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Materiali di risulta da demolizione di edifici e scavi e la qualifica di sottoprodotto

Materiali di risulta da demolizione di edifici e scavi e la qualifica di sottoprodotto

La Corte di Cassazione, Sezione 3 penale, con l’articolata sentenza n. 37083 del 26 settembre 2012 – che ha ad oggetto il reato edilizio di cui all’art. 44 del D.P.R. n. 380/2001 ed il reato di gestione non autorizzata di rifiuti – ha affermato che ai sensi del D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 183, lett. n) i materiali di risulta da demolizione di edifici e scavi di cantiere possono essere qualificati come “sottoprodotti” al ricorrere di particolari circostanze.

Ed invero, i giudici di legittimità hanno espresso il principio secondo il quale i materiali di risulta da demolizione di edifici e scavi di cantiere possono essere qualificati “sottoprodotti”, ai sensi della suddetta norma, soltanto a determinate condizioni quali: “utilizzazione in modo certo e direttamente ad opera dell’azienda produttrice; assenza di trasformazioni preliminari e utilizzazione in modo tale da evitare condizioni peggiorative per l’ambiente o la salute”. A ciò si aggiunge che ai sensi dell’art. 12 1 co. del D.Lgs n. 205/2010 per parlarsi di sottoprodotto l’utilizzazione dei materiali in un nuovo ciclo produttivo deve essere certa fino dai momento detta loro produzione.

Si segnala sul punto che di recente dalla stessa Corte ha ribadito il principio che “i materiali provenienti da demolizioni rientrano nel novero dei rifiuti in quanto oggetti va mente destinati all’abbandono, salva rimanendo la possibilita’ di un loro recupero condizionato a precisi adempimenti, in mancanza dei quali detti materiali vanno considerati, comunque, cose di cui il detentore ha l’obbligo di disfarsi” (Cass. 29.4.2011, n. 16727).

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA PENALE
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA

sul ricorso proposto da:
1) (OMISSIS) ” (OMISSIS)” N. IL (OMISSIS);
avverso l’ordinanza n. 89/2011 TRIB. LIBERTA’ di VENEZIA, del 24/06/2011;
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. RENATO GRILLO;
lette/sentite le conclusioni del PG Dott. Mazzotta Gabriele che ha richiesto l’inammissibilita’ del ricorso;
Udito il difensore avv. (ndr.: testo originale non comprensibile) (OMISSIS).

RITENUTO IN FATTO

1.1 Con ordinanza pronunciata il 24 giugno 2011 il Tribunale di Venezia – Sezione per il Riesame – confermava il decreto di sequestro preventivo emesso dal GIP di quel Tribunale in data 25 maggio 2011 nei riguardi di (OMISSIS) ” (OMISSIS)”, indagato per i reati di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 380 del 2001, articolo 44, lettera b) e Decreto Legislativo n. 152 del 2006, articolo 256: il provvedimento cautelare riguardava un’area sulla quale il (OMISSIS) aveva realizzato lavori edilizi non consentiti in assenza del prescritto permesso ed una stradina costituita da rifiuti eterogenei ivi depositati la cui gestione non era autorizzata.

1.2 Osservava il Tribunale, con riguardo al reato edilizio, che da parte del (OMISSIS) era stato realizzato un basamento in calcestruzzo esteso mq. 176 suddiviso con muretti in cemento armato sul quale insistevano due distinte unita’ immobiliari (oggetto di apposito progetto di ampliamento della struttura preesistente, corredato da D.I.A.) del tutto diverse ed autonome rispetto ai lavori di ristrutturazione di un magazzino orticolo oggetto di un condono edilizio e assentiti da D.I.A. del 12 agosto 2008 che riguardava, invece, la ristrutturazione del preesistente manufatto mediante sostituzione delle pareti esistenti con altre in muratura ed ispessimento dei muri. A giudizio del Tribunale, i nuovi lavori, in quanto non preceduti da apposito permesso di costruire e strutturalmente diversi rispetto a quelli (ben piu’ limitati) che erano stati autorizzati con D.I.A., avevano comportato una demolizione e ricostruzione dei precedenti manufatti, e, per cio’, dovevano ritenersi illegittimi.

1.3 Quanto al reato di gestione non autorizzata di rifiuti, rilevava il Tribunale che la particolare composizione dei materiali utilizzati per la realizzazione di una stradina di accesso (tra i quali plastica, vetro e ferro), era da ritenersi non riferibile a tale strada ma, piuttosto, ad un vicino passo carrabile (i cui lavori erano stati autorizzati con provvedimento del 14 ottobre 2010), ancorche’ il frantumato, proveniente dalla ditta (OMISSIS), fosse documentato da apposita certificazione prodotta dal (OMISSIS).

1.3 Ricorre avverso la detta ordinanza l’indagato a mezzo del proprio difensore, denunciando, con un primo motivo, carenza di motivazione, sua illogicita’ manifesta e contraddittorieta’, oltre che travisamento della prova. Rileva, in proposito, la difesa che la motivazione resa dal Tribunale risulta sostanzialmente apparente e, comunque, non rispettosa delle prove emergenti dal procedimento, in base alle quali la struttura preesistente oggetto di D.I.A. non era estesa mq. 12,06 (come affermato dal Tribunale), ma mq. 81,02: con la conseguenza che l’affermazione del Tribunale, secondo la quale la superficie del basamento di fondazione era, per le sue notevoli dimensioni (mq. 176 circa) del tutto incompatibile con la modestissima superficie del precedente manufatto per la quali i lavori di ristrutturazione erano stati autorizzati risultava, per un verso, illogica e, per altro verso, travisava la prova documentale (relazione tecnica). Rileva, ancora, la difesa che da parte del Tribunale nessuna motivazione era stata resa relativamente alla circostanza illustrata dalla difesa, dell’assenza di rilevanza urbanistica del basamento in quanto destinato a rimanere occultato nel sottosuolo. E, con riguardo alla indicata differenza tra la superficie reale della costruzione oggetto di interventi di ristrutturazione (mq. 81,02) e quella constatata dalla P.G. (mq. 176 riferiti all’intero basamento) rileva la difesa che, essendo i primi lavori assistiti da D.I.A., si poteva parlare non gia’ di lavori edilizi sforniti di permesso ma di lavori in difformita’ rispetto a quelli autorizzati.

1.4 Con un secondo motivo la difesa rileva analoghi vizi in relazione alla affermazione da parte del Tribunale della sussistenza del fumus criminis, non solo per la parte afferente al reato edilizio ma anche per quella riguardante il reato in materia di rifiuti: secondo la prospettazione difensiva, il Tribunale, a fronte di una documentazione comprovante la realizzazione della strada di accesso con materiale proveniente da frantumazione, appositamente vagliato e selezionato e portato in cantiere da ditta specializzata autorizzata al trasporto dei rifiuti, il Tribunale ha offerto una motivazione assolutamente carente basata su dati probabilistici e sostanzialmente illogica nelle sue conclusioni.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso non e’ fondato. Per quanto riguarda, in particolare, il reato edilizio di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 380 del 2001, articolo 44, indipendentemente dalla questione riguardante la differenza tra la superficie oggetto di interventi autorizzati per come indicata dal Tribunale e quella (diversa e maggiore) indicata dal ricorrente e concernente una quaestio facti, come tale non rilevabile in sede di legittimita’, l’ordinanza impugnata appare corretta e congruamente motivata nella parte in cui afferma – sulla base di inequivoche risultanze delle indagini di P.G. – che da parte del (OMISSIS) era stato realizzato un basamento sul quale esistevano numerosi muretti in c.a. divisori, costituente un’opera nuova, frutto di una demolizione del manufatto precedente (molto piu’ piccolo) e di una ricostruzione in assenza di permesso.

2. Come precisato piu’ volte dalla giurisprudenza di questa Corte, la nozione di ristrutturazione edilizia, laddove essa consista in una demolizione, seguita da ricostruzione, determinante il mutamento della sagoma, volume, e/o altezza, necessita del permesso di costruire (in questo senso Cass. Sez. 5 17.2.1999 n. 3558, P.M. in proc. Scarti. Rv. 213598; Cass. Sez. 3 26.10.2007 n. 47046. Soidano, Rv. 238460; Cass. Sez. 3 16.5.2011 n. 36528, Fai, Rv.). Accanto a tale nozione di tipo estensivo si colloca il tradizionale concetto di ristrutturazione non comportante interventi di carattere demolitivo, ma semplicemente interventi di restyling sul preesistente, che puo’ anche prevedere aumenti di volume e/o superfici, purche’ modesti: in tali casi e’ ben possibile procedere attraverso la cd. “D.I.A. alternativa” (a richiesta dell’interessato) come si desume dal testo dell’articolo 22, comma 3, lettera a), come modificato dal Decreto Legislativo n. 301 del 2002. (in termini Cass. Sez. 3 17.2.2010 n. 16393, Cavallo, Rv. 246757). Nel caso in esame con motivazione adeguata ed immune da vizi logici manifesti il Tribunale ha affermato che l’opera oggetto di indagine era dei tutto diversa da quella che in origine era stata indicata nella D.I.A. del 12 agosto 2008 e corrispondente, invece, ad altri interventi di natura ampliativa che necessitavano del permesso, non essendo sufficiente la D.I.A. anche in relazione ad alcuni vincoli esistenti in zona che imponevano di richiedere il permesso di costruire. Quanto alla deduzione difensiva circa la mancanza di rilievo penale del basamento in quanto destinato a rimanere occultato nel sottosuolo, in modo assolutamente logico e coerente con i dati processuali, il Tribunale ha escluso tale eventualita’, rilevando invece come sul basamento poggiassero diversi muretti divisori in cemento armato che corrispondevano a quel progetto di ampliamento (comprendente la realizzazione di due unita’ immobiliari e di alcuni garage, porticati e soffitte) per il quale il (OMISSIS) aveva presentato un apposito progetto corredato da semplice D.I.A., inidonea a costituire titolo legittimante per quei lavori.

3. Anche con riferimento all’ipotizzato reato ambientale (Decreto Legislativo n. 152 del 2006, articolo 256), l’ordinanza impugnata e’ esente da censure, sia per quanto attiene alla completezza della motivazione, sia per quanto riguarda la sua intrinseca logicita’.

4. La decisione impugnata si basa su alcune risultanze inequivocabili (peraltro nemmeno contestate dalla difesa, che ha solo evidenziato una carenza di motivazione in merito alla esatta percentuale di materiali di natura diversa – vetro, plastica e metalli – che componevano la struttura della strada di accesso) dalle quali ha tratto la condivisibile conclusione che, per la realizzazione del sottofondo della strada, erano stati adoperati materiali di varia natura (oltre che inerti) destinati all’abbandono e dunque costituenti rifiuti speciali.

5. Ai sensi del Decreto Legislativo n. 152 del 2006, articolo 184 comma 3, lettera b), costituiscono rifiuti speciali quelli “derivanti dalie attivita’ di demolizione, costruzione, etc…”. Nel tempo la giurisprudenza di questa Sezione, proprio con riferimento alla qualificazione dei residui delle attivita’ di demolizioni edili e del loro reimpiego, ha affermato la possibilita’ di una loro (limitata) riutilizzazione solo quale attivita’ di recupero (cosi’ Cass., Sez. 3: 9.7.2004, n. 30127; Cass. Sez. 3 15.6.2005, n. 22511), mentre ha escluso che tali materiali potessero costituire la cd. “materia prima secondaria” come definita nell’articolo 161 commi 6 e 13 del detto Decreto Legislativo (in termini Cass. Sez. 3 9.10.2006, n. 33882; Cass. Sez. 3 5.4.2007, n. 14185).

6. Quanto, poi, alla possibilita’ che tali materiale potessero rientrare nella categoria dei sottoprodotti, e’ stato affermato il principio secondo il quale i materiali di risulta da demolizione di edifici e scavi di cantiere possono essere qualificati “sottoprodotti”, ai sensi del Decreto Legislativo n. 152 del 2006, articolo 183, lettera n), soltanto a determinate condizioni (utilizzazione in modo certo e direttamente ad opera dell’azienda produttrice; assenza di trasformazioni preliminari e utilizzazione in modo tale da evitare condizioni peggiorative per l’ambiente o la salute) (cosi’ Cass. Sez. 3 7.4.2008, n. 14323). Soccorrono, in aggiunta, le disposizioni contenute nel Decreto Legislativo n. 205 del 2010, articolo 12, comma 1, secondo le quali, per parlarsi di sottoprodotto nel senso inteso dalla norma, l’utilizzazione dei materiali in un nuovo ciclo produttivo deve essere certa fino dai momento detta loro produzione: nel caso in esame, il Tribunale ha esattamente concluso per la configurabilita’ di rifiuti in assenza da parte dell’indagato della dimostrazione d, una preventiva organizzazione alla riutilizzazione, optando per l’ipotesi, ben piu’ convincente sul piano logico, di una utilizzazione meramente eventuale e non integrale degli eterogenei materiali rinvenuti nel cantiere conseguente ad un’attivita’ di produzione non industrialmente organizzata e piuttosto indirizzata a disfarsi dei vari materiali.

7 Ancor piu’ recentemente e’ stato ribadito il principio che i materiali provenienti da demolizioni rientrano nel novero dei rifiuti in quanto oggetti va mente destinati all’abbandono, salva rimanendo la possibilita’ di un loro recupero condizionato a precisi adempimenti, in mancanza dei quali detti materiali vanno considerati, comunque, cose di cui il detentore ha l’obbligo di disfarsi (Cass. Sez. 3 29.4.2011, n. 16727).

8 La decisione impugnata si e’ uniformata ai detti principi e non puo’ neanche affermarsi che la motivazione sia incompleta per non avere esattamente individuato le reali percentuali d, residui vetrosi, ferrosi e di materiale plastico presenti costituenti il sottofondo della stradella d, accesso, in quanto la presenza di materiale, comunque destinato all’abbandono e non prodotto in loco dall’utilizzatore, costituisce pur sempre rifiuto.

9. Ne’ puo’ definirsi illogica la decisione impugnata per avere basato le proprie conclusioni su dati probabilistici riguardanti il materiale frantumato oggetto di apposita certificazione riferibile piuttosto al passo carrabile che alla strada, in quanto si tratta di una valutarne basata su dati concreti che – proprio in rapporto alle diverse caratteristiche del sottofondo della strada e del sottofondo del passo carrabile – facevano propendere per un collegamento dei materiali frantumati al passo carrabile, tenuto conto che nella strada era stata rilevata la presenza di altri materiali diversi dalla frantumazione lapidea che faceva propendere per una destinazione diversa del prodotto frantumato.

10. Sulla scorta delle considerazioni che precedono il ricorso va rigettato. Segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

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