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Art. 2247 — Contratto di società

Art. 2247 — Contratto di società

Con il contratto di società due o più persone conferiscono beni o servizi per l’esercizio in comune di un’attività economica allo scopo di dividerne gli utili [ 2082, 2253 e 2949 ].

L’eventuale comma dell’articolo ricompreso fra parentesi quadre è stato abrogato.

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Aggiornato al 1 gennaio 2020
Il testo riportato è reso disponibile agli utenti al solo scopo informativo. Pertanto, unico testo ufficiale e definitivo è quello pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale Italiana che prevale in casi di discordanza rispetto al presente.
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Massime correlate

Cass. civ. n. 17925/2016

La mancata esteriorizzazione del rapporto societario costituisce il presupposto indispensabile perché possa legittimamente predicarsi, da parte del giudice, l’esistenza di una società occulta, ma ciò non toglie che si richieda pur sempre la partecipazione di tutti i soci all’esercizio dell’attività societaria in vista di un risultato unitario, secondo le regole dell’ordinamento interno, e che i conferimenti siano diretti a costituire un patrimonio “comune”, sottratto alla libera disponibilità dei singoli partecipi (art. 2256 c.c.) ed alle azioni esecutive dei loro creditori personali (art. 2270 e 2305 c.c.), l’unica particolarità della peculiare struttura collettiva “de qua” consistendo nel fatto che le operazioni sono compiute da chi agisce non già in nome della compagine sociale (vale a dire del gruppo complessivo dei soci) ma in nome proprio

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Cass. civ. n. 13234/2011

Nella società per azioni, la verifica della sussistenza dello scopo di lucro – il quale consiste non solo nel perseguimento di un utile (cosiddetto lucro oggettivo), ma anche nella volontà di ripartirlo tra i soci (cosiddetto lucro soggettivo) – deve avvenire con esclusivo riferimento al contenuto dell’atto costitutivo e dello statuto iscritti nel registro delle imprese, mentre resta irrilevante l’eventuale sussistenza di elementi di fatto esterni, antecedenti o successivi alla stipula dell’atto, integranti indici di una volontà dei soci difforme da quella manifestata negli atti pubblicati, ed inammissibile, una volta avvenuta l’iscrizione, l’interpretazione dell’atto costitutivo condotta secondo il criterio della comune intenzione dei contraenti, dovendo al contrario essa basarsi su criteri obiettivi. (Nella specie, la C.S. ha ritenuto indici idonei ad escludere lo scopo di lucro le clausole statutarie di un istituto autonomo per l’edilizia popolare, costituito in forma di società per azioni e partecipato da un Comune, le quali stabilivano la non prevedibilità degli utili di bilancio e la devoluzione del patrimonio per il caso di scioglimento della società).

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Cass. civ. n. 5961/2010

La mancanza della prova scritta del contratto di costituzione di una società di fatto o irregolare (non richiesta dalla legge ai fini della sua validità) non impedisce al giudice del merito l’accertamento “aliunde”, mediante ogni mezzo di prova previsto dall’ordinamento, ivi comprese le presunzioni semplici, dell’esistenza di una struttura societaria, all’esito di una rigorosa valutazione (quanto ai rapporti tra soci) del complesso delle circostanze idonee a rivelare l’esercizio in comune di una attività imprenditoriale, quali il fondo comune costituito dai conferimenti finalizzati all’esercizio congiunto di un’attività economica, l’alea comune dei guadagni e delle perdite e l'”affectio societatis”, cioè il vincolo di collaborazione in vista di detta attività nei confronti dei terzi; peraltro, è sufficiente a far sorgere la responsabilità solidale dei soci, ai sensi dell’art. 2297 c.c., l’esteriorizzazione del vincolo sociale, ossia l’idoneità della condotta complessiva di taluno dei soci ad ingenerare all’esterno il ragionevole affidamento circa l’esistenza della società. Tali accertamenti, risolvendosi nell’apprezzamento di elementi di fatto, non sono censurabili in sede di legittimità, se sorrette da motivazioni adeguate ed immuni da vizi logici o giuridici.

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Cass. civ. n. 4588/2010

La società di fatto prescinde dalle qualità o capacità personali dei contraenti e si fonda sul concorso di un elemento oggettivo (conferimento di beni o servizi in un fondo comune) ed uno soggettivo (comune intenzione dei contraenti di collaborare per conseguire risultati comuni nell’esercizio collettivo di una attività imprenditoriale), ricorrendo i quali la stessa non è esclusa dal fatto che il fine degli associati consista nel compimento di una opera unica, purché di obiettiva complessità (cosiddette società occasionali), ovvero dalla mancanza di un atto scritto, potendo la sua costituzione risultare da manifestazioni esteriori della attività di gruppo, quando esse, per la loro sintomaticità e concludenza, evidenzino la esistenza della società.

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Cass. civ. n. 27088/2008

In materia tributaria, perchè un’attività imprenditoriale possa qualificarsi come societaria sono necessari – oltre al requisito dell’apparenza del vincolo societario nei confronti di terzi, quale indice rivelatore della reale esistenza della società – gli elementi richiesti dall’art. 2247 c.c. per la sussistenza di una società di fatto, e cioè l’intenzionale esercizio in comune fra i soci di un’attività commerciale, anche occasionale, a scopo di lucro ed il conferimento a tal fine dei necessari beni e servizi. (Nella specie, la S.C. ha cassato la sentenza impugnata che non aveva valorizzato gli elementi presuntivi indicati dall’amministrazione ai fini dell’accertamento del reddito IRPEF-ILOR derivante da società di fatto).

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Cass. civ. n. 9250/2006

La società di fatto, sebbene inesistente nella realtà, può apparire esistente di fronte ai terzi quando due o più persone operino nel mondo esterno in modo da determinare l’insorgere dell’opinione ragionevole che essi agiscano come soci e del conseguente legittimo affidamento circa l’esistenza della società stessa: in tale ipotesi, a tutela della buona fede dei terzi, è sufficiente che il soggetto che abbia trattato col socio apparente provi un comportamento che, secondo l’apprezzamento insindacabile del giudice di merito, sia idoneo a designare la società come titolare del rapporto. In tal caso incombe sulla società apparente la prova che controparte fosse consapevole dell’inesistenza del vincolo sociale e quindi non meritevole di tutela.

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Cass. civ. n. 6797/2000

Nella verifica della sussistenza degli estremi di una società di fatto, il giudice, mentre nei rapporti con i terzi deve fare riferimento essenzialmente alle manifestazioni esteriori significative dell’esistenza di una affectio societatis che abbiano ingenerato nei terzi un affidamento in tal senso meritevole di tutela, nei rapporti interni deve basarsi sulla ricostruzione e interpretazione della reale volontà delle parti; l’onere della prova della sussistenza di un rapporto sociale non formalizzato incombe su chi lo allega quale fatto costitutivo di una sua pretesa.

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Cass. civ. n. 1961/2000

L’esistenza di una qualunque società, semplice, di persone, di capitali, regolare, irregolare, e quindi anche di una società di fatto, richiede il concorso di un elemento oggettivo, rappresentato dal conferimento di beni o servizi, con la formazione di un fondo comune, e di un elemento soggettivo, costituito dalla comune intenzione dei contraenti di vincolarsi e di collaborare per conseguire risultati patrimoniali comuni nell’esercizio collettivo di un’attività imprenditoriale. Tale comune intenzione costituisce il contratto sociale, senza del quale la società, qualsiasi società, non può esistere. Quel che caratterizza la società di fatto, e la differenzia dalla società irregolare, non è dunque la mancanza del contratto sociale, ma il modo in cui questo si manifesta e si esteriorizza; esso infatti può essere stipulato anche tacitamente, e risultare da manifestazioni esteriori dell’attività di gruppo, quando esse, per la loro sintomaticità e concludenza, evidenzino l’esistenza della società.

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Cass. civ. n. 13291/1999

L’iscrizione di un’impresa presso la Camera di Commercio come società di fatto, pur costituendo un dato formale, di per sé inidoneo a comprovare l’effettiva esistenza della società, in un giudizio avente ad oggetto una pretesa da altri fatta valere contro i soggetti indicati come soci, integra, tuttavia, per il fatto che si tratta di un dato formale conseguente ad una iniziativa degli interessati, tutti gli estremi per fondare una presunzione semplice superabile soltanto con la prova contraria di corrispondenza del dato formale alla realtà, tenuto conto, inoltre, che, inerendo l’iscrizione ad un pubblico registro conoscibile dalla generalità delle persone, essa determina per i terzi, a carico dei soggetti indicati come soci, un importante elemento di riscontro circa l’assunzione da parte loro della responsabilità patrimoniale illimitata per le attività e le obbligazioni riferibili alla compagine sociale. (Sulla base di tale principio la Suprema Corte ha ritenuto che correttamente il giudice di merito avesse desunto la prova presuntiva dell’esistenza di una società di fatto, fra gli eredi del soggetto titolare di un’impresa individuale, dalla denuncia presso la Camera di Commercio della modificazione della impresa individuale del “de cuius” in società dopo la sua morte, ed ha rilevato che di fronte a quella prova incombeva ai presunti soci l’onere della prova contraria).

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Cass. civ. n. 12663/1998

Elementi essenziali del contratto di società (anche di fatto) sono la previsione dell’esercizio in comune di una determinata attività economica e la conseguente costituzione di un «fondo comune» – vincolato all’esercizio collettivo dell’attività predetta – costituito mediante conferimento da parte di ciascuno dei soci, senza che l’entità di detti conferimenti debba risultare predeterminata nell’atto costitutivo (ben potendo, per converso, essere concretamente rapportata alla consistenza economica dell’oggetto sociale ed alla specifica operazione programmata), e senza che l’eventuale conferimento di beni immobili ne comporti, ipso facto, il formale trasferimento nella titolarità dell’ente (specie quando la società di fatto non debba apparire nei confronti dei terzi, volendosi limitare l’efficacia del pactum societatis ai rapporti interni tra i soci).

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Cass. civ. n. 8043/1998

L’esistenza di una duplice società di fatto tra le parti in lite (qualora una di esse neghi l’esistenza dell’affectio societatis in relazione ad una sola delle attività commerciali in questione) va provata, quanto ai suoi rapporti interni, attraverso la evidenziazione di elementi di fatto, quali la esistenza di un fondo comune (accertato alla luce della contitolarità dei conti correnti da parte dei soci) relativo ad entrambe le attività esercitate (nella specie, vendita di fiori ed onoranze funebri), di una contabilità congiunta relativa, anch’essa, ad entrambe le attività, di una inserzione nell’elenco telefonico parimenti riguardante entrambe, della esistenza, infine, di moduli a stampa per la conclusione dei contratti con la clientela intestati congiuntamente ad entrambe le ragioni sociali, mentre, con riferimento ai rapporti esterni, il vincolo societario può desumersi per effetto della semplice esteriorizzazione di tali rapporti, desunta da manifestazioni comportamentali rivelatrici di una struttura sovraindividuale indiscutibilmente consociativa. La relativa indagine compiuta dal giudice di merito, risolvendosi nell’apprezzamento di elementi di fatto, è incensurabile in sede di legittimità, se sorretta da motivazione esauriente ed immune da vizi logici e giuridici.

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Cass. civ. n. 2252/1998

Con la stipula del contratto di società si determina, anche nelle società di persone, un effetto di scambio tra patrimonio dei soci e patrimonio sociale, con il trasferimento, per un verso, della titolarità dei beni – anche immobili – conferiti, dal patrimonio dei conferenti a quello della società, «soggetto di diritto» diverso e terzo rispetto ai soci; e con il parallelo ingresso, nel patrimonio del socio, dei diritti (mobiliari) riferibili alla titolarità della quota sociale.

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Cass. civ. n. 366/1998

La mancata esteriorizzazione del rapporto societario costituisce il presupposto indispensabile perché possa legittimamente predicarsi, da parte del giudice, la esistenza di una società occulta, ma ciò non toglie che si richieda pur sempre la partecipazione di tutti i soci all’esercizio della attività societaria in vista di un risultato unitario, secondo le regole dell’ordinamento interno, e che i conferimenti siano diretti a costituire un patrimonio «comune», sottratto alla libera disponibilità dei singoli partecipi (art. 2256 c.c.) ed alle azioni esecutive dei loro creditori personali (artt. 2270 e 2305 stesso codice), l’unica particolarità della peculiare struttura collettiva de qua consistendo nel fatto che le operazioni sono compiute da chi agisce non già in nome della compagine sociale (vale a dire del gruppo complessivo dei soci), ma in nome proprio.

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Cass. civ. n. 10695/1997

La nozione di società di fatto non è sinonimo di società irregolare (che presuppone l’estrinsecazione dell’accordo sociale restando inosservato l’onere formale dell’iscrizione), in quanto la prima esprime un modo di manifestarsi della volontà sociale, in assenza della esplicitazione di espresso accordo, che deve risultare dallo stesso esercizio di fatto in comune dell’attività economica. L’esistenza del vincolo sociale può desumersi per effetto della mera esteriorizzazione nei rapporti esterni, mentre nei rapporti interni la società di fatto dev’essere provata (anche con prove orali e presunzioni) mediante gli elementi necessari per l’esistenza della società e, cioè, il fondo comune, l’attività comune, la ripartizione degli utili e delle perdite, il vincolo di collaborazione tra i soci. L’indagine, risolvendosi nell’apprezzamento di elementi di fatto, è incensurabile in sede di legittimità.

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Cass. civ. n. 9030/1997

In tema di società di fatto, per la configurabilità della responsabilità delle persone o dell’ente, anche in sede fallimentare, non è necessaria la prova dell’esistenza della società, essendo sufficiente la cosiddetta «apparenza della società», ossia il comportamento di due o più persone che, pur non essendo legate da vincoli sociali, operano nel mondo esterno in modo da generare il convincimento che esse agiscono come soci. L’apparenza, tuttavia, non è oggetto di tutela in se stessa, ma solo in quanto strumentale alla tutela dell’affidamento dei terzi di buona fede, onde essa non può essere invocata da chi sia consapevole dell’inesistenza del vincolo sociale.

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Cass. civ. n. 8187/1997

La concreta mancanza della prova scritta di un contratto societario relativo ad una società di fatto o irregolare (non richiesta, peraltro, dalla legge ai fini della sua validità), non impedisce, al giudice del merito, l’accertamento, aliunde, della esistenza di una struttura societaria, all’esito di una rigorosa valutazione (quanto ai rapporti tra soci) del complesso delle circostanze idonee a rivelare l’esercizio in comune di una attività imprenditoriale nonché l’esistenza di una affectio societatis (id est l’intenzione pattizia dei contraenti di vincolarsi e collaborare per tale esercizio), potendo legittimamente desumersi tale rapporto sociale dai comportamenti tenuti, anche nei confronti dei terzi, da ciascuno dei soci nell’esercizio collettivo dell’impresa. Tale indagine, risolvendosi nell’apprezzamento di elementi di fatto, non è censurabile in sede di legittimità, se sorretta da motivazione adeguata ed immune da vizi logici o giuridici.

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Cass. civ. n. 4187/1997

Ai fini della configurabilità di una società di fatto, la sussistenza del contratto sociale può risultare, oltre che da prove dirette specificamente riguardanti i suoi requisiti tipici (quali l’affectio societatis, la costituzione di un fondo comune, la partecipazione agli utili e alle perdite), pure da manifestazioni esteriori della attività di gruppo, quando esse per la loro sintomaticità e concludenza evidenzino l’esistenza della società anche nei rapporti interni. In particolare, i finanziamenti e le fideiussioni a favore dell’imprenditore possono costituire indici rivelatori del rapporto stesso qualora, alla stregua della loro sistematicità e di ogni altra circostanza del caso concreto, siano ricollegabili ad una costante opera di sostegno dell’attività dell’impresa, qualificabile come collaborazione del socio al raggiungimento degli scopi sociali. (Nella specie, l’accertamento del rapporto societario tra due soggetti, rispettivamente primo prenditore e giratario di una cambiale, rilevava ai fini della opponibilità al secondo del rapporto fondamentale tra l’emittente e il primo: la sentenza impugnata, confermata dalla Suprema Corte, ha dato rilievo, al fine di ritenere l’esistenza di una società di fatto, alla circostanza che il titolare di un’attività commerciale utilizzava il conto corrente bancario, corredato di fido, intestato ad altra persona e non altrimenti movimentato, sia per prelievi, realizzati con assegni firmati in bianco, sia per versamenti, e che il titolare dell’impresa girava i titoli cambiari ricevuti da clienti al socio di fatto, con cui detti clienti dovevano trattare il rinnovo dei titoli).

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Cass. civ. n. 6770/1996

Per poter considerare esistente una società di fatto, agli effetti della responsabilità delle persone e/o dell’ente, anche in sede fallimentare, non occorre necessariamente la prova del patto sociale, ma è sufficiente la dimostrazione di un comportamento, da parte dei soci, tale da ingenerare nei terzi il convincimento giustificato ed incolpevole che quelli agissero come soci, atteso che, nonostante l’inesistenza dell’ente, per il principio dell’apparenza del diritto, il quale tutela la buona fede dei terzi, coloro che si comportino esteriormente come soci vengono ad assumere in solido obbligazioni come se la società esistesse. Tuttavia, in caso di società di fatto (che si assuma) intercorrente fra consanguinei, la prova della esteriorizzazione del vincolo deve essere particolarmente rigorosa, occorrendo che essa si basi su elementi e circostanze concludenti, tali da escludere che l’intervento del familiare possa essere motivato dalla affectio familiaris, sicché, di regola, non è di per sé sufficiente la dimostrazione di finanziamenti e/o pagamenti ai creditori dell’impresa da parte del congiunto dell’imprenditore, costituendo questi atti neutri, spiegabili anche in chiave di solidarietà familiare.

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Cass. civ. n. 6438/1993

Per considerare esistente nei confronti dei terzi, anche se inesistente inter partes, una società di fatto, è necessario l’operare di due o più persone nel mondo esterno, in guisa da ingenerare l’opinione che siano legate da un vincolo sociale e la conseguente induzione dei soggetti con i quali esse entrano in rapporto a fare affidamento in buona fede (intesa come uso della cautela necessaria per non farsi trarre in inganno da manifestazioni esteriori suscettibili di controllo) sulla effettività e sulla responsabilità dell’apparente sodalizio.

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Cass. civ. n. 8154/1990

Tra i soci di una società di capitali con personalità giuridica, è configurabile una società personale, collaterale, con attività autonoma, la quale — pur quando esistano coincidenze di aree operative o sfruttamento di situazioni favorevoli di mercato realizzate dalla società, persona giuridica, o a quest’ultima la detta impresa presti, o da essa riceva, il supporto di indispensabili elementi — non cessa di essere un centro di imputazioni di atti e di attività distinto dalla società di capitali, con distinti elementi di rischio e distinte eventualità di dissesto, con la conseguenza che questo, ove si verifichi, può determinare il fallimento della società collaterale, in quanto dipenda dalla propria autonoma attività e dal passivo che ad essa si ricollega, senza che la collateralità sia da sola sufficiente a determinare una sovrapposizione, o una confusione, di imprese, od un’osmosi di situazioni passive, salvo la possibilità di responsabilità cumulative riguardo a particolari obbligazioni derivanti da affari specifici assunti in comune o da specifiche prestazioni di garanzie.

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Cass. civ. n. 2539/1990

Ai fini della responsabilità nei confronti dei terzi e dell’assoggettabilità alle procedure fallimentari, l’esistenza di una società di fatto fra due o più soggetti può essere affermata sulla base dell’esteriorizzazione della stessa, essendo sufficiente l’idoneità della condotta complessiva di taluno degli apparenti soci ad ingenerare all’esterno il ragionevole affidamento circa l’esistenza del vincolo sociale, mentre rimane irrilevante che colui che ha agito quale socio di una società in nome collettivo, regolarmente costituita, non abbia stipulato l’acquisto della qualità di socio, rivelatasi nei rapporti con i creditori ed i terzi interessati.

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