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Art. 1439 — Dolo

Art. 1439 — Dolo

Il dolo è causa di annullamento del contratto quando i raggiri usati da uno dei contraenti sono stati tali che, senza di essi, l’altra parte non avrebbe contrattato.

Quando i raggiri sono stati usati da un terzo, il contratto è annullabile se essi erano noti al contraente che ne ha tratto vantaggio.

L’eventuale comma dell’articolo ricompreso fra parentesi quadre è stato abrogato.

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Aggiornato al 1 gennaio 2020
Il testo riportato è reso disponibile agli utenti al solo scopo informativo. Pertanto, unico testo ufficiale e definitivo è quello pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale Italiana che prevale in casi di discordanza rispetto al presente.
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Massime correlate

Cass. civ. n. 11009/2018

Il dolo omissivo rileva quale vizio della volontà, idoneo a determinare l’annullamento del contratto, solo quando l’inerzia della parte si inserisca in un complesso comportamento adeguatamente preordinato, con malizia o astuzia, a realizzare l’inganno perseguito; pertanto, il semplice silenzio e la reticenza, anche su situazioni di interesse della controparte, non immutando la rappresentazione della realtà, ma limitandosi a non contrastare la percezione di essa alla quale sia pervenuto l’altro contraente, non costituiscono causa invalidante del contratto. (In applicazione di tale principio la S.C., con riferimento ad un contratto di compravendita immobiliare, ha escluso che il silenzio serbato dal venditore, nella fase delle trattative, sulla possibilità di un imminente recesso della banca conduttrice dei locali oggetto del contratto potesse configurare una ipotesi di dolo omissivo, ritenendo dirimente la circostanza che nel contratto di locazione tra la venditrice e la banca, conosciuto dall’acquirente, era prevista la facoltà di recesso “ad nutum” del conduttore e che, perciò, quel reddito locativo non era, né poteva essere considerato, sicuro).

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Cass. civ. n. 1585/2017

In tema di dolo quale causa di annullamento del contratto, sia nella ipotesi di dolo commissivo che in quella di dolo omissivo, gli artifici o i raggiri, la reticenza o il silenzio devono essere valutati in relazione alle particolari circostanze di fatto ed alle qualità e condizioni soggettive dell’altra parte, onde stabilire se erano idonei a sorprendere una persona di normale diligenza, giacché l’affidamento non può ricevere tutela giuridica se fondato sulla negligenza. (Nella specie, la S.C. ha confermato la sentenza impugnata che non aveva ravvisato la sussistenza del dolo nelle assicurazioni fornite da una banca in ordine all’insussistenza di protesti o altre esposizioni debitorie a carico di una moglie legalmente separata in cui favore l’ex marito aveva acconsentito all’iscrizione di ipoteca su di un bene comune a garanzia di un mutuo, ben potendo egli acquisire conoscenza delle reali condizioni economiche della ex coniuge).

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Cass. civ. n. 18930/2016

Il contratto concluso per effetto di truffa di uno dei contraenti in danno dell’altro è annullabile ai sensi dell’art. 1439 c.c., atteso che il dolo costitutivo di tale delitto non è ontologicamente diverso, neanche sotto il profilo dell’intensità, da quello che vizia il consenso negoziale, entrambi risolvendosi in artifizi o raggiri adoperati dall’agente e diretti ad indurre in errore l’altra parte e così a viziarne il consenso. Pertanto, la costituzione di parte civile nei confronti dell’imputato cui tale truffa sia stata contestata, implicando la piena conoscenza degli estremi fattuali del reato ascritto, e quindi del dolo, è idonea a far decorrere, ex art. 1442, comma 2, c.c., il termine quinquennale di prescrizione dell’azione di annullamento.

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Cass. civ. n. 4065/2014

In tema di vizi del consenso, vige il principio “fraus omnia corrumpit”, in virtù del quale il dolo decettivo conduce all’annullamento del contratto (come pure del negozio unilaterale) qualunque sia l’elemento sul quale il “deceptus” sia stato ingannato e, dunque, in relazione a qualunque errore in cui sia stato indotto, ivi compreso quello sul valore o sulle qualità del bene oggetto del negozio.

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Cass. civ. n. 13566/2008

Il contratto concluso per effetto di truffa di uno dei contraenti in danno dell’altro, non è nullo, ma annullabile, ai sensi dell’articolo 1439 c.c. Infatti, il dolo costitutivo del delitto di truffa (articolo 640 c.p.) non è diverso, né ontologicamente né sotto il profilo intensivo, da quello che vizia il consenso negoziale, atteso che entrambi si risolvono negli artifici o raggiri adoperati dall’agente e diretti ad indurre in errore l’altra parte e così viziarne il consenso.

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Cass. civ. n. 2479/2007

Le false o omesse indicazioni di fatti la cui conoscenza è indispensabile alla controparte per una corretta formazione della sua volontà contrattuale (nella specie, in una compravendita di automezzi, non era stato comunicato che gli stessi erano d’ importazione e che godevano di una minore garanzia) possono comportare l’annullamento del contratto per dolo, nel caso in cui la controparte, qualora fosse stata a conoscenza delle circostanze maliziosamente taciute, non avrebbe concluso il contratto, o possono comportare l’obbligo per il contraente mendace o reticente di risarcire il danno, ove la controparte si sarebbe comunque determinata a concludere l’affare ma a condizioni diverse, salvo che il contraente mendace non provi che la controparte era comunque a conoscenza dei fatti da lui maliziosamente occultati o che avrebbe potuto conoscerli, usando la normale diligenza; l’accertamento se si versi in una ipotesi di dolo determinante o incidente costituisce valutazione di merito, non sindacabile in sede di legittimità ove adeguatamente motivata.

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Cass. civ. n. 5166/2003

Il dolo è, ai sensi dell’art. 1439 c.c., causa di annullamento del contratto, allorché si sia con cretato in artifici o raggiri o anche menzogne, che — ingenerando nella controparte una rappresentazione alterata della realtà — siano stati determinanti del consenso che altrimenti non sarebbe stato prestato.

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Cass. civ. n. 2104/2003

Il dolo che vizia la volontà e causa l’annullamento del contratto implica la conoscenza da parte dell’agente delle false rappresentazioni che si producono nella vittima ed il convincimento che sia possibile determinare con artifici, menzogne e raggiri, inducendola specificamente in inganno, la volontà altrui; pertanto la reticenza e il silenzio non bastano a costituire il dolo se non in rapporto alle circostanze e al complesso del contegno che determina l’errore del deceptus, che devono essere tali da configurarsi quale malizia o astuzia volta a realizzare l’inganno perseguito. (Nella specie la S.C. ha confermato, in quanto immune da vizi di motivazione, la sentenza di merito che aveva ritenuto legittimo il recesso del datore di lavoro dal contratto di formazione e lavoro per sopravvenuto accertamento di inidoneità alle mansioni, ma aveva escluso la sussistenza del dolo nel comportamento di un lavoratore, successivamente riconosciuto invalido, che aveva reso noto all’inizio della procedura di assunzione di essere stato esonerato dal servizio militare per un incidente, tacendo di aver presentato una domanda per il riconoscimento di invalidità civile).

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Cass. civ. n. 3001/1996

Le dichiarazioni precontrattuali con le quali una parte cerchi di rappresentare la realtà nel modo più favorevole ai propri interessi (nella specie, riguardanti l’affidamento che un’impresa riscuote sul mercato) non integrano gli estremi del dolus malus quando, nel contesto dato, non sia ragionevole supporre che l’altra parte possa aver attribuito a quelle dichiarazioni un peso particolare, considerato il modesto livello di attendibilità che, in una determinata situazione di tempo, di luogo e di persone, è da presumere che possa essere riconosciuta a certe affermazioni consuete negli schemi dialettici di una trattativa (sempre che ad esse non si accompagni la predisposizione di ulteriori artifici o raggiri, idonei a travisare la realtà cui quelle affermazioni si riferiscono). Il valutare se, in concreto, ricorra un’ipotesi di dolus malus ovvero di dolus bonus è compito precipuo del giudice di merito.

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Cass. civ. n. 1955/1996

A norma dell’art. 1439 codice civile, il dolo è causa di annullamento del contratto quando i raggiri usati siano stati tali che, senza di essi, l’altra parte non avrebbe prestato il proprio consenso per la conclusione del contratto, ossia, quando, determinando la volontà del contraente, abbiano ingenerato nel
deceptus una rappresentazione alterata dalla realtà, provocando nel suo meccanismo volitivo un errore da considerarsi essenziale ai sensi dell’art. 1429 codice civile. Ne consegue che a produrre l’annullamento del contratto non è sufficiente una qualunque influenza psicologica sull’altro contraente, ma sono necessari artifici o raggiri, o anche semplici menzogne che abbiano avuto comunque un’efficienza causale sulla determinazione volitiva della controparte e, quindi, sul consenso di quest’ultima.

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Cass. civ. n. 8295/1994

Dalla disciplina dell’art. 1337 c.c., in tema di trattative e responsabilità precontrattuale, o da determinati obblighi di informazione (artt. 1338 e 1892 c.c.) non può desumersi, in coerenza alla regola della correttezza commerciale secondo buona fede, che ogni contraente debba rendere edotta la controparte delle proprie situazioni economiche – salvo che ciò non sia previsto espressamente dal contratto, o non derivi dalla legge, come nei rapporti bancari – ancorché critiche, annullando così l’onere di prudenza che ogni contraente deve pur assumere prima di instaurare un rapporto obbligatorio.
Il dolo omissivo, causa di annullamento del contratto a norma dell’art. 1439 c.c., può concretizzarsi solo quando l’inerzia della parte si inserisca in un complesso comportamento, adeguatamente preordinato, con malizia o astuzia, a realizzare l’inganno perseguito. Pertanto, il semplice silenzio, anche su situazioni di interesse della controparte, e la reticenza, non immutando la rappresentazione della realtà, ma limitandosi a non contrastare la percezione della realtà alla quale sia pervenuto l’altro contraente, non costituisce causa invalidante del contratto.

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Cass. civ. n. 10718/1993

Il dolo che vizia la volontà e causa l’annullamento del contratto può consistere nel mendacio, purché, valutato in relazione alle circostanze di fatto ed alle qualità e condizioni dell’altra parte, sia accompagnato da una condotta maliziosa ed astuta capace di realizzare l’inganno voluto ed a sorprendere la buona fede di una persona di normale diligenza e buon senso, posto che l’affidamento non può ricevere tutela giuridica se è fondato sulla negligenza. (Nella specie, con la sentenza cassata, il giudice di merito aveva identificato il dolo nel mendacio del venditore circa il valore di azioni vendute, senza alcun accertamento della condotta posta in essere dal venditore per rendere credibili le sue affermazioni).

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Cass. civ. n. 9227/1991

In tema di dolo, quale vizio della volontà, gli artifici ed i raggiri posti in essere da un contraente — idonei in concreto a trarre in inganno la controparte e tali che questa senza di essi non avrebbe stipulato il contratto — non cessano di essere causa di invalidazione del negozio solo perché il deceptus avrebbe potuto espletare una certa attività di verifica e di controllo per sventare l’errore.

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Cass. civ. n. 257/1991

Il dolo quale causa di annullamento del contratto ai sensi dell’art. 1439 c.c., può consistere tanto nell’ingannare con notizie false, con parole o con fatti la parte interessata, direttamente o per mezzo di terzi (dolo commissivo), quanto nel nascondere alla conoscenza altrui, col silenzio o con la reticenza, fatti o circostanze decisive (dolo omissivo). Tuttavia, nell’un caso e nell’altro, gli artifici o i raggiri, la reticenza o il silenzio, devono essere valutati in relazione alle particolari circostanze di fatto e alle qualità e condizioni soggettive dell’altra parte onde stabilire se erano idonei a sorprendere una persona di normale diligenza, giacché l’affidamento non può ricevere tutela giuridica se fondato sulla negligenza.

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Cass. civ. n. 2528/1976

Il dolo, quale causa di annullamento del contratto, può consistere in una semplice reticenza: in tal caso, colui che chiede l’annullamento deve provare la reticenza, mentre spetta a colui che sostiene la validità del contratto di provare che la circostanza da lui taciuta era in realtà nota alla controparte.

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Cass. civ. n. 3030/1974

L’attività del contraente, rilevante al fine della configurazione del dolo, consiste nella determinazione di false rappresentazioni relative non solo alla natura ed alle qualità materiali del bene che è oggetto del contratto, ma anche a tutti quegli elementi che per l’altro contraente possono essere decisivi per la prestazione del suo consenso (fra questi, in primo luogo, il prezzo del bene).

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Cass. civ. n. 3352/1972

L’accertamento del nesso di causalità psicologica, e non materiale, com’è quello di derivazione del consenso dal raggiro di uno dei contraenti, deve aver riguardo all’effettivo processo psichico che si è svolto nell’interna sfera della conoscenza e del volere di colui nei confronti del quale l’inganno è stato usato. Ma stante l’impossibilità di una percezione immediata degli altrui fatti interni, questi debbono desumersi dalle circostanze e dai comportamenti esteriori.

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Cass. civ. n. 2311/1972

A differenza dell’errore, il quale per sua essenza deve essere valutato nella persona che ne è vittima, il dolo è un fatto che implica una considerazione del contegno del deceptor e delle sue conseguenze sulla conoscenza del deceptus e, pertanto, perché si possa parlare di intenzione di ingannare è necessaria la conoscenza da parte dell’agente delle false rappresentazioni che si producono nella vittima, e la credenza che sia possibile determinare con artifici, menzogne o raggiri, inducendola specificamente in inganno, la volontà altrui. La reticenza e il silenzio non bastano a costituire il dolo se non in rapporto alle circostanze e al complesso del contegno che determina l’errore.

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