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Vexata quaestio: la precisazione delle conclusioni nel processo civile

Vexata quaestio: la precisazione delle conclusioni nel processo civile

Secondo molti autorevoli studi, negli ultimi anni l’Italia si è posizionata ai primissimi posti nella classifica del numero di condanne ricevute dalla Corte Europea di Giustizia per infrazione dell’art. 6 della Convenzione Europea dei diritti dell’uomo (ovvero per l’irragionevole durata del processo). Si è stimato che nel nostro Paese la durata media di un processo di primo grado è di circa 533 giorni.L’irragionevole lunghezza del processo e gli elevati costi ad esso legati, fanno sì che gli interessi della parte costretta al giudizio perdano valore nel corso degli anni, con il risultato che, a processo concluso, il danno è già stato compiuto, o la parte ha visto svanire l’iniziale interesse.

Ma esaminando nel dettaglio un processo civile, dove si allungano a dismisura i tempi dello stesso? In fase di precisazione delle conclusioni, a meno di rinvii, sospensioni o interruzioni. Gli esimi Colleghi sanno bene che nei Tribunali italiani è invalsa una prassi degenerativa in base alla quale si è costretti a richiedere un’udienza apposita di puntualizzazione delle richieste iniziali, la quale per solito viene fissata a distanza di anni.

Per quale motivo? Osservatori maligni potrebbero dedurre che i Giudici non vorrebbero assumersi l’onere di dover redigere sentenze, studiarsi i fascicoli, spulciare la giurisprudenza ecc…e così rimandare l’ingrato compito a data da destinarsi. Preferisco pensare che le cause viaggiano sì in parallelo, ma poi ognuna finisce in coda all’altra in fase di deliberazione. In pratica, prima che possa essere deciso il “nostro” procedimento, ve ne sono migliaia che attendono medesima sorte.

Ma tale udienza di precisazione delle conclusioni è davvero espressamente codificata? In teoria, nessuna norma del codice la prevede espressamente. Viene invece precisato che, una volta ritenuta matura per la decisione la causa, il giudice, prima di rimetterla al collegio o, se in composizione monocratica di trattenerla, invita le parti a precisare le conclusioni. Ora, come rileva Mandrioli le conclusioni ( per l’attore) non sono altro che la formulazione sintetica e globale della domanda: petitum immediato, mediato e causa petendi. Quindi ( riferito il concetto ad entrambe le parti) le conclusioni altro non sono se non le soluzioni giuridiche che le parti ritengono di poter ricavare dall’esito del processo.

Quando si esaurisce l’istruttoria? Al termine della prova testimoniale, o della relazione peritale, piuttosto che in conclusione del (vano) interrogatorio formale. Senza considerare che una fase istruttoria può benissimo non esserci, se il Giudice ritiene la causa matura per la decisione senza bisogna di assumere i mezzi di prova. E se volessimo provare a rassegnare le conclusioni al termine, ad esempio, dell’escussione testi?  Così, un colpo di teatro, un capovolgimento del tavolo di nerudiana memoria. Del resto, cosa cambierebbe farlo subito o fra tre anni? Nulla. E se qualche circostanza, di fatto o di diritto, dovesse imporre un cambiamento delle nostre richieste (con i limiti previsti dal c.p.c.), non dovrebbe essere difficile mutarle in udienza. Siamo operatori di diritto, del resto, e dovremmo essere preparati ad affrontare le emergenze processuali.

E perché il Giudice non dovrebbe invitarci subito a puntualizzare le nostre richieste? Nessuna norma lo esclude. Ma se chiedessimo al Magistrato di rassegnare subito le conclusioni al termine della fase istruttoria, probabilmente il Collega avversario ci guarderebbe con vivo stupore, ed il Giudice stesso ci accuserebbe di “saltare le fasi processuali” ( esperienza diretta dello scrivente). La prassi ha difatti previsto che i procuratori debbano sempre richiedere un’udienza ad hoc per la precisazione delle conclusioni, solitamente fissata in data imprecisa e remota. Ed è qui che il processo civile si allunga, esattamente in questa fase. Un’udienza sostanzialmente poco rilevante dal punto di vista processuale, nella quale i legali si riportano, solitamente, a quanto già dedotto nei rispettivi atti introduttivi.

Si potrebbe obiettare che far terminare troppo “ velocemente” le cause, determinerebbe l’accavallamento delle stesse l’una sull’altra. Non è un problema che deve riguardare la parte che reclama giustizia ( si perdoni l’enfasi, ma trattasi del solo soggetto a cui tutti dobbiamo rendere conto). La disfunzione, o la scarsa organizzazione degli uffici giudiziari, non può andare a discapito della certezza del diritto, che si scioglie come neve al sole di fronte a processi di abnorme durata. Il problema deve essere risolto all’origine, non a valle. Si assumano più Magistrati, togati ed onorari, s’imponga un filtro che escluda dai contenziosi le cause di scarso valore, si potenzi l’istituto della conciliazione, ma il cittadino non può pagare perché ci sono troppe cause e pochi Giudici. Si leva un’obiezione: è anche colpa degli avvocati, causa che pende causa che rende, siete voi che a volte allungate i processi, inutili rinvii ecc..ecc… Parzialmente, e purtroppo, corretto. La nostra esimia categoria non è esente da colpe. Ma se un Giudice ti guarda con sorpresa solo se provi ad applicare alla lettera il codice, cosa fare? Litigare con il Magistrato mettendo a repentaglio la causa? Conosciamo la risposta…… Mi si permetta di terminare questo modesto contributo con una breve, probabilmente banale, ma sentita riflessione: la ragionevole durata del processo è un diritto costituzionale (art. 111), e certamente un’anomala prassi giudiziaria non può delegittimare tale sommo principio.

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