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Società estinte e controlli fiscali. Legittimità

Società estinte e controlli fiscali. Legittimità

Con la sentenza n. 142/2020, la Corte Costituzione ha ritenuto legittima la norma sulla durata quinquennale delle società anche dopo la cancellazione dal Registro delle Imprese.
La vicenda origina dalla questione di illegittimità costituzionale sollevata dalla Commissione Tributaria Provinciale di Benevento in merito all’art. 28, comma 4, del D.lgs. 21 novembre 2014, n. 175 in tema di semplificazione fiscale e dichiarazione dei redditi precompilata.
A tenore della ricorrente è stata messa in dubbio la legittimità costituzionale del citato art. 28 laddove dispone che «[a] i soli fini della validità e dell’efficacia degli atti di liquidazione, accertamento, contenzioso e riscossione dei tributi e contributi, sanzioni e interessi, l’estinzione della società di cui all’articolo 2495 del codice civile ha effetto trascorsi cinque anni dalla richiesta di cancellazione del Registro delle imprese» con l’effetto di differire l’efficacia dell’estinzione della società con riguardo ai soli rapporti con l’amministrazione finanziaria e far rivivere per un lungo lasso di tempo un soggetto estinto.
Il Giudice rimettente ha ravvisato due possibili e distinte incostituzionalità; la prima, per la violazione del principio di uguaglianza [ art. 3 Cost. ], poiché detta norma determinerebbe un’ingiustificata disparità di trattamento tra l’amministrazione finanziaria e gli altri creditori sociali; la seconda, per violazione dell’art. 76 Cost. trattandosi di intervento che eccede dal perimetro delle misure finalizzate all’eliminazione degli adempimenti superflui o di scarsa utilità, indicate dalla delega conferita dalle Camere con l’art. 7 della legge 11 marzo 2014, n. 23 [ Delega al Governo recante disposizioni per un sistema fiscale più equo, trasparente e orientato alla crescita ].
La decisione di non fondatezza della Corte – in merito alla censura di violazione dell’art. 76 Cost. – si fonda sulla giurisprudenza della stessa Corte volta a ritenere che per valutare se il legislatore abbia ecceduto da tali margini di discrezionalità occorre individuare la ratio della delega e, dunque, verificare se la norma delegata sia con questa coerente.
In specie, la Corte ha osservato che l’art. 76 Cost. non impedisce l’emanazione di norme che rappresentino un coerente sviluppo e, se del caso, anche un completamento delle scelte espresse dal legislatore delegante e, pertanto, ha ritenuto di escludere che la funzione del legislatore delegato sia limitata ad una mera scansione linguistica delle previsioni stabilite dal primo [ ex plurimis, cfr. C. Cost. sentenze n. 96 del 2020 e n. 10 del 2018 ].
A tale assunto si aggiunge, l’ulteriore valutazione secondo la quale neppure l’assenza di un’espressa previsione del legislatore delegante può impedire, a certe condizioni, l’adozione di norme da parte del delegato, trattandosi in tal caso di verificare che le scelte di quest’ultimo non siano in contrasto con gli indirizzi generali della legge delega [ cfr. C. Cost. sentenze n. 79 del 2019, n. 212 del 2018 e n. 278 del 2016 ].
Per quanto attiene più specificamente, la Corte ha ritenuto che la norma in esame «non può ritenersi volta alla revisione dei regimi fiscali (lettera a) o all’eliminazione degli adempimenti superflui (lettera b), né, tantomeno, alla revisione delle funzioni dei sostituti di imposta, dei centri di assistenza fiscale e degli intermediari fiscali (lettera c), sui quali verte la citata disposizione della legge di delega.», poiché è volta a sopperire alle divergenze tra la disciplina civilistica e la struttura e le finalità specifiche del controllo tributario, stabilendo che «[a]i soli fini della validità e dell’efficacia degli atti di liquidazione, accertamento, contenzioso e riscossione dei tributi e contributi, sanzioni e interessi, l’estinzione della società di cui all’articolo 2495 del codice civile ha effetto trascorsi cinque anni dalla richiesta di cancellazione del Registro delle imprese».
Tale interpretazione, prosegue la Corte, trova conferma nella formulazione dello stesso art. 28, comma 4, del d.lgs. n. 175 del 2014, nel quale il termine quinquennale è stato individuato «avuto riguardo ai termini di cui agli articoli 43, comma 2, del D.P.R. n. 600/73 e 57, comma 2, del D.P.R. n. 633/1972 che disciplinano, rispettivamente, i termini per l’accertamento in ipotesi di omessa dichiarazione II.DD. o IVA».
Infine, non sussiste neppure la denunciata violazione dell’art. 3 Cost., poichè la disciplina di cui all’art. 28, comma 4, del D.lgs. n. 175 del 2014 – nel favorire l’adempimento dell’obbligazione tributaria verso le società cancellate dal registro delle imprese – non determina l’ingiustificata disparità di trattamento fra diverse tipologie di creditori e ciò in ragione della diversa ratio e particolarità dei fini fra le obbligazioni pecuniarie di diritto comune e quelle tributarie per essere quest’ultime poste a «garanzia del regolare svolgimento della vita finanziaria dello Stato» [ cfr. sentenza C. Cost. n. 281/2011 ].

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