Art. 429 – Codice di procedura civile – Pronuncia della sentenza
Nell'udienza, il giudice, esaurita la discussione orale e udite le conclusioni delle parti, pronuncia sentenza con cui definisce il giudizio dando lettura del dispositivo e della esposizione delle ragioni di fatto e di diritto della decisione. In caso di particolare complessità della controversia, il giudice fissa nel dispositivo un termine, non superiore a sessanta giorni, per il deposito della sentenza.
Se il giudice lo ritiene necessario, su richiesta delle parti, concede alle stesse un termine non superiore a dieci giorni per il deposito di note difensive, rinviando la causa all'udienza immediatamente successiva alla scadenza del termine suddetto, per la discussione e la pronuncia della sentenza.
Il giudice, quando pronuncia sentenza di condanna al pagamento di somme di denaro per crediti di lavoro, deve determinare, oltre gli interessi nella misura legale, il maggior danno eventualmente subito dal lavoratore per la diminuzione di valore del suo credito, condannando al pagamento della somma relativa con decorrenza dal giorno della maturazione del diritto [disp. att. 150].
Le parole ricomprese fra parentesi quadre sono state abrogate.
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Massime correlate
Cass. civ. n. 23157/2024
Nel rito del lavoro solo il contrasto insanabile tra dispositivo e motivazione determina la nullità della sentenza, da far valere mediante impugnazione, in difetto della quale prevale il dispositivo; tale insanabilità deve, tuttavia, escludersi quando sussista una parziale coerenza tra dispositivo e motivazione, divergenti solo da un punto di vista quantitativo, e la seconda inoltre sia ancorata ad un elemento obiettivo che inequivocabilmente la sostenga (sì da potersi escludere l'ipotesi di un ripensamento del giudice); in tal caso è configurabile l'ipotesi legale del mero errore materiale, con la conseguenza che, da un lato, è consentito l'esperimento del relativo procedimento di correzione e, dall'altro, deve qualificarsi come inammissibile l'eventuale impugnazione diretta a far valere la nullità della sentenza asseritamente dipendente dal contrasto tra dispositivo e motivazione.
Cass. civ. n. 5744/2024
In ipotesi di ritardato pagamento di somme di natura risarcitoria ai dipendenti pubblici, gli interessi legali e la rivalutazione monetaria vanno calcolati, a prescindere dalla loro cumulabilità, sugli importi dovuti al netto delle ritenute di legge.
Cass. civ. n. 11711/2023
L'ordinanza declinatoria della competenza dev'essere preceduta, a pena di nullità, dall'invito alla precisazione delle conclusioni e dall'assegnazione ad entrambe le parti di un primo termine per il deposito di memorie e di un secondo termine per repliche; comporta la nullità dell'ordinanza anche l'assegnazione di termini "sfalsati" (cioè, di un primo termine concesso solo all'attore e di un successivo termine fissato al solo convenuto) per il deposito di memorie, perché è così permessa soltanto al difensore del convenuto la replica agli argomenti avversari, in violazione dei principî costituzionali di parità delle parti e del contraddittorio.
Cass. civ. n. 3394/2021
In materia di controversie soggette al rito del lavoro, l'art. 429, comma 1, c.p.c., come modificato dall'art. 53, comma 2, del d.l. n. 112 del 2008, conv., con modif., dalla l. n. 133 del 2008 - applicabile "ratione temporis" - prevede che il giudice all'udienza di discussione decida la causa e proceda alla lettura del dispositivo e delle ragioni in fatto e diritto della decisione, sicché, in analogia con lo schema dell'art. 281 sexies c.p.c., il termine "lungo" per proporre l'impugnazione, ex art. 327 c.p.c., decorre dalla data della pronuncia, che equivale, unitamente alla sottoscrizione del relativo verbale da parte del giudice, alla pubblicazione prescritta nei casi ordinari dall'art. 133 c.p.c., con esonero, quindi, della cancelleria dalla comunicazione della sentenza; viceversa, nella residuale ipotesi di particolare complessità della controversia, in cui il giudice fissi un termine non superiore a sessanta giorni per il deposito della sentenza, ai sensi dell'art. 430 c.p.c., il termine decorrerà dalla comunicazione alle parti dell'avvenuto deposito da parte del cancelliere. (Dichiara inammissibile, CORTE D'APPELLO CATANZARO, 09/08/2018).
Cass. civ. n. 38521/2021
Ai giudizi di impugnazione, avanti alla corte d'appello, delle pronunce rese in sede di opposizione ai verbali di accertamento delle violazioni del codice della strada, introdotti successivamente alle modifiche di cui al d. lgs. n.150 del 2011, si applica il rito del lavoro, sicché l'omessa lettura del dispositivo all'udienza di discussione determina, ex art. 156, comma 2, c.p.c., la nullità insanabile della sentenza per mancanza del requisito formale indispensabile per il raggiungimento dello scopo dell'atto, correlato alle esigenze di concentrazione del giudizio e di immutabilità della decisione rispetto alla successiva stesura della motivazione. (Cassa con rinvio, TRIBUNALE BOLOGNA, 27/01/2020).
Cass. civ. n. 36727/2021
Nel rito del lavoro deve attribuirsi fede privilegiata, fino a querela di falso, al verbale di udienza redatto dal cancelliere, anche con riferimento alla parte contenente l'indicazione dell'avvenuta lettura del dispositivo in udienza; ne consegue che, ove sia mancata la proposizione della querela di falso, è irrilevante la mera deduzione in ricorso che la lettura del dispositivo in udienza in realtà non sia avvenuta. (Rigetta, CORTE D'APPELLO TORINO, 24/11/2014).
Cass. civ. n. 35057/2021
Nel rito del lavoro deve attribuirsi la fede privilegiata dell'atto pubblico sia al verbale di udienza che al dispositivo della sentenza letto in udienza, compresa la relativa intestazione, il quale prevale sull'eventuale difforme contenuto della sentenza successivamente depositata; ne consegue che, in caso di contrasto tra il verbale della discussione e il dispositivo letto in udienza della sentenza d'appello circa la composizione del collegio giudicante, tutta la sentenza deve ritenersi affetta da nullità insanabile per la non coincidenza tra il collegio della fase di discussione della causa e quello deliberante, né tale contrasto e la conseguente nullità possono essere eliminati mediante il procedimento di correzione degli errori materiali. (Cassa con rinvio, CORTE D'APPELLO SALERNO, 25/01/2018).
Cass. civ. n. 1111/2020
Nei debiti di valore il riconoscimento dei cd. interessi compensativi costituisce una mera modalità liquidatoria del possibile danno da lucro cessante, cui è consentito al giudice di far ricorso, con il limite costituito dall'impossibilità di calcolare gli interessi sulle somme integralmente rivalutate dalla data dell'illecito, senza che sia tenuto a motivarne il mancato riconoscimento, salvo non sia stato espressamente sollecitato mediante l'allegazione della insufficienza della rivalutazione ai fini del ristoro del danno da ritardo. (Nella specie, la S.C. ha confermato la sentenza di merito nella quale gli interessi compensativi erano stati riconosciuti al tasso legale, sulla somma dovuta dal datore di lavoro al lavoratore a titolo di equo premio, dalla data della messa in mora sino a quella di deposito della sentenza di primo grado). (Rigetta, CORTE D'APPELLO TRIESTE, 21/03/2014).
Cass. civ. n. 1271/2019
Nei giudizi soggetti al rito del lavoro, la sottoscrizione della sentenza da parte del giudice che l'ha pronunciata, la cui mancanza comporta la nullità insanabile e rilevabile d'ufficio ex art. 161, comma 2, c.p.c., deve essere verificata con riferimento alla "sentenza", completa di motivazione e di dispositivo, sicché è irrilevante la sussistenza o meno della sottoscrizione sul dispositivo letto in udienza, ritualmente inserito in un verbale di cui il segretario d'udienza abbia attestato la regolarità formale.
Cass. civ. n. 14502/2019
Il credito vantato dal lavoratore nei confronti del datore di lavoro per le somme indebitamente trattenute sullo stipendio a titolo di ritenute fiscali ha natura retributiva e, conseguentemente, ad esso si applica l'intera disciplina afferente al rapporto di lavoro, comprese le disposizioni di cui all'art. 429 c.p.c. in tema di interessi e rivalutazione. (Nella specie, la S.C. ha confermato la sentenza di merito con la quale era stato affermato il diritto del lavoratore alla ripetizione delle somme, maggiorate di interessi e rivalutazione, trattenute per ritenute fiscali dal datore di lavoro per la parte eccedente quella effettivamente versata all'Erario in seguito alla definizione agevolata prevista dalla l. n. 289 del 2002).
Cass. civ. n. 21618/2019
Nel rito del lavoro soltanto il contrasto insanabile tra dispositivo e motivazione determina la nullità della sentenza, da far valere mediante impugnazione, in difetto della quale prevale il dispositivo. Tale insanabilità deve tuttavia escludersi quando sussista una parziale coerenza tra dispositivo e motivazione, divergenti solo da un punto di vista quantitativo, e la seconda inoltre sia ancorata ad un elemento obiettivo che inequivocabilmente la sostenga; in tal caso è configurabile l'ipotesi legale del mero errore materiale, con la conseguenza che, da un lato, è consentito l'esperimento del relativo procedimento di correzione e, dall'altro, deve qualificarsi come inammissibile l'eventuale impugnazione diretta a far valere il contrasto tra dispositivo e motivazione. (Nella specie, la S.C. ha ravvisato mero errore materiale nella sentenza di merito la quale, nell'accogliere la domanda al pagamento di differenze retributive, recava in dispositivo la condanna ad una somma calcolata in base al livello richiesto dal lavoratore e in motivazione il riconoscimento dell'inquadramento in un maggior livello non richiesto). (Rigetta, CORTE D'APPELLO CATANZARO, 21/03/2016).
Cass. civ. n. 19735/2018
In caso di riforma, totale o parziale, della sentenza di condanna del datore di lavoro al pagamento di somme in favore del lavoratore, il datore di lavoro ha diritto a ripetere quanto il lavoratore abbia effettivamente percepito e non può pertanto pretendere la restituzione di importi al lordo di ritenute fiscali mai entrate nella sfera patrimoniale del dipendente, atteso che il caso del venir meno con effetto "ex tunc" dell'obbligo fiscale a seguito della riforma della sentenza da cui è sorto ricade nel raggio di applicazione dell'art. 38, comma 1, del d.p.r. n. 602 del 1973, secondo cui il diritto al rimborso fiscale nei confronti dell'amministrazione finanziaria spetta in via principale a colui che ha eseguito il versamento non solo nelle ipotesi di errore materiale e duplicazione, ma anche in quelle di inesistenza totale o parziale dell'obbligo.
Cass. civ. n. 26234/2018
Sull'indennità riconosciuta ex art. 32, comma 5, della l. n. 183 del 2010 - la quale rappresenta il ristoro onnicomprensivo dei danni conseguenti alla nullità del termine apposto al contratto di lavoro, relativamente al periodo che va dalla scadenza del termine alla sentenza di conversione del rapporto - spettano gli interessi legali e la rivalutazione monetaria, atteso che essa rientra tra i crediti di lavoro ai sensi dell'art. 429, comma 3, c.p.c., nell'ampia accezione riferibile a tutti i crediti connessi al rapporto di lavoro e non soltanto a quelli aventi natura strettamente retributiva.
Cass. civ. n. 20765/2018
La sentenza della Corte costituzionale del 2 novembre 2000, n. 459, per la quale il divieto di cumulo di rivalutazione monetaria ed interessi non opera per i crediti retributivi dei dipendenti privati, ancorché maturati dopo il 31 dicembre 1994, non può trovare applicazione per i dipendenti privati di enti pubblici non economici (nella specie, lettori di lingua dell'Università degli studi), per i quali ricorrono, ancorché i rapporti di lavoro risultino privatizzati, le "ragioni di contenimento della spesa pubblica" che sono alla base della disciplina differenziata secondo la "ratio decidendi" prospettata dal giudice delle leggi.
Cass. civ. n. 8441/2017
Nel rito del lavoro, sussiste violazione dell'art. 429 c.p.c., con conseguente nullità della sentenza, qualora, pur essendo stato disposto il rinvio dell'udienza, venga pronunciata sentenza senza che le parti abbiano potuto procedere alla discussione orale, in violazione del diritto di difesa e del conseguente principio del contraddittorio, che deve realizzarsi nella sua piena effettività durante tutto lo svolgimento del processo.
Cass. civ. n. 22297/2017
Il licenziamento orale in regime di tutela obbligatoria è inidoneo ad incidere sulla continuità del rapporto e comporta il diritto del lavoratore al risarcimento del danno secondo le regole in materia di inadempimento, sicché non sussiste vizio di ultrapetizione in caso di liquidazione di somme superiori a quelle richieste in misura forfettaria. (In applicazione di tale principio, la S.C. ha confermato la sentenza di merito che aveva condannato il datore di lavoro al pagamento delle retribuzioni maturate dalla messa in mora sino all’emanazione della sentenza, a fronte di una domanda del lavoratore contenuta tra le 2,5 e le 6 mensilità).
Cass. civ. n. 18126/2016
Il principio di immutabilità del giudice trova applicazione con riferimento all'inizio della discussione, sicché, anche nel rito del lavoro, la diversità di composizione, tra il collegio che ha assistito alla stessa e quello che ha deciso, determina la nullità assoluta e insanabile della pronuncia.
Cass. civ. n. 12841/2016
Nel rito del lavoro la prevalenza del dispositivo sulla motivazione è circoscritta alle ipotesi in cui vi è contrasto tra le due parti della pronuncia, mentre, ove l'incompatibilità manchi, la portata precettiva della pronuncia va individuata integrando il dispositivo con la motivazione.
Cass. civ. n. 1906/2015
Nel rito del lavoro, il dispositivo letto in udienza non è più modificabile da parte del giudice che ha emesso la decisione, sicché è radicalmente nulla la sentenza con la quale sia stato adottato un nuovo dispositivo, di contenuto diverso dal precedente. (Nella specie, il giudice di appello aveva corretto, nel testo completo della sentenza, il dispositivo letto in udienza, in quanto inficiato da irrimediabile contrasto fra la prima parte, di rigetto della domanda di illegittimità del licenziamento, e la seconda, invece di illegittimità del licenziamento e di condanna alla reintegrazione con relative conseguenze retributive e contributive).
Cass. civ. n. 20463/2014
Nel rito del lavoro, quando risulti accertata la reale composizione del collegio per la coincidenza tra l'intestazione del verbale di udienza ed il dispositivo letto nella medesima, si deve ritenere, fino a querela di falso, che la sentenza sia stata deliberata da quegli stessi giudici che hanno partecipato alla discussione, sicché è irrilevante che il giudice indicato nell'intestazione della sentenza come relatore sia diverso da quello che abbia materialmente redatto la motivazione, in base ad un procedimento organizzativo interno di sostituzione dell'originario relatore, intervenuto dopo la lettura del dispositivo, che assume autonoma rilevanza documentale limitatamente al contenuto volitivo della decisione non più modificabile dai suoi autori. Ne consegue che è ravvisabile un vizio di costituzione del giudice qualora gli atti giudiziali siano posti in essere da persona estranea all'Ufficio, non investita della funzione esercitata, e non quando il giudice relatore assolutamente impedito sia sostituito da colleghi di pari funzioni e competenza, poiché tale sostituzione, anche ove disposta senza l'osservanza delle condizioni stabilite dagli artt. 174 cod. proc. civ. e 79 disp. att. cod. proc. civ., non implica violazione del giudice naturale e non dà luogo a nullità del procedimento, bensì ad una mera irregolarità di carattere interno che non incide sulla validità dell'atto.
Cass. civ. n. 18353/2014
In caso di licenziamento illegittimo, ove il lavoratore, nel regime della cosiddetta tutela reale (nella specie, quello, applicabile "ratione temporis", previsto dall'art. 18 della legge 20 maggio 1970, n. 300, nel testo anteriore alle modifiche introdotte con la legge 28 giugno 2012, n. 92), opti per l'indennità sostitutiva della reintegrazione, avvalendosi della facoltà prevista dall'art. 18, quinto comma, cit., il rapporto di lavoro, con la comunicazione al datore di lavoro di tale scelta, si estingue senza che debba intervenire il pagamento dell'indennità stessa e senza che permanga - per il periodo successivo in cui la prestazione lavorativa non è dovuta dal lavoratore né può essere pretesa dal datore di lavoro - alcun obbligo retributivo. Ne consegue che l'obbligo avente ad oggetto il pagamento della suddetta indennità è soggetto alla disciplina della "mora debendi" in caso di inadempimento, o ritardo nell'adempimento, delle obbligazioni pecuniarie del datore di lavoro, con applicazione dell'art. 429, terzo comma, cod. proc. civ., salva la prova, di cui è onerato il lavoratore, di un danno ulteriore.
Cass. civ. n. 14499/2014
Nel rito del lavoro, qualora la motivazione della sentenza si limiti alla mera esplicitazione di statuizioni già sostanzialmente argomentabili dalla struttura logico-semantica del dispositivo, non si applica il principio della non integrabilità del dispositivo con la motivazione, che presuppone l'effettiva carenza nell'uno di statuizioni invece contenute nell'altro, dovendosi individuare la portata precettiva della pronuncia giurisdizionale tenendo conto non solo delle statuizioni formalmente contenute nel dispositivo, ma coordinando questo con la motivazione, le cui enunciazioni, se univocamente dirette all'esame di una questione dedotta in causa, possono essere utilizzate quale strumento di interpretazione del dispositivo medesimo. (Nella specie la S.C., nell'enunciare il principio, ha cassato la sentenza di appello, nel cui dispositivo risultava la sola regolazione delle spese di lite, mentre era del tutto omessa la statuizione di accoglimento dell'appello e di riforma della sentenza di primo grado, e, quindi, la decisione di rigetto della domanda introduttiva proposta).
Cass. civ. n. 11235/2014
Il cumulo tra interessi e risarcimento del danno da rivalutazione monetaria, previsto dall'art. 429, terzo comma, cod. proc. civ., trova applicazione anche nel caso di crediti liquidati, ai sensi dell'art. 18 della legge 20 maggio 1970, n. 300, a titolo di risarcimento del danno da licenziamento illegittimo, i quali, sebbene non siano sinallagmaticamente collegati con una prestazione lavorativa, rappresentano pur sempre l'utilità economica che da questa il lavoratore avrebbe tratto ove la relativa esecuzione non gli fosse stata impedita dall'ingiustificato recesso della controparte. Ne consegue che sia la rivalutazione monetaria che gli interessi legali vanno attribuiti d'ufficio, con decorrenza dalla data del licenziamento sulla somma capitale via via rivalutata.
Cass. civ. n. 4587/2014
Anche nel rito del lavoro è ammissibile una sentenza di condanna generica (non limitata alle ipotesi di sentenza non definitiva con rinvio della liquidazione del "quantum" alla prosecuzione del giudizio), ben potendo la domanda essere limitata fin dall'inizio all'accertamento dell'"an", con conseguente pronuncia di condanna generica, che definisce il giudizio, e connesso onere della parte interessata di introdurre un autonomo giudizio per la liquidazione del "quantum".
Cass. civ. n. 3027/2014
In tema di attribuzioni patrimoniali in favore del lavoratore, le somme spettanti a titolo di risarcimento danni per la violazione di obblighi datoriali hanno natura retributiva solo quando derivino da un inadempimento che, pur non riguardando direttamente l'obbligazione retributiva, incida immediatamente su di essa determinando la mancata corresponsione di compensi dovuti al dipendente. Ne consegue che l'indennità di cui all'art. 32, comma 5, legge 4 novembre 2010, n. 183, spettante al lavoratore a titolo di risarcimento del danno per l'illegittima apposizione del termine al rapporto di lavoro, non ha natura retributiva e su tale indennità non spettano né la rivalutazione monetaria né gli interessi legali, se non dalla data della pronuncia giudiziaria dichiarativa della illegittimità della clausola appositiva del termine al contratto di lavoro subordinato.
Cass. civ. n. 27521/2013
In relazione ai criteri e alle modalità per la corresponsione degli interessi legali e della rivalutazione monetaria, per ritardato pagamento degli emolumenti di natura retributiva, pensionistica ed assistenziale a favore dei dipendenti pubblici in attività di servizio o in quiescenza, l'art. 3, comma 2, del d.m. 1° settembre 1998, n. 352, secondo il quale detti accessori sono calcolati sulle somme dovute, al netto delle ritenute previdenziali, assistenziali ed erariali, si applica anche agli interessi e alla rivalutazione che conseguono ad una sentenza di condanna al pagamento di somme a titolo di differenze retributive, sempre che la sentenza non abbia quantificato essa stessa l'ammontare di tali accessori del credito principale o abbia determinato, in modo diverso, le modalità di calcolo dei medesimi.
Cass. civ. n. 24573/2011
Nel rito del lavoro, ai fini dell'individuazione della data di decisione del giudizio rileva il verbale dell'udienza di discussione che attesta la lettura del dispositivo della sentenza, trattandosi di atto pubblico che fa fede fino a querela di falso.
Cass. civ. n. 13367/2011
In tema di esenzione dal pagamento di spese, competenze e onorari nei giudizi per prestazioni previdenziali ed in base all'art. 152 disp. att. c.p.c. (nel testo risultante dopo la modifica apportata dal d.l. 30 settembre 2003, n. 269, art. 42, comma 11, convertito nella L. 24 novembre 2003, n. 326) - secondo il quale "L'interessato che, con riferimento all'anno precedente a quello di instaurazione del giudizio, si trova nelle condizioni indicate nel presente articolo formula apposita dichiarazione sostitutiva di certificazione nelle conclusioni dell'atto introduttivo e si impegna a comunicare, fino a che il processo non sia definito, le variazioni rilevanti dei limiti di reddito verificatesi nell'anno precedente" - l'onere autocertificativo imposto alla parte ricorrente deve essere assolto con il ricorso introduttivo del giudizio di primo grado, e l'adempimento di tale onere esplica efficacia anche nelle fasi successive, valendo, fino all'esito definitivo del processo, l'impegno di comunicare le variazioni reddituali eventualmente rilevanti.
Cass. civ. n. 2771/2011
Nell'ambito della valutazione equitativa del danno, anche con riferimento ai crediti relativi a rapporti di lavoro (ai quali si applica l'art. 429, comma terzo, c.p.c.), è consentito al giudice inglobare in un'unica somma, insieme con la prestazione principale, interessi e rivalutazione monetaria, ove anche per tali voci ricorrano le condizioni di cui all'art. 1226 c.c., senza necessità di specificare i singoli elementi della liquidazione.
Cass. civ. n. 546/2011
Sui crediti del datore di lavoro verso il lavoratore (nella specie, relativi all'esecuzione mal fatta del lavoro) non spettano gli interessi ove non sia stata formulata specifica domanda nè in primo grado, nè in appello, dovendosi escludere l'applicabilità del disposto di cui all'art. 429, terzo comma, c.p.c., e, quindi, dell'automatismo insito in detta previsione, riconosciuto solo in favore del lavoratore.
Cass. civ. n. 16036/2010
Gli interessi e la rivalutazione sui crediti di lavoro tardivamente corrisposti, ivi compresi quelli concernenti il lavoro pubblico per i periodi anteriori all'entrata in vigore dell'art. 22, comma 36, della legge n. 724 del 1994, vanno liquidati d'ufficio dal giudice, ai sensi dell'art. 429, comma terzo, c.p.c., senza necessità di una specifica domanda del lavoratore, e quindi anche a prescindere dalla loro quantificazione operata dal lavoratore medesimo.
Cass. civ. n. 8894/2010
Nel rito del lavoro il contrasto insanabile tra dispositivo e motivazione determina la nullità della sentenza, da far valere mediante impugnazione, in difetto della quale prevale il dispositivo, che, acquistando pubblicità con la lettura in udienza, cristallizza stabilmente la disposizione emanata. Ne consegue che, in tale evenienza, resta esclusa l'applicabilità del principio dell'integrazione del dispositivo con la motivazione nonché del procedimento di correzione degli errori materiali, il cui ambito è limitato alle ipotesi di contrasto solo apparente tra dispositivo e motivazione. (Nella specie, il dispositivo della sentenza di primo grado, nel disporre la reintegrazione del ricorrente nel posto di lavoro, aveva condannato il datore di lavoro "al pagamento della retribuzione globale di fatto dal licenziamento ad oggi", mentre in motivazione la condanna al pagamento delle retribuzioni era estesa fino alla data della futura reintegrazione; la S.C., attesa la radicale divergenza tra le due indicazioni, ha ritenuto corretta la decisione della corte territoriale che, in difetto di specifica impugnazione, aveva dato rilievo esclusivo al dispositivo e al contenuto logico delle parole usate).
Cass. civ. n. 7395/2010
La rivalutazione dei crediti di lavoro, costituendo una proprietà intrinseca ed indissolubile di tali crediti, come tale riconducibile alla "causa petendi" della domanda con cui il credito è fatto valere, deve essere operata d'ufficio in ogni stato e grado del giudizio, senza necessità di una specifica domanda del lavoratore, sempreché sulla questione non sia già intervenuta una pronuncia, ancorché solo implicita, non contestata dalla parte soccombente, atteso che in tale caso il potere officioso del giudice viene meno per effetto dell'acquiescenza e dalla formazione del giudicato sulla questione. Ne consegue che la pronuncia con la quale il giudice, sia pure implicitamente, neghi la rivalutazione, presuppone un accertamento negativo circa la sussistenza del maggior danno, sicché, in difetto di impugnazione sul punto, si forma al riguardo il giudicato e l'esame della relativa questione resta precluso nelle successive fasi processuali.