass. civ. n. 7270/1997

Il negozio risolutorio ha, per sua natura, efficacia ex nunc, nel senso che da esso deriva la caducazione delle obbligazioni scaturenti dal contratto originario relative alla prosecuzione del rapporto, onde non può configurarsi responsabilità in relazione al mancato adempimento delle ulteriori prestazioni previste; nessun effetto liberatorio, invece, esplica la risoluzione consensuale in ordine ad eventuali aspetti di responsabilità per un corretto adempimento relativo a prestazioni già eseguite, ovvero per danni cagionati da comportamenti accessori in cui una delle parti possa incorrere nell’esecuzione dello stesso accordo risolutorio, ferma restando, ovviamente, la possibilità per le parti di prevedere, nell’esercizio della loro autonomia contrattuale, l’estensione dell’effetto liberatorio dell’accordo risolutorio ad altri titoli di responsabilità, al di là dei limiti propri di detto accordo.

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Cass. civ. n. 2713/1996

Con riguardo alla risoluzione del contratto per mutuo dissenso, l’obbligo di restituzione della somma ricevuta a titolo di anticipo del corrispettivo costituisce debito di valuta insensibile, come tale, al fenomeno della svalutazione monetaria, salvo che il creditore non dimostri di avere risentito a causa della indisponibilità della somma anticipata eventuali ulteriori danni e perciò anche quello sofferto in conseguenza della svalutazione monetaria.

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Cass. civ. n. 8341/1995

Qualora l’acquirente di un immobile urbano adibito ad uso diverso da quello di abitazione si trovi in regime di comunione legale dei beni con il coniuge, il giudizio di riscatto iniziato dall’avente diritto alla prelazione ai sensi dell’art. 39 della L. 27 luglio 1978 n. 392 deve essere promosso nei confronti di entrambi, ancorché il coniuge sia rimasto estraneo al contratto stipulato dall’acquirente, posto che il coniuge, in forza dell’art. 177 c.c. ed in conformità della previsione contenuta nell’art. 1372 secondo comma c.c., assume ope legis le vesti di destinatario diretto dello stesso effetto traslativo verificatosi in favore del contraente, di modo che le situazioni giuridiche soggettive di entrambi i coniugi nell’ambito del rapporto giuridico originato dal contratto rivestono carattere di inscindibilità, essendo l’un coniuge divenuto, in forza dello stesso contratto, comproprietario del bene acquistato dall’altro.

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Cass. civ. n. 6656/1993

L’accordo risolutorio di un contratto per il quale sia richiesta la forma scritta ad substantiam è soggetto alla stessa forma stabilita per la conclusione di esso. L’anzidetto requisito formale può ritenersi sussistente solo in presenza di un documento che contenga in modo diretto la dichiarazione della volontà negoziale e che venga redatto al fine specifico di manifestare tale volontà.

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Cass. civ. n. 5065/1993

Poiché la cosiddetta risoluzione del contratto per mutuo dissenso, a differenza dalla risoluzione per inadempimento, non ha, in difetto di specifica pattuizione negoziale, l’effetto retroattivo che per questa ultima è invece previsto dall’art. 1458, primo comma, c.c., alla stessa non consegue il ripristino delle status quo ante, che deve, anzi, ritenersi implicitamente escluso per effetto della globale valutazione datane dalle parti all’atto dello scioglimento del contratto. Ne consegue che in caso di contratto di compravendita in difetto di contraria pattuizione gli interessi sulle somme dovute in restituzione dalla parte venditrice devono ritenersi compensati dal godimento della cosa che la parte compratrice abbia medio tempore avuto (
ex art. 1282 ultimo comma c.c.).

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Cass. civ. n. 100/1991

Il patto che concerne l’adozione di una determinata forma per la futura conclusione di un contratto (o anche per porre validamente in essere un negozio unilaterale) non può estendersi in via analogica ad altre convenzioni non specificamente previste, come la risoluzione consensuale del rapporto, la quale non soggiace ai limiti di prova testimoniale previsti dall’art. 2723 c.c. con riguardo ai «patti posteriori alla formazione del documento», dovendosi considerare tali solo quelli che apportano alle clausole contrattuali, stipulate in forma scritta, aggiunte o modifiche destinate a regolare diversamente per il futuro particolari aspetti dei rapporto tra le parti, nel presupposto della persistenza e prosecuzione del medesimo. In tema di contratto di agenzia, la sostanziale diversità, per natura ed effetti, fra il recesso il quale consiste in una dichiarazione unilaterale ricettizia, volta a far cessare il rapporto a tempo indeterminato, che non richiede accettazione della controparte e produce effetto solo che quest’ultima ne abbia avuto conoscenza (salvo, ex art. 1350 c.c., l’obbligo della parte recedente di dare il prescritto preavviso o di corrispondere l’indennità sostitutiva) e la risoluzione consensuale, che è invece un negozio bilaterale volto a porre fine al vincolo contrattuale (art. 1372 c.c.) comporta che la prescrizione dell’uso della forma scritta (nella specie, raccomandata con ricevuta di ritorno e preavviso di trenta giorni), pattuita per l’esercizio del recesso, non è estensibile all’ipotesi di risoluzione per mutuo consenso, la cui manifestazione di volontà non solo non è soggetta ad alcuna prescrizione di forma, che non risulti previamente pattuita con specifico riferimento al negozio in questione, ma può anche implicitamente desumersi dal comportamento delle parti che concordemente cessino di dare ulteriore corso alle prestazioni reciproche. La regola dettata dall’art. 157 c.p.c., secondo cui la nullità non può essere opposta dalla parte che vi ha dato causa, è propria della materia processuale ma è estranea alla materia sostanziale, nella quale l’azione è concessa anche a chi abbia partecipato alla stipulazione del contratto nullo. In tema di contratto di agenzia, la sostanziale diversità, per natura ed effetti, fra il recesso – il quale consiste in una dichiarazione unilaterale ricettizia, volta a far cessare il rapporto a tempo indeterminato, che non richiede accettazione della controparte e produce effetto solo che quest’ultima ne abbia avuto conoscenza (salvo, ex art. 1350 c.c., l’obbligo della parte recedente di dare il prescritto preavviso o di corrispondere l’indennità sostitutiva) – e la risoluzione consensuale – che è invece un negozio bilaterale volto a porre fine al vincolo contrattuale (art. 1372 c.c.) – comporta che la prescrizione dell’uso della forma scritta (nella specie, raccomandata con ricevuta di ritorno e preavviso di trenta giorni), pattuita per l’esercizio del recesso, non è estensibile all’ipotesi di risoluzione per mutuo consenso, la cui manifestazione di volontà non solo non è soggetta ad alcuna prescrizione di forma, che non risulti previamente pattuita con specifico riferimento al negozio in questione, ma può anche implicitamente desumersi dal comportamento delle parti che concordemente cessino di dare ulteriore corso alle prestazioni reciproche.

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Cass. civ. n. 6118/1990

Nella disciplina del diritto di famiglia, introdotta dalla L. 19 maggio 1975, n. 151, l’obbligazione assunta da un coniuge, per soddisfare bisogni familiari, non pone l’altro coniuge nella veste di debitore solidale, difettando una deroga rispetto alla regola generale secondo cui il contratto non produce effetti rispetto ai terzi. Il suddetto principio opera indipendentemente dal fatto che i coniugi si trovino in regime di comunione dei beni, essendo la circostanza rilevante solo sotto il diverso profilo dell’invocabilità da parte del creditore della garanzia dei beni della comunione o del coniuge non stipulante, nei casi e nei limiti di cui agli artt. 189 e 190 (nuovo testo) c.c.

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Cass. civ. n. 1496/1977

La risoluzione per mutuo consenso di un contratto per il quale non sia richiesta la forma scritta ad substantiam può risultare – oltre che da un esplicito accordo dei contraenti diretto a sciogliere il rapporto – anche dalla lor comune tacita volontà di non dare ulteriore corso al contratto, liberandosi delle rispettive obbligazioni.

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Cass. civ. n. 1109/1977

I contratti di compravendita di autoveicoli possono essere conclusi anche con il solo scambio orale del consenso, del quale può darsi dimostrazione con ogni mezzo di prova ammesso dalla legge, comprese le presunzioni semplici, costituendo la trascrizione dell’atto nel pubblico registro soltanto un mezzo di pubblicità inteso a dirimere gli eventuali conflitti fra più aventi causa dal medesimo venditore. Ne consegue che la forma scritta non è necessaria, né ad substantiam né ad probationem, neanche per l’accordo con il quale le parti sciolgono per mutuo consenso un precedente contratto di vendita di un autoveicolo.

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Cass. civ. n. 3772/1976

Se in astratto il negozio risolutivo per mutuo consenso ha efficacia ex nunc, spetta però al giudice, con indagine di fatto, accertare se le parti, nel concludere il negozio risolutivo di un contratto, abbiano inteso attribuire ad esso anche carattere liberatorio rispetto agli effetti del primo negozio, ed eventualmente rispetto alle conseguenze di una pretesa inadempienza della parte, e se perciò intesero o meno far sopravvivere l’azione di danni.

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Cass. civ. n. 1142/1976

L’erede, subentrando nella posizione giuridica del de cuius soltanto a partire dalla morte di questi, non può essere considerato parte dei contratti conclusi dal defunto per il periodo anteriore al suddetto evento, ma, al contrario, conserva la sua posizione di terzo rispetto a tutti gli effetti non aventi carattere di durata che siano ricollegabili al momento della conclusione dei detti contratti; ne consegue che, ai fini dell’opponbilità al nudo proprietario delle locazioni poste in essere dall’usufruttuario, anche nel caso in cui il nudo proprietario sia succeduto mo
rt
is causa a quest’ultimo dopo la rinunzia all’usufrutto, il contratto di locazione resta opponibile al nudo proprietario soltanto se e dal momento in cui abbia acquistato, per effetto della registrazione, data certa.

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Cass. civ. n. 1666/1975

A norma dell’art. 1372 c.c., il contratto produce effetti soltanto nei confronti delle parti e dei loro eredi e non anche nei confronti dei successori a titolo particolare mortis causa o per atto fra vivi; pertanto le obbligazioni assunte dal proprietario di un immobile nei confronti di un terzo non si trasferiscono – tranne che siano configurabili come obbligazioni propter rem, costituenti numerus clausus all’acquirente dello stesso immobile, se non attraverso uno degli strumenti negoziali tipici all’uopo predisposti dall’ordinamento (delegazione, espromissione, accollo e cessione del contratto).

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Cass. civ. n. 2274/1971

Il contratto preliminare, come qualsiasi altro contratto, non può essere sciolto, se non per volontà concorde delle parti o per cause ammesse dalla legge.

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