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Il canone di affitto tra impossibilità sopravvenuta ed eccessiva onerosità

Il canone di affitto tra impossibilità sopravvenuta ed eccessiva onerosità

La dilagante pandemia mondiale ha posto a dura prova non solo i rapporti interpersonali, ma anche quelli economici fra i quali si collocano i contratti di locazione in corso aventi ad oggetto immobili commerciali.
La globalizzazione economica è stata gravemente minata dal sistematico ed imprevedibile succedersi dei diversi lockdown sullo scacchiere nazionale e mondiale, i cui effetti sono risultati difficilmente prevedibili anche dalle più evolute tecniche di risk management, fatta salva qualche rara eccezione.
In questo scenario si colloca la particolare ed incisiva normativa governativa che ha imposto – come noto e salvo specifiche eccezioni – la chiusura temporanea delle attività commerciali.
Fra i principali effetti portati da detti provvedimenti è emerso l’interrogativo in merito alla possibilità da parte del conduttore di ridurre, se non addirittura, interrompere il pagamento del canone di locazione fino alla cessazione dell’emergenza.
Sono diversi gli interpreti che hanno dato risposta positiva al quesito ponendo a fondamento delle diverse tesi – da una parte – l’impossibilità sopravvenuta totale e parziale disciplinata dagli artt. 1463 e 1464 c.c. e – dall’altra – l’eccessiva onerosità di cui all’art. 1467 c.c.
In prima battuta, a tenore dello scrivente, le differenti soluzioni non sono pertinenti e condivisibili per essere volte entrambe alla risoluzione del contratto e non già ad assecondare la pretesa del conduttore diretta all’interruzione del pagamento dei canoni di locazione per un determinato periodo di tempo.
Al di la di tale assorbente considerazione, si porta all’attenzione del lettore che il debitore – rimasto inadempiente ad un’obbligazione pecuniaria – ai fini dell’esonero da responsabilità non potrà mai essere sollevato dalla conseguente responsabilità contrattuale se non in presenza di un impedimento obiettivo ed assoluto che non possa essere rimosso; pertanto, una mera difficoltà non può mai prospettare la risoluzione del contratto per impossibilità sopravvenuta della prestazione ex art. 1463 c.c. [ cfr. Cass. civ., sez. II, 15 novembre 2013, n. 25777 ].
Ciò posto, l’indagine sui rimedi possibili deve transitare analizzando gli effetti dei provvedimenti emergenziali in parola e tenendo a mente i diversi attori della vicenda contrattuale e le rispettive contrapposte obbligazioni.
E’ bene ricordare che le obbligazioni principali del locatore sono – a norma dell’art. 1575 c.c. – la consegna della cosa locata in buono stato manutentivo, l’onere di mantenere l’immobile in stato da servire all’uso convenuto oltre che garantire il pacifico godimento della cosa durante la locazione.
Quanto alle obbligazioni principali conduttore ricordiamo che sono: la presa in consegna della cosa locata per l’uso determinato nel contratto, il pagamento del canone di locazione e la restituzione al locatore dell’immobile al termine del contratto.
Alla luce di quanto sopra esposto, è agevole affermare che la chiusura temporanea dell’attività non può incidere sulle obbligazioni principali del locatore quali, appunto, il godimento dell’immobile per un dato tempo e l’idoneità all’uso convenuto, come al pari non ha reso impossibile la prestazione principale del conduttore di pagare il canone di locazione e le spese accessorie.
Parimenti non condivisibile è l’ulteriore tesi costruita da altri estensori fondata sulla disposizione di cui all’art. 91, 1 co, del D.L. 17 marzo 2020 n. 18 c.d. Decreto Cura Italia, norma resa in materia di ritardi o inadempimenti contrattuali derivanti dall’attuazione delle misure di contenimento.
La disposizione in parola prevede espressamente:«il rispetto delle misure di contenimento di cui presente decreto è sempre valutata ai fini dell’esclusione, ai sensi e per gli effetti degli articoli 1218 e 1223 c.c., della responsabilità del debitore, anche relativamente all’applicazione di eventuali decadenze o penali connesse a ritardati o omessi adempimenti».
La norma in evidenza dispone, infatti, sulle conseguenze a carico del debitore solo nei casi di ritardi o inadempimenti legati alle misure di contenimento della pandemia, con l’effetto di non poter valere a giustificazione qualsivoglia unilaterale scelta del conduttore quale la riduzione ovvero la non corresponsione del canone pattuito per il periodo di chiusura dell’attività.
Il richiamo disposto dalla suddetta norma emergenziale alla responsabilità del debitore ex art. 1218 ed al risarcimento del danno di cui all’art 1223 c.c. è volto ad escludere ogni responsabilità del debitore per omissioni o ritardi nell’adempimento derivante dal rispetto della misure emesse dall’autorità legislativa o amministrativa, per effetto delle quali viene impedito o resa eccessivamente onerosa l’esecuzione dell’obbligazione; parimenti viene sottratto al creditore il diritto alla risoluzione del contratto ed al risarcimento del danno.
Tale proposta interpretazione porta a delineare la valenza delle nuove misure restrittive come causa di forza maggiore non prevedibile dal debitore e, dunque, a renderle astrattamente idone a giustificarne l’inerzia o il ritardo del debitore, oltre che a superare il principio giurisprudenziale reso dalla Corte di Cassazione con la sentenza n. 14915/2018 secondo il quale«la liberazione del debitore per sopravvenuta impossibilità della prestazione può verificarsi, secondo la previsione degli artt. 1218 e 1256 c.c., solo se ed in quanto concorrano l’elemento obiettivo della impossibilità di eseguire la prestazione medesima, in sè considerata, e quello soggettivo dell’assenza di colpa da parte del debitore riguardo alla determinazione dell’evento che ha reso impossibile la prestazione. Pertanto, nel caso in cui il debitore non abbia adempiuto la propria obbligazione nei termini contrattualmente stabiliti, egli non può invocare la predetta impossibilità con riferimento ad un ordine o divieto dell’autorità amministrativa (“factum principis”) sopravvenuto, e che fosse ragionevolmente e facilmente prevedibile, secondo la comune diligenza, all’atto della assunzione della obbligazione, ovvero rispetto al quale non abbia, sempre nei limiti segnati dal criterio della ordinaria diligenza, sperimentato tutte le possibilità che gli si offrivano per vincere o rimuovere la resistenza o il rifiuto della pubblica autorità. (In applicazione di tale principio, la S.C. ha cassato la sentenza impugnata che aveva ritenuto il debitore liberato in seguito all’impugnazione e al conseguente annullamento dell’illegittima revoca dell’autorizzazione all’espletamento dell’attività dedotta in contratto, sebbene del prevedibile “factum principis” egli fosse stato reso edotto già prima della stipulazione – sulla base di una nota con cui la P.A. gli aveva dato formale comunicazione dell’avvio del procedimento amministrativo – e, nonostante ciò, non avesse posto in essere alcuna preventiva attività volta a scongiurare l’emissione del provvedimento)».
Ciò posto, in assenza di idonea dimostrazione di essersi adoperato, con il grado di diligenza preteso dall’art. 1176 c.c., è escluso l’esonero da responsabilità contrattuale per causa non imputabile ex art. 1218 c.c.
A confermare la tesi dell’assenza nella fase emergenziale di qualsivoglia moratoria per il pagamento del canone di locazione – ove occorra ulteriormente – giunge a soccorso anche l’art. 65 del suddetto Decreto Cura Italia che prevede, con riferimento agli immobili di categoria catastale C/1 destinati allo svolgimento dell’attività, il riconoscimento di un credito d’imposta in favore dei conduttori pari al 60% del canone di locazione versato.
Sul punto è intervenuta la circolare n. 8 del 3 aprile 2020 dell’Agenzia delle Entrate con la quale ha chiarito e precisato che la disposizione governativa «ha la finalità di ristorare il soggetto dal costo sostenuto costituito dal predetto canone, sicché in coerenza con questa finalità il credito maturerà a seguito dell’avvenuto pagamento del canone stesso».
All’esito di tale breve esame, emerge con estrema chiarezza che – se non espressamente concordate tra le parti – l’unilaterale riduzione o interruzione del pagamento del canone di locazione determinano inadempimento contrattuale a nulla valendo a giustificazione l’invocazione dell’impossibilità sopravvenuta ovvero dell’eccessiva onerosità, fatto salvo il caso del diverso interesse di risolvere il contratto di locazione in corso. A tal fine il conduttore potrà agire con il recesso per gravi motivi, fermo restando il rispetto del termine di preavviso legale o contrattuale durante il quale sarà comunque tenuto al pagamento del canone di locazione.

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