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Cassazione penale Sez. Feriale sentenza n. 34558 del 20 agosto 2003

Cassazione penale Sez. Feriale sentenza n. 34558 del 20 agosto 2003

Testo massima n. 1

Al fine di individuare se l’attività svolta da un soggetto possa essere qualificata come pubblica, ai sensi e per gli effetti di cui agli artt. 357 e 358 c.p., è necessario verificare se essa sia o meno disciplinata da norme di diritto pubblico o da atti autoritativi, non rilevando invece la forma giuridica dell’ente e la sua costituzione secondo le norme del diritto pubblico, né lo svolgimento della sua attività in regime di monopolio, né tanto meno il rapporto di lavoro subordinato con l’organismo datore di lavoro. Nell’ambito dei soggetti che svolgono pubbliche funzioni, la qualifica di pubblico ufficiale è poi riservata a coloro che formano o concorrano a formare la volontà della pubblica amministrazione o che svolgono tale attività per mezzo di poteri autoritativi o certificativi, mentre quella di incaricato di pubblico servizio è assegnata dalla legge in via residuale a coloro che non svolgono pubbliche funzioni ma che non curino neppure mansioni di ordine o non prestino opera semplicemente materiale. Integra pertanto il reato di peculato il fatto del dipendente dell’Enel incaricato della riscossione dei pagamenti dei compensi dovuti all’ente con poteri di transazione e di concessione di dilazioni nei confronti di utenti morosi e di disporre i distacchi della fornitura di energia elettrica.

Testo massima n. 1

In tema di reati societari, l’estensione della procedibilità a querela, secondo quanto previsto dall’art. 2622, comma secondo, c.c. [ nel testo novellato dall’art. 1 del D.L.vo 11 aprile 2002 n. 61 ], anche al caso in cui «il fatto integra altro delitto, ancorché aggravato a danno del patrimonio di soggetti diversi dai soci e dai creditori, salvo che sia commesso in danno dello Stato, di altri enti pubblici o delle Comunità europee», presuppone che si versi in ipotesi di concorso formale, e cioè che la medesima azione che integra gli estremi della condotta prevista dal citato art. 2622 [ false comunicazioni sociali in danno dei soci o dei creditori ], configuri anche diversa fattispecie prevista da altra norma incriminatrice; il che non si verifica nel caso della truffa, per la cui configurabilità occorre, rispetto alla condotta che integra le false comunicazioni sociali, un
quid pluris, rappresentato sia dall’induzione in errore, sia dalla sussistenza dell’altrui danno, il quale ultimo non rappresenta un’aggravante ma è uno degli elementi costitutivi del reato, assente nella fattispecie delle false comunicazioni sociali; ragion per cui non può ad esso riferirsi l’inciso «ancorché aggravato… etc.», il quale attiene non agli elementi costitutivi del reato cui si estende la procedibilità a querela, ma alla diversa ipotesi che tale reato risulti aggravato per l’esistenza di un danno a soggetti diversi dai soci e dai creditori. [ Nella specie, in applicazione di tali principi, la Corte ha ritenuto perseguibile, pur in assenza di querela, il reato di truffa in danno della Federazione italiana gioco calcio contestato, unitamente a quello di cui all’art. 2622 c.c. – per il quale è stata invece dichiarata l’improcedibilità per difetto di querela – al presidente di una società calcistica, in relazione alla indebita percezione, sulla base dei dati di bilancio, del contributo federale alla suddetta società ] [ Mass. redaz. ].

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