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Cassazione penale Sez. Unite sentenza n. 11 del 1 agosto 1995

Cassazione penale Sez. Unite sentenza n. 11 del 1 agosto 1995

Testo massima n. 1

Affinché la chiamata in reità o correità possa assurgere a grave indizio di colpevolezza ai sensi dell’art. 273 c.p.p. è necessario che la stessa sia corredata da riscontri esterni – non necessariamente riferiti in modo specifico alla posizione soggettiva del chiamato, poiché l’assenza di questo ulteriore requisito, nell’ipotesi in cui non risultino elementi contrari al coinvolgimento di costui, non esclude, di per sé, anche per la naturale incompletezza delle indagini, l’attendibilità complessiva della chiamata – o quanto meno da un principio di riscontro di tale natura da confortarne la portata accusatoria, restando in ogni caso esclusa, in materia cautelare, l’applicabilità dell’art. 192 stesso codice. La sua valutazione, rimessa sempre al cauto apprezzamento del giudice di merito – insindacabile in cassazione se non sotto il profilo della manifesta assenza o illogicità della motivazione – deve svolgersi sotto un duplice profilo, intrinseco ed estrinseco. Sotto il primo profilo, il giudice è tenuto ad apprezzarne la precisione, la coerenza interna e la ragionevolezza, nonché a individuare il grado di interesse dell’autore per la specifica accusa, alla stregua della sua personalità e dei motivi che lo hanno indotto a coinvolgere l’indagato, avendo riguardo alla circostanza che lo spessore dell’attendibilità intrinseca della chiamata, è certamente influenzato dal tipo di conoscenza acquisita dal chiamante, variando secondo che costui riferisca vicende alle quali abbia partecipato o assistito, ovvero che abbia appreso de relato. Sotto il secondo profilo, il giudice deve appurare se sussistano, o non, elementi obiettivi che la smentiscano e se la stessa sia confermata da riscontri esterni di qualsiasi natura, rappresentativi o logici, dotati di tale consistenza da resistere agli elementi di segno opposto eventualmente dedotti dall’accusato. Ne consegue che, soltanto quando l’indagine del giudice di merito abbia avuto un esito positivo in ordine a entrambi i profili indicati, la chiamata in correità integra un grave indizio di colpevolezza ai sensi dell’art. 273 c.p.p.

Testo massima n. 2

In tema di misure cautelari personali, per gravi indizi di colpevolezza ai sensi dell’art. 273 c.p.p. devono intendersi tutti quegli elementi a carico, di natura logica o rappresentativa che — contenendo in nuce tutti o soltanto alcuni degli elementi strutturali della corrispondente prova — non valgono, di per sé, a provare oltre ogni dubbio la responsabilità dell’indagato e tuttavia consentono, per la loro consistenza, di prevedere che, attraverso la futura acquisizione di ulteriori elementi, saranno idonei a dimostrare tale responsabilità, fondando nel frattempo una qualificata probabilità di colpevolezza. [ Fattispecie in tema di chiamata in correità, che la S.C. ha ritenuto debba essere valutata alla stregua di qualsiasi altro indizio, sottolineando che la sua fonte, costituita da soggetti coinvolti in vario grado nel fatto per cui si procede, giustifica il dubbio in ordine al disinteresse che la determina e, conseguentemente, la massima di esperienza secondo la quale essa, diversamente dalla testimonianza, non può in nessun caso integrare, di per sé sola, un grave indizio di colpevolezza, se non sia corroborata da riscontri estrinseci idonei a suffragarne l’attendibilità ].

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