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Sottoprodotto, trattamento e normale pratica industriale il punto della Corte di Cassazione

Sottoprodotto, trattamento e normale pratica industriale il punto della Corte di Cassazione

Sulla nozione di rifiuto e sottoprodotto si accendono nuovamente i riflettori in forza della recente sentenza Corte di Cassazione, sezione penale III, del 10 maggio 2012 n. 17353.
Non è certo questa la sede per ripercorrere la discussione, tuttora aperta, sia in dottrina che in giurisprudenza sulle caratteristiche che deve possedere un residuo di produzione per essere qualificato come sottoprodotto, pertanto, mi limiterò a brevi considerazioni user friendly in tema.

La pronuncia in esame fa chiarezza su alcuni aspetti controversi della nozione di sottoprodotto di cui all’art. 184 bis del DLgs. n. 152/2006 in forza della quale affinché  un residuo di produzione possa essere qualificato come sottoprodotto deve rispettate le seguenti condizioni:
– deve originare da un processo di produzione, di cui costituisce parte integrante, e il cui scopo primario non è la produzione di tale sostanza od oggetto;
– deve essere certo che il residuo verrà utilizzato, nel corso dello stesso o di un successivo processo di produzione o di utilizzazione, da parte del produttore o di terzi;
– l’uso del residuo deve avvenire direttamente, senza alcun ulteriore trattamento diverso dalla normale pratica industriale;
– l’ulteriore uso deve essere legale, ossia il residuo deve soddisfare, per l’utilizzo specifico, tutti i requisiti pertinenti riguardanti i prodotti e la protezione della salute e dell’ambiente e non deve procurare impatti complessivi negativi sull’ambiente o sulla salute umana.
Tra le condizioni quella che da origine alle maggiori difficoltà interpretative è la nozione di utilizzato diretto che deve avvenire “senza alcun ulteriore trattamento diverso dalla normale pratica industriale” della sotanza o dell’oggetto; quindi l’unico trattamento consentito è quello conforme alla “normale pratica industriale” sul quale la sentenza in commento ha posto l’accento.

Ed invero, la Corte di Cassazione sul punto osserva che «… sebbene la delimitazione del concetto di “normale pratica industriale” non sia agevolata dalla genericità della disposizione, certamente deve escludersi che possa ricomprendere attività comportanti trasformazioni radicali del materiale trattato che ne stravolgano l’originaria natura.» Deve propendersi, ad avviso del Collegio, per un’interpretazione meno estensiva dell’ambito di operatività della disposizione in esame tale da escludere dal novero della normale pratica industriale tutti gli interventi manipolativi del residuo diversi da quelli ordinariamente effettuati nel processo produttivo nel quale esso viene utilizzato.

Appare evidente che in concreto tale principio possa creare notevoli difficoltà, specie in relazione a processi industriali sempre più evoluti da un punto di vista tecnologico. In altri termini, il trattamento deve rientrare tra quelli comunemente eseguiti nel contesto produttivo nel quale il residuo viene utilizzato e non deve concernere esclusivamente il sottoprodotto, ma deve trattarsi di una lavorazione tipica che subisce anche il prodotto o la materia prima che il sottoprodotto sostituisce.
Per completezza espositiva si evidenzia l’opinione della dottrina dominate sulla normale pratica industraile la quale si può riassumere come segue:
– rientrano nella nozione tutte quelle attività industriali che possono essere indifferentemente condotte con un sottoprodotto piuttosto che con una materia prima purché non comporti aggravi sotto il profilo dell’impatto ambientale;
– la normale pratica industriale è quella ordinariamente in uso nello stabilimento nel quale il sottoprodotto verrà utilizzato laddove le operazioni praticate si identificano con le medesime attuate normalmentre dall’impresa sulla materia prima sostituita;
– i trattamenti della normale pratica industriale possono definirsi come il complesso di operazioni o fasi produttive che, secondo una prassi consolidata nel settore specifico di riferimento, caratterizza un dato ciclo di produzioni di beni e che sono sostanzialmente assimilabili a quelli a cui l’impresa sottopone anche il prodotto industriale ricavato dalla materia prima lavorata, prima di immetterlo sul mercato, al fine di meglio adeguarlo/integrarlo alle singole e specifiche esigenze di produzione, di utilizzo o di commercializzazione;
– l’ulteriore trattamento consentito non deve mai comportare una trasformazione della sostanza o dell’oggetto [con mutamento della struttura e costituzione fisico-chimica], ma può consistere, semmai, in minimi interventi tali da non mutare in alcun modo la struttura, la sostanza e la qualità del sottoprodotto e, comunque, siano normali rispetto al processo di produzione industriale ove avviene il riutilizzo e, soprattutto, detta attività non deve consistere in un trattamento tipico di un rifiuto anche se effettuato al fine di consentirne il recupero.

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