Art. 826 – Codice di procedura civile – Correzione del lodo
Ciascuna parte può chiedere agli arbitri entro un anno dalla comunicazione del lodo:
a) di correggere nel testo del lodo omissioni o errori materiali o di calcolo, anche se hanno determinato una divergenza fra i diversi originali del lodo pure se relativa alla sottoscrizione degli arbitri;
b) di integrare il lodo con uno degli elementi indicati nell'articolo 823, numeri 1), 2), 3), 4).
Gli arbitri, sentite le parti, provvedono entro il termine di sessanta giorni. Della correzione è data comunicazione alle parti a norma dell'articolo 824.
Se gli arbitri non provvedono, l'istanza di correzione è proposta al tribunale nel cui circondario ha sede l'arbitrato.
Se il lodo è già stato depositato, la correzione è richiesta al tribunale del luogo in cui lo stesso è depositato. Si applicano le disposizioni dell'articolo 288 in quanto compatibili. Alla correzione può provvedere anche il giudice di fronte al quale il lodo e' stato impugnato o fatto valere.
Le parole ricomprese fra parentesi quadre sono state abrogate.
Il testo riportato è reso disponibile agli utenti al solo scopo informativo. Pertanto, unico testo ufficiale e definitivo è quello pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale Italiana che prevale nei casi di discordanza rispetto al presente.
Massime correlate
Cass. civ. n. 29560/2023
I beni pubblici appartenenti al patrimonio indisponibile, la cui destinazione all'uso pubblico deriva da una determinazione legislativa, non perdono il loro carattere per declassificazione tacita dovuta alla semplice circostanza della sospensione dell'uso per lunghissimo tempo. (Nella specie, la S.C. ha confermato la sentenza della Corte d'appello che aveva qualificato patrimonio indisponibile l'area, inizialmente appartenuta all'ente Opera Nazionale Maternità e Infanzia, vincolata dalla legge, che aveva trasferito il detto patrimonio al comune, allo svolgimento di funzioni relative agli asili nido e ai consultori comunali).
Cass. civ. n. 17427/2023
L'appartenenza di un terreno comunale al patrimonio indisponibile dell'ente, in quanto destinato a verde pubblico, presuppone una concreta ed effettiva utilizzazione del bene allo scopo destinato, non essendo sufficiente la mera previsione urbanistica, che di per sé esprime solo un'intenzione che, ancorché contenuta in un atto amministrativo, non muta l'oggettiva caratteristica del bene, che può quindi essere oggetto di usucapione.
Cass. civ. n. 14269/2023
La sdemanializzazione può verificarsi anche senza l'adempimento delle formalità previste dalla legge, purché risulti da atti univoci, concludenti e positivi della P.A., incompatibili con la volontà di conservare la destinazione del bene all'uso pubblico; né il disuso da tempo immemorabile o l'inerzia dell'ente possono essere invocati come elementi indiziari dell'intenzione di far cessare tale destinazione, poiché, per la prova di ciò, è necessario che essi siano accompagnati da fatti concludenti e da circostanze così significative da rendere impossibile formulare altra ipotesi se non quella che la P.A. abbia definitivamente rinunziato al ripristino della pubblica funzione del bene medesimo. (Nella specie, la S.C. ha confermato la sentenza di merito che aveva escluso la sdemanializzazione tacita di un'area adiacente a una casa cantoniera, pertinenziale rispetto a una dismessa linea ferroviaria, sulla quale il figlio dell'originaria titolare della concessione – poi revocata - aveva abusivamente realizzato una struttura in cui svolgeva attività di ristorazione, sul presupposto che il mero spostamento della linea ferroviaria non escludeva, di per sé, che il vecchio tracciato potesse essere ripristinato).
Cass. civ. n. 651/2023
di fatto e di diritto con essa incompatibile, con la conseguenza che, anche quando all'adozione del menzionato decreto non segua l'immissione in possesso, la notifica o la conoscenza effettiva di detto decreto comportano ugualmente la perdita dell'"animus possidendi" in capo al precedente proprietario, il cui potere di fatto – nel caso in cui continui ad occupare il bene – si configura come mera detenzione, che non consente il riacquisto della proprietà per usucapione se non a seguito di un atto di interversione del possesso, fermo restando il diritto di chiedere la retrocessione totale o parziale del bene.
Cass. civ. n. 20755/2012
La correzione degli errori materiali del lodo arbitrale, ai sensi dell'art. 826 c.p.c. nella formulazione introdotta dalla legge n. 25 del 1994 (applicabile "ratione temporis"), spetta agli arbitri e, depositato il lodo, al giudice dell'"exequatur", sicché è inammissibile l'istanza di correzione rivolta al giudice dell'impugnazione del lodo, atteso che solo la formulazione dell'art. 826 c.p.c. introdotta dal d.l.vo n. 40 del 2006 prevede che la correzione possa essere disposta "anche" dal giudice di fronte al quale il lodo è stato impugnato o fatto valere.
Cass. civ. n. 1553/1995
Una volta proposta l'impugnazione della sentenza arbitrale, la competenza a decidere sulla richiesta di correzione del lodo spetta al giudice dell'impugnazione e non al pretore (fattispecie anteriore all'entrata in vigore dell'art. 18 legge n. 25 del 1994).