Art. 367 – Codice civile – Dichiarazione di debiti o crediti del tutore
Il tutore, che ha debiti, crediti o altre ragioni verso il minore, deve esattamente dichiararli prima della chiusura dell'inventario. Il cancelliere o il notaio hanno l'obbligo di interpellarlo al riguardo.
Nel caso di inventario senza opera di cancelliere o di notaio, il tutore è interpellato dal giudice tutelare [344] all'atto del deposito [46, 48].
In ogni caso si fa menzione dell'interpellazione e della dichiarazione del tutore nell'inventario o nel verbale di deposito [368].
Le parole ricomprese fra parentesi quadre sono state abrogate.
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Massime correlate
Cass. civ. n. 13038/2025
Il cd. superminimo è soggetto al principio dell'assorbimento, nel senso che, in caso di riconoscimento del diritto del lavoratore a una qualifica superiore, l'emolumento è assorbito dai miglioramenti retributivi previsti per la qualifica superiore, a meno che le parti abbiano convenuto diversamente o la contrattazione collettiva abbia altrimenti disposto, restando a carico del lavoratore l'onere di provare la sussistenza del titolo che autorizza il mantenimento del superminimo, escludendone l'assorbimento. (Nella specie, la S.C. ha confermato la decisione impugnata che, interpretando restrittivamente la lettera di assunzione - secondo cui "ogni futuro aumento dei minimi contrattuali introdotto dalla legge o dal c.c.n.l. sarà assorbito nel superminimo assorbibile" -, aveva limitato tale assorbimento ai soli aumenti dei minimi tabellari, escludendolo per quello derivante dal passaggio automatico ad un superiore inquadramento, previsto dal c.c.n.l. fin dall'assunzione).
Cass. civ. n. 573/2025
Il contratto di comodato che contiene la clausola secondo cui il comodatario può servirsi del bene per l'uso specifico di "vivere con la propria famiglia" è soggetto alla disciplina di cui all'art. 1809 c.c., non essendo connotato da precarietà, perché la sua durata è desumibile per relationem dall'uso convenuto tra le parti, senza che sia di ostacolo a tale conclusione la clausola, inserita nel medesimo contratto, che prevede l'obbligo di restituzione del bene entro trenta giorni dalla richiesta, né quella che contempla l'immediata risoluzione nel caso di separazione coniugale o di decesso del comodatario, essendo entrambe riferibili al recesso giustificato dall'impiego per un uso diverso dalla convivenza del comodatario con la famiglia.
Cass. civ. n. 19948/2024
Nei c.c.n.l. conclusi per l'area della pubblica dirigenza medica e veterinaria succedutisi nel tempo (c.c.n.l. del 5/12/1996, del 8/6/2000, del 3/11/2005, del 17/10/2008 e del 6/5/2010), le parti collettive non hanno inteso costituire un unico fondo destinato alla retribuzione di risultato dei dirigenti medici e veterinari, ma hanno mantenuto distinti i fondi destinati agli uni ed agli altri e, comunque, le rispettive quote, sicché deve ritenersi illegittima, e come tale da disapplicare, la delibera dell'azienda sanitaria locale che ha unificato tali fondi nel momento costitutivo e nella ripartizione, andando così ad alterare i concreti meccanismi di riparto della retribuzione di risultato, la cui determinazione è rimessa dal legislatore all'esclusivo appannaggio delle parti contrattuali.
Cass. civ. n. 17063/2024
Per individuare la comune intenzione delle parti, il giudice deve preliminarmente procedere all'interpretazione letterale dell'atto negoziale e delle singole clausole singolarmente e le une per mezzo delle altre, secondo i criteri ermeneutici principali previsti agli artt. 1362 e ss. c.c.; il giudice può avvalersi del criterio di cui all'art. 1367 c.c., avente carattere sussidiario ed integrativo, solo qualora non sia stato in condizione di individuare il comune intento delle parti attraverso l'utilizzazione delle predette regole interpretative; in caso contrario, l'interpretazione conservativa non può aver luogo.
Cass. civ. n. 15568/2024
La richiesta del lavoratore, anteriore alla scadenza del periodo di comporto, di fruire dell'aspettativa senza stipendio di cui all'art. 51 del c.c.n.l. personale servizi di pulizia del 31 maggio 2011 determina il naturale prolungamento del comporto oltre il previsto termine di dodici mesi, con la conseguenza che nessun licenziamento può essere validamente intimato in detto periodo.
Cass. civ. n. 15367/2024
L'interpretazione degli atti amministrativi a contenuto non normativo soggiace alle regole dettate per i contratti, in quanto compatibili, risolvendosi in un accertamento della volontà negoziale della p.a. riservata al giudice di merito, per la cui censura in sede di legittimità non è sufficiente un astratto richiamo agli artt. 1362 e ss. c.c., ma è necessaria la specificazione dei canoni ermeneutici che in concreto si assumono violati e la precisa indicazione dei punti della motivazione che se ne discostano, nei limiti di quanto previsto dall'art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c., per il caso di violazione di legge, o per omesso esame di un fatto decisivo oggetto di discussione tra le parti ai sensi del novellato art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c. (Nella specie, la S.C. ha rigettato il ricorso avverso la decisione di merito concernente la liquidazione degli indennizzi in favore delle vittime di alluvione, secondo quanto previsto da ordinanze della presidenza del consiglio dei ministri o del commissario straordinario appositamente nominato, ritenendo che di detti atti amministrativi fosse stata fornita una interpretazione plausibile non adeguatamente contrastata).
Cass. civ. n. 8334/2024
In tema di ricorso per cassazione, il requisito della specialità della procura, richiesto a pena di inammissibilità dall'art. 365 c.p.c., è integrato, indipendentemente dal suo contenuto, dalla congiunzione (cd "collocazione topografica") realizzata dall'avvocato, ex art. 83, comma 3, c.p.c., tra la procura rilasciata su foglio separato con firma autenticata e l'atto cui si riferisce, e quindi anche se la procura non contiene un espresso riferimento al provvedimento da impugnare o al giudizio da promuovere, purché da essa non risulti, in maniera evidente, la non riferibilità all'attività professionale tipica del giudizio di legittimità, ed il suo conferimento non sia antecedente alla pubblicazione di detto provvedimento o successivo alla notificazione del ricorso.
Cass. civ. n. 5487/2024
Nell'interpretazione del testamento, il giudice di merito deve accertare, secondo il principio generale ex art. 1362 c.c., l'effettiva volontà del testatore, comunque espressa, valutando congiuntamente e in modo coordinato l'elemento letterale e quello logico dell'atto mortis causa, nel rispetto del principio di conservazione, sicché viola l'art. 1367 c.c. il giudice che opti immotivatamente per l'interpretazione invalidante di una disposizione testamentaria in realtà suscettibile di interpretazioni alternative. (Nella specie, con riguardo a un testamento con cui la de cuius aveva istituito erede il marito, prevedendo a suo carico l'obbligo morale di riscrivere l'atto, dopo la sua morte, e di istituire eredi i cognati, la S.C. ha confermato la sentenza d'appello che, all'esito della premorienza del coniuge istituito, aveva escluso la configurabilità del meccanismo della sostituzione ex art. 688 c.c., in favore dei cognati).
Cass. civ. n. 5281/2024
In tema di cessazione del rapporto di agenzia per recesso dell'agente, non viola i canoni legali di ermeneutica contrattuale il giudice che interpreti una clausola del contratto, secondo cui la maturazione di un premio è sospensivamente condizionata ad una durata minima del rapporto ed alla sua mancata cessazione su iniziativa dell'agente, facendo ricorso al criterio interpretativo sussidiario della conservazione degli effetti ex art. 1367 c.c., da intendersi nel senso che, nei casi dubbi, tra possibili interpretazioni di una clausola contrattuale deve tenersi conto degli inconvenienti cui può portare una o più di esse, evitando perciò, senza sostituirsi alla volontà delle parti, di adottare una soluzione che renda improduttiva di effetti la clausola stessa. (Nella specie la S.C. ha rigettato il ricorso avverso la decisione impugnata che, accertata la giusta causa del recesso dell'agente, aveva interpretato l'espressione adoperata nella clausola contrattuale "cessazione del contratto per sua iniziativa - per qualsiasi ragione o causa" come tale da presupporre una decisione o un atto libero e volontario e non coartato, sia pure indirettamente, dalla condotta illegittima del preponente, facendo leva su uno dei possibili significati del termine "iniziativa", compatibile con il suo significato letterale, respingendo così altra interpretazione che avrebbe condotto a ritenere la nullità della clausola per contrasto con l'art. 1355 c.c.).
Cass. civ. n. 1373/2024
In tema di conto corrente bancario, non è nulla la clausola contrattuale che individui la commissione di massimo scoperto mediante la sola specificazione del tasso percentuale, senza alcun riferimento alla periodicità di calcolo, laddove detta periodicità sia comunque determinabile facendo corretto uso delle regole di interpretazione del contratto, avuto riguardo, in particolare, alla necessità di tener conto delle altre previsioni negoziali e di una interpretazione secondo buona fede del testo contrattuale che valorizzi la comune volontà delle parti.
Cass. civ. n. 3142/2023
conseguentemente presumere rientrante nella competenza del giudice adito, ai sensi dell'art. 14, comma 1, c.p.c. (Nella specie, la S.C. ha ritenuto di competenza del tribunale la domanda di risarcimento del danno nella quale l'attrice, nel fare ricorso alla suddetta formula in alternativa all'indicazione della somma di euro 3.450,00, aveva altresì rinviato, per la determinazione del "quantum", alle risultanze di una consulenza tecnica d'ufficio da espletarsi eventualmente nel giudizio).
Cass. civ. n. 16079/2022
In tema di procura alle liti, a seguito della riforma dell'art. 83 c.p.c. disposta dalla l. n. 141 del 1997, il requisito della specialità, richiesto dall'art. 365 c.p.c. come condizione per la proposizione del ricorso per cassazione (del controricorso e degli atti equiparati), è integrato, a prescindere dal contenuto, dalla sua collocazione topografica, nel senso che la firma per autentica apposta dal difensore su foglio separato, ma materialmente congiunto all'atto, è in tutto equiparata alla procura redatta a margine o in calce allo stesso; tale collocazione topografica fa sì che la procura debba considerarsi conferita per il giudizio di cassazione anche se non contiene un espresso riferimento al provvedimento da impugnare o al giudizio da promuovere, purché da essa non risulti, in modo assolutamente evidente, la non riferibilità al giudizio di cassazione, tenendo presente, in ossequio al principio di conservazione enunciato dall'art. 1367 c.c. e dall'art. 159 c.p.c., che nei casi dubbi la procura va interpretata attribuendo alla parte conferente la volontà che consenta all'atto di produrre i suoi effetti.
Cass. civ. n. 24901/2021
Poiché il giudice del merito ha il dovere di aderire, tra le interpretazioni possibili, ad una lettura delle pattuizioni contrattuali che ne conservi l'attitudine a produrre effetti ex art. 1367 c.c., con il limite della impossibilità di procedere ad una interpretazione sostitutiva della volontà delle parti, dovendo in tal caso il giudice dichiarare la nullità del contratto o della clausola, deve essere cassata con rinvio la decisione di merito che ha dichiarato la nullità per impossibilità dell'oggetto di due contratti collegati (un patto di opzione di vendita ed un contratto di locazione di un bene immobile) perfezionati in un contesto negoziale in cui il bene oggetto dell'opzione non è pacificamente di proprietà dell'alienante-locatore sin dall'origine (essendo l'utilizzatore in base ad un contratto di leasing), senza che sia stata preliminarmente sperimentata l'opzione ermeneutica proclive a riconoscere la suscettibilità del congegno negoziale a realizzare in concreto l'effetto traslativo programmato dalle parti, tenendo conto che la vicenda negoziale è riconducibile allo schema della vendita di cosa altrui ex art. 1478 c.c.
Cass. civ. n. 10984/2021
Ai fini della determinazione dello scaglione degli onorari di avvocato per la liquidazione delle spese di lite a carico della parte la cui domanda di pagamento di somme o di risarcimento del danno sia stata rigettata, il valore della causa, che va determinato in base al "disputatum", deve essere considerato indeterminabile quando, pur essendo stata richiesta la condanna di controparte al pagamento di una somma specifica, vi si aggiunga l'espressione "o di quella maggiore o minore che si riterrà di giustizia" o espressioni equivalenti, poiché, ai sensi dell'art. 1367 c.c., applicabile anche in materia di interpretazione degli atti processuali di parte, non può ritenersi, "a priori" che tale espressione sia solo una clausola di stile senza effetti, dovendosi, al contrario, presumere che in tal modo l'attore abbia voluto indicare solo un valore orientativo della pretesa, rimettendone al successivo accertamento giudiziale la quantificazione.
Cass. civ. n. 16079/2020
Ai fini della validità di una disposizione testamentaria, non è necessario che il beneficiario sia indicato nominativamente, essendo sufficiente che lo stesso sia determinabile in base ad indicazioni desumibili dal contesto complessivo della scheda testamentaria nonché da elementi ad essa estrinseci, come la cultura, la mentalità e l'ambiente di vita del testatore, dovendosi improntare l'operazione ermeneutica alla valorizzazione del criterio interpretativo di conservazione previsto dall'art. 1367 c.c., da ritenersi applicabile anche in materia testamentaria. (Cassa con rinvio, CORTE D'APPELLO MILANO, 26/06/2017).
Cass. civ. n. 19493/2018
Quando il senso del contratto o di una sua clausola sia rimasto oscuro o ambiguo nonostante l'utilizzo dei principali criteri ermeneutici (letterale, logico e sistematico), deve trovare applicazione il principio della conservazione degli effetti utili del contratto, previsto dall'art. 1367 c.c.; ne consegue che qualora le espressioni contenute nel contratto siano ritenute inidonee a consentire una inequivoca interpretazione, si deve comunque accertare se le contrapposte versioni delle parti siano corredate da buona fede, valutandone il comportamento complessivo, tenendo conto anche degli effetti, con il limite comune agli altri criteri sussidiari, secondo cui la conservazione del contratto non può mai comportare una interpretazione sostitutiva della volontà delle parti, dovendo in tal caso il giudice dichiarare, ove ne ricorrano gli estremi, la nullità del contratto o della clausola (Nella specie la S.C. ha cassato la sentenza di merito che aveva interpretato una clausola contrattuale, che prevedeva la facoltà di recesso solo in caso di colpa grave, nel senso di privarne del tutto la produzione di effetti).
Cass. civ. n. 10821/2016
In tema di società a responsabilità limitata, il potere di convocare l'assemblea (nella specie, per decidere sulla revoca dell'amministratore), in caso di inerzia dell'organo di gestione, deve riconoscersi, nel silenzio della legge e dell'atto costitutivo, ai soci che rappresentino almeno un terzo del capitale sociale, stante, da un lato, il mancato richiamo, nella disciplina di tali società, dell'art. 2367 c.c., dettato per le società per azioni e non applicabile in via analogica, attesa la forte differenza tra i due tipi societari, e, dall'altro, l'inutilizzabilità dell'art. 2487 c.c., in quanto relativo alla nomina e revoca non degli amministratori ma dei liquidatori. (Principio di diritto pronunciato ai sensi dell'art. 363, comma 3, c.p.c.).
Cass. civ. n. 6116/2013
L'esigenza di conservazione del contratto presuppone una verifica giudiziale (di mero fatto ed in applicazione dei criteri generali dell'ermeneutica contrattuale) sulla estensione dell'effettiva e reale volontà delle parti, alla quale dovrà riconoscersi prevalenza - senza che sia possibile addivenire all'annullamento del contratto per errore ostativo, pur in presenza di erronea formulazione, redazione o trascrizione di elementi di fatto nel documento contrattuale - ove si identifichi un accordo effettivo e reale su tutti gli elementi del contratto, in primo luogo il suo oggetto. Per contro, ove il contenuto apparente di singole clausole risulti diverso da quello realmente voluto dalle parti, dovrà ritenersi mancante il requisito dell'"in idem placitum consensus", indispensabile per la configurabilità, sul punto, di un accordo contrattuale.
Cass. civ. n. 28357/2011
In tema di interpretazione del contratto, il criterio ermeneutico contenuto nell'art. 1367 c.c. - secondo il quale, nel dubbio, il contratto o le singole clausole devono interpretarsi nel senso in cui possono avere qualche effetto, anziché in quello secondo cui non ne avrebbero alcuno - va inteso non già nel senso che è sufficiente il conseguimento di qualsiasi effetto utile per una clausola, per legittimarne una qualsivoglia interpretazione pur contraria alle locuzioni impiegate dai contraenti, ma che, nei casi dubbi, tra possibili interpretazioni, deve tenersi conto degli inconvenienti cui può portare una (o più) di esse e perciò evitando di adottare una soluzione che la renda improduttiva di effetti. Ne consegue che detto criterio - sussidiario rispetto al principale criterio di cui all'art. 1362, primo comma, c.c. - condivide il limite comune agli altri criteri sussidiari, secondo cui la conservazione del contratto, cui esso è rivolto, non può essere autorizzata attraverso una interpretazione sostitutiva della volontà delle parti, dovendo in tal caso il giudice evitarla e dichiarare, ove ne ricorrano gli estremi, la nullità del contratto.
Cass. civ. n. 27564/2011
Il principio della conservazione degli effetti utili del contratto o di una sua clausola, previsto dall'art. 1367 c.c., avendo carattere sussidiario, può e deve trovare applicazione solo quando siano stati utilizzati i criteri letterale, logico e sistematico di indagine e, nonostante ciò, il senso del contratto o della clausola sia rimasto oscuro o ambiguo. Ne consegue che il giudice di merito, una volta ritenute oscure ed inidonee a consentire un'inequivoca interpretazione le espressioni contenute nel contratto, deve comunque accertare se le contrapposte versioni delle parti siano corredate da buona fede, valutandone il comportamento complessivo, nonché verificare, all'esito di eventuale istruttoria, quali effetti la scrittura produca per le parti, anziché ritenere tali espressioni prive di ogni effetto. (In applicazione dell'enunciato principio, la S.C. ha cassato la sentenza di merito, la quale, seguendo il criterio interpretativo del senso letterale delle parole, aveva dichiarato la nullità di un contratto di compravendita per l'indeterminatezza del prezzo d'opzione, stabilito in parte in contanti ed in parte mediante accollo delle rate di mutuo ancora da versare, così trascurando di utilizzare gli altri criteri ermeneutici sussidiari, indispensabili al fine di evitare di adottare una soluzione che rendesse la scrittura improduttiva di effetti).
Cass. civ. n. 19104/2009
In materia contrattuale, è rimesso all'apprezzamento del giudice di merito, insindacabile in sede di legittimità se sorretto da congrua e corretta motivazione, lo stabilire se una determinata clausola contrattuale sia soltanto di stile ovvero costituisca espressione di una concreta volontà negoziale con efficacia normativa del rapporto. Tuttavia, sia per il principio di conservazione delle clausole contrattuali, sia perché rispondente all'interesse dell'acquirente di un immobile a non esser limitato nella disponibilità e nel godimento del medesimo, non può ritenersi generica ed indeterminata, e pertanto di stile, senza ulteriori argomenti al riguardo, la clausola secondo la quale l'alienante garantisce la libertà del bene da ipoteche, pesi e trascrizioni pregiudizievoli, pur se essa è sintetica e onnicomprensiva.
Cass. civ. n. 3293/1997
In tema di interpretazione del contratto, l'art. 1367 c.c. non impone di attribuire all'atto un significato tale da assicurare la sua più estesa applicazione, ma richiede soltanto, per il principio di conservazione cui attende, che il significato attribuitogli possa avere un qualche effetto, specie se l'interpretazione comportante la più estesa applicazione dell'atto è da escludersi sulla base di una lettura che tenga conto degli altri, prioritari, criteri ermeneuti codificati. (In applicazione del suddetto principio, la S.C. ha confermato la sentenza d'appello che aveva interpretato la clausola di un contratto intervenuto tra una società di costruzioni e il Comune di Fiuggi non come deroga convenzionale alla competenza arbitrale prevista dall'art. 43 D.P.R. n. 1063 del 1962, bensì come semplice indicazione del foro competente nelle ipotesi di responsabilità extracontrattuale per danni cagionati a terzi).
Cass. civ. n. 2773/1996
Nel caso in cui un contratto (nella specie, di assicurazione contro i danni) contenga due clausole che disciplinano in modo diverso, e ciascuno esaustivo, lo stesso fatto, correttamente il giudice del merito attribuisce prevalenza a quella che ritiene più congrua alla soddisfazione degli interessi di entrambe le parti, atteso che, così operando, egli osserva sia il principio di conservazione del contratto (art. 1367 codice civile) — perché se le parti hanno attribuito ad un fatto una tale rilevanza da fame oggetto di due diverse clausole, entrambe esaustive, deve ritenersi che sia conforme alla volontà delle parti che almeno una clausola rimanga efficace — sia il principio di buona fede (art. 1366 codice civile), che nella scelta impone di preferire la clausola che soddisfi (meglio) l'interesse di entrambe le parti.
Cass. civ. n. 358/1994
Il presidente del tribunale che a norma del secondo comma dell'art. 2367 c.c., nel caso in cui gli amministratori o i sindaci non provvedano alla convocazione dell'assemblea, richiesta da tanti soci che rappresentino almeno un quinto del capitale sociale, ne ordina la convocazione, non ha il potere di stabilire chi ed in quale misura debba anticipare le spese di convocazione atteso che detta norma, a differenza di quanto previsto dall'art. 2409 c.c., nulla dispone in ordine all'onere o all'anticipazione delle spese relative all'attuazione del provvedimento.
Cass. civ. n. 5862/1987
Il contratto verbale costitutivo di una società di fatto, senza determinazione di tempo, con il conferimento del godimento di beni immobili essenziali al raggiungimento dello scopo sociale, è affetto da nullità, ai sensi dell'art. 2251 c.c., in relazione all'art. 1350 n. 9 c.c. il quale contempla la forma scritta ad substantiam per detti conferimenti immobiliari ove siano ultranovennali od a tempo indeterminato. Per escludere detta nullità non è invocabile il principio della conservazione del negozio giuridico, di cui all'art. 1367 c.c., al fine di circoscrivere il patto societario nei limiti del novennio per cui non è necessaria la forma scritta, in quanto ciò esulerebbe dalla mera interpretazione della volontà delle parti, traducendosi in un'arbitraria sostituzione del loro effettivo intento.
Cass. civ. n. 6896/1983
Alla stregua del generale principio della conservazione, il quale importa che, attraverso l'interpretazione, debba attribuirsi al negozio la portata conforme alla effettiva volontà del suo autore, ancorché manifestata in forma impropria ed imprecisa e non perfettamente adeguata allo scopo perseguito, un atto formulato quale semplice ricognizione o conferma (o anche quale convalida o ratifica) di un precedente atto nullo ben può implicarne la rinnovazione con effetti costitutivi ex nunc, ove in via di interpretazione si possa ritenere ordinata a tale fine la manifestata volontà della parte (o delle parti), in funzione della sua intrinseca essenza.
Cass. civ. n. 1348/1977
Il disposto dell'art. 1367 c.c., secondo cui, nel dubbio, il contratto o le singole clausole devono interpretarsi nel senso in cui possano avere qualche effetto, anziché in quello secondo cui non ne avrebbero alcuno, non può essere inteso nel senso di escludere assolutamente, e in ogni caso, che le parti possano aver impiegato dei mezzi negoziali oggettivamente inidonei a costituire qualsiasi vincolo giuridico.
Cass. civ. n. 1100/1977
L'interprete deve ricorrere al criterio ermeneutico integrativo fissato dall'art. 1367 c.c. soltanto quando, esaurita l'interpretazione ricognitiva, rimanga ancora in dubbio, il che non si verifica se alla clausola da interpretare egli abbia già attribuito con certezza un senso determinato, ancorché tale da svelarne il carattere pleonastico.
Cass. civ. n. 869/1977
Il criterio di ermeneutica contrattuale contenuto nell'art. 1367 c.c. circa la conservazione delle clausole contrattuali dubbie, va inteso non già nel senso che è sufficiente il conseguimento di un qualsiasi effetto per una clausola che può dar luogo a più conseguenze possibili, bensì nel senso che deve preferirsi l'effetto di maggiore e più sicura ampiezza sulle varie ipotesi prospettate come possibili e perciò dubbie.
Cass. civ. n. 2130/1975
Ai fini dell'interpretazione di una dichiarazione unilaterale di volontà oscura ed ambigua, rispetto alla quale sia dubbio se la parte abbia inteso porre in essere una rinunzia abdicativa ovvero una mera proposta contrattuale, il principio della conservazione del contratto, applicabile anche all'interpretazione, degli atti unilaterali, secondo cui, a norma dell'art. 1367 c.c., il negozio deve essere interpretato nel senso in cui possa avere qualche effetto, anziché in quello secondo il quale non ne avrebbe alcuno, non può essere utilizzato al fine di attribuire all'anzidetta dichiarazione — in mancanza di ogni altro elemento — il valore di rinunzia invece che di semplice proposta, poiché le proposte contrattuali non sono, di per sé, prive di qualsiasi effetto giuridico, potendo comportare a carico dei loro autori, quanto meno una responsabilità precontrattuale.