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La lotta allo scambio dei file al bivio tra privacy e copyright

La lotta allo scambio dei file al bivio tra privacy e copyright

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Alla fine è giunta l’attesa pronuncia della Corte di Cassazione sull’oscuramento del sito The Pirate Bay, da cui si possono scaricare gratuitamente file (in Svezia il Tribunale di Stoccolma in data 17 aprile 2009 ha condannato ad un anno di carcere a testa ed a una multa da 2,7 milioni di euro i tre gestori e un finanziatore del sito. E’ in corso il giudizio di appello).

Il 30 settembre 2009 la terza sezione della Cassazione, accogliendo il ricorso della Procura di Bergamo, ha annullato con rinvio, per nuovo esame, l’ordinanza con la quale il 24 settembre 2008 il Tribunale della Libertà aveva revocato il sequestro preventivo degli accessi dall’Italia al sito svedese “Pirate Bay”, che era stato posto sotto sequestro il 10 agosto 2008 dopo un’operazione della Guardia di Finanza. La questione offre lo spunto per affrontare la querelle tra Privacy e Copyright, in ordine alla quale la giurisprudenza italiana (soprattutto capitolina) non sembra avere raggiunto un indirizzo univoco.

In tema di diffusione di brani musicali su internet attraverso i c.d. sistemi peer to peer, il Tribunale civile di Roma, in data giugno 2006, ha infatti sostenuto, in un primo momento, che il titolare di un diritto d’autore ha il diritto di ottenere in via d’urgenza dal fornitore di servizi -provider l’esibizione dei dati anagrafici (c.d. discovery) degli assegnatari di indirizzi IP (Internet protocol), che, sulla base dei dati raccolti in Rete, sono apparsi i veri autori delle condotte illecite attraverso appunto le c.d. piattaforme peer to peer. L’esercizio di tale diritto non è affatto precluso dalla vigente disciplina in materia di privacy e trattamento dei dati personali. Alla fattispecie esaminata dal Tribunale di Roma era applicabile l’art. 24, lett. f) del Codice Privacy, che consente il trattamento dei dati personali senza il consenso dell’interessato quando ciò sia necessario “per far valere o difendere un diritto in sede giudiziaria”.

Successivamente il Tribunale di Roma ha totalmente cambiato indirizzo.

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Il Tribunale capitolino, sia il 14 luglio 2007 che il 17 marzo 2008, ha sostenuto che l’acquisizione gratuita, tramite il c.d. file-sharing, di opere protette dai diritti di proprietà intellettuale, consentita agli utenti da determinati siti internet, non giustifica l’obbligo di discovery facente capo al provider, e consistente nella rivelazione dei dati idonei ad identificare i consumatori utenti del servizio informativo ed utilizzatori dei programmi di file-sharing, anche alla luce della vigente normativa comunitaria, in quanto, nel bilanciamento tra la proprietà intellettuale ed il diritto alla riservatezza, la prevalenza della prima sul secondo è giustificata unicamente se collegata alla lesione di interessi della collettività protetti dal diritto penale. Comunque, se il titolare del diritto non ha azione contro gli autori della violazione perché non identificati né in altro modo identificabili, esso “può agire per il risarcimento dei danni contro i gestori della rete peer to peer e contro i produttori e fornitori dei servizi di file-sharing”.

Per contrastare il c.d. fenomeno del downloading, non rimane alle software house ed alle case discografiche che agire contro le aziende che sviluppano i programmi di scambio dei file, senza intaccare il “diritto alla riservatezza dei consumatori che operano sulla rete in presunzione di anonimato” (così il Tribunale di Roma).

L’ultima decisione del Tribunale Roma si espone però ad alcuni brevi rilievi.

Il Tribunale di Roma richiama, in particolar modo, la pronuncia della Corte di Giustizia CE del 29 gennaio 2008 C.275/06, per concludere nel senso della prevalenza della privacy sul copyright.

In primo luogo, tale prevalenza sembra limitata al solo settore del “commercio elettronico” alla stregua delle direttive CE richiamate dalla Corte di Giustizia con la predetta decisione. Del resto, è da rilevare che la Corte di Giustizia ha solamente affermato che “le direttive 2000/31, 2001/29, 2002/58, 2004/48 non impongono agli Stati membri di istituire un obbligo di comunicare dati personali per garantire l’effettiva tutela del diritto d’autore nel contesto di un procedimento civile”. Del resto, “in sede di attuazione delle misure di recepimento delle dette direttive, le autorità e i giudici degli Stati membri devono non solo interpretare il loro diritto nazionale, in modo conforme a tali direttive, ma anche evitare di fondarsi su un’interpretazione di esse che entri in conflitto con detti diritti fondamentali o con gli altri principi generali del diritto comunitario, come ad esempio, il principio di proporzionalità”.

Da tale argomentazione è lecito desumere che se è lasciata ai legislatori nazionali la scelta di limitare ai soli ambiti delle indagini penali, della tutela della pubblica sicurezza e della difesa nazionale, l’obbligo di conservazione dei dati personali dei fornitori di un servizio pubblico di comunicazione elettronica, i legislatori nazionali possono benissimo estenderlo anche all’ambito civile, come sottolinea, tra l’altro, la stessa la Corte di Giustizia Ce sia il 29 gennaio 2008 C.275/06 che il 19 febbraio 2009 C.557/07 (v. anche l’art. 24 lett. f) del Codice Privacy). Ove si opti per quest’ultima soluzione, dovrà in ogni caso essere garantito il “giusto equilibro” fra le esigenze di tutela del diritto d’autore e quelle dei dati personali.

In conclusione, si palesa opportuno un intervento chiarificatore tale da mettere ordine in un settore, come quello della navigazione via internet, ove, data la mobilità di ogni bene e prodotto, non più ancorato a materia, i diritti proprietari (come sono quelli dell’autore) rischiano di risultare del tutto vanificati, visto che la loro utilizzazione non è più controllabile. Occorre muovere da un intervento che razionalizzi un settore ormai preda di scorribande selvagge.

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