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Il Movimento Forense replica all’articolo di Bruno Vespa su Panorama

Il Movimento Forense replica all’articolo di Bruno Vespa su Panorama

La polemica sorta fra Bruno Vespa e l’avvocatura italiana fa segnalare una nuova impennata a seguito dell’articolo pubblicato su Panorama del 1 marzo 2012 con il n. 11, che qui riportimo integralmente:

Basterà tutto questo per assicurare una crescita ragionevole dell’Italia? Riepiloghiamo. I notai aumenteranno con concorsi annuali a partire dal 2015: sono largamente sotto organico e non hanno alcun interesse ad accelerare le prove d’esame. I tassisti saranno gestiti in condominio da comuni e autorità sui trasporti: sarà una bella lotta tra efficienza del servizio e clientele elettorali. I farmacisti (una delle lobby italiane più forti) avranno maggiore concorrenza con l’apertura di qualche migliaio di esercizi in più. Le banche dovranno aprire gratuitamente conti correnti fino a 1.500 euro al mese ai pensionati e non potranno imporre la loro compagnia di assicurazione a chi chiede un mutuo. Le tariffe sulla Rc auto dovrebbero diminuire al pari delle truffe.

Gli avvocati hanno fatto la resistenza più grossa. Hanno ottenuto di non dover presentare al cliente un preventivo scritto e di pagare un obolo ai tirocinanti solo dopo sei mesi. Ma vogliono scioperare ugualmente per otto giorni a metà marzo perché non gli va giù l’abolizione delle tariffe, l’apertura del loro mondo a soci esterni (anche se ai professionisti sono riservati comunque almeno i due terzi delle quote) e il potenziamento della mediazione obbligatoria, perché lucrano sulla lunghezza dei giudizi che la mediazione invece stronca. L’abolizione delle tariffe favorisce i più giovani.

Il problema è che gli avvocati sono troppi e vogliono strozzare le nuove generazioni nella culla. È pazzesco che soltanto il 26 per cento degli aspiranti superi il concorso d’idoneità professionale, mentre gli esami di stato delle altre categorie conteggiano un numero di promossi che va dal 98 per cento dei medici al 48 per cento dei commercialisti. Qui il governo deve intervenire sull’università stabilendo, per esempio, un numero chiuso nel biennio di specializzazione per chi voglia fare l’avvocato, considerandolo come pratica e rendendo poi l’accesso alla professione pressoché automatico. Gli avvocati sono la categoria più conservatrice, ma tutti i professionisti si sentono sotto attacco: la «giornata dell’orgoglio» del 1° marzo è a metà strada tra la voglia di riscatto e di innovazione e il desiderio di autoprotezione.

Tutte queste misure garantiranno certamente un sistema più aperto e moderno, ma la crescita è legata ad altri fattori, ad altre liberalizzazioni. La scissione tra l’Eni e la Snam è l’unico vero passo fatto in una direzione strategica. E se saranno davvero falcidiati i tribunali minori e istituiti agili tribunali per l’impresa, la giustizia potrebbe davvero fare un grosso passo in avanti.

Ma è sorprendente che non si metta mano, per esempio, ai servizi pubblici locali, formidabili snodi di potere dovunque, che in alcune città funzionano bene, ma in molte altre sono soltanto centri di clientela e di sprechi. Gli italiani vogliono servizi migliori a prezzi più bassi, ma poi bloccano la privatizzazione del servizio idrico, rifiutano le centrali nucleari, boicottano i rigassificatori, arricchiscono gli olandesi con i rifiuti di Napoli per non costruire termovalorizzatori, ritardano più di ogni altro paese europeo le opere pubbliche con vincoli di ogni genere e il risultato di moltiplicare i costi. Infine, la riforma delle riforme: la flessibilità e il costo del lavoro, elevatissimo per imprese e professionisti con buste paga modeste. Taxi, farmacie, notai: tutto bene. Ma la crescita vera è altrove.

 


All’articolo di Bruno Vespa replica il Movimento Forense, attraverso il presidente Massimiliano Cesali, con questo intervento

Egr. Direttore Mulè,
mi sento in dovere di replicare all’ennesimo attacco sferrato dal dott. Bruno Vespa nei confronti dell’Avvocatura.
Già nel luglio 2011 contestai per iscritto la sua presa di posizione allorquando egli paragonò gli avvocati, rei di aver contestato l’entrata in vigore della Mediazione, ai NO-TAV; ora leggo l’articolo pubblicato da Panorama n. 11 del 1 marzo in cui il Direttore Vespa si scaglia con ingiustificata veemenza contro l’Avvocatura affermando, tra l’altro, che gli avvocati contrastano la mediazione obbligatoria “perché lucrano sulla lunghezza dei giudizi che invece la mediazione stronca”.
Oggi come allora le affermazioni sono il portato di un’evidente non conoscenza diretta del problema giustizia che affligge milioni di cittadini italiani (in nessun altro paese dell’euro zona il numero di chi chiede giustizia è così alto), che hanno nell’avvocato l’unica figura in grado di difendere e tutelare i loro diritti.
Ebbene, per sgombrare subito il campo dagli equivoci, dico subito che l‘avvocato non può incidere sulla lunghezza dei processi sia perché non lo consente il vigente codice di procedura (Civile in particolare), sia perché non lo concederebbero i Magistrati.
Sono certo: non è responsabilità degli avvocati se le udienze per i procedimenti di primo grado vengono fissate con cadenze semestrali ovvero se in Corte di Appello tra una udienza e l’altra possono passare anche più di due anni.
Peraltro se la domanda di giustizia impegna oltre 240.000 avvocati, non sono pochi 7000 magistrati, dei quali molti in congedo, aspettativa o distacco presso amministrazioni pubbliche?
E’ fin troppo evidente l’infondatezza dell’accusa mossa: un processo lungo per noi avvocati è sempre un danno in termini economici poiché siamo pagati per l’attività svolta e non per la durata del processo, ed in genere quando questo finisce.
Inoltre, lo spropositato aumento dei costi di accesso alla giustizia ha costretto noi avvocati a ribassare le nostre parcelle per consentire a tutti i cittadini di poter promuovere un giudizio. Pertanto, sfugge come gli avvocati possano lucrare da un processo che oltre ad essere lungo e anche costoso.
Altra inesattezza, anch’essa figlia di superficiale informazione, riportata nel citato articolo è che gli avvocati siano “contro” la Mediazione, difesa da sempre a spada tratta dal dott. Vespa. Ed invero, anche la categoria è favorevole a trovare delle soluzioni alternative alla sede giudiziaria, ma contesta la Mediazione così come oggi concepita la cui inefficienza, al contrario di quanto apoditticamente sostiene il direttore Vespa, era stata ampiamente prevista da noi addetti ai lavori.
Altro tema toccato dal dott. Vespa nell’articolo richiamato, è quello dell’abolizione delle tariffe, provvedimento secondo il direttore “che favorisce i più giovani”; non credo sia necessario essere degli economisti per comprendere che proprio i giovani Colleghi saranno penalizzati da tale provvedimento, privati di un punto di riferimento normativo che li tutela, ed in balia delle grandi imprese che faranno una gara al ribasso dei compensi da riconoscere agli avvocati.
Peraltro, facendo un discorso più generale, l’abrogazione delle tariffe ha penalizzato non solo gli avvocati ma l’intero sistema giustizia se è vero come è vero che i Magistrati – in attesa degli agognati parametri ministeriali – non possono emettere le Sentenze in assenza di punti di riferimento per la liquidazione delle spese legali.
Ed ancora, nella breve ma bellicosa parte dell’articolo in cui il dott. Vespa tratta degli avvocati, il direttore si occupa – sempre in modo deciso e netto – dell’accesso alla professione. Nel convenire che probabilmente c’è necessità di apportare profondi correttivi (anche al sistema universitario, troppo teorico per preparare alla professione), non mi pare giusto attribuire agli avvocati la volontà di “strozzare le nuove generazioni nella culla”. Infatti, la professione di avvocato è, quasi per definizione, libera: ci si accede dopo essersi laureati, dopo aver fatto il praticantato e con il superamento dell’esame di Stato. Questo percorso ad oggi è stato fatto fino alla fine da centinaia di migliaia di italiani, dei quali attualmente 240.000 in attività, molto spesso dopo aver fallito l’esame da Notaio, da Magistrato e finanche il concorso pubblico.
Vogliamo cercare di proteggere quello che i poteri forti definiscono “consumatore” – che noi invece continuiamo a chiamare “assisitito” – facendo in modo che quando mette la sua vita nelle mani di un avvocato il professionista sia effettivamente tale?
Da ultimo, una breve replica anche a proposito dei soci di capitale nelle società tra professionisti. Ebbene, questo è solo l’ultimo dei provvedimenti adottati dal Governo tendenti a minare l’autonomia e l’indipendenza degli avvocati che non dovranno rispondere più solo alla propria deontologia, professionalità e coscienza bensì alla logica del profitto.
Ci sarebbe tanto altro da scrivere, per esempio sulla grave ed irreversibile crisi di rappresentanza e di rappresentatività della nostra categoria, ma mi limito a sottolineare che quanto affermato dal dott. Vespa nei suoi articoli non rende giustizia alla formazione dell’opinione dei cittadini, milioni, ai quali il direttore con la sua autorevolezza offre, comunque sia, costante informazione.

L’Avvocatura è costituita da migliaia di professionisti che ogni giorno affiancano i cittadini operando in un sistema giustizia al collasso; donne e uomini alle prese con i problemi di tutti ma con il peso ulteriore di dover combattere contro i pregiudizi ed i luoghi comuni troppo spesso superficialmente alimentati e comunicati pubblicamente.

Nell’augurarmi che questa mia possa servire a dare una opinione, anche solo leggermente diversa della categoria professionale di cui mi onoro, come tanti miei colleghi, di far parte, voglia gradire cordiali saluti.

avv. Massimiliano Cesali

Presidente del
MOVIMENTO FORENSE

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