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Contratto di finanziamento e controllo dell’impresa in crisi

Contratto di finanziamento e controllo dell’impresa in crisi

L’articolo 2359 c.c. prevede al n. 3 del I comma “i particolari vincoli contrattuali” come possibile causa di un’influenza dominante” di una società su di un’altra, e pertanto del “controllo” tra imprese.
Pur essendo solo il complemento, la conseguenza dei rapporti creati tra le parti, occorre pur sempre che il potere di condizionare la gestione sociale abbia rilevanza giuridica e possa essere dimostrato sulla base del regolamento contrattuale da cui trae origine.
Vi sono contratti d’impresa che più di altri si prestano a creare una situazione tale per cui il venir meno dell’accordo contrattuale potrebbe mettere in pericolo la continuazione del’attività imprenditoriale (esempio, contratti di agenzia, di commissione, di concessione, di somministrazione e di licenza di brevetto).
Non basta, tuttavia, l’astratta idoneità del contratto a costituire condizione di sopravvivenza dell’impresa, ma occorre che l’influenza dominante risulti in concreto da particolari vincoli di subordinazione ulteriori rispetto alla normale disciplina tipica dell’accordo (Musso, Il controllo societario mediante particolari vincoli contrattuali, in Contratto e Impresa, 1995, p. 19).
In questo senso, quindi, non esiste una tipologia contrattuale unitaria tale da integrare di per sé stessa gli elementi costitutivi della fattispecie.
In altre parole, normalmente non è il tipo di contratto che di per sé comporta l’esistenza del rapporto di controllo, ma il concreto atteggiarsi del suo contenuto, come è messo in luce dall’uso, nella definizione dell’art. 2359 n. 3 c.c., dell’aggettivo “particolari”, che sta ad indicare quei vincoli che caratterizzano il contratto nel singolo caso (in tal senso, Tribunale di Milano, 28 aprile 1994 in Società, 1995, p.74).
Occorre pertanto dimostrare il potere della controllante di determinare la politica imprenditoriale e di imporre le proprie scelte nella gestione della società controllata, e ciò deriva, secondo la casistica elaborata dalla dottrina e dalla giurisprudenza maggioritarie, dalla presenza di clausole negoziali che: vincolino l’impresa controllata al perseguimento di determinate strategie produttive e di mercato; istituiscano vincoli e controlli per l’impresa controllata quanto alla selezione e formazione del personale; obblighino l’impresa controllata a produrre o a vendere una determinata quantità di beni; subordinino la permanenza del rapporto contrattuale al mantenimento di una determinata compagine sociale, ovvero di una determinata composizione dell’organo amministrativo della società controllata; condizionino il trasferimento a terzi delle azioni o quote dell’impresa controllata al gradimento della parte contrattuale in posizione dominante; conferiscano all’impresa controllante il diritto di designare uno o più membri dell’organo di gestione dell’impresa controllata; vincolino l’impresa in posizione di dipendenza a non adottare determinate decisioni (ad esempio, in materia di sviluppo, di investimenti) se non con l’assenso preventivo dell’altra o sulla base delle indicazioni e istruzioni di quest’ultima.

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