Art. 613 ter – Codice penale – Istigazione del pubblico ufficiale a commettere tortura
Il pubblico ufficiale o l’incaricato di un pubblico servizio il quale, nell’esercizio delle funzioni o del servizio, istiga in modo concretamente idoneo altro pubblico ufficiale o altro incaricato di un pubblico servizio a commettere il delitto di tortura, se l’istigazione non è accolta ovvero se l’istigazione è accolta ma il delitto non è commesso, è punito con la reclusione da sei mesi a tre anni.
Le parole ricomprese fra parentesi quadre sono state abrogate.
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Massime correlate
Cass. civ. n. 25617/2022
Il delitto di tortura non è assorbito in quello, più grave, di violenza sessuale di gruppo, ostandovi sia la diversità del bene giuridico tutelato (la libertà fisica e psichica nell'uno e la libertà sessuale nell'altro), sia la non sovrapponibilità strutturale delle condotte incriminate, posto che la violenza perpetrata nei confronti di persona costretta a subire o a compiere atti sessuali acquista autonoma rilevanza nel caso in cui, oltre ad essere funzionale a tale coartazione, si estrinsechi, prima, durante o dopo il compimento dell'atto sessuale, in un'ulteriore sopraffazione fisica e psicologica della vittima, provocandole acute sofferenze fisiche o un verificabile trauma psichico.
Cass. civ. n. 1729/2021
Il delitto di sequestro di persona è assorbito in quello di tortura, nonostante la diversa oggettività giuridica, nella misura in cui la condotta di privazione della libertà personale della vittima connoti parte della condotta torturante, agevolando la realizzazione del fine ultimo, perseguito dall'agente, di inflizione alla medesima di un supplizio, mentre si configura il concorso tra i due reati nel caso in cui la privazione della libertà personale si protragga oltre il tempo necessario al compimento degli atti di tortura.
Cass. civ. n. 47079/2019
Il delitto di tortura è stato configurato dal legislatore come reato eventualmente abituale, potendo essere integrato da più condotte violente, gravemente minatorie o crudeli, reiterate nel tempo, oppure da un unico atto lesivo dell'incolumità o della libertà individuale e morale della vittima, che però comporti un trattamento inumano e degradante per la dignità della persona.
Cass. civ. n. 50208/2019
Ai fini dell'integrazione del delitto di tortura di cui all'art. 613-bis, comma primo, cod. pen., la locuzione "mediante più condotte" va riferita non solo ad una pluralità di episodi reiterati nel tempo, ma anche ad una pluralità di contegni violenti tenuti nel medesimo contesto cronologico.
Cass. civ. n. 4755/2019
In tema di tortura, anche quando il reato assuma forma abituale, per l'integrazione dell'elemento soggettivo non è richiesto un dolo unitario, consistente nella rappresentazione e deliberazione iniziali del complesso delle condotte da realizzare, ma è sufficiente la coscienza e volontà, di volta in volta, delle singole condotte.
Cass. civ. n. 50155/2004
Il reato di procurata incapacità mediante somministrazione di sostanze stupefacenti, previsto dall'art. 613 c.p., non può concorrere con la rapina aggravata ai sensi del n. 2, comma terzo dell'art. 628 c.p., che riguarda il caso in cui la violenza sia consistita nel porre taluno in stato di incapacità di volere o di agire, in quanto quest'ultimo reato, così circostanziato, è costituito dalla fusione del reato di furto con quello di procurata incapacità, dando luogo ad un'unica fattispecie criminosa, secondo il principio di specialità che regola il concorso apparente di norme e che trova applicazione specifica nella configurazione del reato complesso.
Cass. civ. n. 10841/1986
Il reato di cui all'art. 613 c.p., concernente lo stato di incapacità procurato mediante violenza, può essere accertato, anche esclusivamente, mediante prova per testi, in ossequio al principio del libero convincimento del giudice e all'insussistenza, nel vigente ordinamento processuale, di una gerarchia dei mezzi di prova.
Cass. civ. n. 6610/1985
Ai fini della configurabilità del reato di cui all'art. 613 c.p. è necessario che il soggetto passivo sia stato posto in stato di incapacità di intendere e di volere, cioè in quello stato in cui il soggetto, a norma dell'art. 85 c.p., se commette un fatto preveduto dalla legge come reato, non è imputabile. Ciò distingue questa ipotesi criminosa del delitto di cui all'art. 643 c.p., che si riferisce ad uno stato di infermità o deficienza psichica, che non richiede una completa assenza delle facoltà mentali o una totale mancanza della capacità di intendere e di volere, mentre è sufficiente che ricorra una minorata capacità psichica, uno stato di menomazione del potere di critica e di indebolimento di quello volitivo, tale da rendere possibile l'altrui opera di suggestione o da agevolare l'induzione svolta dal soggetto attivo per raggiungere il suo fine illecito.