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Art. 103 — Abitualità ritenuta dal giudice

Art. 103 — Abitualità ritenuta dal giudice

Fuori del caso indicato nell’articolo precedente, la dichiarazione di abitualità nel delitto è pronunciata anche contro chi, dopo essere stato condannato per due delitti non colposi, riporta un’altra condanna per delitto non colposo, se il giudice, tenuto conto della specie e gravità dei reati, del tempo entro il quale sono stati commessi, della condotta e del genere di vita del colpevole e delle altre circostanze indicate nel capoverso dell’articolo 133, ritiene che il colpevole sia dedito al delitto [ 106, 107, 109 ].

L’eventuale comma dell’articolo ricompreso fra parentesi quadre è stato abrogato.

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Aggiornato al 1 gennaio 2020
Il testo riportato è reso disponibile agli utenti al solo scopo informativo. Pertanto, unico testo ufficiale e definitivo è quello pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale Italiana che prevale in casi di discordanza rispetto al presente.
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Massime correlate

Cass. pen. n. 46486/2017

L’abitualità nel reato di cui all’art.103 cod. pen. è correttamente contestata mediante il riferimento alla specie dei reati posti in essere, all’arco di tempo entro cui sono stati commessi e, quindi, alla dedizione al crimine dell’imputato, trattandosi di elementi ulteriori e diversi rispetto alla contestazione della mera recidiva.

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Cass. pen. n. 36949/2015

Alla dichiarazione di abitualità nel reato può provvedere il giudice della cognizione anche d’ufficio. (In motivazione, la Corte ha precisato che non vi è contraddizione nella valutazione operata dal giudice, che, oltre a dichiarare il colpevole dedito al reato, lo ritenga meritevole della concessione delle circostanze attenuanti generiche, operando queste ultime sul diverso piano della pena).

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Cass. pen. n. 1423/2013

In tema di abitualità del reato, mentre in quella presunta dalla legge il giudice deve limitarsi ad accertare i soli elementi necessari e sufficienti, tassativamente determinati dal legislatore, nell’ipotesi di abitualità ritenuta dal giudice, quest’ultimo, in aggiunta ai primi, deve anche compiere una valutazione discrezionale in ordine ad altri elementi indicati dal legislatore.

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Cass. pen. n. 24142/2011

Ai fini della dichiarazione di abitualità nel reato “ex”art. 103 c.p. e della conseguente applicazione di misura di sicurezza detentiva non è consentito tenere conto, quale sentenza di condanna per delitto non colposo seguita a condanna per due delitti non colposi, di una sentenza di applicazione di pena concordata non superiore a due anni di pena detentiva.

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Cass. pen. n. 6926/2009

Alla dichiarazione di abitualità nel reato può provvedere il magistrato di sorveglianza, il quale può procedere anche di ufficio ogni volta che, successivamente alla pronuncia di una sentenza di condanna, deve essere ordinata una misura di sicurezza.

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Cass. pen. n. 6646/2008

Allorché l’abitualità nel reato non sia stata dichiarata con la sentenza del giudice della cognizione, è competente a provvedere in ordine ad essa il magistrato di sorveglianza.

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Cass. pen. n. 31743/2003

Il giudice deve motivare la dichiarazione di abitualità a delinquere, fondandola non solo sulla constatazione della recidiva specifica, sia pure reiterata ed infraquinquennale, ma anche sulla valutazione della complessiva condotta di vita tenuta dal soggetto. (Nel caso di specie, la Corte ha confermato la sentenza ove le ragioni della dichiarazione di abitualità nel reato erano state indicate, seppure in termini sintetici, analizzando la condotta di vita anteatta dell’imputato e formulando una prognosi negativa desunta dallo stato di tossicodipendenza e dalla mancanza di lecite fonti di sostentamento derivanti da attività lavorativa).

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Cass. pen. n. 22505/2002

Ai fini della dichiarazione di abitualità ritenuta dal giudice, qualora le condanne definitive siano già sussistenti nel numero prescritto e per i reati previsti, qualsiasi comportamento o circostanza, che si aggiunga alle suddette condanne e riveli una precisa tendenza a delinquere, come una condanna non definitiva per altri gravi reati, può essere assunta come elemento sintomatico della qualificata pericolosità sociale del soggetto, tale da giustificare la dichiarazione di abitualità nel delitto.

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Cass. pen. n. 1839/2000

È nulla in parte qua per difetto di contestazione la sentenza di condanna con il quale venga ritenuta ai sensi dell’art. 103 c.p. l’abitualità a delinquere, se questa non sia stata contestata all’imputato con l’enunciazione non solo della recidiva reiterata ma anche di tutti gli ulteriori elementi, indicati dall’art. 133 dello stesso codice, sui quali l’accusa intende fondare la sua richiesta.

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Cass. pen. n. 2536/1997

La semplice constatazione della recidiva specifica, anche reiterata, qualora non contenga alcun valido giudizio critico in ordine alla probabilità o meno della futura commissione di reati, non è, di per sé, sufficiente ai fini della dichiarazione di abitualità a delinquere, occorrendo, a tal fine, una motivata specificazione degli elementi indicativi dell’attuale e concreta pericolosità sociale del soggetto, tali da evidenziare fino a che punto la tendenza criminosa manifestata nello specifico delitto sia radicata nella personalità del soggetto stesso mostrandone la capacità criminale.

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Cass. pen. n. 1110/1997

In tema di dichiarazione di abitualità nel reato, la omogeneità della natura dei reati commessi, unitamente alla reiterazione della condotta commessa in tempi ravvicinati, può costituire elemento decisivo per essa dichiarazione e, perciò, la abitualità può essere desunta dai soli precedenti penali, tali da rivelare, in riferimento alle circostanze previste dall’art. 133 c.p., il motivo a delinquere, il carattere e la personalità del reo. Infatti, gli elementi indicati dalla norma su richiamata sono sufficienti da soli ad evidenziare fino a che punto la tendenza criminosa manifestata nello specifico delitto sia radicata nella personalità del soggetto, mostrandone la capacità a delinquere e cioè l’attitudine nel reato commesso.

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Cass. pen. n. 555/1995

Ai fini della dichiarazione di abitualità ritenuta dal giudice l’art. 103 c.p. richiede, come presupposto inderogabile, che il soggetto, già condannato per due delitti non colposi, venga ulteriormente condannato per un altro delitto non colposo. Per procedere alla dichiarazione in sede di esecuzione è necessario che tale ultima condanna sia passata in giudicato poiché nel sistema penale sostanziale ogni volta che il legislatore fa uso del termine «condanna», senza ulteriore specificazione, si riferisce esclusivamente a quella derivante da sentenza divenuta irrevocabile.

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Cass. pen. n. 5416/1991

Con riferimento alla dichiarazione di abitualità nel reato, l’applicazione dell’art. 103 c.p., in sostituzione del contestato art. 102 stesso codice, determina mancanza di correlazione tra la contestazione e la pronuncia, che impone l’annullamento della dichiarazione di abitualità con conseguente eliminazione della misura di sicurezza.

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Cass. pen. n. 12895/1989

La dichiarazione di abitualità nel reato ritenuta dal giudice ai sensi dell’art. 103 c.p. ha natura costitutiva ed efficacia ex nunc, così che essa deve considerarsi causa che inibisce l’applicazione dell’amnistia solo se sia intervenuta, con sentenza inevocabile prima dell’entrata in vigore del decreto di clemenza.

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Cass. pen. n. 11637/1989

La dichiarazione di abitualità nel delitto, ritenuta dal giudice ai sensi dell’art. 103 c.p., esige la valutazione complessiva della condotta tenuta dal soggetto in precedenza e nel periodo ultimo di libertà, nonché la omogeneità dei reati commessi, che dimostra la persistenza del reo a delinquere.

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Cass. pen. n. 1466/1989

La dichiarazione di abitualità nel delitto osta all’applicazione dell’amnistia anche se la sentenza che contiene la declaratoria è passata in giudicato dopo l’emanazione del decreto di clemenza.

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Cass. pen. n. 535/1989

In tema di dichiarazione di abitualità del reato, la omogeneità della natura dei reati commessi, unitamente alla reiterazione della condotta commessa in tempi ravvicinati può costituire elemento decisivo per essa dichiarazione e, perciò, l’abitualità può essere desunta dai soli precedenti penali, tali da rilevare, in riferimento alle circostanze previste dall’art. 133 c.p., il motivo a delinquere, il carattere e la personalità del reo. Infatti, gli elementi indicati dalla norma su richiamata sono sufficienti da soli ad evidenziare fino a che punto la tendenza criminosa manifestata nello specifico delitto sia radicata nella personalità del soggetto, mostrandone la capacità a delinquere e cioè l’attitudine nel reato commesso. (Nella specie, la dichiarazione di abitualità era stata emessa sulla base di 15 condanne per furto aggravato e una per tentato furto aggravato, riportate dall’imputato che era stato ritenuto colpevole di furto aggravato).

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Cass. pen. n. 5285/1986

La reiterazione, in un determinato ambito cronologico, dell’azione delittuosa può costituire prova dell’abitualità del reato e non dell’unicità del disegno criminoso, in specie quando dei precedenti penali dell’imputato, posti in relazione ai fatti per cui si procede, si dimostri che non si è in presenza di singole azioni delittuose deliberate come facenti parti di un tutto organico, ma del semplice protrarsi di attività delinquenziale.

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Cass. pen. n. 8150/1984

Ai fini della dichiarazione di abitualità a delinquere non basta che sia stata contestata la recidiva specifica reiterata, ma occorre l’indicazione di quegli elementi di fatto che comportano necessariamente la detta dichiarazione.

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Cass. pen. n. 6334/1984

Pur dovendo normalmente ritenersi viziata la declaratoria di abitualità, ai sensi dell’art. 103 c.p., emessa in base al solo richiamo dei precedenti penali del condannato, senza alcun riferimento alle concrete modalità della sua condotta ed al genere di vita da lui tenuta, non può escludersi tuttavia che, costituendo l’omogeneità della natura dei reati commessi, unitamente alla reiterazione delle condotte criminose in tempi ravvicinati, elemento decisivo per la dichiarazione di abitualità, questa possa essere desunta, dai soli precedenti penali, purché tali da rivelare, in relazione alle circostanze previste dall’art. 133 c.p., il motivo a delinquere, il carattere e la personalità del reo.

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Cass. pen. n. 9026/1983

L’abitualità a delinquere ex art. 102 c.p. è operante obbligatoriamente ed automaticamente per presunzione di legge, senza bisogno di un accertamento del giudice. L’abitualità, invece, ritenuta dal giudice ex art. 103 c.p., è rimessa al potere discrezionale del magistrato, il quale, dovendo prima constatare la sussistenza di determinate condizioni legali ed accertare poi la pericolosità del soggetto, è tenuto a darne giustificazione a mezzo di adeguata motivazione.

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Cass. pen. n. 8492/1983

L’abitualità ritenuta dal giudice può essere desunta oltre che dai precedenti penali dell’imputato, anche da tutte le circostanze che secondo la comune esperienza, recepita dall’art. 133 c.p., sono indicative di un determinato tenore di vita antisociale. Il giudice nella motivazione può limitarsi a porre in luce quelle circostanze che, per la loro particolare rilevanza hanno, anche da sole, attitudine a dimostrare l’abitualità a delinquere del reo.

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Cass. pen. n. 4083/1982

L’abitualità a delinquere può essere dichiarata anche in difetto di contestazione specifica qualora sia stata contestata la recidiva specifica reiterata infraquinquennale con indicazione degli elementi di fatto che comportano necessariamente la dichiarazione d’abitualità.

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Cass. pen. n. 705/1982

La dichiarazione di abitualità nel reato non è incompatibile con l’attenuante del vizio parziale di mente.

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Cass. pen. n. 10262/1981

Nel caso di abitualità ritenuta dal giudice non ha alcuna rilevanza il mancato accertamento della data di commissione dei reati perché la norma dell’art. 103 c.p. non fa alcun riferimento, a differenza di quella concernente l’abitualità presunta dalla legge (art. 102), a termini o a periodi prefissati.

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Cass. pen. n. 8749/1981

Ove sia stata contestata nel decreto di citazione l’abitualità presunta dalla legge, non può applicarsi quella di cui all’art. 103 c.p., ritenuta dal giudice. Ed infatti, pur nell’identità degli effetti giuridici, la seconda forma di abitualità presuppone anche un’indagine sulla condotta e genere di vita del colpevole, e quindi una diversa possibilità da parte dell’imputato di apprestare eventuali argomenti difensivi.

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