14 Mag Cassazione civile Sez. I sentenza n. 625 del 20 gennaio 1995
Testo massima n. 1
Nell’ipotesi di risoluzione del contratto per inadempimento e qualora il contraente non in colpa sia una impresa industriale, il danno risarcibile può essere riferito alla impossibilità di investire nell’attività produttiva le somme dovute dal debitore inadempiente, detratte peraltro le somme pari ai costi dell’attività d’impresa necessari per produrre la prestazione già eseguita; ma se il giudice di merito sceglie un criterio diverso e cioè quello del «maggior costo» dei finanziamenti esterni rispetto a quelli [ provenienti dal suo debitore ] su cui l’imprenditore aveva fatto affidamento, non può sfuggire alla conseguenza che, se il creditore ha ottenuto, pur con un costo elevato, il denaro che il debitore avrebbe dovuto pagare, si è posto nella stessa situazione del creditore tempestivamente pagato ed ha subito solo il danno derivante da quei costi maggiori, oppure, in alternativa, [ se maggiore o se dimostrato ] il danno derivante dai mancati investimenti.
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Testo massima n. 2
Qualora, in conseguenza della risoluzione del contratto per, inadempimento, nella impossibilità di restituzione della prestazione già eseguita, la parte inadempiente venga condannata a corrispondere alla parte non in colpa il corrispettivo pattuito con la rivalutazione dello stesso fino alla data della decisione, la maggior somma riconosciuta per la svalutazione monetaria costituisce una forma di liquidazione del danno per il mancato pagamento e quindi va considerata ai fini della liquidazione del danno complessivo in modo da evitare che, tramite la liquidazione di altre voci di danno, si concretizzi una duplicazione [ o, comunque, una sovrapposizione ] che comporti per il contraente fedele un arricchimento ingiustificato e cioè più di quanto avrebbe conseguito dal contratto, se fosse stato regolarmente eseguito.
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