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Art. 612 — Minaccia

Art. 612 — Minaccia

Chiunque minaccia ad altri un ingiusto danno è grave o è fatta in uno dei modi indicati nell’articolo 339, la pena è della reclusione fino a un anno.

Si procede d’ufficio se la minaccia è fatta in uno dei modi indicati nell’articolo 339.

L’eventuale comma dell’articolo ricompreso fra parentesi quadre è stato abrogato.

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Aggiornato al 1 gennaio 2020
Il testo riportato è reso disponibile agli utenti al solo scopo informativo. Pertanto, unico testo ufficiale e definitivo è quello pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale Italiana che prevale in casi di discordanza rispetto al presente.
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Massime correlate

Cass. pen. n. 38387/2017

Ai fini della configurabilità del delitto di minaccia, non è necessario che le espressioni intimidatorie siano pronunciate in presenza della persona offesa, potendo quest’ultima venirne a conoscenza anche attraverso altri, in un contesto dal quale possa desumersi la volontà dell’agente di produrre l’effetto intimidatorio. (Fattispecie in cui la Corte ha ritenuto che la minaccia di morte proferita dall’imputato dinanzi agli agenti penitenziari ai danni di un altro detenuto, non presente, abbia comunque prodotto in quest’ultimo, alla luce degli eventi successivi e delle misure di protezione adottate a sua tutela, uno stato di turbamento psichico idoneo a configurare il reato).

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Cass. pen. n. 19252/2011

L’ingiustizia del male minacciato e, quindi, l’illegittimità del fatto costituente il delitto di cui all’art. 612 c.p., non viene meno se non risulti ingiusto il motivo posto a base dell’azione criminosa, a meno che non appaiano legittimi tanto il male minacciato quanto il mezzo usato per l’intimidazione.

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Cass. pen. n. 5300/2011

In tema di violenza o minaccia a pubblico ufficiale, l’effettivo esercizio di un’azione civile, mediante la notificazione di un atto di citazione o il deposito di un ricorso, non integra gli estremi della violenza o minaccia penalmente rilevante, quand’anche risulti motivato da ragioni strumentali rispetto al diritto vantato, dovendosi distinguere la concreta attivazione del sistema giudiziario attraverso la formulazione di una domanda proposta dinanzi all’autorità giudiziaria, dalla prospettazione di un’azione, civile o penale, con lo scopo di coartare l’altrui volontà ed ottenere un beneficio od un vantaggio non conformi a giustizia. (In applicazione di tale principio, la S.C. ha escluso il reato di cui all’art. 336 c.p. nella presentazione di un atto di citazione in cui si ipotizzava una responsabilità professionale a carico di un consulente tecnico del P.M., in modo da determinare una situazione di apparente incompatibilità e condizionarne la testimonianza in dibattimento).

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Cass. pen. n. 29390/2007

Non integrano il delitto di minaccia le locuzioni intimidatrici espresse in forma condizionata quando siano dirette, non già a restringere la libertà psichica del soggetto passivo, ma a prevenirne un’azione illecita o inopportuna e siano rappresentative della reazione legittima determinata dall’eventuale realizzazione di dette azioni. (In applicazione di questo principio la S.C. ha ritenuto immune da censure la decisione con cui il giudice di merito ha escluso che l’espressione «se vedi Attilio digli che se si appoggia alla mia macchina in modo provocatorio io l’ammazzo» integri il delitto di minaccia, avuto riguardo al contesto in cui era stata proferita concernente soggetti adusi ad utilizzare messaggi convenzionali, tali da escludere la serietà della frase minatoria, costituente una sorta di avvertimento condizionato alla ostentazione di un comportamento provocatorio).

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Cass. pen. n. 682/2007

Integra il delitto di minaccia aggravata ai sensi dell’art. 612, comma secondo, c.p., la minaccia fatta con un bastone, considerato che nel novero delle armi rientrano non solo quelle proprie ma anche quelle improprie e cioè gli strumenti atti ad offendere dei quali è vietato dalla legge il porto in modo assoluto, ovvero senza giustificato motivo, ex art. 585, comma secondo, c.p.

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Cass. pen. n. 19518/2006

Per la sussistenza dell’aggravante di cui al secondo comma dell’art. 612 c.p., è sufficiente che la minaccia sia posta in essere mediante l’uso di uno strumento atto ad offendere indipendentemente dalla legittimità o meno del porto.

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Cass. pen. n. 8251/2006

Ai fini della configurabilità del reato di minaccia, si richiede la prospettazione di un male futuro ed ingiusto — la cui verificazione dipende dalla volontà dell’agente — che può derivare anche dall’esercizio di una facoltà legittima la quale, tuttavia, sia utilizzata per scopi diversi da quelli per cui è tipicamente preordinata dalla legge. (Fattispecie nella quale la frase oggetto di incriminazione — l’imputato aveva detto all’interlocutore che «aveva lui le persone giuste per fargli cambiare idea» — era stata pronunciata nell’ambito di un contrastato rapporto lavorativo, in riferimento ad obbligazioni assunte ed è stata perciò reputata inidonea a comportare una comminatoria di «ingiusto» danno anche in ragione della sua genericità).

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Cass. pen. n. 4633/2004

Ai fini della configurabilità del reato di minaccia (art. 612 c.p.), si richiede la prospettazione di un male futuro ed ingiusto — la cui verificazione dipende dalla volontà dell’agente — che può derivare anche dall’esercizio di una facoltà legittima la quale, tuttavia, sia utilizzata per scopi diversi da quelli per cui è tipicamente preordinata dalla legge; non è, peraltro, necessario che il bene tutelato dalla norma incriminatrice sia realmente leso, essendo sufficiente che il male prospettato possa incutere timore nel soggetto passivo, menomandone la sfera della libertà morale.

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Cass. pen. n. 556/2004

In tema di minaccia, anche un mero comportamento può presentare i connotati della minaccia, in quanto, da un lato, la condotta si inserisca in un contesto reiterato di espressioni di inequivoco contenuto minaccioso e, dall’altro, esso risulti oggettivamente caratterizzato da atteggiamenti marcatamente minacciosi. (Nella specie, l’agente sostava lungamente con l’autovettura sotto l’abitazione della vittima e, sporgendosi dal finestrino, la chiamava a gran voce affinchè fosse sentito da tutto il vicinato).

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Cass. pen. n. 39090/2003

Il comportamento del pubblico ufficiale che usa minacce per costringere un collega del suo ufficio a mostrargli determinati documenti, configura solo il delitto di minaccia, in quanto la pretesa di prendere visione dei documenti non è un’attività rientrante nei compiti del pubblico ufficiale ed il diverbio ha ad oggetto un dissenso sulle modalità di gestione di determinate pratiche e costituisce solo l’occasione per l’azione minacciosa, non finalizzata a costringere ad omettere un atto dell’ufficio.

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Cass. pen. n. 36353/2003

Ai fini della configurazione del delitto di minaccia non occorre che le espressioni intimidatorie siano pronunciate in presenza della persona offesa, essendo solo necessario che questa sia venuta a conoscenza anche tramite altre persone, a condizione che ciò avvenga in un contesto per il quale si ritenga che l’agente abbia avuto la volontà di produrre l’effetto intimidatorio. (Fattispecie in cui la minaccia sia stata pronunciata a persona legata al soggetto passivo di relazioni di amicizia e lavoro).

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Cass. pen. n. 33091/2003

Il delitto di maltrattamenti in famiglia assorbe i delitti di percosse e minacce, anche gravi, sempre che tali comportamenti siano stati contestati come finalizzati al maltrattamento; tali reati, infatti, costituiscono elementi essenziali della violenza fisica o morale propria della fattispecie prevista dall’art. 572 c.p.

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Cass. pen. n. 16647/2003

L’uso o porto fuori della propria abitazione di un’arma sprovvista del tappo rosso o con il tappo rosso reso non visibile non è previsto dalla legge come reato, ma assume rilevanza penale solo se mediante esso si realizzi un diverso reato del quale l’uso o il porto di un’arma rappresenti elemento costitutivo o circostanza aggravante di un reato diverso. Sussiste pertanto l’aggravante della minaccia con uso di arma ove la minaccia sia compiuta con un’arma giocattolo il cui pur esistente tappo rosso sia occultato, anche solo temporaneamente, in modo da non renderlo “visibile” alla persona offesa. (In motivazione, la Corte ha osservato che la visibilità, e non l’esistenza del tappo, ad escludere la configurabilità dell’aggravante, per la quale rileva solo l’apparenza estrinseca dell’arma).

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Cass. pen. n. 31693/2001

Nel reato di minaccia elemento essenziale è la limitazione della libertà psichica mediante la prospettazione del pericolo che un male ingiusto possa essere cagionato dall’autore alla vittima, senza che sia necessario che uno stato di intimidazione si verifichi concretamente in quest’ultima, essendo sufficiente la sola attitudine della condotta ad intimorire e irrilevante l’indeterminatezza del male minacciato purché questo sia ingiusto e possa essere dedotto dalla situazione contingente. (In applicazione di tale principio la S.C. ha ravvisato attitudine intimidatoria nella condotta del vice-presidente di una Regione che si era rivolto ad un funzionario con la frase «questa me la paga, me la lego al dito, non mi faccio prendere in giro da un funzionario, io sono presidente del consiglio regionale»; in particolare la S.C. ha rilevato che la minaccia, pur espressa in termini generici, aveva assunto concretezza intimidatoria, considerati la situazione di collaborazione, non necessariamente gerarchica, tra autore e vittima, ed il fatto che l’espressione facesse riferimento alla carica politica ricoperta dal primo nell’ente pubblico nel quale il soggetto passivo prestava la propria attività lavorativa).

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Cass. pen. n. 9348/2001

Integra il reato di minaccia aggravata dall’uso delle armi (art. 612, comma secondo, c.p.) e non quello di estorsione aggravata (art. 629, comma secondo, c.p.), la condotta di colui il quale, dopo aver avuto un rapporto sessuale con una prostituta, usi minaccia alla donna per impedirle di richiedere il pagamento della somma pattuita, atteso che quest’ultima non può mai formare oggetto di un credito esigibile ma solo di una obbligazione naturale nascente da un contratto nullo, perché avente causa illecita.

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Cass. pen. n. 7511/2000

Perché si perfezioni il delitto di minaccia è necessario che l’agente prospetti un male ingiusto che, quand’anche non proveniente da lui, dipenda dalla sua volontà. Difatti, poiché l’evento da cui dipende l’esistenza del reato consiste nel turbamento della psiche del destinatario, che si realizza con la stessa rappresentazione del male futuro, il nesso tra la condotta e l’evento dipende proprio dalla disponibilità di quel male da parte di chi lo prospetta. (Nella fattispecie la Corte, annullando senza rinvio perché il fatto non sussiste, ha ritenuto che, alla stregua del principio enunciato, non configurasse il reato la frase pronunciata dal ricorrente «se tu ti prendi la casa i miei clienti, che hanno un fucile, ti sparano»).

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Cass. pen. n. 5593/2000

Il delitto di violenza privata si consuma ogni qual volta l’autore con la violenza o con la minaccia lede il diritto del soggetto passivo di autodeterminarsi liberamente, costringendolo a fare, tollerare od omettere qualcosa. Al contrario della minaccia che ha natura formale, la violenza privata è un reato di danno, nel quale la condotta sanzionata si realizza con la coartazione della volontà altrui e l’evento lesivo si concretizza nel comportamento coartato di colui che l’ha subita. (Fattispecie di violenza privata per minaccia consapevole di danno ingiusto — sospensione di lavori edili e spese dei giudizi amministrativi — per arbitrario esercizio dei poteri del sindaco).

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Cass. pen. n. 14628/1999

La norma che incrimina la minaccia delinea un reato di pericolo, per la cui integrazione non è richiesto che il bene tutelato sia realmente leso mediante l’incussione di timore nella vittima. È sufficiente, invece, che il male prospettato sia idoneo a incutere timore nel soggetto passivo, menomandone, per ciò solo, la sfera della libertà morale. (Nella specie la Corte ha ritenuto che la minaccia, a causa dell’esplicito riferimento al “cimitero”, suonasse come esplicita minaccia di morte).

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Cass. pen. n. 12277/1999

L’art. 18 della legge 25 giugno 1999, n. 205 ha abrogato la norma che prevedeva il delitto di oltraggio ma non ha fatto venir meno la rilevanza penale dei fatti-reato sussunti nella fattispecie di oltraggio: non può quindi trovare applicazione il comma primo dell’art. 2 c.p. qualora l’azione delittuosa sia stata commessa con minaccia in danno del pubblico ufficiale, conservando il comportamento rilevanza penale, ai sensi degli artt. 612 e 61 n. 10 c.p. Consegue che, se il procedimento sia pendente davanti alla Corte di cassazione, poiché la diversa qualificazione giuridica impone una verifica della procedibilità dell’azione penale ai sensi del capoverso dell’art. 612 c.p., se la gravità della minaccia sia stata positivamente apprezzata già dal giudice di merito con motivazione esauriente e logica, onde tale ultimo reato sia da considerare procedibile d’ufficio, la Corte deve annullare con rinvio la sentenza che ha ritenuto la sussistenza del delitto di oltraggio e rinviare al giudice di merito per la determinazione della pena da infliggere per il delitto di minaccia aggravata.

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Cass. pen. n. 11518/1999

In tema di oltraggio a pubblico ufficiale, a seguito dell’abolitio criminis di cui all’art. 18 della L. 25 giugno 1999, n. 205, il fatto, originariamente qualificato come oltraggio a norma dell’art. 341 c.p., può eventualmente essere nuovamente qualificato come ingiuria o minaccia, a norma degli artt. 594 e 612 c.p. In tale ipotesi, tuttavia, in mancanza di querela, non può essere fatta applicazione dell’art. 19 della predetta legge, che prevede una sorta di riapertura dei termini per la sua proposizione, con interpello della persona offesa, poiché tale disposizione si riferisce esclusivamente ai reati, come il furto semplice, originariamente perseguibili di ufficio e divenuti perseguibili a querela in forza della stessa legge, e non, quindi, al reato di oltraggio, che è stato invece abrogato. Ne consegue che, nel giudizio di cassazione, la sentenza impugnata va annullata senza rinvio perché l’azione penale non può essere proseguita per mancanza di querela.

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Cass. pen. n. 7571/1999

Per la sussistenza del delitto di minaccia non è sufficiente la prospettazione di un male futuro, essendo altresì necessario che il verificarsi del detto male dipenda dalla volontà dell’agente. (Nella fattispecie, la Corte ha escluso che potesse ravvisarsi minaccia nelle parole dell’imputato, il quale si era limitato ad affermare che il figlio aveva problemi psichici e che aveva «preso una fissazione» per la persona offesa, contro la quale avrebbe anche potuto puntare un coltello).

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Cass. pen. n. 3186/1997

La minaccia condizionata è punibile — tranne che con essa l’autore intenda non già restringere la libertà psichica del minacciato, bensì prevenire un’azione illecita dello stesso, rappresentandogli tempestivamente quale reazione legittima il suo comportamento determinerebbe — e nessun proposito educativo o correttivo nei confronti di un minore può essere accreditato ad un soggetto che pronuncia un’espressione minatoria, di forte impatto sul destinatario, accompagnata da un gesto inequivocabile, col quale viene minato l’uso di un’arma da fuoco, e che costituisce manifestazione del proprio livore. (Nella specie la S.C. ha annullato con rinvio la sentenza della corte di merito che aveva assolto l’imputato — il quale, abusando dei poteri inerenti la qualifica di vigile urbano, aveva minacciato il padre di un minore, pronunciando la frase: «Se suo figlio non sta attento, la prossima volta gli sparo alla schiena» — sul rilievo che la frase era stata pronunciata con l’intento di esercitare una funzione educativa nei confronti del minore, che si era sottratto al controllo del vigile e che, in ogni caso, si trattava di minaccia condizionata).

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Cass. pen. n. 9314/1990

Ai fini dell’accertamento della sussistenza del delitto di minaccia, l’indagine sul movente è meramente sussidiaria, nel senso che può consentire una più approfondita e completa valutazione degli elementi obiettivi soltanto nel caso che questi non siano sufficienti per esprimere un sicuro giudizio sulla sussistenza del reato nei suoi elementi costitutivi.

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Cass. pen. n. 11525/1987

Il delitto di cui all’art. 610 c.p., il cui elemento soggettivo è il dolo specifico, si differenzia da quello di cui all’art. 612 c.p., punibile a titolo di dolo generico, proprio per il contenuto della minaccia e la sua strumentalizzazione; la minaccia, cioè, deve raggiungere una intensità di contenuto da apparire idonea al fine propostosi dall’agente e deve essere usata per costringere il soggetto passivo a tenere il comportamento alternativamente richiesto nel primo comma di detto articolo. Ne consegue che risponde di violenza privata e non di minacce colui il quale minacci la vittima costringendola a non uscire di casa al fine sia di farla restare nella abitazione che di tollerare le sue intemperanze.

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Cass. pen. n. 8275/1986

Ai fini della configurabilità del delitto di cui all’art. 612 c.p. minaccia è ogni mezzo valevole a limitare la libertà psichica di alcuno ed è costituita, quindi, da una manifestazione esterna che, a fine intimidatorio, rappresenta in qualsiasi forma al soggetto passivo il pericolo di un male ingiusto, cioè contra ius, che in un futuro più o meno prossimo possa essergli cagionato dal colpevole o da altri per lui nella persona o nel patrimonio.

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Cass. pen. n. 5617/1986

In tema di minaccia, il secondo comma dell’art. 612 c.p. presume il danno grave quando concorrano le modalità stabile nell’art. 339 stesso codice (circostanze aggravanti), ma non esclude che la gravità possa scaturire anche da altri elementi («se la minaccia è grave o è fatta in uno dei modi indicati dall’art. 339»). Ne deriva che, se la fattispecie esula dall’art. 339 citato, la gravità deve desumersi dall’insieme delle circostanze concrete nelle quali la minaccia è commessa e dalle condizioni particolari in cui si trovano i soggetti del delitto.

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Cass. pen. n. 8264/1985

Ai fini della sussistenza del delitto di cui all’art. 612 c.p., la minaccia, valutata con un criterio medio ed in relazione alle concrete circostanze del fatto, oggettive e soggettive, deve essere idonea a cagionare effetti intimidatori sul soggetto passivo, anche se il turbamento psichico non si verifichi in concreto. Si tratta infatti di reato di pericolo, che si consuma nel momento in cui l’azione intimidatoria sia portata a conoscenza del soggetto passivo. (Nella specie è stata ritenuta la minaccia aggravata in considerazione del tempo di notte, della pluralità dei soggetti minaccianti, della presenza di una pistola che, per la sua sagoma, si intravede facilmente anche nella penombra e che anzi ha maggiore efficacia intimidatrice).

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Cass. pen. n. 7382/1985

Nel delitto di minaccia, il dolo, quale componente del fatto contestato, consiste nella cosciente volontà di minacciare ad altri un ingiusto danno ed è diretto a provocare l’intimidazione del soggetto passivo, senza che sia necessario che in tale volontà sia compreso il proposito di tradurre in atto il male minacciato. Infatti, oggetto del delitto è unicamente l’azione intimidatrice.

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Cass. pen. n. 6289/1985

Sussiste il reato di cui all’art. 612 c.p. anche se le minacce non sono rivolte direttamente al soggetto passivo, ma a persona a lui legata da relazioni di parentela, di amicizia e di lavoro, con la certezza che di esse egli venga a conoscenza. (Fattispecie relativa a ritenuta sussistenza del reato ritenuta inaccoglibile la tesi difensiva fondata sul rilievo che, non essendo state percepite le frasi minacciose direttamente dalla persona offesa, bensì dalle sue impiegate e per via telefonica, sarebbe venuta meno ogni loro carica intimidatrice).

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Cass. pen. n. 11256/1984

La fattispecie di cui all’art. 612 c.p. è integrata anche quando, in assenza di parole intimidatorie o di gesti espliciti sia adottato un comportamento univocamente idoneo ad ingenerare timore, sicché possa essere turbata o diminuita la libertà psichica del soggetto passivo.

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Cass. pen. n. 7355/1984

Le frasi intimidatrici espresse in forma condizionata non integrano gli estremi del reato di minaccia, quando siano dirette non già a restringere la libertà psichica del soggetto passivo, bensì a prevenirne un’azione illecita, rappresentandogli la reazione legittima determinata da un suo comportamento (nella specie è stato ritenuto che la locuzione «prova a denunciarmi e vedrai che cosa ti succede» avesse carattere intimidatorio in relazione alla condotta complessiva dell’imputato, che in precedenza aveva percosso la parte offesa).

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Cass. pen. n. 8107/1982

Al concetto di gravità della minaccia va attribuito un carattere relativo, riferibile non soltanto all’entità del male minacciato, ma anche all’insieme delle modalità dell’azione ed alle condizioni in cui si trovano i soggetti del delitto. (Nella specie è stata ravvisata la minaccia, nell’ipotesi aggravata di cui al cpv. dell’art. 612 c.p., per avere l’imputato pronunciato la frase: «se non te ne vai ti sparo» senza alcun serio motivo, nei confronti di due fidanzati che si trovavano all’interno di una autovettura).

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Cass. pen. n. 3718/1982

L’ingiustizia del male minacciato e, quindi, l’illegittimità del fatto costituente il delitto di cui all’art. 612 c.p., non viene meno anche se non risulti ingiusto il motivo che è alla base dell’azione criminosa, a meno che non appaiano legittimi tanto il male minacciato quanto il mezzo usato per l’intimidazione.

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Cass. pen. n. 3234/1982

Il reato di minaccia deve considerarsi reato formale di pericolo e, come tale, non postula l’intimidazione effettiva del soggetto passivo, essendo sufficiente che il male minacciato, in relazione alle concrete circostanze di fatto, sia tale potenzialmente da incutere timore e da incidere nella sfera di libertà psichica del soggetto passivo.

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Cass. pen. n. 8682/1981

Anche l’uso di un’arma apparente o di un’arma giocattolo integra l’aggravante dell’arma nel delitto di minaccia quando si tratta di oggetto che, avendo l’apparenza di arma idonea a produrre lesioni, è atta a provocare nella vittima un effetto intimidatorio più intenso.

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Cass. pen. n. 3931/1976

Sia nel delitto di violenza privata che in quello di minaccia, la tutela penale tende a garantire la libertà psichica dell’individuo nella sua volontaria esplicazione. Per la sussistenza della minaccia è sufficiente che l’agente eserciti la sua azione intimidatoria in senso generico, trattandosi di reato formale con evento di pericolo immanente nella stessa azione. La violenza privata presenta, invece, un quid pluris, essendo la minaccia diretta a costringere taluno a fare tollerare od omettere qualcosa, con evento di danno costituito dall’essersi l’altrui volontà estrinsecata in un comportamento coartato.

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