Art. 905 – Codice civile – Distanza per l’apertura di vedute dirette e balconi
Non si possono aprire vedute dirette verso il fondo chiuso o non chiuso e neppure sopra il tetto del vicino, se tra il fondo di questo e la faccia esteriore del muro in cui si aprono le vedute dirette non vi è la distanza di un metro e mezzo.
Non si possono parimenti costruire balconi o altri sporti, terrazze, lastrici solari e simili, muniti di parapetto che permetta di affacciarsi sul fondo del vicino, se non vi è la distanza di un metro e mezzo tra questo fondo e la linea esteriore di dette opere.
Il divieto cessa allorquando tra i due fondi vicini vi è una via pubblica.
Le parole ricomprese fra parentesi quadre sono state abrogate.
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Massime correlate
Cass. civ. n. 8283/2024
La distinzione tra norme integrative del codice civile, la cui violazione attribuisce al danneggiato il diritto alla demolizione, e norme non integrative la cui violazione non attribuisce un tale diritto, riguarda soltanto la disciplina dettata per regolare la distanza fra le costruzioni e non anche l'esercizio del diritto di veduta che ha natura giuridica e contenuto precettivo diverso. Pertanto ove quest'ultimo diritto venga violato, trattandosi di diritto reale assoluto, l'unico modo possibile di ripristinare la situazione legale è quello della rimessione nel pristino stato.
Cass. civ. n. 4816/2024
L'apertura di una veduta da una parete di proprietà individuale verso il cortile di proprietà esclusiva di un edificio limitrofo (appartenente ad un diverso proprietario) è soggetta alle prescrizioni contenute nell'art. 905 c.c., finendo altrimenti per imporre una servitù di fatto a carico dell'immobile altrui, dato che il diritto di veduta comporta una permanente minorazione della utilizzabilità del bene che ne è gravato da parte di chiunque ne sia o ne divenga proprietario, con attribuzione alla proprietà vicina di un corrispondente vantaggio che a questa finisce per inerire come "qualitas", ossia con le caratteristiche di realità tali da inquadrarsi nello schema delle servitù.
Cass. civ. n. 438/2024
L'eliminazione delle vedute abusive, che consentono di affacciarsi e guardare nel fondo altrui, non necessariamente deve essere disposta dal giudice tramite la demolizione di quelle porzioni immobiliari costituenti il "corpus" della violazione denunciata, ben potendo la violazione medesima essere eliminata per altra via, mediante idonei accorgimenti, i quali, pur contemperando i contrastanti interessi delle parti, rispondano ugualmente al precetto legislativo da applicare al caso oggetto di cognizione. Spetta, poi, al giudice dell'esecuzione la determinazione delle concrete modalità dell'opera o la scelta tra diverse articolazioni concrete di opere aventi comuni finalità e connotazioni.
Cass. civ. n. 36511/2023
In caso di violazione delle distanze legali per l'apertura di vedute ex art. 905 c.c., l'azione volta alla condanna al ripristino dello stato dei luoghi, integrando un'actio negatoria servitutis di carattere reale, può essere proposta esclusivamente nei confronti del proprietario dell'immobile dal quale la veduta abusiva è esercitata, mentre l'azione risarcitoria per il conseguente pregiudizio è esperibile tanto nei confronti di quest'ultimo quanto dell'autore della violazione, quali responsabili in solido.
Cass. civ. n. 33134/2023
In materia di luci e di vedute, il diritto di proprietà di un immobile fronteggiante il fondo altrui non può attribuire, in assenza di titoli specifici (negoziali o originari, come l'usucapione), l'acquisto automatico della servitù di veduta, la quale suppone l'esistenza, per la prescritta durata ventennale, di aperture che consentano l'inspectio e la prospectio nel fondo confinante e che siano poste a distanza inferiore di quella prescritta dall'art. 905 c.c.
Cass. civ. n. 32816/2023
Configurabilità - Criteri - Apparenza - Segni visibili d'opere permanenti - Destinazione obiettiva all'esercizio della servitù - Necessità - Utilizzazione saltuaria delle opere - Sufficienza. Il requisito dell'apparenza della servitù discontinua, richiesto al fine della sua costituzione per usucapione, si configura quale presenza di segni visibili di opere di natura permanente obiettivamente destinate al suo esercizio, tali da rivelare, in maniera non equivoca, l'esistenza del peso gravante sul fondo servente per l'utilità del fondo dominante e non un'attività posta in essere in via precaria, o per tolleranza del proprietario del fondo servente, comunque senza animus utendi iure servitutis; tale onere deve avere carattere stabile e corrispondere, in via di fatto, al contenuto di una determinata servitù che, peraltro, non implica necessariamente un'utilizzazione continuativa delle opere stesse.
Cass. civ. n. 25743/2023
CONTRATTO) - IN GENERE Clausole contemplanti uno "scoperto" in valore percentuale - Vessatorietà - Esclusione - Ragioni.
Cass. civ. n. 25680/2023
Non costituisce domanda nuova della parte condannata in primo grado alla demolizione del balcone realizzato in violazione dell'art. 905 c.c., quella formulata in appello con la quale, al fine di rispettare tale disposizione, si richieda di adottare accorgimenti che escludano il "prospicere e l'inspicere in alienum" (cioè, l'affacciarsi e il guardare sul fondo altrui) senza imporre demolizioni, in quanto si tratta di una mera richiesta a scopo difensivo, diretta a limitare l'entità della soccombenza e che, costituente applicazione del principio di proporzionalità al contenuto del provvedimento di tutela giurisdizionale, ben essere accolta nel caso in cui essa non risulti frustrare l'integrale protezione dell'interesse meritevole sotteso alla domanda dell'attore.
Cass. civ. n. 7971/2022
Ove sia accertata la comunione di un cortile sito fra edifici appartenenti a proprietari diversi ed allorché fra il cortile e le singole unità immobiliari di proprietà esclusiva non sussista quel collegamento strutturale, materiale o funzionale, ovvero quella relazione di accessorio a principale, che costituisce il fondamento della condominialità dell'area scoperta, ai sensi dell'art. 1117 c.c., l'apertura di una veduta da una parete di proprietà individuale verso lo spazio comune rimane soggetta alle prescrizioni contenute nell'art. 905 c.c. Il partecipante alla comunione del cortile non può, in sostanza, aprire una veduta verso la cosa comune a vantaggio dell'immobile di sua esclusiva proprietà, finendo altrimenti per imporre di fatto una servitù a carico della cosa comune, senza che operi, al riguardo, il principio di cui all'art. 1102 c.c., il quale non è applicabile ai rapporti tra proprietà individuali e beni comuni finitimi, che sono piuttosto disciplinati dalle norme che regolano i rapporti tra proprietà contigue od asservite.
Cass. civ. n. 23184/2020
L'eliminazione delle vedute abusive può essere realizzata non solo mediante la demolizione delle porzioni immobiliari per mezzo delle quali si realizza la violazione lamentata, ma anche attraverso la predisposizione di idonei accorgimenti che impediscano di esercitare la veduta sul fondo altrui o attraverso l'arretramento della costruzione, che il giudice può disporre, in alternativa alla demolizione, senza incorrere nel vizio di ultrapetizione, essendo tale decisione contenuta nella più ampia domanda di demolizione. (Cassa con rinvio, CORTE D'APPELLO FIRENZE, 04/12/2018).
Cass. civ. n. 3043/2020
Per configurare gli estremi di una veduta ai sensi dell'art. 900 c.c., conseguentemente soggetta alle regole di cui agli artt. 905 e 907 c.c. in tema di distanze, è necessario che le cd. "inspectio et prospectio in alienum", vale a dire le possibilità di "affacciarsi e guardare di fronte, obliquamente o lateralmente", siano esercitabili in condizioni di sufficiente comodità e sicurezza. Ne consegue che l'assenza di parapetto su una terrazza di copertura di un edificio costituisce elemento decisivo per escludere che l'opera abbia i caratteri della veduta o del prospetto, anche se essa sia di normale accessibilità e praticabilità da parte del proprietario, laddove la praticabilità può valere invece ai fini della qualificazione della situazione come luce irregolare. Per escludere anche questa seconda configurazione giuridica è necessario accertare, avuto riguardo all'attuale consistenza e destinazione dell'opera, oggettivamente considerata, ed alle sue possibili e prevedibili utilizzazioni da parte del proprietario, se e quali limitazioni, ancorché diverse e minori di quelle derivanti da un'apertura avente i caratteri della veduta o del prospetto, possano discenderne a carico della libertà del fondo vicino altrui. (Cassa con rinvio, CORTE D'APPELLO TORINO).
Cass. civ. n. 26807/2019
Nel caso di comunione di un cortile sito fra edifici appartenenti a proprietari diversi, l'apertura di una veduta da una parete di proprietà individuale verso lo spazio comune rimane soggetta alle prescrizioni contenute nell'art. 905 c.c., finendo altrimenti per imporre di fatto una servitù a carico della cosa comune, senza che operi, al riguardo, il principio di cui all'art. 1102 c.c., in quanto i rapporti tra proprietà individuali e beni comuni finitimi sono disciplinati dalle norme che regolano i rapporti tra proprietà contigue o asservite; né può invocarsi, al fine di escludere la configurabilità di una servitù di veduta sul cortile di proprietà comune, il principio "nemini res sua servit", il quale trova applicazione soltanto quando un unico soggetto è titolare del fondo servente e di quello dominante e non anche quando il proprietario di uno di essi sia anche comproprietario dell'altro.
Cass. civ. n. 12565/2018
Nell'assicurazione contro i danni, il danno da fatto illecito deve essere liquidato sottraendo dall'ammontare del danno risarcibile l'importo dell'indennità che il danneggiato-assicurato abbia riscosso in conseguenza di quel fatto, in quanto detta indennità è erogata in funzione di risarcimento del pregiudizio subito dall'assicurato in conseguenza del verificarsi dell'evento dannoso ed essa soddisfa, neutralizzandola in tutto o in parte, la medesima perdita al cui integrale ristoro mira la disciplina della responsabilità risarcitoria del terzo autore del fatto illecito.
Cass. civ. n. 17480/2018
In tema di rispetto delle distanze legali per l'apertura di luci e vedute, le prescrizioni contenute nell'art. 905 c.c. si applicano anche quando lo spazio su cui si apre la veduta sia comune, in quanto in comproprietà tra le parti in causa, poiché la qualità comune del bene su cui ricade la veduta non esclude il rispetto delle distanze predette.
Cass. civ. n. 15070/2018
L'art. 905 c.c., che salvaguarda il fondo finitimo dalle indiscrezioni attuabili mediante l'apertura di vedute negli edifici vicini al fine di proteggere interessi esclusivamente privati, non ha correlazione alcuna con l'art. 873 c.c. che, diretto a tutelare, evitando la formazione di intercapedini dannose, interessi generali di igiene, decoro e sicurezza negli abitati, consente agli enti locali di stabilire distanze maggiori secondo una valutazione particolare dei detti interessi collettivi. Ne consegue che non vi è spazio per una integrazione della previsione dell'art. 905 c.c. con quelle eventuali più restrittive in tema di distanze tra costruzioni contenute nei regolamenti locali, deponendo in tal senso anche l'assenza nel testo della norma di un rinvio – che è, invece, contemplato nell'art. 873 c.c. – ai regolamenti in questione.
Cass. civ. n. 2533/2017
Nell'ipotesi in cui il fondo su cui insiste il fabbricato sul quale si vuole aprire una veduta e quello confinante, edificato o non, sul quale la stessa è destinata ad essere esercitata, siano siti a livelli o a piani diversi, la distanza minima di m. 1,50 che la veduta deve rispettare dal confine del fondo finitimo, ai sensi dell'art. 905, comma 1, c.c., deve essere misurata tra la soglia della veduta, o faccia esteriore del muro in cui la stessa si apre, ed il piano ideale elevato perpendicolarmente sulla linea di confine tra i due fondi.
Cass. civ. n. 23210/2015
In tema di contratto di assicurazione, qualora sia intervenuta una modifica del massimale tra la data di verificazione e quella di denuncia di un sinistro, continua ad applicarsi il massimale originario poiché i principi di aleatorietà, mutualità ed inversione del ciclo produttivo che caratterizzano l'attività assicurativa impongono una permanente coerenza tra premio pagato e rischio garantito, la quale può essere soddisfatta solo se l'assicuratore conosca in anticipo il limite di quanto potrà essere chiamato a pagare per ciascun sinistro.
Cass. civ. n. 15868/2015
In tema di assicurazione contro i danni, il pagamento dell'indennizzo costituisce debito di valore poiché assolve ad una funzione di reintegrazione della perdita subita dal patrimonio dell'assicurato, sicché è soggetto all'automatica rivalutazione per il periodo intercorso tra il sinistro e la liquidazione, senza che abbia rilevanza l'inadempimento o il ritardo colpevole dell'assicuratore.
Cass. civ. n. 4967/2015
La disciplina delle distanze tra fabbricati, in quanto diretta a tutelare interessi generali di igiene, decoro e sicurezza degli abitati, pur dettata in via generale dall'art. 873 cod. civ. (che richiede una distanza non minore di tre metri), può essere resa più rigorosa dalle disposizioni dei regolamenti locali, mentre la disciplina della distanza delle vedute dal confine, in quanto finalizzata alla tutela del mero interesse privato alla salvaguardia del fondo vicino dalle indiscrezioni dipendenti dalla loro apertura, trova la sua fonte esclusivamente nell'art. 905 cod. civ. (che richiede una distanza di un metro e mezzo), salvo che la maggior distanza delle costruzioni, prevista dai regolamenti locali, sia riferita specificamente al confine, nel qual caso le norme regolamentari regolano anche la distanza delle vedute dal confine.
Cass. civ. n. 2469/2015
Qualora le parti del contratto abbiano espressamente subordinato l'operatività della garanzia assicurativa all'adozione, da parte dell'assicurato, di determinate misure di sicurezza, il giudice non può sindacare la loro concreta idoneità ad evitare l'evento dannoso, e quindi - ove questo si verifichi indipendentemente da tale inosservanza - non può riconoscere l'obbligo dell'assicuratore a corrispondere l'indennizzo, pur a fronte della mancata adozione delle misure pattuite per la difesa del bene protetto. Dette clausole, infatti, non realizzano una limitazione di responsabilità dell'assicuratore, ma individuano e delimitano l'oggetto stesso del contratto ed il rischio dell'assicuratore stesso. (In applicazione di tale principio, la S.C. ha escluso l'obbligo di indennizzo in relazione ad un furto avvenuto mediante l'uso fraudolento delle chiavi autentiche di una cassaforte, in presenza di una clausola contrattuale che escludeva il rischio garantito nell'ipotesi di impiego sia pur fraudolento di chiavi vere).
Cass. civ. n. 16200/2013
La qualificazione di una strada come pubblica, ai fini dell'esonero dal rispetto delle distanze nell'apertura di vedute dirette e balconi, ex art. 905, terzo comma, c.c., esige che la sua destinazione all'uso pubblico risulti da un titolo legale, che può essere costituito non solo da un provvedimento dell'autorità o da una convenzione con il privato, ma anche dall'usucapione, ove risulti dimostrato l'uso protratto del bene privato da parte della collettività per il tempo necessario all'acquisto del relativo diritto, restando peraltro escluso che, a tal fine, rilevi un uso limitato ad un gruppo ristretto di persone che utilizzino il bene "uti singuli", essendo necessario un uso riferibile agli appartenenti alla comunità in modo da potersi configurare un diritto collettivo all'uso della strada e non un diritto meramente privatistico a favore solo di alcuni determinati soggetti.
Cass. civ. n. 13000/2013
L'esonero dall'obbligo delle distanze per l'apertura di vedute tra fondi separati da una via pubblica, di cui all'art. 905, terzo comma, cod. civ., non opera nel caso di vedute laterali od oblique aperte sul fondo del vicino, restando tale ipotesi soggetta al rispetto delle distanze stabilite dall'art. 906 cod. civ., ancorché si tratti di edifici costruiti in adesione sullo stesso lato della strada pubblica e l'apertura dia luogo altresì ad una veduta diretta su tale via, avendo, del resto, una strada pubblica una larghezza di regola non inferiore a settantacinque centimetri e rivelandosi inopportuno che l'eventuale persiana, di cui sia munita la finestra, si apra troppo a ridosso della proprietà limitrofa.
Cass. civ. n. 10167/2011
In tema di distanze per l'apertura di vedute e balconi, la semplice esistenza di un terreno sopraelevato, senza che vi sia un parapetto che consenta l'affaccio sul fondo del vicino, esclude l'obbligo di distanziarsi dal fondo predetto ai sensi dell'art. 905 c.c.. Tuttavia, al fine di valutare l'idoneità del parapetto a consentire di guardare nell'altrui fondo, è rilevante la posizione reciproca delle due proprietà, atteso che, nell'ipotesi in cui il fondo dal quale si esercita la veduta sia in posizione sopraelevata, la "prospectio" ed a maggior ragione la "inspectio" possono risultare agevolate anche senza l'apporto determinante di un parapetto ad altezza normale, potendo non essere necessario che la parte si appoggi al manufatto al fine di esercitare la visione circolare intorno a sé. (Nella specie, la Corte ha cassato la pronuncia di secondo grado che, in presenza di terreno sopraelevato, aveva ritenuto disagevole l'affaccio da un parapetto di 50 cm. sormontato da fioriere di cemento).
Cass. civ. n. 220/2011
Ai fini della distinzione tra vedute dirette, laterali ed oblique, assume rilievo decisivo la posizione di chi guarda, in particolare quando siano possibili più posizioni di affaccio. Con riferimento ai balconi, pertanto, rispetto ad ogni lato di questo si avranno una veduta diretta, ovvero frontale, e due laterali o oblique, a seconda dell'ampiezza dell'angolo; ne consegue che, pur essendo la tutela delle vedute limitata all'arco massimo di centottanta gradi, con conseguente esclusione di quelle c.d. retroverse, può verificarsi che una delle vedute oblique esercitabili da un balcone sia retroversa rispetto alla parete in cui il medesimo è collocato, ma non per questo sia illegittima.
Cass. civ. n. 10596/2010
L'interpretazione di un contratto di assicurazione deve procedere, in ragione della natura sinallagmatica del vincolo, alla luce del principio di necessaria corrispondenza tra ammontare del premio dovuto dall'assicurato e contenuto dell'obbligazione dell'assicuratore, sicché proprio la determinazione del premio di polizza assume valore determinante ai fini dell'individuazione del tipo e del limite massimo del rischio assicurato, onde possa reputarsi in concreto rispettato l'equilibrio sinallagmatico tra le reciproche prestazioni. (Nella specie, la S.C. ha cassato la sentenza di merito che, con motivazione carente e contrastante con gli ordinari canoni ermeneutici, aveva attribuito insufficiente rilievo alla circostanza costituita dalla corrispondenza del premio corrisposto dall'assicurato per una polizza-furto al tipo di garanzia cd. "a primo rischio assoluto", che la compagnia assicuratrice aveva asserito non essere coperta dallo stipulato contratto di assicurazione contro i danni).
Cass. civ. n. 7214/2009
In tema di pegno a garanzia di crediti, il principio di accessorietà desumibile dall'art. 2784 cod. civ comporta la nullità per difetto di causa dell'atto costitutivo della prelazione stipulato in relazione ad un credito non ancora esistente, ma non esclude, in applicazione analogica dell'art. 2852 cod. civ., l'ammissibilità della costituzione della garanzia a favore di crediti condizionali o che possano eventualmente sorgere in dipendenza di un rapporto già esistente; in quest'ultimo caso, peraltro, è necessaria, ai fini della validità del contratto, la determinazione o la determinabilità del credito, la quale postula l'individuazione non solo dei soggetti del rapporto, ma anche della sua fonte; ferma restando la validità e l'efficacia del contratto "inter partes", comunque, la mera determinabilità del rapporto comporta l'inopponibilità del pegno agli altri creditori (ivi compreso il curatore, in caso di fallimento del soggetto che abbia costituito la garanzia), qualora, dovendo trovare applicazione l'art. 2787, terzo comma, cod. civ., manchi la sufficiente indicazione del credito garantito.
Cass. civ. n. 4222/2009
L'ultimo comma dell'art 905 cod. civ., il quale esclude l'obbligo di osservare una distanza minima per l'apertura di vedute dirette verso il fondo del vicino quando tra i due fondi contigui vi sia una via pubblica, non presuppone necessariamente che questa separi i fondi medesimi e che questi si fronteggino, ma richiede soltanto che essi siano confinanti con la strada pubblica, indipendentemente dalla loro reciproca collocazione, sicché i fondi possono anche essere contigui o trovarsi ad angolo retto; ciò in quanto l'esonero dal divieto è giustificato dall'identificazione della strada pubblica come uno spazio dal quale chiunque può spingere liberamente lo sguardo sui fondi adiacenti.
Cass. civ. n. 25188/2008
In tema di limitazioni legali alla proprietà, l'apertura di un ballatoio di collegamento tra la pubblica via e l'ingresso delle abitazioni situate al primo e al secondo piano può essere qualificata veduta ed assoggettata al regime giuridico del rispetto delle distanze fissato nell'art. 905 c.c., quando sia idonea, per ubicazione, consistenza e struttura, a consentire l'affaccio sul fondo vicino.
Cass. civ. n. 23572/2007
In tema di distanze per l'apertura di vedute dirette e balconi, ai sensi dell'articolo 905 c.c., la semplice esistenza di un terreno sopraelevato posto a confine, senza che vi sia un «parapetto» che permetta di affacciarsi sul fondo del vicino, esclude l'esistenza dell'obbligo di distanziarsi da detto fondo, atteso che solo con la costruzione del parapetto si realizza la «veduta». (Nella specie la S.C. ha rigettato la doglianza del ricorrente. secondo cui la corte di merito, nel ritenere violate le distanze, per avere egli costruito un parapetto a confine del lastrico solare della controparte, non aveva considerato che essendo il proprio fondo in posizione sopraelevata rispetto all'altro, la veduta sussiste indipendentemente dal parapetto).
Cass. civ. n. 15430/2006
In tema di limitazioni legali della proprietà, costituisce veduta diretta sul fondo del vicino ogni apertura che consenta di affacciarsi e guardare frontalmente su di esso da uno qualsiasi dei lati, essendo riservato al giudice di merito verificare, con accertamento di fatto insindacabile in sede di legittimità, se la stessa consenta lo sguardo frontale sul fondo del vicino.
Cass. civ. n. 6576/2005
In materia di diritti reali, l'obbligo del rispetto delle distanze legali trova applicazione anche quando la veduta viene esercitata dal piano terreno di una costruzione (nella fattispecie, dal portico inserito nel fabbricato), non occorrendo che l'apertura sia in tal caso munita di parapetto, come richiesto dall'art. 905 c.c. soltanto con riferimento a «balconi o altri sporti, terrazze, lastrici solari e simili», essendo disagevole e pericoloso, avvenendo dall'alto, l'affaccio dai medesimi in assenza di protezione.
Cass. civ. n. 13261/2004
In tema di condominio, ciascun condomino è libero di servirsi della cosa comune, anche per fine esclusivamente proprio, traendo ogni possibile utilità, purché non alteri la destinazione della cosa comune e consenta un uso paritetico agli altri condomini. Ne consegue che l'installazione di una ringhiera (o parapetto) su di un lastrico solare che permetta di affacciarsi su spazi condominiali (nella specie, cortili comuni destinati a dare aria e luce agli appartamenti sottostanti che vi prospettano) costituisce esercizio del diritto di proprietà e non di quello di servitù, per cui non trovano applicazione le norme che disciplinano le vedute su fondi altrui (art. 905 c.c.), bensì quelle che consentono al condomino di servirsi delle parti comuni per il miglior godimento della cosa, senz'altro limite che l'obbligo di rispettare la destinazione, di non alterare la stabilità e il decoro architettonico dell'edificio e di non ledere i diritti degli altri condomini.
Cass. civ. n. 15605/2002
Le quote di partecipazione di una società di persone che per disposizione dell'atto costitutivo siano trasferibili con il (solo) consenso del cedente e del cessionario, salvo il diritto di prelazione in favore degli altri soci, possono essere sottoposte a sequestro conservativo ed essere espropriate a beneficio dei creditori particolari del socio anche prima dello scioglimento della società.
Cass. civ. n. 14909/2002
In tema di assicurazione contro i danni, qualora le parti affidino ad un terzo l'incarico di esprimere un apprezzamento tecnico sulla entità delle conseguenze di un evento al quale è collegata la prestazione dell'indennizzo, impegnandosi a considerare tale apprezzamento come reciprocamente vincolante ma escludendo — esplicitamente od implicitamente — dai poteri di detto terzo la soluzione delle questioni attinenti alla validità ed operatività della garanzia assicurativa, il relativo patto esula dall'ambito dell'arbitrato, rituale o irrituale, e configura una ipotesi di cosiddetta «perizia contrattuale», che non interferisce sull'azione giudiziaria rivolta alla definizione delle indicate questioni.
Cass. civ. n. 4753/2001
L'obbligazione assunta dall'assicuratore contro i danni è un debito di valore, come emerge dal costante riferimento al risarcimento del danno ed al valore della cosa assicurata in tutte le disposizioni normative che regolano la materia, ed in particolare negli artt. 1905 e 1908 c.c. Tale debito assolve la funzione reintegrativa della perdita subita dal patrimonio dell'assicurato ed è pertanto suscettibile di automatico adeguamento alla stregua della sopravvenuta svalutazione monetaria. La previsione di un massimale come limite della responsabilità dell'assicuratore è inidonea a trasformare l'obbligazione di risarcimento del danno in quella di pagamento di una somma determinata.
Cass. civ. n. 13485/2000
L'esenzione dall'obbligo del rispetto della distanza stabilita dall'ultimo comma dell'art. 905 c.c. per l'apertura di vedute dirette verso il fondo del vicino non è limitata al solo caso dell'inserimento tra i due fondi di una via pubblica, ma va estesa anche al caso in cui tra le due proprietà fronteggiantisi esista una strada privata soggetta a servitù pubblica di passaggio, al caso cioè in cui il pubblico transito si eserciti su una porzione di terreno appartenente ad uno dei. frontisti. Quindi ciò che rileva ai fini della esenzione, non è l'appartenenza del suolo, su cui il passaggio si esercita, ad un ente pubblico o ad un privato, mala pubblicità dell'uso al quale quel passaggio è destinato.
Cass. civ. n. 11228/2000
In materia di assicurazione della responsabilità civile, la clausola che esclude dal novero dei danni indennizzabili una categoria di danni non è idonea ad escludere anche quelli, riconducibili alla categoria del danno indennizzabile, che nello sviluppo della catena causale siano conseguenti al danno escluso. (Nella specie, la Suprema Corte ha ritenuto compreso nel danno indennizzabile - responsabilità nascente dall'attività di riparazione di navi con esclusione della responsabilità per morte o lesioni - il danno derivante da sosta tecnica in dipendenza del sequestro penale disposto a seguito del decesso, nell'incendio di una nave in riparazione, di numerosi lavoratori).
Cass. civ. n. 15407/2000
Con riguardo ad un contratto di assicurazione contro gli infortuni nel quale viene assicurato un determinato capitale a fronte della morte, dell'inabilità permanente o di quella temporanea — la prestazione dell'assicuratore costituisce un debito di valuta e, pertanto, può essere rivalutato soltanto se il creditore dimostri di aver subito un danno maggiore di quello compensato con gli interessi legali, secondo quanto stabilito dall'art. 1224 c.c.