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Articolo 432 Codice di procedura civile — Valutazione equitativa delle prestazioni

Articolo 432 Codice di procedura civile — Valutazione equitativa delle prestazioni

Quando sia certo il diritto ma non sia possibile determinare la somma dovuta, il giudice la liquida con valutazione equitativa.

L’eventuale comma dell’articolo ricompreso fra parentesi quadre è stato abrogato.

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Aggiornato al 1 gennaio 2020
Il testo riportato è reso disponibile agli utenti al solo scopo informativo. Pertanto, unico testo ufficiale e definitivo è quello pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale Italiana che prevale in casi di discordanza rispetto al presente.
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Massime correlate

Cass. civ. n. 8721/2017

Nell’ambito della valutazione equitativa del danno, anche con riferimento ai crediti relativi a rapporti di lavoro (ai quali si applica l’art. 429, comma 3, c.p.c.), è consentito al giudice inglobare in un’unica somma, insieme con la prestazione principale, interessi e rivalutazione monetaria, ove anche per tali voci ricorrano le condizioni di cui all’art. 1226 c.c., senza necessità di specificare i singoli elementi della liquidazione.

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Cass. civ. n. 22115/2009

Nel rito del lavoro, l’art. 432 c.p.c., che consente al giudice di liquidare in via equitativa il compenso dovuto al lavoratore subordinato o parasubordinato, non deroga al principio dell’onere della prova sancito dall’art. 2967 c.c., trovando applicazione solo ove il diritto sia certo ma sia impossibile oppure oggettivamente difficile la determinazione della somma dovuta. Ne consegue che, accertata la sussistenza del rapporto di agenzia, va rigettata la domanda dell’agente al pagamento delle provvigioni qualora questi non provi le prestazioni eseguite o non abbia ritualmente richiesto la produzione dell’estratto conto (non tempestivamente consegnatogli dal preponente ai sensi dell’art. 2 del D.Lgs. n. 303 del 1991), dovendosi escludere che, in mancanza, si possa supplire con la richiesta di consulenza tecnica contabile, che non è ammissibile per l’accertamento dei fatti non provati dalla parte.

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Cass. civ. n. 13953/2009

La clausola contrattuale che prevede, in un rapporto di lavoro, nella specie dirigenziale, l’erogazione di un “bonus” “basato su obiettivi di anno in anno concordati” non è suscettibile di integrazione in sede giudiziale. Infatti, il lavoratore non può invocare la determinazione da parte del giudice ex art. 2099 c.c., che comunque presuppone l’ esistenza del diritto all’elemento retributivo ulteriore, posto che non esiste l’obbligo del datore alla corresponsione del compenso aggiuntivo “de quo”, in mancanza di qualsiasi determinazione degli obiettivi condizionanti la spettanza del compenso; non può darsi il ricorso all’art. 432 c.p.c., in quanto la valutazione equitativa della prestazione ha per oggetto il valore economico e non la determinazione sull’esistenza della prestazione.

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Cass. civ. n. 10401/2009

Nel rito del lavoro il potere, conferito al giudice dall’art. 432 c.p.c., di liquidare con valutazione equitativa la somma dovuta al lavoratore quando sia certo il relativo diritto, può essere esercitato dal giudice del merito soltanto nell’ipotesi in cui sia individuata, con adeguata e corretta motivazione, l’obiettiva impossibilità di una determinazione certa dell’importo della somma dovuta alla stregua degli elementi acquisiti al processo. Nell’esercizio di tale potere discrezionale il giudice è tenuto a dare congrua ragione del processo logico attraverso il quale perviene alla liquidazione del “quantum debeatur”, indicando i criteri oggettivi assunti a base del procedimento valutativo. (In base all’anzidetto principio, la S.C. ha cassato la sentenza impugnata che si era limitata a determinare il corrispettivo dovuto per la prestazione aggiuntiva svolta dalla lavoratrice – consistente nella effettuazione di lavori di pulizia dei locali della scuola al di là dei compiti propri di portiere – nella metà del compenso preteso, utilizzando un criterio meramente soggettivo in quanto riferito all’entità della richiesta dell’interessata).

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Cass. civ. n. 50/2009

Quando è certo il diritto alla prestazione spettante al lavoratore, ma non sia possibile determinare la somma dovuta, sicché il giudice la liquida equitativamente ai sensi dell’art. 432 c.p.c., l’esercizio di tale potere discrezionale non è suscettibile di sindacato in sede di legittimità, purché la motivazione della decisione dia adeguatamente conto del processo logico attraverso il quale si è pervenuti alla liquidazione, indicando i criteri assunti a base del procedimento valutativo. (Nella specie, la S.C., in applicazione del su esposto principio, ha confermato la sentenza impugnata che, nella liquidazione equitativa del danno subito dal lavoratore per mancato godimento delle festività, aveva fatto riferimento all’ammontare contrattuale delle retribuzioni risultanti da una consulenza tecnica d’ufficio, al lasso di tempo dedotto in giudizio, ed al comportamento della parte che non aveva ottemperato all’ordine di esibizione dei documenti contabili, pervenendo alla liquidazione del danno, per ogni giornata festiva non goduta, nella misura del cinquanta per cento di un trentesimo della retribuzione mensile).

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Cass. civ. n. 458/2003

Il ricorso del giudice, ai sensi dell’art. 432 c.p.c., alla liquidazione equitativa della prestazione dovuta implica un giudizio di merito, censurabile in sede di legittimità solo per insussistenza dei presupposti o per vizio di motivazione, peraltro deducibile esclusivamente sotto il profilo della sua mancanza o sotto quello della enunciazione meramente apparente. (Nella specie, la S.C. ha confermato la sentenza impugnata che, accertato l’obbligo del datore di lavoro di corrispondere una gratifica ad un proprio dipendente in relazione ai favorevoli risultati di esercizio, ha determinato, in mancanza di accordo tra le parti, l’importo della gratifica in via equitativa, ancorando tale valutazione agli utili di bilancio realizzati e all’entità delle gratifiche corrisposte negli anni precedenti).

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Cass. civ. n. 11210/2001

Nel rito del lavoro il potere, conferito al giudice dall’art. 432 c.p.c., di liquidare con valutazione equitativa la somma dovuta al lavoratore quando sia certo il relativo diritto, può essere esercitato dal giudice del merito soltanto nell’ipotesi in cui sia individuata, con adeguata e corretta motivazione, l’obiettiva impossibilità di una determinazione certa dell’importo della somma dovuta alla stregua degli elementi acquisiti al processo. Nell’esercizio di tale potere, che è discrezionale e non già arbitrario, il giudice è tenuto a dare congrua ragione del processo logico attraverso il quale perviene alla liquidazione del quantum debeatur, indicando i criteri assunti a base del procedimento valutativo. (In base al suddetto principio la S.C. ha confermato la sentenza impugnata che dopo aver escluso sia la natura subordinata del rapporto sia l’esistenza di una specifica pattuizione sulle spettanze della lavoratrice ha determinato in via equitativa il relativo compenso facendo riferimento non ai parametri di determinazione della retribuzione di cui all’art. 36 Costituzione — riguardante esclusivamente il lavoro subordinato — ma ai parametri oggettivi di cui all’art. 2225 c.c. e, cioè, tenendo conto dei risultati che la lavoratrice perseguiva con la propria prestazione e del lavoro necessario per ottenere tali risultati).

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Cass. civ. n. 7827/2001

La valutazione equitativa delle prestazioni, prevista dall’art. 432 c.p.c., consente al giudice del lavoro di liquidare secondo equità il valore economico di un diritto del lavoratore che sia certo nella sua esistenza, una volta indicati, con adeguata motivazione, i criteri adottati e l’iter logico seguito; ne consegue che non incorre in alcuna violazione dell’art. 432 citato il giudice che, una volta comprovata l’esistenza di un rapporto di lavoro subordinato, nonché la natura e la qualità del lavoro prestato, determini discrezionalmente la qualità della retribuzione spettante al lavoratore. (Nella specie, il giudice di merito, ridotta presuntivamente della metà la durata giornaliera della prestazione rispetto ad un iniziale periodo del rapporto, aveva equitativamente determinato la relativa retribuzione in base all’accertato orario ridotto).

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Cass. civ. n. 6623/2001

I fatti costitutivi del diritto al compenso per lavoro straordinario devono essere provati dal lavoratore e non può farsi ricorso al criterio equitativo di cui all’art. 432 c.c.; peraltro, il giudice può legittimamente valutare gli elementi di prova raccolti, avvalendosi anche di presunzioni semplici, al fine di giungere, in termini sufficientemente concreti e realistici, ad una determinazione «minimale» delle ore prestate in aggiunta all’orario normale.

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Cass. civ. n. 8271/2000

Nel giudizio avente ad oggetto il diritto del lavoratore al compenso per lavoro straordinario qualora questi, assolvendo l’onere probatorio posto a suo carico, abbia dimostrato di aver lavorato oltre l’orario normale di lavoro è consentito al giudice di procedere alla valutazione equitativa del relativo compenso purché nell’esercizio del relativo potere — da intendere come discrezionale e non arbitrario — dia congrua ragione del processo logico attraverso il quale perviene alla liquidazione del quantum debeatur indicando i criteri assunti a base del procedimento valutativo.

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Cass. civ. n. 2846/1990

Il ricorso alla valutazione equitativa ex art. 432 c.p.c. è consentito al fine di determinare la «giusta retribuzione» ex art. 36 Cost. dovuta al lavoratore (anche nel caso in cui questi sia stato compensato in parte in natura ed in parte in denaro) ed a tal fine è consentito al giudice utilizzare, come parametri di riferimento, i contratti collettivi di diritto comune, sebbene non applicabili direttamente al rapporto di lavoro, adattandoli secondo equità al caso di specie, senza che le relative valutazioni, se sorrette da adeguata motivazione, siano censurabili in sede di legittimità, neanche sotto il profilo del mancato ricorso a parametri diversi da quelli in concreto utilizzati.

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Cass. civ. n. 2554/1990

Il lavoratore che deduce l’insufficienza della retribuzione corrispostagli dal datore di lavoro deve provarne l’entità, mentre è compito del giudice stabilirne l’eventuale insufficienza, accertando la conformità di essa ai criteri indicati dall’art. 36 Cost., se del caso previa discrezionale ammissione d’ufficio dei mezzi di prova circa gli elementi — in particolare, quantità e qualità di lavoro svolto — utili ai fini della valutazione predetta, che siano stati almeno allegati dal lavoratore, senza peraltro procedere a determinazione equitativa delle prestazioni del dipendente, posto che il ricorso al criterio previsto dall’art. 432 c.p.c. è consentito, quando, certo il diritto, non sia possibile determinare la somma dovuta, e non già quando si tratti di stabilire la misura del diritto medesimo in rapporto ad un fatto costitutivo.

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Cass. civ. n. 193/1989

Il ricorso alla valutazione equitativa ex art. 432 c.p.c. è consentito anche al fine di determinare la retribuzione proporzionata, ai sensi dell’art. 36 Cost., alla quantità o alla qualità della prestazione lavorativa, restando esclusa, ove sia accertata l’inadeguatezza della retribuzione sotto il profilo anzidetto, che ha carattere primario, la necessità dell’indagine circa la sufficienza o meno della retribuzione stessa ad assicurare al lavoratore ed alla sua famiglia un’esistenza libera e dignitosa.

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Cass. civ. n. 3287/1986

La valutazione equitativa prevista dall’art. 432 c.p.c. è consentita, quando ne ricorrano gli estremi, soltanto per la determinazione della misura della retribuzione spettante al lavoratore e non anche per la determinazione degli interessi e della svalutazione monetaria, dovendosi per i primi far riferimento al saggio legale e per la seconda agli indici Istat di cui all’art. 150 disp. att. c.p.c.

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Cass. civ. n. 3297/1985

La valutazione equitativa della prestazione, rimessa al giudice del lavoro dall’art. 432 c.p.c., ha per oggetto il valore economico di questa e non la determinazione dell’esistenza della stessa, esigendo la norma che sia certo il diritto e non sia possibile determinare la somma dovuta, con conseguente estensione della regola ordinaria (art. 1226 c.c.), relativa alla sola valutazione equitativa del danno, all’ipotesi in cui risulti impossibile quantificare l’oggetto in una obbligazione pecuniaria nascente dal rapporto di lavoro.

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