Matrimoni omosessuali: storica sentenza della Corte UE sul riconoscimento

La controversia origina dal ricorso presentato da due cittadini di nazionalità tedesca ai quali le autorità polacche hanno negato la trascrizione dell’atto matrimoniale.

La Corte di giustizia dell’Unione Europea, riunita in Grande Sezione, ha pronunciato la sentenza C-713/23 con la quale ha stabilito che gli Stati membri dell’Unione non hanno l’obbligo di introdurre nei propri ordinamenti giuridici il matrimonio omosessuale, ma – al fine di garantire ai cittadini europei il diritto di libera circolazione e soggiorno – devono consentire la trascrizione negli archivi dello stato civile di un atto matrimoniale celebrato in un altro Paese membro, qualora questa sia l’unica via per riconoscere l’unione coniugale.

La fattispecie riguarda due cittadini polacchi che avevano contratto matrimonio nella capitale tedesca e successivamente avevano fatto ritorno in Polonia per proseguire la vita coniugale.
La richiesta di trascrizione dell’atto di matrimonio presso i registri dello stato civile polacco aveva ricevuto risposta negativa dalle autorità amministrative, poiché l’ordinamento polacco non ammette le nozze tra persone del medesimo sesso.

Contro il provvedimento di diniego era stato presentato ricorso davanti ai giudici nazionali i quali lo avevano rigettato confermando la decisione degli uffici di stato civile.
La Corte suprema amministrativa polacca, prima di decidere definitivamente, ha sottoposto la questione al giudice di Lussemburgo.

I giudici europei hanno ribadito che compete agli Stati membri disciplinare la materia matrimoniale, purché nel rispetto delle libertà garantite dal diritto dell’Unione.
Infatti, i cittadini dell’Unione europea – proseguono i Giudici – godono del diritto alla libertà di circolazione e di soggiorno nel territorio comunitario, diritto che include la possibilità di proseguire la propria esistenza familiare secondo le proprie determinazioni.
Per l’effetto, allorquando un divieto – come quello posto dalle autorità polacche – ostacola il regolare svolgimento della vita familiare, obbligando di fatto i coniugi a vivere come se non fossero sposati, si verifica una lesione del diritto dell’Unione poiché viene compromessa l’efficacia dei diritti connessi alla cittadinanza europea, oltre al diritto al rispetto della vita privata e familiare sancito dall’articolo 7 della Carta dei diritti fondamentali.

Ciò detto, resta fermo – chiarisce la Corte – il diritto dello Stato di disciplinare l’istituto matrimoniale senza dover modificare il proprio ordinamento, conformemente al margine di discrezionalità riconosciuto agli Stati, purché non si violi il diritto dell’Unione. Di conseguenza, se in un Paese membro l’unica modalità per riconoscere il rapporto familiare tra coppie omosessuali è la trascrizione, le autorità nazionali devono procedere in tal senso e prevedere la trascrizione sia per i matrimoni eterosessuali sia per quelli tra persone dello stesso sesso.
Gli Stati conservano, tuttavia, la facoltà di scegliere altre forme di riconoscimento, a condizione che non rendano impossibile o eccessivamente difficile l’attuazione dei diritti connessi alla cittadinanza europea.

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