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Art. 1435 — Caratteri della violenza

Art. 1435 — Caratteri della violenza

La violenza deve essere di tal natura da fare impressione sopra una persona sensata e da farle temere di esporre sé o i suoi beni a un male ingiusto e notevole . Si ha riguardo, in questa materia, all’età, al sesso e alla condizione delle persone.

L’eventuale comma dell’articolo ricompreso fra parentesi quadre è stato abrogato.

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Aggiornato al 1 gennaio 2020
Il testo riportato è reso disponibile agli utenti al solo scopo informativo. Pertanto, unico testo ufficiale e definitivo è quello pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale Italiana che prevale in casi di discordanza rispetto al presente.
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Massime correlate

Cass. civ. n. 19974/2017

In tema di violenza morale, quale vizio invalidante del consenso, i requisiti previsti dall’art. 1435 c.c. possono variamente atteggiarsi, a seconda che la coazione si eserciti in modo esplicito, manifesto e diretto, o, viceversa, mediante un comportamento intimidatorio, oggettivamente ingiusto, anche ad opera di un terzo; è in ogni caso necessario che la minaccia sia stata specificamente diretta ad estorcere la dichiarazione negoziale della quale si deduce l’annullabilità e risulti di natura tale da incidere, con efficacia causale concreta, sulla libertà di autodeterminazione dell’autore di essa. L’apprezzamento del giudice di merito sulla esistenza della minaccia e sulla sua efficacia a coartare la volontà di una persona, si risolvono in un giudizio di fatto, incensurabile in cassazione se motivato in modo sufficiente e non contraddittorio. (Nella specie, la S.C. ha confermato la decisione di merito che aveva escluso fosse viziato da violenza morale un accordo di risoluzione consensuale, raggiunto a seguito di trattative condotte con l’assistenza degli avvocati di entrambe la parti, che prevedeva il pagamento al dirigente di somme superiori a quelle cui avrebbe avuto diritto in caso di recesso illegittimo).

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Cass. civ. n. 7394/2008

Il contratto può essere annullato ai sensi dell’art. 1434 c.c. qualora la volontà del contraente sia stata alterata dalla coazione, fisica o psichica, proveniente dalla controparte o da un terzo, requisiti che non ricorrono ove la determinazione del lavoratore – e la conseguente rinunzia ad una porzione dei compensi maturati – sia stata provocata da timori meramente interni ovvero da personali valutazioni di convenienza. (Nella specie, la S.C., nel confermare la sentenza impugnata, avente ad oggetto un complesso rapporto economico relativo al conseguimento di un contributo ministeriale per la costruzione di un pastificio e di altri stabilimenti, ha ritenuto che la decisione del lavoratore di sottoscrivere un atto di rinunzia alle pretese economiche già avanzate, adottata a seguito delle personali preoccupazioni sulla propria situazione economica e sul buon fine dei progetti di costruzione degli opifici, rispondesse a scelte individuali e spontanee). 

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Cass. civ. n. 8430/2000

In tema di violenza morale, quale vizio del consenso invalidante, i requisiti previsti dall’art. 1435 c.c. possono variamente atteggiarsi, a seconda che la coazione si eserciti in modo esplicito, manifesto e diretto, o, viceversa, mediante un comportamento intimidatorio, oggettivamente ingiusto, ed anche ad opera od iniziativa di un terzo. Requisito indefettibile è, tuttavia, che la minaccia sia stata specificamente diretta al fine di estorcere il consenso per il negozio del quale si deduce l’annullabilità e risulti di tale natura da incidere, con efficienza causale concreta, sulla libertà di volizione del soggetto passivo. Conseguentemente, non è di per sé sola riconducibile al timore prodotto da violenza altrui la rappresentazione interna di un pericolo di danno, anche se non conseguente ad un processo psicologico puramente interno e connessa, invece, a circostanze esterne, eventualmente riconducibili all’attività di terzi, che possono incidere sulla libertà di autodeterminazione. (Alla stregua del principio enunciato in massima, la S.C. ha confermato la decisione dei giudici di merito che avevano escluso la configurabilità di una ipotesi di violenza morale in una transazione, stipulata dal titolare di una ditta nei cui confronti pendevano numerose istanze di fallimento con le compagnie presso le quali lo stesso aveva assicurato il relativo rischio, in relazione al danno subito in occasione di un incendio verificatosi nel suo magazzino, transazione della quale l’imprenditore aveva chiesto l’annullamento deducendo di essere stato costretto ad accettare l’offerta per lo stato di bisogno, noto alle predette compagnie, nel quale si era venuto a trovare a causa delle ricordate istanze di fallimento).

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Cass. civ. n. 7844/1993

La violenza per assurgere a causa di invalidità del contratto deve concretarsi nella minaccia attuale di un male futuro, dipendente in qualche modo dal comportamento dello stesso autore della vis compulsiva in quanto se la rappresentazione di un pericolo di danno non deriva dal comportamento del minacciante, bensì dalla considerazione di altre circostanze che sfuggono al dominio del medesimo, tale semplice metus ab intrinseco, ove anche incida sul processo formativo della volontà negoziale, facendo venir meno quella libertà di determinazione cui ogni contrattazione deve essere informata, non è idoneo ad invalidare il negozio. (Nella specie la Suprema Corte enunciando il surriportato principio ha ritenuto corretta la decisione con la quale era stata esclusa l’invalidità per preteso vizio del consenso nella minaccia di denuncia penale per illecito edilizio, perché la procedibilità ex officio dello eventuale procedimento penale e quindi la sua inevitabilità escludevano l’esistenza di un metus ab extrinseco riconducibile all’art. 1435 c.c.).

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Cass. civ. n. 6490/1987

La violenza, perché assurga a causa di invalidità del contratto, anche quando consista nella minaccia di far valere un diritto, deve intervenire in un momento anteriore al negozio e concretarsi nella minaccia attuale di un male futuro, dipendente in qualche modo dal comportamento dello stesso autore della vis compulsiva. Se la minaccia, invece, non è più attuale, nel senso che sia già interamente esaurita la condotta collocabile come antecedente causale, o almeno concausale, del male temuto dal soggetto passivo, la rappresentazione, da parte di quest’ultimo, di un pericolo di danno non deriva più dal comportamento del minacciante, bensì dalla considerazione di altre circostanze che sfuggono completamente al dominio del medesimo e si atteggia, quindi, come semplice metus ab intrinseco che, ove anche incida sul processo formativo della volontà negoziale, facendo venir meno quella libertà di determinazione cui ogni contrattazione deve essere informata, non è idoneo ad invalidare il negozio. (Nella specie la Suprema Corte, enunciando il surriportato principio, ha ritenuto giuridicamente corretta la decisione con la quale era stata esclusa l’invalidità, per preteso vizio del consenso, di un accordo transattivo stipulato dopo che uno dei contraenti aveva già presentato a carico dell’altro una denunzia per truffa aggravata, perseguibile di ufficio, e non era più in grado, quindi, di incidere sull’esito del procedimento penale).

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Cass. civ. n. 368/1984

La violenza morale può estrinsecarsi secondo una fenomenologia varia ed indefinita, e quindi anche in modo non esplicito ma indeterminato o indiretto, sempreché sussista il requisito — indefettibile per la rilevanza di tale forma di violenza — che la minaccia sia specificamente diretta al fine di estorcere il consenso per l’atto di cui si chieda l’annullamento. La valutazione — alla stregua del materiale probatorio — della sussistenza della minaccia di un male ingiusto, nonché del rapporto di causalità tra questa ed il compimento dell’atto impugnato, costituisce un accertamento di fatto riservato al giudice del merito e non censurabile in sede di legittimità, se adeguatamente motivato. (Nella specie, la sentenza impugnata — confermata dalla Suprema Corte — aveva, in particolare, ritenuto, che la minaccia di licenziamento per giusta causa, subita dal lavoratore in una temporanea situazione di difficile contestabilità delle false prove predisposte a suo carico, fosse atto idoneo a fargli temere l’esposizione ad un male ingiusto e notevole e tale, quindi, da indurlo a dare le dimissioni mediante la firma della lettera all’uopo predisposta presso l’azienda).

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Cass. civ. n. 4378/1974

Il metus ab intrinseco, derivante dalla paura ispirata da uno stato di fatto oggettivo, non può essere causa invalidante di un negozio giuridico, occorrendo invece, a tal fine, che il timore provenga dall’esterno, ad opera di un soggetto che usi violenza o minaccia, sia esso l’altro contraente od un terzo; che, inoltre, la minaccia ingiusta sia tale da incidere sul processo di formazione della volontà così da fare venire meno questa libertà di determinazione cui deve essere informata ogni contrattazione.

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