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Art. 174 — Indulto e grazia

Art. 174 — Indulto e grazia

L’indulto o la grazia condona, in tutto o in parte, la pena inflitta, o la commuta in un’altra specie di pena stabilita dalla legge. Non estingue le pene accessorie, salvo che il decreto disponga diversamente, e neppure gli altri effetti penali della condanna [ 210 ].

Nel concorso di più reati, l’indulto si applica una sola volta, dopo cumulate le pene, secondo le norme concernenti il concorso dei reati.

Si osservano, per l’indulto, le disposizioni contenute nei tre ultimi capoversi dell’articolo 151 [ c.p.p. 672 ].

L’eventuale comma dell’articolo ricompreso fra parentesi quadre è stato abrogato.

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Aggiornato al 1 gennaio 2020
Il testo riportato è reso disponibile agli utenti al solo scopo informativo. Pertanto, unico testo ufficiale e definitivo è quello pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale Italiana che prevale in casi di discordanza rispetto al presente.
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Massime correlate

Cass. pen. n. 2/2015

Nel caso in cui l’esecuzione della pena sia subordinata alla revoca dell’indulto, il termine di prescrizione della pena decorre dalla data d’irrevocabilità della sentenza di condanna, quale presupposto della revoca del beneficio.

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Cass. pen. n. 20011/2013

In tema di indulto, in caso di reati uniti nel vincolo della continuazione, solo una parte dei quali commessi entro il termine fissato per la fruizione del beneficio, se la sentenza non ha fornito specifica indicazione in proposito, spetta al giudice dell’esecuzione interpretare i titoli di condanna e delibare quanto della condotta in esame sia collocabile oltre il termine di entrata in vigore della disciplina indulgenziale e, conseguentemente, quale frazione sanzionatoria determinata dal giudice della cognizione sia riferibile ad esse. (Fattispecie in cui il giudice dell’esecuzione, adito dal P.M. ai fini della revoca dell’indulto, ha ritenuto non precisamente identificabili le parti di condotta consumate oltre il termine di efficacia della misura clemenziale, ed ha conseguentemente adottato la decisione più conforme al principio del “favor rei”).

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Cass. pen. n. 20907/2010

La revoca dell’indulto conseguente a condanna successiva per delitto non colposo è consentita solo se quest’ultima sia irrevocabile.

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Cass. pen. n. 10019/2010

La dichiarazione di estinzione della pena per indulto è provvedimento più favorevole all’imputato rispetto all’applicazione di una sanzione sostitutiva, la quale, seppure afflittiva in minore grado rispetto alla detenzione, costituisce purtuttavia una pena da espiare.

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Cass. pen. n. 5397/2010

L’efficacia estintiva dell’indulto, in caso di concorso di reati, alcuni dei quali sono d’ostacolo alla concessione della detenzione domiciliare, va riferita in primo luogo, proprio al fine della concessione della detenzione domiciliare, alle pene inflitte per i reati ostativi.

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Cass. pen. n. 25204/2009

Ai fini dell’applicazione dell’indulto in caso di reati uniti dal vincolo della continuazione, la pena oggetto di condono va individuata, con riguardo ai reati-satellite, nell’aumento in concreto inflitto a titolo di continuazione per ciascuno di essi, e non nella sanzione edittale minima prevista per la singola fattispecie astratta.

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Cass. pen. n. 21501/2009

In tema di indulto, in caso di reati uniti nel vincolo della continuazione, alcuni dei quali – compreso quello più grave – siano stati commessi entro il termine fissato per la fruizione del beneficio ed altri successivamente, la pena rilevante ai fini della revoca dell’indulto va individuata, con riguardo ai reati-satellite, nell’aumento di pena in concreto inflitto a titolo di continuazione per ciascuno di essi, e non nella sanzione edittale minima prevista per la singola fattispecie astratta; a tal fine, ove la sentenza non abbia specificato la pena applicata per ciascun reato, spetta al giudice dell’esecuzione interpretare il giudicato.

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Cass. pen. n. 2060/2009

In tema di revoca dell’indulto, nel caso in cui il reato commesso entro il termine all’uopo rilevante risulti unito in continuazione con altro più grave commesso precedentemente, per valutare il superamento del limite di pena preclusivo alla concessione del beneficio, il giudice non deve considerare l’aumento di pena applicato in concreto ma deve aver riguardo alla sanzione edittale minima prevista per il reato, con la massima riduzione consentita in presenza di circostanze attenuanti.

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Cass. pen. n. 43037/2008

La non applicabilità dell’indulto elargito con L. 31 luglio 2006 n. 241 alle pene inflitte per reati in relazione ai quali ricorre la circostanza aggravante di cui all’art. 7 D.L. 13 maggio 1991 n. 152, convertito nella L. 12 luglio 1991 n. 203 (agevolazione o metodo mafioso) opera anche per i delitti tentati.

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Cass. pen. n. 41073/2008

L’indulto concesso con L. n. 241 del 2006 non può applicarsi nel caso in cui il giudicato sia comprensivo della circostanza aggravante prevista dall’art. 7 D.L. n. 152 del 1991, conv. in L. n. 203 del 1991. (Nel caso di specie, la sussistenza della circostanza era indicata nel dispositivo della sentenza di primo grado, confermata da quella di appello, ancorché nella motivazione di quest’ultima ne era stata enunciata l’esclusione).

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Cass. pen. n. 39331/2008

Le sentenze di condanna per le quali non è stata concessa l’estradizione non possono essere eseguite, sicché, qualora concorrano più pene delle quali alcune siano ineseguibili per mancata concessione dell’estradizione, l’indulto eventualmente spettante va applicato nella misura consentita soltanto sulle pene suscettibili d’immediata esecuzione.

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Cass. pen. n. 12709/2008

In tema di indulto, la regola stabilita nell’art. 174, comma secondo, c.p., secondo la quale, nel concorso di reati, l’indulto si applica una volta sola, dopo cumulate le pene, secondo le norme concernenti il concorso di reati, opera solo alla condizione che tutte le pene siano condonabili, giacché nessuna causa di estinzione della pena può incidere su un cumulo che comprenda pene sulle quali la stessa causa non può esplicare i suoi effetti. Ove tale condizione non sia realizzata, occorre separare le pene condonabili da quelle non condonabili, quindi unificare le pene non condonabili con la parte di quelle condonabili che sia eventualmente residuata dopo l’applicazione del beneficio indulgenziale e, infine, se del caso, operare la riduzione prevista dall’art. 78 c.p.

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Cass. pen. n. 6649/2008

L’indulto può essere applicato a pena già espiata, purché il condannato ne possa conseguire un effetto favorevole.

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Cass. pen. n. 6622/2008

Nell’applicazione dell’indulto (nella specie, di quello elargito con legge 31 luglio 2006 n. 241), è illegittimo il frazionamento, all’interno dello stesso reato aggravato, della pena complessivamente inflitta per esso, al fine di scorporarne la parte imputabile alla circostanza aggravante e dichiararla condonata, a nulla rilevando che quest’ultima non sia ostativa all’elargizione del beneficio, quando lo sia il reato per cui è intervenuta condanna. (Fattispecie concernente il reato di cui all’art. 74, comma primo, D.P.R. 9 ottobre 1990 n. 309, testo unico in materia di disciplina degli stupefacenti e sostanze psicotrope, aggravato ai sensi del successivo comma terzo).

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Cass. pen. n. 39547/2007

L’indulto, pur estinguendo la pena e facendone cessare l’espiazione, non ha tuttavia alcuna efficacia ablativa circa gli altri effetti derivanti dalla condanna (nella specie, quello di renderla idonea a fungere da causa risolutiva della sospensione condizionale della pena in precedenza concessa).

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Cass. pen. n. 35337/2007

L’indulto, operando con riferimento alle pene detentive e pecuniarie, non è applicabile alle sanzioni di cui all’art. 9 D.L.vo n. 231 del 2001 in quanto sanzioni collegate a responsabilità di natura amministrativa e non penale.

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Cass. pen. n. 28696/2007

Qualora il condannato abbia fatto esplicita istanza di revoca della parte di condono applicata alla pena già sofferta a titolo di custodia cautelare, è illegittimo il provvedimento di rigetto dell’istanza, in quanto l’indulto non si applica — salvo apposita richiesta di chi vi abbia specifico interesse — alla pena già espiata.

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Cass. pen. n. 19339/2006

La regola di cui all’art. 174, comma terzo c.p. — che stabilisce che in caso di concorso di reati l’indulto si applica una sola volta dopo aver cumulato le pene — opera solo alla condizione che tutte le pene siano condonabili, giacchè nessuna causa di estinzione della pena può incidere su un cumulo che comprenda pene sulle quali la stessa causa non può esplicare i suoi effetti; in tal caso occorre procedere alla separazione delle pene condonabili e quindi procedere unificando le pene non condonabili con la parte di quelle condonabili che è residuata dopo l’applicazione dei benefici indulgenziali, effettuando la riduzione prevista dall’art. 78 c.p. solo all’esito di tale operazione.

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Cass. pen. n. 19749/2005

L’indulto di cui al D.P.R. n. 394 del 1990 non è concedibile in riferimento ai delitti previsti dall’art. 71 legge n. 685 del 1975 (legge stupefacenti), se la pena sia determinata all’esito di un giudizio di equivalenza delle circostanze aggravanti di cui all’art. 74 della stessa legge, per l’espressa previsione di esclusione dell’indulto nei casi di applicazione delle indicate specifiche circostanze aggravanti (nella specie la Corte ha ribadito che il giudizio di equivalenza delle circostanze aggravanti ed attenuanti comporta che delle circostanze aggravanti si faccia applicazione, da ciò derivando l’inibizione in concreto degli effetti delle circostanze attenuanti).

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Cass. pen. n. 19740/2005

Il reato continuato deve essere scisso nei suoi vari episodi criminosi al fine di accertare per ciascuno di essi, in relazione alla data di commissione, la sussistenza delle condizioni per l’applicazione dell’indulto.

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Cass. pen. n. 13376/2004

L’applicazione parziale dell’indulto ad una condanna, in riferimento ad uno soltanto dei reati uniti dal vincolo della continuazione, rende condonabili, per intero, le pene accessorie temporanee, anche se le stesse siano relative a reati esclusi in via oggettiva, o ratione temporis, dal beneficio indulgenziale; tanto deriva dalla formulazione letterale dell’art. 2 del D.P.R. 22 dicembre 1990, n. 394, che stabilisce il condono, per intero, delle pene accessorie temporanee conseguenti ad una condanna alla quale venga applicato, anche solo in parte, l’indulto e dall’applicazione del generale principio del favor rei, che consente di sciogliere il vincolo ideologico, che unifica nel reato continuato i singoli fatti criminosi, solo quando da tale operazione possano derivare effetti giuridici favorevoli all’interessato.

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Cass. pen. n. 43909/2003

Il provvedimento di grazia sottoposto alla condizione risolutiva della commissione di un nuovo reato entro un termine predeterminato è revocabile di diritto, ai sensi dell’art. 674 c.p.p., al verificarsi della condizione stessa, rimanendo del tutto irrilevante, a questi fini, che il decreto di grazia condizionato non sia stato notificato al beneficiario, dal momento che nessuna norma stabilisce un tale obbligo (in motivazione la Corte ha precisato che il destinatario di un provvedimento eccezionale, come la grazia, ha un onere di ordinaria diligenza nel prenderne contezza all’atto stesso della sua fruizione).

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Cass. pen. n. 35718/2003

In base agli artt. 9 del D.P.R. n. 865 del 1986 e 2 del D.P.R. n. 394 del 1990, l’indulto sulle pene accessorie temporanee è concesso, per intero, quando il beneficio «è applicato», anche solo in parte, alle pene principali per cui è stata pronunciata condanna. Ne consegue che non sono condonabili le pene accessorie relative a reati oggettivamente esclusi dal provvedimento di clemenza, ancorché legati ad altri dal vincolo della continuazione, poiché il beneficio non è applicabile neppure in parte alle relative pene principali, dovendo quest’ultime, a seguito dello scioglimento del vincolo ex art. 81 c.p., essere escluse dal cumulo materiale e giuridico.

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Cass. pen. n. 19752/2003

In presenza di una già operante e riconoscibile causa di revoca dell’indulto, è legittima e doverosa la mancata applicazione del beneficio atteso che, altrimenti, il medesimo, una volta applicato, o dovrebbe essere subito dopo revocato, con inutile dispendio di attività giurisdizionale, o non sarebbe più revocabile, con evidente violazione della legge che, quando ne sussistano le condizioni, prevede invece la revoca come obbligatoria.

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Cass. pen. n. 2128/2000

La pena dell’ergastolo, in quanto pena detentiva perpetua, non è condonabile in parte, ma soltanto, per eventuale volontà del legislatore, in toto ovvero, sempre in forza della medesima volontà, convertibile in pena di altra specie, di guisa che ad essa non può essere applicato, in mancanza di una specifica norma, l’indulto previsto in via generale soltanto per le pene detentive temporanee.

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Cass. pen. n. 7143/2000

La regola di cui all’art. 174, comma secondo, c.p., in virtù della quale l’indulto è una sola volta applicabile sulla pena unificata, può essere osservata solo a condizione che tutte quelle che concorrono a formarla siano ricadenti nell’ambito del provvedimento di clemenza. Se, invece, il condono è applicabile solo a talune pene, ovvero lo è in misura ridotta, il cumulo va scisso e il beneficio va applicato solo su quell’insieme di pene che ne possono usufruire.

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Cass. pen. n. 1315/2000

La sospensione condizionale della pena prevale sull’indulto in quanto può determinare, una volta realizzatesi le condizioni previste dalla legge, l’estinzione del reato. (Fattispecie in cui è stata annullata la decisione del giudice di appello che, in assenza di censure sul punto dell’appellante, aveva dichiarato condonate le pene relative ad alcuni reati per i quali in primo grado era stata disposta la sospensione condizionale della pena).

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Cass. pen. n. 9047/1999

La sentenza emessa a seguito di «patteggiamento» non ha natura di provvedimento di condanna e non comporta alcun riconoscimento positivo di responsabilità penale; essa pertanto non può costituire presupposto per la revoca dell’indulto precedentemente concesso all’imputato, nel caso in cui la condizione di tale revoca sia rappresentata proprio dalla condanna a pena non inferiore a quella prevista nel detto provvedimento di clemenza, quale conseguenza della commissione di determinati reati, entro un prescritto periodo di tempo, anche esso indicato nel ricordato provvedimento indulgenziale.

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Cass. pen. n. 4526/1997

Nel caso di plurime applicazioni dello stesso indulto effettuate in giudizi diversi o in fase esecutiva, è il pubblico ministero l’organo che, nel procedere all’unificazione delle pene, a norma dell’art. 663 c.p.p., deve, in linea con i suoi compiti istituzionali, provvedere alla riduzione del beneficio concesso in misura superiore al limite stabilito, al fine di assicurare l’esatta osservanza, oltre che della specifica norma contenuta nel relativo decreto presidenziale, anche della disposizione di cui al secondo comma dell’art. 174 c.p., che regola l’applicazione definitiva del beneficio nella sua entità quantitativa sulla pena complessiva risultante dal cumulo delle pene concorrenti. (Fattispecie in tema di applicazione dell’indulto concesso con D.P.R. n. 744 del 1981).

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Cass. pen. n. 2299/1997

La sentenza di applicazione della pena su richiesta, pronunciata ai sensi dell’art. 444 c.p.p., così come non può dar luogo alla revoca di una precedente sospensione condizionale della pena, non può neppure comportare la revoca di un precedente indulto.

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Cass. pen. n. 5277/1997

Quando bisogna ricondurre nei limiti di legge l’indulto applicato, con separati provvedimenti, in misura complessivamente superiore a quella prevista, non va disposta la revoca del beneficio, ma lo stesso va ridimensionato mediante la sua applicazione unitaria in sede di cumulo, ai sensi dell’art. 174, comma secondo, c.p., il cui provvedimento si sovrappone e si sostituisce all’insieme delle applicazioni separate, le quali restano assorbite.

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Cass. pen. n. 516/1997

L’indulto, se estingue la pena e ne fa cessare l’esecuzione, non ha tuttavia efficacia ablativa rispetto agli altri effetti scaturenti dalla sentenza di condanna, tra i quali va compresa la recidiva. Ne consegue che quest’ultima può essere contestata anche in relazione ai reati la cui pena, inflitta con precedenti sentenze definitive, sia stata condonata.

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Cass. pen. n. 2392/1996

Il momento consumativo dei reati di bancarotta si perfeziona all’atto della pronuncia della sentenza dichiarativa di fallimento, ancorché la condotta, commissiva od omissiva, si sia esaurita anteriormente, in quanto la sentenza di fallimento rappresenta elemento costitutivo del reato di bancarotta, e non condizione oggettiva di punibilità. Ne consegue che, in materia di applicazione o di revoca dell’indulto, è alla data della sentenza dichiarativa di fallimento che occorre far riferimento, essendo del tutto ininfluente che la condotta sia cessata in epoca anteriore.

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Cass. pen. n. 732/1996

In mancanza di impugnazione del pubblico ministero, il giudice di appello non può revocare l’indulto applicato in primo grado, sicché la revoca è rimessa alla fase esecutiva, poiché – come risulta dagli artt. 590, ultimo comma c.p.p. 1930 e 674, ultimo comma c.p.p. in vigore – il giudice della cognizione può revocare il beneficio condizionato solo con la sentenza di condanna per altro reato.

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Cass. pen. n. 1123/1996

Il disposto del secondo comma dell’art. 174 c.p., che stabilisce che il condono si applica, nel concorso di più reati, una sola volta dopo cumulate le pene (cumulo materiale, non giuridico), va inteso con riferimento alle pene condonabili, non potendo operare detto beneficio su un cumulo che comprenda pene non estinguibili per detta causa (o per esclusione oggettiva dei relativi reati o per esclusione soggettiva concernente l’autore). Ove quest’ultima ipotesi si verifichi, occorre separare le pene condonabili da quelle non condonabili e formare un cumulo autonomo delle prime, applicando, solo a queste ultime, l’indulto nella misura consentita.

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Cass. pen. n. 2780/1996

In tema di applicazione dell’indulto a reati unificati con il vincolo della continuazione – sia nell’ipotesi in cui, in ragione del titolo, alcuni tra i reati unificati siano esclusi e altri compresi nel provvedimento di clemenza, sia nella diversa ipotesi in cui alcuni reati siano commessi prima e altri dopo il termine di efficacia previsto nel decreto di concessione del condono – il reato continuato va scisso al fine di applicare il beneficio a quei reati che vi rientrano, a meno che diverse disposizioni al riguardo siano dettate dal singolo provvedimento di clemenza.
Una volta operata la scissione del reato continuato al fine di procedere all’applicazione dell’indulto ai fatti commessi anteriormente al termine di efficacia previsto nel decreto di concessione, i fatti riacquistano la loro autonomia, onde è possibile che quelli commessi successivamente a quel termine integrino causa di revoca del condono applicato alle pene inflitte per quelli commessi in precedenza. (Fattispecie relativa all’applicazione del D.P.R. 16 dicembre 1986, n. 865, in ordine alla quale la Suprema Corte, nell’enunciare il principio di cui in massima, ha ritenuto infondata la tesi difensiva, secondo la quale la revoca dell’indulto sarebbe stata ammissibile solo in caso di sua già avvenuta applicazione, anche perché essa creerebbe disparità di trattamento tra chi viene condannato con la stessa sentenza per tutti i fatti in continuazione e chi, invece, per altri fatti ritenuti in continuazione, viene condannato con sentenza successiva a quella che ha applicato il condono).

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Cass. pen. n. 467/1996

Nei casi di indulto soggetto a revoca per successiva condanna, la già verificatasi condizione risolutiva rende l’indulto inapplicabile anche nelle ipotesi in cui il beneficio non sia stato ancora formalmente concesso.

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Cass. pen. n. 23/1995

L’indulto, se estingue la pena e ne fa cessare l’espiazione, non ha, però efficacia ablativa ed eliminatoria dal mondo giuridico penale degli altri effetti scaturenti ope legis dalla condanna, tra i quali anche l’idoneità della stessa a fungere da causa risolutiva del beneficio della sospensione condizionale della pena, concesso in relazione ad altra precedente condanna, in presenza degli altri presupposti richiesti dalla legge come necessari. Ne consegue che, qualora ad una condanna a pena sospesa — poi interamente condonata — segua, nei termini, una successiva condanna a pena che, cumulata con la prima, supera il limite di concedibilità del beneficio, è obbligatoria la revoca della prima sospensione condizionale concessa.

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Cass. pen. n. 2333/1995

Il problema dell’applicazione dell’indulto può essere sollevato nel giudizio di legittimità soltanto nel caso in cui il giudice di merito lo abbia preso in esame e lo abbia risolto negativamente, escludendo che l’imputato abbia diritto al beneficio, e non, invece, quando abbia omesso di pronunciarsi, riservandone implicitamente l’applicazione al giudice dell’esecuzione. Ne consegue che, allorché non risulta richiesta, nelle fasi di merito, l’applicazione dell’indulto, la questione non è deducibile in cassazione.

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Cass. pen. n. 4859/1995

La dichiarazione di fallimento è un elemento costitutivo del reato di bancarotta e non una condizione oggettiva di punibilità, di guisa che tale reato si concretizza in tutti i suoi elementi costitutivi solo nel caso in cui il soggetto, che abbia commesso anche in precedenza attività di sottrazione di beni, sia dichiarato fallito. (Nella fattispecie, relativa a revoca di indulto, la corte ha ritenuto ininfluente, ai fini dell’individuazione del momento di consumazione del reato, la data, riportata in calce al capo di imputazione, che indicava solo il periodo di sottrazione dei beni dell’impresa).

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Cass. pen. n. 3258/1995

La pena dell’ergastolo, in quanto pena detentiva perpetua, non è condonabile «in parte», ma soltanto, per eventuale volontà del legislatore, in toto, ovvero, sempre per la medesima volontà, convertibile in pena di altra specie; né il condono parziale può applicarsi al limitato scopo dell’anticipata maturazione dei periodi di pena espiata necessari per l’accesso a taluni benefici penitenziari, perché questi hanno come presupposto, oltre che una pregressa espiazione, la partecipazione del condannato all’opera di rieducazione, da cui l’indulto prescinde completamente.

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Cass. pen. n. 3628/1994

L’indulto deve essere applicato ai sensi dell’art. 174 c.p. sul cumulo materiale e non su quello giuridico previsto dall’art. 78 c.p. (relativo ai limiti degli aumenti di pena) il quale opera solo necessariamente.

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Cass. pen. n. 3922/1994

Tra gli effetti penali della condanna fatti salvi dall’art. 174, comma primo, c.p. va compresa la revoca del beneficio della sospensione condizionale della pena quale conseguenza della successiva condanna riportata dall’imputato, in presenza degli altri presupposti di legge, ai sensi dell’art. 168, comma primo n. 2 c.p. (Fattispecie relativa a ricorso per cassazione avverso ordinanza del giudice dell’esecuzione che, ai sensi dell’art. 168, comma primo n. 2, c.p. aveva revocato, su richiesta del P.M., il beneficio della sospensione di cui all’art. 163 c.p. a causa di successiva condanna riportata dall’imputato per un delitto anteriormente commesso, nonostante che la pena per tale condanna fosse stata interamente condonata).

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Cass. pen. n. 3756/1993

Le pene condonate prima dell’effettuazione del cumulo vanno incluse nello stesso.

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Cass. pen. n. 2594/1993

L’art. 1 del D.P.R. 22 dicembre 1990, n. 394, non consente di estendere l’indulto alla pena dell’ergastolo. La specifica connotazione di quest’ultimo, ossia la perpetuità, è infatti ontologicamente incompatibile con tutte quelle cause estintive della pena che presuppongono, ai fini della loro applicazione, una durata definita nel tempo. Né può pervernirsi a diversa conclusione solo perché l’ergastolo, al pari delle altre pene detentive permette il ricorso agli istituti della liberazione condizionale (art. 176, terzo comma, c.p.) e della liberazione anticipata (art. 54 ord. penit.). Ciò perché in relazione a tali benefici, estesi all’ergastolo in seguito ad appropriati interventi normativi successivi ad alcune pronunce della Corte costituzionale, non si è derogato al principio dell’inscindibilità dell’ergastolo, né si è eliminato il carattere perpetuo di esso, ma si è solo affermato che, dopo un certo periodo di detenzione, anche il condannato all’ergastolo può fruire di quei benefici se ha dato prova, con la sua condotta, di ravvedimento, ovvero ha dimostrato attivo interesse all’opera di rieducazione.

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Cass. pen. n. 2347/1993

Il disposto del secondo comma dell’art. 174 c.p., che stabilisce che il condono si applica, nel concorso di più reati, una sola volta dopo cumulate le pene (cumulo materiale, non giuridico), va inteso con riferimento alle pene condonabili, non potendo operare detto beneficio su un cumulo che comprenda pene non estinguibili per detta causa (o per esclusione oggettiva dei relativi reati o per esclusione soggettiva concernente l’autore). Ove quest’ultima ipotesi si verifichi, occorre separare le pene condonabili da quelle non condonabili e formare un cumulo autonomo delle prime, applicando solo a queste ultime l’indulto nella misura consentita.

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Cass. pen. n. 536/1993

Il condono è incompatibile con l’ergastolo che non può essere considerato una pena temporanea neanche sotto il limitato profilo dell’accesso alla liberazione condizionale o a misure alternative alla detenzione.

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Cass. pen. n. 44/1993

La pena dell’ergastolo, in quanto pena detentiva perpetua non è condonabile «in parte», cioè non può subire la detrazione di un periodo predeterminato, poiché la durata complessiva, essendo stabilita fino alla morte del reo, non è determinabile a priori; essa può solo essere condonata «in tutto» oppure commutata in un’altra specie di pena stabilita dalla legge. Nessuno di detti effetti è previsto dal D.P.R. n. 394 del 1990 il quale, dunque, non ha riguardo alla pena dell’ergastolo. (Fattispecie in cui il ricorrente sosteneva anche che il principio enunciato dall’art. 54 ord. pen. in materia di concessione della liberazione anticipata anche al condannato all’ergastolo, che può quindi beneficiarne ai fini dell’ammissione alla liberazione condizionale ex art. 176, comma terzo, c.p., dovesse estendersi anche all’indulto, in forza di applicazione analogica in bonam partem; la Cassazione ha respinto siffatto assunto osservando che tra i due istituti non sussiste un rapporto di affinità tale da configurare un’identica ratio legis e da legittimare quindi la richiesta applicazione analogica).

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Cass. pen. n. 3921/1992

In materia di indulto il disposto del secondo comma dell’art. 174 c.p. secondo il quale «nel concorso di più reati, l’indulto si applica una sola volta, dopo cumulate le pene», ha lo scopo di impedire il superamento dei limiti di legge mediante reiterazione o moltiplicazione del condono e si riferisce soltanto al cumulo delle pene condonabili, poiché nessuna causa estintiva della pena può operare su un cumulo unitario e globale che comprenda pene inattaccabili dalla causa in questione.

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Cass. pen. n. 2425/1992

La disposizione dell’art. 174, secondo comma, c.p. ha lo scopo di impedire, in caso di concorso di reati, il superamento dei limiti di legge mediante reiterazione o moltiplicazione del condono e si riferisce soltanto al cumulo delle pene condonabili, poiché nessuna causa estintiva della pena può operare su un cumulo unitario e globale che comprenda pene inattaccabili dalla causa in questione. Ne consegue che le pene inflitte per reati coperti da amnistia impropria, non essendo più eseguibili, non possono ricomprendersi nel provvedimento di unificazione delle pene, dal quale, qualora vi si sia già provveduto, vanno escluse, previo scioglimento del cumulo.

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Cass. pen. n. 2432/1992

È legittima la revoca contemporanea di più condoni concessi con distinti provvedimenti di clemenza a seguito di unica condanna successiva alla loro applicazione, allorché il nuovo reato cui quella condanna si riferisce sia stato commesso nei cinque anni dalla data di entrata in vigore di ciascun decreto, che prevedeva la decadenza dal beneficio al verificarsi di tale condizione.

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Cass. pen. n. 1532/1992

Mentre per quel che riguarda l’applicazione dell’indulto la necessità che si addivenga prima al cumulo delle pene discende dal disposto dell’art. 174, secondo comma, c.p., analogo principio deve peraltro valere anche quando si debba applicare amnistia o dichiarare l’estinzione di reato o di pena, attesa la necessità di preliminare verifica circa l’eventuale sussistenza di condizioni le quali impongano la revoca di precedenti provvedimenti di loro applicazione o la modifica dei loro referenti normativi i quali possono indurre anche a modificazioni quantitative, o di condizioni che modifichino la fungibilità eventualmente da rilevare. La unificazione delle pene concorrenti, pertanto, anche se non consacrata in formale ed autonomo provvedimento di cumulo finisce — ove si possa incidere sulla eseguibilità di uno dei provvedimenti che devono partecipare al cumulo — con l’essere necessaria come precedente momento logico-giuridico.

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Cass. pen. n. 1306/1992

La disposizione dell’art. 174, secondo comma, c.p., secondo la quale l’indulto «si applica una sola volta, dopo cumulate le pene», si riferisce al cumulo delle pene condonabili, poiché nessuna causa estintiva della pena può operare su un cumulo che comprenda pene inattaccabili dalla causa medesima. Ciò consegue al principio generale secondo cui, ove esistano cause di estinzione della pena, di detrazione del presofferto o, comunque, di caducazione o modificazione del potere dello Stato di curare l’esecuzione della condanna, le quali siano applicabili ad alcune soltanto delle pene concorrenti, si deve prima procedere a un cumulo parziale di tali pene (al fine di rendere possibile l’applicazione del beneficio o la detrazione del presofferto) e poi a nuovo cumulo delle pene residue, ripetendo, se necessario, l’operazione fino al cumulo definitivo, e attuando le eventuali riduzioni di cui all’art. 78 c.p. solo nell’ambito di ogni singola operazione.
Nel caso di pluralità di pene da espiare, la circostanza che l’applicazione dell’indulto relativamente solo a talune di esse, essendo le altre non condonabili, non inciderebbe sull’entità del cumulo giuridico finale e sul residuo da espiare, non è ragione sufficiente per disapplicare il decreto di indulto. Il beneficio può infatti operare giuridicamente ad altri eventuali fini (ad esempio per eliminare — se il decreto le prevede — pene accessorie che siano connesse esclusivamente alla condanna condonabile, ovvero per eliminare o ridurre anche pene principali di specie diversa — come nel caso di pene pecuniarie che, a differenza di quelle detentive, non superino i limiti previsti dall’art. 78 c.p.) e, comunque, quand’anche il carico sanzionatorio resti invariato sotto tutti i profili, sussiste l’interesse all’applicazione dell’indulto, potendo questo diventare praticamente operativo allorché, per qualsiasi causa, venga a cessare l’esecuzione della pena non condonabile (revisione, abolitio criminis, grazia o altra causa estintiva).

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Cass. pen. n. 3247/1991

In tema di applicazione dell’indulto, non può essere eseguito un cumulo unitario e globale, soggetto al limite dell’art. 7 della L. 18 febbraio 1987, n. 34 ed alle successive unitarie detrazioni di pene per gli indulti di cui ai decreti del Presidente della Repubblica 18 dicembre 1981, n. 744 e 16 dicembre 1986, n. 865, allorché l’uno o l’altro beneficio non siano applicabili a tutte le pene concorrenti: in tale ipotesi, infatti, si deve sciogliere il cumulo, applicare l’uno e l’altro indulto alla pena condonabile (o al cumulo di quelle condonabili) e quindi procedere ad una nuova e definitiva operazione di cumulo, unificando le pene non condonabili con la parte di quelle condonabili che è residuata dopo l’applicazione dell’uno o dell’altro beneficio.

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Cass. pen. n. 1454/1991

La revoca dell’indulto va disposta quando si sia avverata la condizione risolutiva prevista dal decreto di clemenza e non anche quando si tratti di ricondurre nei limiti di legge l’indulto applicato con separati provvedimenti in misura complessivamente superiore a quella dovuta. Infatti l’applicazione unitaria del beneficio in sede di cumulo, ai sensi dell’art. 174, comma secondo, c.p., si sovrappone e si sostituisce all’insieme delle applicazioni separate, le quali restano assorbite senza necessità di un formale provvedimento di revoca.

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Cass. pen. n. 1834/1990

In tema di indulto, non si può eseguire un cumulo unitario e globale, soggetto ai limiti dell’art. 78 c.p. e alla successiva unitaria detrazione dell’indulto, allorché questo beneficio non sia applicabile a tutte le pene concorrenti. In tale ipotesi si deve sciogliere il cumulo, applicare l’indulto alla pena condonabile (o al cumulo di quelle condonabili) e quindi procedere ad una nuova e definitiva operazione di cumulo, unificando le pene non condonabili con la parte di quelle condonabili che è residuata dopo l’applicazione dell’indulto, mentre i limiti di cui all’art. 78 c.p. operano soltanto nell’ambito di ogni singola operazione. Ne consegue che se a seguito del nuovo cumulo tra tutte le pene che concorrono a formarlo, decurtate della frazione di pena condonabile, il computo aritmetico superi il limite di trent’anni di reclusione, il limite di cui all’art. 78, comma primo, n. 1, c.p. viene ad operare sul nuovo cumulo che si effettua anche se ciò rende inoperante il riconosciuto condono.

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Cass. pen. n. 1089/1990

L’art. 174, comma secondo c.p., nel disporre che «l’indulto si applica una sola volta, dopo cumulate le pene», si riferisce al cumulo delle pene condonabili, poiché nessuna causa di estinzione della pena o di detrazione del presofferto può operare su un cumulo che comprenda pene inattaccabili dalla causa in questione.

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Cass. pen. n. 1111/1990

I provvedimenti applicativi dell’indulto adottati in relazione a singole condanne hanno carattere provvisorio e sono destinati ad essere assorbiti e superati dall’applicazione unitaria del beneficio in sede di cumulo ex art. 174 c.p.

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Cass. pen. n. 483/1990

La regola dell’applicazione unitaria dell’indulto nel cumulo delle pene può operare solo alla condizione che tutte le pene siano condonabili, altrimenti occorre separare le pene condonabili da quelle non condonabili e formare così delle prime un cumulo autonomo, applicando solo a queste l’indulto nella misura consentita.

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Cass. pen. n. 10/1987

Il giudice chiamato a pronunciarsi sull’applicabilità dell’indulto non può sospendere la decisione in attesa che l’autorità giudiziaria competente si pronunci su una dichiarazione di abitualità nel delitto ai sensi dell’art. 102 c.p. che renderebbe non più concedibile il beneficio, ma è tenuto ad accertare incidentalmente se sussistano nell’interessato le condiciones iuris dell’abitualità. (Nella specie è stata ritenuta illegittima la decisione sull’applicazione dell’indulto da parte del giudice dell’esecuzione in attesa che il giudice di sorveglianza decidesse in ordine alla dichiarazione di delinquenza abituale dell’interessato).

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