Art. 317 – Codice di procedura civile – Rappresentanza davanti al giudice di pace
Davanti al giudice di pace le parti possono farsi rappresentare da persona munita di mandato scritto in calce alla citazione o in atto separato, salvo che il giudice ordini la loro comparizione personale.
Il mandato a rappresentare comprende sempre quello a transigere e a conciliare.
Le parole ricomprese fra parentesi quadre sono state abrogate.
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Massime correlate
Cass. civ. n. 26627/2024
È suscettibile di revisione ai sensi dell'art. 630, comma 1, lett. a), cod. proc. pen. la sentenza di patteggiamento emessa nei confronti del concorrente morale nel delitto di concussione, nel caso di passaggio in giudicato della sentenza di assoluzione per insussistenza del fatto, all'esito di giudizio ordinario, del pubblico ufficiale imputato della condotta concussiva, posta l'inconciliabilità tra i fatti accertati nelle due pronunce.
Cass. civ. n. 21943/2024
Ai fini della configurabilità del delitto di cui all'art. 319-quater cod. pen., l'induzione del pubblico agente postula, in negativo, l'assenza di violenza o minaccia anche implicita e, in positivo, un abuso della qualità o dei poteri che ponga l'indotto in uno stato di potenziale soggezione mediante una richiesta perentoria ed insistita, cui questi cede non perché coartato o vittima di "metus" nella sua espressione più forte, ma nell'ottica di trarre un indebito vantaggio. (Fattispecie cautelare in cui la Corte non ha ravvisato gli estremi della condotta induttiva tentata nella raccomandazione rivolta dal pubblico ufficiale a un collega, intento a contestare infrazioni al codice della strada ad un suo conoscente, consistita in una sollecitazione di poche parole, scevra da promesse o suggestioni, determinativa di alcun vantaggio indebito per il soggetto indotto).
Cass. civ. n. 3657/2024
La sospensione cautelare facoltativa, prevista dall'art. 22 del d.lgs. n. 109 del 2006, per il caso del magistrato sottoposto a procedimento penale per delitto non colposo punibile, anche in via alternativa, con pena detentiva, impone al giudice disciplinare di valutare la gravità dei fatti ascritti in sede penale, tenendo conto del titolo dei delitti e di tutte le circostanze del caso concreto, ai fini del giudizio circa l'esistenza di una lesione del prestigio e della credibilità dell'incolpato tale da non essere compatibile con l'esercizio delle funzioni, restando escluso che detto organo possa altresì formulare una prognosi circa l'esito del procedimento penale, non essendo attributario del potere di negare, nella sostanza, lo stesso presupposto previsto dalla legge - ossia la sottoposizione a procedimento penale - per l'applicazione della sospensione cautelare in tale ipotesi. (Nella specie, la S.C. ha confermato la decisione di rigetto dell'istanza di revoca della sospensione cautelare facoltativa di un magistrato, imputato per il delitto di tentata concussione, avendo rilevato che i fatti emersi dall'istruttoria penale e disciplinare erano stati oggetto di autonoma valutazione ai fini della verifica della sussistenza del fumus del reato contestato, ritenuto di gravità tale da compromettere l'immagine del magistrato ed incompatibile con la prosecuzione dell'esercizio delle funzioni anche in una diversa sede).
Cass. civ. n. 453/2024
Il termine per impugnare il provvedimento reso in tema di affidamento dei figli nati fuori dal matrimonio, anche nel regime processuale di cui all'art. 38 disp. att. c.c., come sostituito dall'art. 3 della l. n. 219 del 2012, nel quale era applicabile, in quanto compatibile, il rito camerale ex artt. 737 e ss. c.p.c., è quello ordinario previsto dagli artt. 325 e 327 c.p.c. e non quello di dieci giorni di cui all'art. 739, comma 2, c.p.c., non valendo le regole idonee ad arrecare un vulnus ai diritti della difesa, tenuto conto della particolare rilevanza dei diritti e degli interessi in gioco, richiedenti una elaborazione di strategie difensive anche di una certa complessità, sicché, in caso di provvedimento notificato, opera il termine di trenta giorni previsto dall'art. 325 c.p.c.
Cass. civ. n. 46473/2023
L'interdizione dai pubblici uffici, prevista dall'art. 317-bis cod. pen. nel caso di condanna per i delitti di peculato e di concussione, deve essere applicata anche nel caso di delitto solo tentato, essendo sussistenti, anche in tale ipotesi, le esigenze a presidio delle quali è funzionale la pena accessoria.
Cass. civ. n. 40797/2023
L'avvio della procedura fallimentare non osta all'adozione o alla permanenza, ove già disposto, del sequestro preventivo finalizzato alla confisca per reati tributari.
Cass. civ. n. 17564/2023
Nel caso di pluralità di reati unificati dal vincolo della continuazione, la durata della pena accessoria secondo il criterio fissato dall'art. 37 cod. pen. va determinata con riferimento alla pena principale inflitta per la violazione più grave, con l'eccezione dell'ipotesi di continuazione fra reati omogenei, nella quale l'identità dei reati unificati comporta necessariamente l'applicazione di una pena accessoria per ciascuno di essi, di modo che la durata complessiva va commisurata all'intera pena principale inflitta con la condanna, ivi compreso l'aumento per la continuazione.
Cass. civ. n. 2101/2023
La misura cautelare del sequestro conservativo, prima della definitività della sentenza di proscioglimento o di non luogo a procedere, è suscettibile di revoca solo nel caso in cui venga offerta idonea cauzione e non anche per il venir meno dei presupposti che ne hanno legittimato l'adozione, sicché la mancata impugnazione del provvedimento impositivo, ai sensi dell'art. 318 cod. proc. pen., ne determina la definitività.
Cass. civ. n. 10384/2006
L'articolo 317 del codice di procedura civile, nel prevedere che avanti al giudice di pace la parte possa farsi rappresentare da persona munita di mandato, consente al giudice la verifica formale dell'atto, ma non anche di accertare la presenza dell'eventuale impedimento in vista del quale il mandato è stato eventualmente rilasciato, essendo l'accertamento di un tale limite attinente esclusivamente al rapporto interno fra mandante e mandatario.
Cass. civ. n. 8339/2005
In tema di procedimento dinanzi al giudice di pace, l'art. 317 c.p.c., nel prevedere che le parti possono farsi rappresentare in giudizio da persona munita di mandato in calce alla citazione o in atto separato, non richiede che la scrittura privata di conferimento sia munita di autenticazione, requisito che è invece stabilito dall'art. 183 c.p.c. per il procedimento dinanzi al tribunale.
Cass. civ. n. 48/2001
Nel giudizio dinanzi al giudice di pace le parti possono, a norma dell'art. 317 c.p.c., farsi rappresentare da persona munita di mandato scritto, ossia stare in giudizio tramite un mandatario con rappresentanza, anche se non munito di potere rappresentativo nel rapporto sostanziale, ma tale facoltà non si estende anche al giudizio di legittimità instaurato avverso la sentenza pronunciata dal giudice di pace, atteso che il citato art. 317 è incluso tra le “disposizioni speciali per il procedimento davanti al giudice di pace” e che esso, avendo carattere derogatorio della disciplina ordinaria in materia di capacità processuale e perciò indubbia natura eccezionale, non può, a norma dell'art. 14 disp. prel. c.c., essere applicato oltre i casi espressamente considerati; ne consegue che va dichiarata l'inammissibilità del ricorso per cassazione proposto avverso la sentenza del giudice di pace da soggetto munito di un mandato conferente anche il potere rappresentativo sostanziale in ordine al rapporto dedotto in giudizio.
Cass. civ. n. 5235/2000
In tema di procedimenti dinanzi al giudice di pace, l'atto di opposizione a decreto ingiuntivo proposto dalla parte tramite avvocato esercente extra districtum e sottoscritto da quest'ultimo è pienamente legittimo tutte le volte in cui il valore della controversia risulti inferiore a lire un milione, ai sensi del combinato disposto dell'art. 82, primo comma, c.p.c. — come modificato dall'art. 20 della legge 374/91 — a mente del quale la parte può, in tal caso, stare in giudizio personalmente, e dell'art. 317 stesso codice — come modificato dall'art. 26 della legge 374/91 — secondo il quale la parte stessa può farsi rappresentare da persona munita di mandato scritto in calce all'atto di citazione o in atto separato. In tal caso, difatti, non rileva la qualifica del sottoscrivente di difensore non abilitato, bensì soltanto quella di «rappresentante munito di mandato scritto in calce all'atto o in atto separato», sì che l'unico presupposto richiesto ex lege per la validità dell'atto de quo è quello che il valore della causa non superi il milione di lire.