Art. 206 – Codice civile – Azioni concesse ai creditori del marito
[I creditori del marito possono impugnare con l'azione revocatoria, quando ne ricorrono gli estremi, la separazione della dote; e possono intervenire in giudizio per opporsi alla domanda di separazione.]
Le parole ricomprese fra parentesi quadre sono state abrogate.
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Massime correlate
Cass. civ. n. 19042/2024
In tema di interposizione di manodopera, l'obbligo retributivo del datore effettivo decorre dalla c.d. messa in mora (recte, dall'intimazione a ricevere la prestazione), la quale non dev'essere necessariamente successiva alla pronunzia dichiarativa della fittizietà dell'interposizione, perché nullità dell'interposizione e messa in mora sono elementi costitutivi del predetto obbligo, ma non sono richiesti secondo una rigida e predeterminata sequenza temporale. (In applicazione del principio, la S.C. ha confermato la sentenza di merito, che aveva ritenuto valida la messa in mora contenuta nell'atto introduttivo del giudizio).
Cass. civ. n. 7203/2024
La sfera di efficacia soggettiva del contratto collettivo di diritto comune non va individuata in applicazione del criterio c.d. merceologico dell'attività svolta dal prestatore ai sensi dell'art. 2070, comma 1, c.c., ma è invece frutto dell'esercizio dell'autonomia negoziale manifestata con l'iscrizione ad un sindacato o ad un'associazione imprenditoriale o anche con comportamento concludente; conseguentemente, ai lavoratori che lo richiedono, pur se assunti in tempi diversi, va applicato il contratto collettivo in essere, anche in fatto, nell'impresa, indipendentemente dall'attività svolta, con la precisazione che, se il datore esercita distinte attività economiche, occorre individuare, il contratto collettivo riferibile al personale addetto alle singole attività, fermo - in ogni caso - il rispetto dell'art. 36 Cost.
Cass. civ. n. 34512/2023
predeterminata - Recesso unilaterale - Mancato preavviso - Ultrattività sine die - Esclusione - Fondamento. Il mancato preavviso nel recesso unilaterale da un accordo collettivo di armonizzazione a tempo indeterminato non può determinare l'ultrattività, sine die, dell'accordo medesimo a favore dei lavoratori, poiché la violazione dell'obbligo di preavviso produce unicamente conseguenze di natura risarcitoria.
Cass. civ. n. 27764/2023
L'accordo sindacale di prossimità, ex art. 8, comma 1, d.l. n. 138 del 2011, conv. con l. n. 148 del 2011, è configurabile solo ove concorrano tutti gli specifici presupposti ai quali la norma lo condiziona, stante il suo carattere eccezionale evidenziato dalla possibilità che esso, a differenza dell'ordinario contratto aziendale, deroghi alle disposizioni di legge e di contratto collettivo con efficacia generale nei confronti di tutti i lavoratori interessati. (Nella specie la S.C. ha confermato la sentenza impugnata che aveva escluso la ricorrenza di un accordo di prossimità, non essendo il requisito di rappresentatività e il criterio maggioritario delle rappresentanze sindacali che avevano sottoscritto l'accordo surrogabile attraverso la dimostrazione dell'adesione maggioritaria dei lavoratori al contenuto dello stesso).
Cass. civ. n. 8282/2023
Nell'appalto di opere pubbliche, stante la natura privatistica del contratto, è configurabile, in capo all'amministrazione committente creditrice dell'"opus", un dovere - discendente dall'espresso riferimento contenuto nell'articolo 1206 cod. civ. e, più in generale, dai principi di correttezza e buona fede oggettiva che permeano la disciplina delle obbligazioni del contratto - di cooperare all'adempimento dell'appaltatore attraverso il compimento di quelle attività che, distinte rispetto al comportamento dovuto da questi, sono necessarie affinché il medesimo possa realizzare il risultato cui è preordinato il rapporto obbligatorio. Pertanto, qualora il comportamento del debitore, pur integrando il fatto contemplato dalla clausola risolutiva espressa, appaia comunque conforme al criterio della buona fede, non sussiste l'inadempimento, né i presupposti per invocare la risoluzione.
Cass. civ. n. 37716/2022
Il datore di lavoro non può unilateralmente sospendere il rapporto di lavoro, salvo che ricorrano, ai sensi degli artt. 1463 e 1464 c.c., ipotesi di impossibilità della prestazione lavorativa totale o parziale, la esistenza delle quali ha l'onere di provare, senza che a questo fine possano assumere rilevanza eventi riconducibili alla stessa gestione imprenditoriale, compresa la diminuzione o l'esaurimento dell'attività produttiva. Ne consegue che il dipendente "sospeso" non è tenuto a provare d'aver messo a disposizione del datore di lavoro le sue energie lavorative nel periodo in contestazione, in quanto, per il solo fatto della sospensione unilaterale del rapporto di lavoro, la quale realizza un'ipotesi di "mora credendi", il prestatore, a meno che non sopravvengano circostanze incompatibili con la volontà di protrarre il rapporto suddetto, conserva il diritto alla retribuzione.
Cass. civ. n. 5848/2022
In tema di appalto di opere pubbliche, la scelta se disporre o meno varianti in corso d'opera, eccedenti il limite del quinto d'obbligo, compete al committente, che non può essere obbligato a far eseguire opere significativamente diverse da quelle progettate, neanche qualora il responsabile unico del procedimento abbia rilasciato parere favorevole e l'appaltatore, pur potendo opporre un legittimo rifiuto, vi abbia consentito. Tuttavia, stante la natura privatistica del rapporto, tale facoltà discrezionale deve essere esercitata nel rispetto dei principi generali di correttezza, lealtà e buona fede e del dovere di cooperare all'adempimento dell'appaltatore ai sensi dell'art. 1206 c.c. (In applicazione di tale principio, la S.C. ha confermato la decisione impugnata, che aveva ritenuto la Stazione appaltante responsabile della risoluzione del contratto non già per non aver dato corso alle varianti, ma per aver ritardato indebitamente nella relativa decisione).
Cass. civ. n. 29906/2021
Il lavoratore iscritto ad un'associazione sindacale che abbia dato mandato alla stessa per la stipula di un nuovo contratto collettivo ha diritto all'applicazione delle disposizioni contenute in tale contratto, anche se lo stesso sia stato concluso successivamente alla data in cui il suo rapporto di lavoro è terminato, se le parti contraenti, nell'attribuire efficacia retroattiva al nuovo contratto, non abbiano operato alcuna distinzione fra i dipendenti in servizio e quelli non più in servizio alla data della stipulazione.
Cass. civ. n. 31201/2021
I contratti collettivi aziendali sono applicabili a tutti i lavoratori dell'azienda, ancorché non iscritti alle organizzazioni sindacali stipulanti, con l'unica eccezione di quei lavoratori che, aderendo ad una organizzazione sindacale diversa, condividono con essa l'esplicito dissenso dall'accordo, potendo eventualmente essere vincolati da un accordo sindacale separato.
Cass. civ. n. 42001/2021
I contratti collettivi non aventi efficacia "erga omnes" sono atti negoziali privatistici, applicabili esclusivamente ai rapporti individuali intercorrenti tra soggetti iscritti alle associazioni stipulanti o che, in mancanza di tale condizione, abbiano espressamente aderito ai patti collettivi o li abbiano implicitamente recepiti, attraverso un comportamento concludente desumibile da una costante e prolungata applicazione, senza contestazione, delle relative clausole al singolo rapporto. Ne consegue che, ove una delle parti faccia riferimento, per la decisione della causa, ad una clausola di un determinato contratto collettivo di lavoro, il giudice del merito ha il compito di valutare in concreto il comportamento posto in essere dal datore di lavoro e dal lavoratore, allo scopo di accertare, pur in difetto della iscrizione alle associazioni sindacali stipulanti, se dagli atti siano desumibili elementi tali da indurre a ritenere ugualmente sussistente la vincolatività della contrattazione collettiva invocata.
Cass. civ. n. 23105/2019
Qualora il contratto collettivo non abbia un predeterminato termine di efficacia, non può vincolare per sempre tutte le parti contraenti, perché finirebbe in tal caso per vanificarsi la causa e la funzione sociale della contrattazione collettiva, la cui disciplina, da sempre modellata su termini temporali non eccessivamente dilatati, deve parametrarsi su una realtà socio economica in continua evoluzione, sicché a tale contrattazione ve estesa la regola, di generale applicazione nei negozi privati, secondo cui il recesso unilaterale rappresenta una causa estintiva ordinaria di qualsiasi rapporto di durata a tempo indeterminato, che risponde all'esigenza di evitare - nel rispetto dei criteri di buona fede e correttezza nell'esecuzione del contratto - la perpetuità del vincolo obbligatorio. Ne consegue che, in caso di disdetta del contratto, i diritti dei lavoratori, derivanti dalla pregressa disciplina più favorevole, sono intangibili solo in quanto siano già entrati nel patrimonio del lavoratore quale corrispettivo di una prestazione già resa o di una fase del rapporto già esaurita, e non anche quando vengano in rilievo delle mere aspettative sorte alla stregua della precedente più favorevole regolamentazione.
Cass. civ. n. 25554/2018
In tema di appalto di opera pubblica, le ragioni di pubblico interesse o necessità che possono giustificare la sospensione dei lavori vanno identificate in esigenze pubbliche oggettive e sopravvenute, non previste né prevedibili da parte della P.A. con l'uso dell'ordinaria diligenza, e non possono quindi essere invocate al fine di porre rimedio a negligenza o imprevidenza della committente, cui spetta acquisire, quale titolare dell'opera da realizzare, le autorizzazioni amministrative necessarie per l'esecuzione dei lavori in osservanza del dovere, discendente dall'art. 1206 c.c. e più in generale dai principi di correttezza e buona fede oggettiva, di cooperare all'adempimento dell'appaltatore ponendo in essere tutte quelle attività, distinte dal comportamento dovuto da quest'ultimo, necessarie affinché egli possa realizzare il risultato cui è preordinato il rapporto obbligatorio.
Cass. civ. n. 18153/2018
In tema di contrattazione collettiva, le cd. "ipotesi di accordo" possono non rappresentare la mera documentazione dello stato finale raggiunto dalle trattative, ma costituire espressione di un'effettiva volontà contrattuale, trovando giustificazione, in tale caso, l'adozione del termine "ipotesi" nel fatto che viene fatta salva una fase di ratifica della conclusa stipulazione negoziale, soprattutto nell'interesse della parte che rappresenta i lavoratori. Spetta al giudice del merito accertare quale natura possa in concreto attribuirsi ad una ipotesi di accordo, sulla base della volontà delle parti, che può anche essere implicita e desumibile da prassi - aziendali, settoriali ed eventualmente anche nazionali - sufficientemente concludenti.
Cass. civ. n. 20504/2015
In tema di contratto collettivo di diritto comune, la domanda giudiziale, proposta da un lavoratore non associato alle organizzazioni sindacali stipulanti, intesa ad ottenere l'applicazione di una clausola dello stesso, va intesa come adesione implicita al contratto collettivo.
Cass. civ. n. 14944/2014
La contrattazione collettiva non può incidere, in relazione alla regola dell'intangibilità dei diritti quesiti, in senso peggiorativo su posizioni già consolidate o su diritti già entrati nel patrimonio dei lavoratori in assenza di uno specifico mandato o di una successiva ratifica da parte degli stessi, ma solo su diritti del singolo lavoratore non ancora acquisiti. L'adesione degli interessati - iscritti o non iscritti alle associazioni stipulanti - ad un contratto o accordo collettivo può essere, peraltro, non solo esplicita, ma anche implicita, per fatti concludenti, che sono generalmente ravvisabili nella pratica applicazione delle relative clausole. (Omissis).
Cass. civ. n. 14155/2014
L'azione ex art. 1210, secondo comma, cod. civ., che sia introdotta dal debitore dopo la notifica del precetto, o dopo l'inizio dell'esecuzione, per l'accertamento degli effetti liberatori dell'offerta reale, verificatisi tanto prima del precetto, quanto prima dell'inizio dell'esecuzione, oppure ancora dopo l'inizio di questa, ha natura sostanziale e va qualificata, rispettivamente, quale opposizione a precetto ex art. 615, primo comma, cod. proc. civ., se proposta prima della esecuzione, e quale opposizione all'esecuzione ai sensi del secondo comma del medesimo articolo, se introdotta, invece, dopo il suo inizio.
Cass. civ. n. 12501/2012
È inadempiente per "mora credendi" il datore di lavoro che rifiuti la prestazione del lavoratore il quale, assente dal lavoro per malattia, chieda di riprendere l'attività, allegando e documentando la cessazione della malattia stessa "ante tempus". (Nella specie, un pubblico dipendente, affetto da inidoneità permanente secondo il collegio medico della ASL, e tuttavia non dispensato dal servizio, aveva chiesto di tornare al lavoro sulla base di un certificato sanitario attestante il miglioramento delle condizioni di salute, ma l'ente datore di lavoro non aveva consentito il rientro sino a nuova positiva visita del collegio medico; sulla scorta dell'enunciato principio, la S.C. ha cassato la decisione di merito, che aveva respinto la domanda del lavoratore per il recupero della decurtazione stipendiale applicatagli nel periodo successivo all'offerta di prestazione).
Cass. civ. n. 12098/2010
Il contrasto fra contratti collettivi di diverso ambito territoriale (nella specie, nazionale e regionale) va risolto non in base a principi di gerarchia e di specialità proprie delle fonti legislative, ma sulla base della effettiva volontà delle parti sociali, da desumersi attraverso il coordinamento delle varie disposizioni della contrattazione collettiva, aventi tutte pari dignità e forza vincolante, sicché anche i contratti territoriali possono, in virtù del principio dell'autonomia negoziale di cui all'art. 1322 c.c., prorogare l'efficacia dei contratti nazionali e derogarli, anche "in pejus" senza che osti il disposto di cui all'art. 2077 c.c., fatta salva solamente la salvaguardia dei diritti già definitivamente acquisiti nel patrimonio dei lavoratori, che non possono ricevere un trattamento deteriore in ragione della posteriore normativa di eguale o diverso livello. (Nella specie, riguardante le indennità di mensa e di trasporto, della cui spettanza e determinazione il contratto nazionale aveva investito la contrattazione regionale, la S.C. ha cassato la decisione di merito che aveva finito per disconoscere l'autonomia del contratto territoriale, il quale aveva escluso ogni diritto in ordine all'indennità di mensa e aveva limitato il diritto all'indennità di trasporto ai soli trasferimenti con distanza superiore ai dieci chilometri).
Cass. civ. n. 7290/2008
L'art. 82, comma terzo, d.lgs. n. 267 del 2000 che prevede, a favore degli amministratori locali titolari di funzioni pubbliche elettive, l'esonero dal divieto di cumulo tra trattamento pensionistico e indennità percepite, non è applicabile, in via analogica, ai titolari di cariche sindacali avuto riguardo ai compensi percepiti in tale veste, potendosi configurare - al di fuori dell'ambito delle funzioni pubbliche e in presenza di un rapporto intercorrente con un soggetto privato (anche svolgente attività di rilievo costituzionale ex art. 39 Cost.) - esclusivamente una attività gratuita ovvero un rapporto di lavoro, subordinato od autonomo, che, in quanto tale, è assoggettato alla tutela di cui agli artt. 35 e 36 Cost., mentre, tra l'esercizio delle funzioni elettive - che dà luogo ad un rapporto di servizio onorario - ed il compenso per tale esercizio, resta escluso, ai sensi dell'art. 54 Cost., qualsiasi connotato di sinallagmaticità; ne consegue, inoltre, che, per le medesime ragioni, è manifestamente infondato il dubbio di costituzionalità della norma per lesione degli artt. 3 e 51 Cost. (Rigetta, App. Firenze, 6 luglio 2005).
Cass. civ. n. 9142/2008
Al rapporto d'opera professionale dei medici convenzionati non si applica l'art. 31 della legge n. 300 del 1970, dovendosi escludere - come anche affermato dalla Corte costituzionale con la n. 3 del 1998 - una assimilazione tra lavoro subordinato e lavoro autonomo, seppure parasubordinato, attese le differenze di struttura e finalità della relative discipline e ben potendo, le prestazioni previdenziali essere differenziate anche tra categorie di lavoratori (Corte cost. n. 31 del 1986 e 181 del 1993). La relativa disciplina, peraltro, è suscettibile di essere estesa - come attuato con l'art. 24 del d.P.R. n. 500 del 1996 per i periodi successivi alla sua entrata in vigore - in via pattizia ai sensi dell'art. 48 della legge n. 833 del 1978, venendosi in tal modo ad ampliare l'ambito della tutele già normativamente concesse e non ad introdurre nuove forme di previdenza a soggetti che ne siano sprovvisti.Conseguentemente, restano privi di fondamento giuridico i dubbi di costituzionalità dell'art. 31 dello Statuto e dell'art. 48 della legge n. 833 del 1978 per violazione degli articoli 3, 35, 38, 51 e 97 Cost., nonché dell'art. 10 Cost. in relazione alla Convenzione di Strasburgo del 1985 (nella specie, la S.C., sulla base del principio enunciato, ha confermato la decisione del giudice di merito che aveva rigettato la domanda di medico specialista convenzionato che, nel periodo dal 1977 al 1983 e dal 1984 al 1993, era stato in aspettativa per aver svolto una funzione elettiva pubblica senza che l'USL competente provvedesse a versare in suo favore i contributi previdenziali). (Rigetta, App. Napoli, 10 agosto 2004).
Cass. civ. n. 13544/2008
Anche nell'ambito del pubblico impiego privatizzato, il contrasto fra contratti collettivi di diverso ambito territoriale (nazionale, regionale, provinciale; aziendale) deve essere risolto non già in base al criterio della gerarchia (che comporterebbe la prevalenza della disciplina di livello superiore) né in base al criterio temporale (che comporterebbe sempre la prevalenza del contratto più recente e che invece è determinante solo nell'ipotesi di successione di contratti collettivi con identità di soggetti stipulanti, ossia del medesimo livello), ma secondo il principio di autonomia (e, reciprocamente, di competenza), alla stregua del collegamento funzionale che le associazioni sindacali (nell'esercizio, appunto, della loro autonomia) pongono, mediante statuti o altri idonei atti di limitazione, fra i vari gradi o livelli della struttura organizzativa e della corrispondente attività (nella specie, relativa a contratto collettivo regionale per i dipendenti dell'Ente Foreste della Sardegna, integrativo del contratto collettivo nazionale di settore, la S.C. ha ritenuto che correttamente i giudici di merito avevano fatto applicazione, in quanto espressamente richiamato dalla normativa regionale, del contratto collettivo integrativo vigente nel territorio della Sardegna ancorché meno favorevole per i lavoratori).
Cass. civ. n. 10052/2006
Anche nell'appalto di opere pubbliche, stante la natura privatistica del contratto, è configurabile, in capo all'amministrazione committente, creditrice dell'opus, un dovere — discendente dall'espresso riferimento contenuto nell'art. 1206 c.c. e, più in generale, dai principi di correttezza e buona fede oggettiva, che permeano la disciplina delle obbligazioni e del contratto — di cooperare all'adempimento dell'appaltatore, attraverso il compimento di quelle attività, distinte rispetto al comportamento dovuto dall'appaltatore, necessarie affinché quest'ultimo possa realizzare il risultato cui è preordinato il rapporto obbligatorio. In questo contesto, l'elaborazione di varianti in corso d'opera — di norma costituente una mera facoltà della P.A. (esercitabile in presenza delle condizioni previste dalla legge) — può configurarsi come espressione di un doveroso intervento collaborativo del creditore: tanto avviene allorché la modifica del progetto originario (nella specie, costruzione di un edificio scolastico) sia resa necessaria da sopravvenute disposizioni imperative, legislative e regolamentari, sulla sicurezza degli impianti, giacché, in tal caso, l'opera che fosse realizzata secondo le inizialmente progettate modalità costruttive e istruzioni tecniche esporrebbe l'appaltatore a responsabilità per eventi lesivi dell'incolumità e dell'integrità personale di terzi. Ne consegue che la perdurante, mancata consegna, da parte della stazione appaltante, benché ritualmente sollecitata, dei progetti di adeguamento dell'opera alle sopravvenute prescrizioni normative, ben può determinare impossibilità della prestazione per fatto imputabile al creditore, sul quale sono destinate a ricadere le conseguenze dell'omessa cooperazione necessaria all'adempimento da parte del debitore.
Cass. civ. n. 9052/2006
Il rapporto fra contratti collettivi — come è da qualificare anche il contratto aziendale — di diverso livello deve essere risolto in base non già al principio della subordinazione del contratto collettivo locale a quello nazionale (salva l'espressa previsione di disposizioni di rinvio), né di quello cronologico (della prevalenza del contratto posteriore nel tempo), ma alla stregua dell'effettiva volontà delle parti operanti in area più vicina agli interessi disciplinati. (Nella specie, la S.C., sulla scorta dell'enunciato principio, ha confermato la sentenza impugnata e rigettato il ricorso proposto che, con riferimento alla domanda di ricono¬scimento di un lavoratore alle mansioni superiori, prospettava l'applicabilità dell'art. 5 del contratto collettivo nazionale di lavoro del 7 aprile 1992, anziché del contratto integrativo aziendale del 22 aprile 1992 relativo alla disciplina dei preposti agli sportelli del servizio di riscossione esattoriale, da ritenersi, invece, come riferimento preferenziale alla stregua della volontà effettivamente manifestata dalle relative parti contraenti, anche in considerazione della loro operatività in un'area rientrante nella sfera degli interessi direttamente regolamentati dallo stesso contratto locale).
Cass. civ. n. 2693/2005
In applicazione del principio secondo il quale l'assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro, in attuazione dell'art. 38 Cost., dà rilievo non già, restrittivamente, al cosiddetto rischio professionale, come tradizionalmente inteso, ma a tutti gli infortuni in stretto rapporto di connessione con l'attività protetta, tale assicurazione copre, quanto agli artigiani, anche le ulteriori attività complementari e sussidiarie che il lavoratore debba compiere all'esterno dei locali ove si svolge la lavorazione. Tra queste non può non ricomprendersi l'attività certamente lavorativa costituita dalla redazione del preventivo da sottoporre al potenziale cliente, atteso il nesso indissolubile tra attività di redazione del preventivo e successiva attività artigianale, sia pure condizionata alla verifica, e alla scelta, del committente. Una diversa interpretazione arrecherebbe un "vulnus" alla norma costituzionale (artt. 3, 4, 35 e 38 Cost.), in quanto verrebbe lasciata scoperta una fase preparatoria del lavoro artigianale manuale, essenziale per il conseguimento dei fini individuali di iniziativa economica e altrettanto meritevole di tutela del momento realizzativo dell'attività, nella quale, peraltro, la copertura assicurativa scatterebbe ove l'incidente occorresse al lavorante d'impresa artigiana e non al suo titolare o artigiano individuale. (v. Corte Cost. sent. n. 100 del 1991).
Cass. civ. n. 7115/2005
In tema di contrattazione collettiva, le cosiddette «ipotesi di accordo» possono non rappresentare la mera documentazione dello stato finale raggiunto dalle trattative, ma costituire espressione di un'effettiva volontà contrattuale, trovando giustificazione, in tale caso, l'adozione del termine «ipotesi» nel fatto che viene fatta salva una fase di ratifica della conclusa stipulazione negoziale, soprattutto nell'interesse della parte che rappresenta i lavoratori. Spetta al giudice del merito accertare quale natura possa in concreto attribuirsi ad una ipotesi di accordo, sulla base della volontà delle parti, che può anche essere implicita e desumibile da prassi — aziendali, settoriali ed eventualmente anche nazionali — sufficientemente concludenti. (Nella specie, la Corte ha cassato con rinvio la sentenza impugnata che aveva riconosciuto piena efficacia ad una ipotesi di accordo, senza una chiara ed adeguata motivazione in ordine alla funzione attribuita alla sottoscrizione da parte dei rappresentanti delle organizzazioni sindacali e alla approvazione delle assemblee di base e, comunque, relativamente alle ragioni per cui il termine «ipotesi» avrebbe valore di mera clausola di stile, attribuendo, inoltre, immediata valenza probatoria a informazioni sindacali assunte in un giudizio diverso a norma dell'art. 425, comma primo, c.p.c., peraltro prive del requisito della univocità).
Cass. civ. n. 8565/2004
Il primo comma dell'art. 2070 c.c. (secondo cui l'appartenenza alla categoria professionale, ai fini dell'applicazione del contratto collettivo, si determina secondo l'attività effettivamente esercitata dall'imprenditore) non opera nei riguardi della contrattazione collettiva di diritto comune, che ha efficacia vincolante esclusivamente per gli iscritti alle associazioni sindacali stipulanti (nonché per coloro che, esplicitamente o implicitamente, al contratto abbiano prestato adesione) e solo nei limiti della volontà manifestata dalle suddette organizzazioni sindacali. Ne consegue la piena validità ed efficacia della clausola di un accordo aziendale - avente natura collettiva in relazione agli interessi generali coinvolti - diretto a stabilire il contratto collettivo di categoria applicabile al personale dell'azienda.
Cass. civ. n. 2362/2004
Con l'adesione al sindacato il lavoratore non attribuisce la piena disponibilità di posizioni individuali alle organizzazioni sindacali, le quali pertanto non possono dismettere diritti già entrati nel patrimonio dei lavoratori, in assenza di uno specifico mandato o di una successiva ratifica da parte degli stessi. Ne consegue che, in relazione al periodo precedente il provvedimento di ammissione alla cassa integrazione, le organizzazioni sindacali e il datore di lavoro non possono stipulare accordi aventi ad oggetto la sospensione dell'obbligo dei lavoratori di effettuare la prestazione lavorativa e la perdita del diritto dei lavoratori alla retribuzione, in quanto detti accordi vengono ad incidere su diritti soggettivi di cui i lavoratori sono divenuti titolari sulla base dei singoli contratti individuali. Per l'efficacia di tali accordi è pertanto necessario che da parte dei lavoratori venga rilasciato, anche per fatti concludenti, un preventivo e specifico mandato, o che l'accordo venga poi ratificato dagli stessi lavoratori in modo inequivocabile, giacché il principio della libertà di forma nell'esercizio dell'autonomia negoziale e collettiva consente che l'adesione ad un accordo sindacale si manifesti o con negozi attuativi o attraverso condotte volte a dimostrare con certezza la volontà di ratificare detto accordo.
Cass. civ. n. 13300/2000
Nell'ipotesi di successione di contratti collettivi di diverso livello (nazionale, provinciale, aziendale)l'eventuale contrasto tra le relative previsioni non va risolto secondo i principi di gerarchia e di specialità, propri delle fonti legislative, ma in base all'individuazione della effettiva volontà delle parti desumibile dal coordinamento delle varie disposizioni, di pari dignità, della contrattazione nazionale e locale, fermo restando che un nuovo contratto collettivo (sia esso nazionale o aziendale) può anche modificare in pejus la disciplina collettiva precedente (di qualsiasi livello esso sia), con il solo limite del rispetto dell'esistenza di veri e propri diritti (e non di mere aspettative) definitivamente acquisiti dai lavoratori alla stregua della normativa poi superata da quella peggiorativa.
Cass. civ. n. 3/1998
Non è fondata, con riferimento agli artt. 3, 32 e 37 Cost., la questione di legittimità costituzionale dell'art. 1 della legge 11 dicembre 1990 n. 379 (Indennità di maternità per le libere professioniste), nella parte in cui prevede(rebbe)che l'indennità di maternità ivi stabilita venga corrisposta alla libera professionista (nella specie, notaio) indipendentemente dall'effettiva astensione dal lavoro, in quanto - posto che sussiste una netta differenza fra lavoro subordinato e lavoro autonomo, trattandosi di due tipi del medesimo fenomeno, aventi però peculiari caratteristiche, sicché gli strumenti di tutela che le leggi ordinarie apprestano per l'uno non possono ritenersi automaticamente applicabili all'altro - le situazioni poste a raffronto non sono comparabili, ed in quanto la tutela costituzionale del diritto alla salute della donna e del bambino non è vulnerata dall'esistenza di una norma che per una particolare categoria di lavoratrici stabilisce una protezione complessivamente adeguata alle peculiari caratteristiche della categoria medesima.
Cass. civ. n. 8668/1996
L'ambito territoriale di efficacia del contratto collettivo di lavoro non è necessariamente e neppure presuntivamente limitato al territorio nazionale, ma va accertato in base ad un'interpretazione delle singole clausole contrattuali, diretta a stabilire quali siano neutre rispetto al luogo della prestazione. (Fattispecie relativa a lavoratore dipendente delle Ferrovie dello Stato, che aveva lavorato all'estero nell'ambito di un programma di collaborazione con i paesi in via di sviluppo: la S.C. ha annullato la sentenza impugnata, che, anche a seguito dell'entrata in vigore del contratto collettivo 23 giugno 1988 e alla conseguente applicabilità dell'art. 2103 c.c. — ed omettendo la necessaria interpretazione del contratto — aveva escluso che lo svolgimento all'estero di mansioni di una superiore categoria contrattuale potesse attribuire il diritto al relativo inquadramento, senza neanche prendere in esame l'impegno della da¬trice di lavoro di volere «riconoscere... le effettive mansioni svolte» in simili circostanze).
Cass. civ. n. 522/1995
Nell'ipotesi in cui la prestazione del debitore abbia per oggetto denaro, gli effetti della mora del creditore - compreso fra questi l'obbligo del risarcimento dei danni - si verificano dal giorno dell'offerta, che, a seconda dei casi, deve essere reale o per intimazione, ma che è necessaria in ogni caso, anche in quello in cui la consegna deve avvenire al domicilio del creditore, ossia anche quando a costituire in mora il debitore altro non occorre (in base al principio dies interpellat pro homine) che la scadenza del termine.
Cass. civ. n. 3318/1995
In mancanza di norme che prevedano, per i contratti collettivi, la forma scritta, ed in applicazione del principio generale della libertà di forma —in base al quale le norme che prevedono che determinati contratti o atti debbano essere realizzati con determinate forme sono di stretta interpretazione, insuscettibili, cioè, di applicazione analogica — l'accordo aziendale è valido anche se non stipulato per iscritto.
Cass. civ. n. 4423/1991
Nell'ipotesi di risoluzione del contratto di compravendita di cose determinate, l'acquirente è obbligato alla custodia di esse fino al momento della riconsegna al venditore, ovvero fino al compimento dell'ultimo atto del procedimento, previsto per la sua liberazione dall'obbligo della consegna, dagli artt. 1206 ss. c.c.
Cass. civ. n. 1063/1978
L'efficacia normativa transitoria dei contratti collettivi corporativi, in forza dell'art. 43, D.Lgs.Lgt. 23 novembre 1944, n. 369, permane anche con riguardo ai rapporti costituiti dopo la soppressione dell'ordinamento corporativo, solo ove questi non siano riconducibili sotto la disciplina di contratti collettivi ed accordi economici stipulati successivamente, per difetto del presupposto della rappresentanza volontaria. Quando, invece, tale presupposto sussista, la disciplina post-corporativa prevale su quella corporativa, ancorché ciò si traduca in una modifica in peius per il prestatore di lavoro.