Cass. pen. n. 9240 del 17 aprile 2009
Testo massima n. 1
La disposizione dell'art. 113 cod. proc. pen., relativa alla "ricostituzione di atti" - applicabile per analogia al rito civile, nel quale mancano specifiche norme che disciplinino la materia - prevede l'emissione di un provvedimento di natura amministrativa (o ordinatoria), assolutamente privo di contenuto decisorio, che non realizza una statuizione sostitutiva di quella già contenuta nel provvedimento mancante, ma interviene a riprodurlo nella sua materialità e secondo il "decisum" che a quell'atto già apparteneva, restando libero il giudice di individuare le modalità utili alla fedele ricostruzione dell'originario contenuto dell'atto mancante, sia nella sua veste formale che nel suo contenuto decisorio. Ne consegue che, ove sia stata disposta la ricostituzione (o "ricostruzione") del verbale di udienza di un processo civile, all'atto ricostituito va attribuito lo stesso valore formale dell'atto mancante, con l'efficacia probatoria fino a querela di falso propria dell'atto pubblico ex art. 2700 cod. civ. ed improponibilità dell'istanza di verificazione ai sensi dell'art. 216 cod. proc. civ., dovendosi escludere che le valutazioni del giudice di merito circa la corrispondenza tra copia utilizzata ai fini della ricostituzione ed originale siano censurabili in cassazione ove non sia configurabile un vizio della motivazione su un punto decisivo. (Nella specie, la S.C., nel rigettare il ricorso, ha rilevato che le modalità, meramente informali, di ricostruzione del fascicolo processuale, ivi compresi i verbali di udienza, adottate dal giudice di merito costituivano semplici irregolarità e non avevano determinato alcuna invalidità processuale o lesione del contraddittorio, per cui gli atti assunti erano stati legittimamente utilizzati per la decisione). (Rigetta, App. Salerno, 07/01/2005).