Danno da perdita del rapporto parentale per il feto non nato
La Corte di Cassazione con l’ordinanza n. 26826 del 2025 ha riconosciuto che la morte del feto, derivante da condotta colposa del personale sanitario, configura per i genitori un danno da perdita del rapporto parentale.
Il caso riguarda una gestante giunta alla 41ª settimana con chiari segni di sofferenza fetale, rispetto ai quali i medici avevano omesso di disporre tempestivamente il parto cesareo, procedendo soltanto la mattina successiva, quando il feto era ormai deceduto per grave asfissia perinatale.
I giudici di primo grado avevano riconosciuto ai genitori un ristoro pari al valore minimo previsto dalle tabelle di Milano, pari ad Euro 165.000 ciascuno; somma successivamente ridotta della metà in appello, sul presupposto che la relazione affettiva fosse solo potenziale, essendo il feto nato morto.
La Suprema Corte, tuttavia, ha censurato la decisione d’appello, ritenendo che il vincolo genitoriale prenda forma già nel corso della gestazione e si consolidi progressivamente, sicché la morte del concepito per colpa medica incide su un rapporto affettivo pienamente attuale e radicato nella dimensione esistenziale dei genitori, generando un danno reale e concreto.
La decisione trova conferma nel precedente orientamento espresso con l’ordinanza n. 26301/2021, ribadendo che il pregiudizio deve essere valutato nella duplice componente del dolore morale soggettivo e del danno dinamico-relazionale, che si manifesta nell’alterazione delle abitudini e dei progetti di vita.
Ne consegue che la riduzione automatica dei valori tabellari per il solo fatto che il feto non sia nato vivo risulta giuridicamente scorretta, poiché contraria ai principi costituzionali di tutela della maternità e della vita (artt. 2, 29, 30 e 31 Cost.) e all’art. 8 della CEDU, che tutela il diritto alla vita familiare.
La Suprema Corte ha altresì confermato che le tabelle di Milano costituiscono il parametro di riferimento vincolante per la liquidazione del danno non patrimoniale, in quanto espressione di un criterio di equità paritaria volto ad assicurare uniformità di trattamento e prevedibilità delle decisioni. Il giudice di merito può discostarsene solo fornendo adeguata e specifica motivazione in relazione alle peculiarità del caso concreto.
Nel giudizio di rinvio, la Corte d’appello dovrà quindi procedere a una nuova liquidazione conforme ai valori tabellari, personalizzando l’importo in funzione dell’intensità della sofferenza patita dai genitori.
Con tale pronuncia, la Corte riafferma la centralità della dimensione affettiva della genitorialità e il diritto dei genitori a un integrale ristoro del pregiudizio subito, nel rispetto dei criteri di equità uniformemente applicabili secondo le Tabelle di Milano.
Principio di diritto
In tema di responsabilità sanitaria, il danno da perdita del feto imputabile ad omissioni e ritardi dei medici è morfologicamente assimilabile al danno da perdita del rapporto parentale, che rileva tanto nella sua dimensione di sofferenza interiore patita sul piano morale soggettivo, quanto nella sua attitudine a riflettersi sugli aspetti dinamico-relazionali della vita quotidiana dei genitori e degli altri eventuali soggetti aventi diritto al risarcimento del danno.
In tema di responsabilità sanitaria, fa perdita del frutto del concepimento prima della sua venuta in vita, imputabile a omissioni e ritardi dei medici, determina fa risarcibilità del danno da perdita del rapporto parentale, che si manifesta prevalentemente in termini di intensa sofferenza interiore tanto del padre, quanto (e soprattutto) della madre.
In tema da risarcimento del danno da perdita del rapporto parentale, il giudice di merito è tenuto ad applicare le tabelle milanesi, utilizzandone i singoli parametri alfa luce dei principi in tema di morfologia del danno da perdita del frutto del concepimento, tenuto conto di tutte le circostanze di fatto portate al suo esame, procedendo altresì, tutte le volte in cui sia possibile, all'interrogatorio libero delle parti ex art. 117 c.p.c.
Riferimenti normativi
Cost. art. 2, 29, 30 e 31
CEDU art. 8
Diritto al rispetto della vita privata e familiare
1. Ogni persona ha diritto al rispetto della propria vita privata e familiare, del proprio domicilio e della propria corrispondenza.
2. Non può esservi ingerenza di una autorità pubblica nell’esercizio di tale diritto a meno che tale ingerenza sia prevista dalla legge e costituisca una misura che, in una società democratica, è necessaria alla sicurezza nazionale, alla pubblica sicurezza, al benessere economico del paese, alla difesa dell’ordine e alla prevenzione dei reati, alla protezione della salute o della morale, o alla protezione dei diritti e delle
libertà altrui.