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Art. 103 — Garanzie di libertà del difensore

Art. 103 — Garanzie di libertà del difensore

1. Le ispezioni [ 244 c.p.p.] e le perquisizioni [ 247 c.p.p.] negli uffici dei difensori sono consentite solo:

  1. a] quando essi o altre persone che svolgono stabilmente attività nello stesso ufficio sono imputati [ 60, 61 c.p.p.], limitatamente ai fini dell’accertamento del reato loro attribuito;
  2. b] per rilevare tracce o altri effetti materiali del reato o per ricercare cose o persone specificamente predeterminate.

2. Presso i difensori e gli investigatori privati autorizzati e incaricati in relazione al procedimento, nonché presso i consulenti tecnici [ 225 c.p.p.] non si può procedere a sequestro [ 253 c.p.p.] di carte o documenti relativi all’oggetto della difesa, salvo che costituiscano corpo del reato.

3. Nell’accingersi a eseguire una ispezione, una perquisizione o un sequestro nell’ufficio di un difensore, l’autorità giudiziaria a pena di nullità [ 177186 c.p.p.] avvisa il consiglio dell’ordine forense del luogo perché il presidente o un consigliere da questo delegato possa assistere alle operazioni. Allo stesso, se interviene e ne fa richiesta, è consegnata copia del provvedimento.

4. Alle ispezioni, alle perquisizioni e ai sequestri negli uffici dei difensori procede personalmente il giudice ovvero, nel corso delle indagini preliminari, il pubblico ministero in forza di motivato decreto di autorizzazione del giudice.

5. Non è consentita l’intercettazione relativa a conversazioni o comunicazioni [ 266 c.p.p.] dei difensori, degli investigatori privati autorizzati e incaricati in relazione al procedimento, dei consulenti tecnici e loro ausiliari, né a quelle tra i medesimi e le persone da loro assistite.

6. Sono vietati il sequestro e ogni forma di controllo della corrispondenza [ 254 c.p.p.] tra l’imputato e il proprio difensore in quanto riconoscibile dalle prescritte indicazioni, salvo che l’autorità giudiziaria abbia fondato motivo di ritenere che si tratti di corpo del reato.

7. Salvo quanto previsto dal comma 3 e dall’articolo 271, i risultati delle ispezioni, perquisizioni, sequestri, intercettazioni di conversazioni o comunicazioni, eseguiti in violazione delle disposizioni precedenti, non possono essere utilizzati [ 191 c.p.p.]. Fermo il divieto di utilizzazione di cui al primo periodo, quando le comunicazioni e conversazioni sono comunque intercettate, il loro contenuto non può essere trascritto, neanche sommariamente, e nel verbale delle operazioni sono indicate soltanto la data, l’ora e il dispositivo su cui la registrazione è intervenuta .

  1. a] quando essi o altre persone che svolgono stabilmente attività nello stesso ufficio sono imputati [ 60, 61 c.p.p.], limitatamente ai fini dell’accertamento del reato loro attribuito;
  2. b] per rilevare tracce o altri effetti materiali del reato o per ricercare cose o persone specificamente predeterminate.
L’eventuale comma dell’articolo ricompreso fra parentesi quadre è stato abrogato.

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Aggiornato al 1 gennaio 2020
Il testo riportato è reso disponibile agli utenti al solo scopo informativo. Pertanto, unico testo ufficiale e definitivo è quello pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale Italiana che prevale in casi di discordanza rispetto al presente.

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Massime correlate

Cass. pen. n. 19255/2017

In tema di garanzie di libertà del difensore, mentre per le perquisizioni e le ispezioni la garanzia di cui all’art. 103, comma primo, cod. proc. pen. è collegata all’esecuzione delle stesse presso gli uffici dei difensori, per i sequestri il divieto di acquisire documenti relativi all’oggetto della difesa, salvo che costituiscano corpo del reato, è collegato direttamente alle persone dei difensori, ai sensi del secondo comma del citato art. 103, in linea con quanto previsto anche dall’art. 4 della direttiva 2013/48/UE; ne deriva che il divieto opera anche quando l’attività diretta al sequestro si svolge in luogo diverso dagli uffici dei difensori.

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Cass. pen. n. 55253/2016

L’art. 103, comma quinto, cod. proc. pen., nel vietare le intercettazioni delle conversazioni o comunicazioni dei difensori, riguarda l’attività captativa in danno del difensore in quanto tale ed ha dunque ad oggetto le sole conversazioni o comunicazioni – individuabili, ai fini della loro inutilizzabilità, a seguito di una verifica postuma – inerenti all’esercizio delle funzioni del suo ufficio e non si estende ad ogni altra conversazione che si svolga nel suo ufficio o domicilio. [In applicazione di tale principio, la Corte ha ritenuto imune da censure un’ordinanza cautelare contenente riferimenti non al contenuto di specifiche intercettazioni tra imputato e difensore, ma al mero fatto storico del contatto tra di essi intervenuto, al fine di individuare l’utilizzatore della utenza che aveva chiamato quella in uso al legale].

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Cass. pen. n. 26323/2014

Il divieto di intercettazioni relative a conversazioni o comunicazioni dei difensori, non riguarda indiscriminatamente tutte le conversazioni di chi riveste tale qualifica, e per il solo fatto di possederla, ma solo le conversazioni che attengono alla funzione esercitata, in quanto la “ratio” della regola posta dall’art. 103 c.p.p. va rinvenuta nella tutela del diritto di difesa. [Fattispecie relativa alla intercettazione di un colloquio tra l’indagato ed un avvocato, legati da uno stretto rapporto di amicizia, per la cui utilizzabilità la Corte ha ritenuto necessario che il giudice del merito dovesse valutare: a] se quanto detto dall’indagato fosse finalizzato ad ottenere consigli difensivi professionali o non costituisse piuttosto una mera confidenza fatta all’amico; b] se quanto detto dall’avvocato avesse natura professionale oppure consolatoria ed amicale a fronte delle confidenze ricevute].

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Cass. pen. n. 9884/2014

Quando procede a perquisizione nei casi previsti dall’art. 103 d.P.R. 9 ottobre 1990 n. 309, la polizia giudiziaria non ha l’obbligo di avvertire la persona sottoposta a controllo del diritto all’assistenza di un difensore perché tale tipologia di perquisizione, a differenza di quella contemplata dal codice di procedura penale, non presuppone necessariamente una preesistente notizia di reato e non è quindi funzionale alla ricerca e all’acquisizione della prova di un reato di cui consti già l’esistenza, ma può rientrare anche in un’attività di carattere preventivo.

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Cass. pen. n. 12155/2012

Le guarentigie previste dall’art. 103 cod. proc. pen., non sono volte a tutelare chiunque eserciti la professione legale ma solo colui che rivesta la qualità di difensore in forza di specifico mandato conferitogli nelle forme di legge, essendo essenzialmente apprestate in funzione di garanzia del diritto di difesa dell’imputato; pertanto, esse non possono trovare applicazione qualora gli atti di cui all’art. 103 cod. proc. pen. – ispezioni, perquisizioni, sequestri – debbano essere compiuti nei confronti di esercente la professione legale sottoposto ad indagine.

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Cass. pen. n. 15208/2010

I limiti imposti dall’art. 103 c.p.p. quali “garanzie di libertà del difensore”, con specifico riferimento al sequestro, non possono riguardare documenti nella sfera di pertinenza esclusiva dell’imputato, privi di una finalizzazione attuale all’espletamento delle funzioni del difensore. [Fattispecie di sequestro, ritenuto legittimo, di documenti in bozza rinvenuti in luoghi in uso all’imputato e non già “presso il difensore”].

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Cass. pen. n. 38578/2008

L’art. 103, comma quinto, c.p.p., nel vietare le intercettazioni delle conversazioni o comunicazioni dei difensori, riguarda l’attività captativa in danno del difensore in quanto tale ed ha dunque ad oggetto le sole conversazioni o comunicazioni individuabili, ai fini della loro inutilizzabilità, a seguito di una verifica postuma inerenti all’esercizio delle funzioni del suo ufficio e non si estende ad ogni altra conversazione che si svolga nel suo ufficio o domicilio. [In applicazione di tale principio, la Corte ha ritenuto utilizzabile, ai fini dell’identificazione della voce dell’indagato captata nel corso di una intercettazione telefonica, una conversazione intervenuta sulla medesima utenza tra la di lui moglie e quello che era il suo difensore ].

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Cass. pen. n. 31177/2006

Le guarentigie previste dall’art. 103 c.p.p., in quanto volte a tutelare non chiunque eserciti la professione legale, ma solo chi sia «difensore» in forza di specifico mandato a lui conferito nelle forme di legge [e ciò essenzialmente in funzione di garanzia del diritto di difesa dell’imputato], non possono trovare applicazione qualora gli atti indicati nel citato art. 103 debbano essere compiuti nei confronti di esercente la professione legale che sia egli stesso la persona sottoposta a indagine. [Nella specie, in applicazione di tale principio, la Corte ha escluso che il pubblico ministero abbisognasse dell’autorizzazione del giudice, ai sensi del comma quarto dell’art. 103 c.p.p., per l’effettuazione di perquisizione nello studio di un legale sottoposto a indagine per truffa in danno di suoi clienti].

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Cass. pen. n. 35656/2003

L’art. 103, comma 5, c.p.p., nel vietare le intercettazioni delle conversazioni o comunicazioni dei difensori, mirando a garantire l’esercizio del diritto di difesa, ha ad oggetto le sole conversazioni o comunicazioni relative agli affari nei quali i legali esercitano la loro attività difensiva, e non si estende, quindi, alle conversazioni che integrino esse stesse reato [nella specie, l’avvocato aveva preavvertito il suo cliente delle iniziative assunte dalle forze di polizia, fornendo consigli su come evitare la cattura e commettendo così il reato di favoreggiamento].

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Cass. pen. n. 10664/2003

Per l’operatività del divieto di intercettazioni relative a conversazioni o comunicazioni dei difensori, lo svolgimento dell’attività difensiva non deve risultare necessariamente da uno specifico e formale mandato, conferito secondo le modalità previste dall’art. 96 c.p.p., potendo desumersi l’esistenza di un mandato fiduciario anche dalla natura stessa dell’incarico, circostanza questa che può essere confermata dallo stesso contenuto delle captazioni, oltre che dalla documentazione prodotta dall’interessato.

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Cass. pen. n. 2816/2003

È legittimo il sequestro di un server informatico [completamente sigillato] presso lo studio di un avvocato indagato di concorso in bancarotta fraudolenta, al fine di verificare, con le garanzie del contraddittorio anticipato, la natura effettivamente pertinenziale rispetto al reato ipotizzato di atti e documenti sequestrati, così escludendo indebite conseguenze sulle garanzie del difensore in violazione dell’art. 103 c.p.p..

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Cass. pen. n. 3513/1997

In tema di garanzie di libertà del difensore, l’autorizzazione del giudice prevista dal quarto comma dell’art. 103 c.p.p. costituisce una deroga alla disciplina ordinaria relativa al compimento di perquisizioni e sequestri nel corso delle indagini preliminari; tuttavia, una volta che detta autorizzazione sia intervenuta, il pubblico ministero rimane dominus delle indagini, sicché egli può dar corso o meno al compimento dell’atto investigativo o comunque scegliere i tempi della sua esecuzione sulla base di proprie valutazioni discrezionali vincolate esclusivamente dal fine cui devono essere orientate [art. 358 c.p.p.]. Ne deriva che la perquisizione presso lo studio di un difensore non deve necessariamente essere eseguita senza soluzione di continuità, dovendosi viceversa ritenere che il pubblico ministero sia legittimato, ove ne ravvisi la necessità o solamente l’opportunità, a completare le operazioni anche in tempi diversi, senza che ciò comporti l’obbligo di munirsi di nuova autorizzazione per ogni accesso, sempre che l’attività di ricerca si svolga nello stesso luogo e con riferimento al medesimo indagato ed alle medesime imputazioni indicate nel decreto del Gip.
In tema di garanzie di libertà del difensore, la disposizione di cui all’art. 103, quarto comma, c.p.p., secondo cui all’attività di ispezione, perquisizione e sequestro da compiersi presso gli studi professionali legali deve procedere personalmente il giudice ovvero il pubblico ministero, non può essere interpretata nel senso che le relative operazioni debbano essere materialmente e fisicamente effettuate dall’autorità giudiziaria; la ratio della norma, infatti, non è quella di precludere alla polizia giudiziaria l’accesso alle carte ed ai documenti dei difensori, come se per ciò stesso si verificasse la compromissione del segreto professionale, bensì quella, assai diversa, di assicurare la presenza agli atti de quibus del magistrato che, anche in virtù della sua preparazione tecnica, sappia individuare con precisione i limiti che l’art. 103 c.p.p., al primo ed al secondo comma, pone all’attività di ispezione, ricerca ed apprensione. Non esiste alcuna preclusione legislativa, pertanto, né tantomeno da ciò può derivare sanzione processuale alcuna, a che il giudice o il pubblico ministero il quale, partecipando all’atto, ne assume la responsabilità, si limiti a dirigere e controllare le operazioni esecutive materialmente svolte in funzione di ausilio dalla polizia giudiziaria, secondo i compiti istituzionali a questa assegnati dal codice di rito [art. 56 c.p.p.].
In tema di garanzie di libertà del difensore, non può ritenersi che tutte le «carte» e i «documenti» che si trovino presso lo studio ovvero l’abitazione di un professionista iscritto all’albo degli avvocati siano perciò stesso da considerarsi «oggetto della difesa» e pertanto sequestrabili solo se «corpo di reato». Per «oggetto della difesa», come indicano il senso letterale delle parole e la ratio della norma, deve intendersi infatti inerenza ad un procedimento giudiziario, anche eventualmente concluso, in relazione al quale il professionista espleti o abbia espletato un mandato difensivo espressamente conferito dall’interessato; rimane escluso da tale definizione, pertanto, tutto ciò che, pur attenendo in genere all’attività professionale del legale, esula dall’espletamento di un mandato difensivo come sopra inteso, e che può dunque essere legittimamente sequestrato anche se rientrante solamente fra le «cose pertinenti al reato», salva in ogni caso la tutela del segreto professionale, opponibile anche in tali ipotesi nelle forme di legge [art. 256, primo comma, c.p.p.].

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Cass. pen. n. 2588/1995

I limiti imposti dall’art. 103 c.p.p. quali «garanzie di libertà del difensore», con specifico riferimento al sequestro non possono riguardare documenti nella sfera di pertinenza esclusiva dell’imputato, privi di una finalizzazione attuale ed attuosa allo espletamento delle funzioni del difensore. [Affermando siffatto principio la Cassazione ha escluso la illegittimità del sequestro, operato nel corso di perquisizione presso l’indagato, di un documento intestato «pro memoria per l’Avv. …»].

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Cass. pen. n. 2337/1995

I divieti e le limitazioni stabiliti dall’art. 103 c.p.p. per gli atti ivi menzionati debbono ritenersi operanti con riguardo non ai soli soggetti che esercitano attività defensionale nel procedimento nell’ambito del quale si collocano gli atti predetti, ma a tutti coloro che, debitamente iscritti negli albi professionali, abbiano assunto difese in qualsivoglia altro procedimento.

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Cass. pen. n. 1906/1995

Il divieto di perquisizione presso lo studio del difensore riguarda il professionista che assiste l’indagato nel procedimento a cui l’atto si riferisce; le garanzie di libertà del difensore previste dall’art. 103 c.p.p., infatti, in quanto inserite nel titolo settimo del codice che disciplina la figura del difensore dell’imputato, si riferiscono esclusivamente al professionista che assiste la parte privata nel procedimento penale, e non ad altri.

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Cass. pen. n. 2576/1994

L’omesso avviso al locale Consiglio dell’ordine forense, nel caso di perquisizione dei locali adibiti a studio professionale del difensore e di sequestro del materiale ivi rinvenuto, si traduce in una inosservanza sanzionata da esplicita e tassativa nullità anche qualora gli atti sopra indicati siano stati eseguiti in presenza di altro avvocato in funzione di difensore del primo.

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Cass. pen. n. 2604/1994

In tema di avvisi al difensore, nei casi in cui, ricorrendo una situazione di urgenza, la legge in luogo di prevedere la notifica dell’avviso, si limiti a stabilire che lo stesso deve essere dato al difensore, deve ritenersi sufficiente il procurare al destinatario dell’avviso l’effettiva conoscenza dell’avviso stesso, anche se questo è comunicato con forme diverse dalle notificazioni. Pertanto quando non sia possibile procurare tale effettiva conoscenza, è solo la conoscenza legale che può far ritenere osservata la norma che prescrive l’avviso, sicché in tal caso occorre usare le forme stabilite per le notificazioni che costituiscono il mezzo normalmente previsto dal legislatore per portare a conoscenza delle persone atti del procedimento da compiere o già compiuti. [Affermando tale principio la Cassazione ha annullato gli atti di perquisizione e di sequestro operati presso uno studio mancando la prova che la relativa comunicazione telefonica al Presidente del Consiglio dell’ordine, effettuata personalmente dal P.M. e ricevuta da una segretaria, senza l’osservanza delle forme di cui all’art. 149 c.p.p., avesse raggiunto il suo scopo; in particolare la Corte Suprema ha ravvisato evidente analogia di tale fattispecie con quella dell’avviso al difensore].

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Cass. pen. n. 25/1994

In tema di garanzie di libertà dei difensori previste dall’art. 103 c.p.p., il divieto di intercettazioni di conversazioni o comunicazioni opera anche nel caso in cui l’attività difensiva concerna un procedimento diverso da quello cui le intercettazioni atterrebbero. Peraltro il divieto in questione non riguarda indiscriminatamente tutte le conversazioni di chi rivesta la qualità di difensore e per il solo fatto di tale qualifica, ma solo le conversazioni che attengono alla funzione esercitata.
L’operatività dei limiti e delle garanzie previsti dall’art. 103 c.p.p. per le ispezioni e perquisizioni da eseguire negli uffici dei difensori non è subordinata alla condizione che tali atti siano disposti dall’autorità giudiziaria nello stesso procedimento in cui è svolta l’attività difensiva. Ne consegue che deve ritenersi illegittima la perquisizione di uno studio di un difensore disposta dal P.M. ed eseguita dalla polizia giudiziaria senza l’osservanza delle prescrizioni dell’art. 103, terzo e quarto comma, c.p.p., anche se con riferimento ad un procedimento diverso da quello in cui era svolta attività difensiva. [La Cassazione ha altresì evidenziato che poiché le garanzie previste per le ispezioni e le perquisizioni dal terzo e quarto comma, dell’art. 103, c.p.p., si riferiscono ai soli atti disposti dall’autorità giudiziaria, resta fermo il potere della polizia giudiziaria di procedere a perquisizione nei casi di cui all’art. 352 stesso codice].

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Cass. pen. n. 24/1994

Il divieto di sequestrare presso i difensori «carte o documenti relativi all’oggetto della difesa, salvo che costituiscano corpo del reato», previsto dall’art. 103, secondo comma, c.p.p., non è limitato all’ipotesi in cui il sequestro è disposto nell’ambito dello stesso procedimento in cui si svolge l’attività difensiva o all’ipotesi in cui questa sia ancora in corso, ed opera, quindi, anche nel caso in cui tale attività concerna un procedimento diverso. Inoltre, mentre per le ispezioni e per le perquisizioni la «garanzia» prevista dal citato articolo è collegata ai locali dell’ufficio, per i sequestri [così come avviene anche per le intercettazioni e per il controllo della corrispondenza] la lettera del secondo comma, con le parole iniziali [«presso i difensori»], mostra che la garanzia è collegata direttamente alle persone [difensori e consulenti tecnici], sicché il divieto opera anche quando l’attività diretta al sequestro si svolge in luogo diverso dall’ufficio.

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Cass. pen. n. 3804/1993

Le garanzie di libertà dei difensori, previste dall’art. 103 c.p.p. sono apprestate a tutela non della dignità professionale degli avvocati, ma del libero dispiegamento dell’attività difensiva e del segreto professionale, che trovano il diretto supporto nell’art. 24 della Costituzione, che sancisce la inviolabilità della difesa, come diritto fondamentale della persona. Tali garanzie mirano a prevenire il pericolo di abusive intrusioni nella sfera difensiva, in quanto l’attività di ricerca negli studi professionali implica la possibilità di esame di carte e di fascicoli utili per l’esercizio autonomo della attività di difensore. Esse, perciò, non vanno limitate al difensore dell’indagato o dell’imputato nel cui procedimento sorge la necessità di attività di ispezione, ricerca o sequestro, ma vanno osservate in tutti i casi in cui tali atti vengono eseguiti nell’ufficio di un professionista, iscritto all’albo degli avvocati e procuratori, che abbia assunto la difesa di assistiti, anche fuori del procedimento in cui l’attività di ricerca, perquisizione e sequestro viene compiuta. [Nella specie, in applicazione del principio di diritto sopra massimato, è stato rigettato il ricorso del pubblico ministero avverso ordinanza del tribunale che aveva dichiarato la nullità, per violazione dell’art. 103 c.p.p., del sequestro di documenti a seguito di perquisizione disposta dal procuratore della Repubblica presso lo studio legale di un avvocato, indagato per il reato di cui all’art. 323 c.p.].
Le limitazioni e i divieti alla effettuazione di ispezioni, perquisizioni, sequestri e intercettazioni, previsti dall’art. 103 c.p.p. a garanzia della libertà dei difensori, operano a favore di qualsivoglia soggetto che, iscritto all’albo degli avvocati e procuratori, eserciti la professione legale e abbia quindi assunto la difesa di assistiti, anche quando tali difese riguardino procedimenti diversi da quello nell’ambito del quale gli atti anzidetti dovrebbero aver luogo.

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