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Art. 273 — Condizioni generali di applicabilità delle misure

Art. 273 — Condizioni generali di applicabilità delle misure

1. Nessuno può essere sottoposto a misure cautelari se a suo carico non sussistono gravi indizi di colpevolezza.

1-bis. Nella valutazione dei gravi indizi di colpevolezza si applicano le disposizioni degli articoli 192, commi 3 e 4, 195, comma 7, 203 e 271, comma 1 .

2. Nessuna misura può essere applicata se risulta che il fatto è stato compiuto in presenza di una causa di giustificazione [ 5054 c.p.] o di non punibilità o se sussiste una causa di estinzione del reato [ 150 ss. c.p.] ovvero una causa di estinzione della pena [ 171 ss. c.p.] che si ritiene possa essere irrogata.

L’eventuale comma dell’articolo ricompreso fra parentesi quadre è stato abrogato.

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Aggiornato al 1 gennaio 2020
Il testo riportato è reso disponibile agli utenti al solo scopo informativo. Pertanto, unico testo ufficiale e definitivo è quello pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale Italiana che prevale in casi di discordanza rispetto al presente.

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Massime correlate

Cass. pen. n. 9047/2018

In tema di misure cautelari personali, la segnalazione proveniente dal “whistleblower” non costituisce un mero spunto investigativo, ma ha natura di dichiarazione accusatoria proveniente da un soggetto la cui identità, pur essendo riservata, è nota; il contenuto di detta dichiarazione, pertanto, può integrare i gravi indizi di colpevolezza richiesti per l’applicazione della misura, unitamente agli ulteriori riscontri acquisiti.

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Cass. pen. n. 17749/2017

In tema di misure cautelari personali, l’impugnazione del pubblico ministero avverso il provvedimento di diniego di emissione dell’ordinanza cautelare per l’insussistenza dei gravi indizi di colpevolezza devolve al giudice di appello la verifica di tutte le condizioni richieste per l’adozione delle misure cautelari e dunque questi, qualora intenda accogliere l’impugnazione, è tenuto a pronunziarsi anche in ordine alla configurabilità delle esigenze cautelari non considerate dal primo giudice.

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Cass. pen. n. 11509/2017

In tema di valutazione della chiamata in reità o correità in sede cautelare, le dichiarazioni accusatorie rese dal coindagato o coimputato nel medesimo reato o da persona indagata o imputata in un procedimento connesso o collegato, integrano i gravi indizi di colpevolezza di cui all’art. 273, comma primo, cod. proc. pen. – in virtù dell’esplicito richiamo all’art. 192, commi terzo e quarto, operato dall’art. 273, comma primo bis, cod. proc. pen., introdotto dall’art. 11 L. n. 63 del 2001 – soltanto se esse, oltre ad essere intrinsecamente attendibili, risultino corroborate da riscontri estrinseci individualizzanti, tali cioè da attribuire capacità dimostrativa e persuasività probatoria in ordine all’attribuzione del fatto-reato al soggetto destinatario di esse, ferma restando la diversità dell’oggetto della delibazione cautelare, preordinata a un giudizio prognostico in termini di ragionevole e alta probabilità di colpevolezza del chiamato, rispetto a quella di merito, orientata invece all’acquisizione della certezza processuale in ordine alla colpevolezza dell’imputato. [Fattispecie in cui la Corte ha ritenuto corretta l’ordinanza del tribunale del riesame di annullamento della misura cautelare applicata all’indagato per rapina, sequestro di persona e furto, in quanto fondata su una chiamata in correità del cugino – già raggiunto da titolo custodiale per gli stessi fatti – non collimante con la circostanza che la scheda telefonica, utilizzata per mantenere i contatti tra il cugino ed il complice e localizzata in luoghi ed orari compatibili con i commessi reati, non era stata rinvenuta nell’abitazione dell’indagato e solo sporadicamente aveva agganciato la relativa cella].

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Cass. pen. n. 6660/2017

Ai fini dell’adozione di una misura cautelare personale è sufficiente qualunque elemento probatorio idoneo a fondare un giudizio di qualificata probabilità sulla responsabilità dell’indagato in ordine ai reati addebitatigli, perché i necessari “gravi indizi di colpevolezza” non corrispondono agli “indizi” intesi quale elemento di prova idoneo a fondare un motivato giudizio finale di colpevolezza e non devono, pertanto, essere valutati secondo gli stessi criteri richiesti, per il giudizio di merito, dall’art. 192, comma secondo, cod. proc. pen. – che, oltre alla gravità, richiede la precisione e la concordanza degli indizi – non richiamato dall’art. 273 comma primo bis, cod. proc. pen.

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Cass. pen. n. 22207/2014

In tema di sequestro preventivo, la valutazione di insussistenza del presupposto del “fumus commissi delicti” può legittimamente tener conto del provvedimento di annullamento dell’ordinanza dispositiva della misura cautelare personale, purchè l’esclusione dei gravi indizi di colpevolezza sia fondata su una motivazione incompatibile con la stessa astratta configurabilità della fattispecie criminosa che costituisce requisito essenziale per l’applicabilità della misura cautelare reale. [Fattispecie in cui la Corte ha escluso che una sentenza di annullamento senza rinvio, dalla cui motivazione non era possibile desumere un giudizio di assoluta inesistenza della gravità indiziaria, fosse idonea a giustificare l’affermazione di insussistenza del “fumus commissi delicti”].

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Cass. pen. n. 38466/2013

Ai fini dell’adozione di una misura cautelare personale, la nozione di gravi indizi di colpevolezza non è omologa a quella applicabile per la formulazione del giudizio di colpevolezza finale, essendo sufficiente in sede cautelare l’emersione di qualunque elemento probatorio idoneo a fondare una qualificata probabilità sulla responsabilità dell’indagato. [In motivazione la Corte ha indicato a sostegno dell’affermazione l’art. 273, comma primo bis, cod. proc. pen. che richiama soltanto i commi terzo e quarto dell’art. 192 stesso codice e non il comma secondo, il quale oltre alla gravità richiede la precisione e la concordanza degli indizi].

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Cass. pen. n. 26764/2013

Ai fini dell’adozione di una misura cautelare personale è sufficiente qualunque elemento probatorio idoneo a fondare un giudizio di qualificata probabilità sulla responsabilità dell’indagato in ordine ai reati addebitatigli, perché i necessari “gravi indizi di colpevolezza” non corrispondono agli “indizi” intesi quale elemento di prova idoneo a fondare un motivato giudizio finale di colpevolezza e non devono, pertanto, essere valutati secondo gli stessi criteri richiesti per il giudizio di merito dall’art. 192, comma secondo, c.p.p., non richiamato dall’art. 273 comma primo bis, c.p.p..

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Cass. pen. n. 10699/2013

Il giudicato cautelare formatosi in punto di inutilizzabilità delle intercettazioni con pronuncia della Corte di Cassazione, non esplica alcun effetto preclusivo e vincolante in un diverso procedimento ancorché a carico del compartecipe per i medesimi reati. [Fattispecie in tema di esecuzione delle intercettazioni mediante uso di impianti diversi da quelli installati in Procura non supportata da motivazione sul punto].

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Cass. pen. n. 11194/2012

In tema di impugnazione delle misure cautelari personali, il ricorso per cassazione è ammissibile soltanto se denuncia la violazione di specifiche norme di legge, ovvero la manifesta illogicità della motivazione del provvedimento secondo i canoni della logica ed i principi di diritto, ma non anche quando propone censure che riguardino la ricostruzione dei fatti ovvero si risolvano in una diversa valutazione delle circostanze esaminate dal giudice di merito.

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Cass. pen. n. 6367/2012

Sono utilizzabili a fini cautelari le dichiarazioni accusatorie dei pentiti di cui il P.M. non abbia trasmesso la relativa trascrizione integrale ma solo i verbali riassuntivi, non sussistendo l’obbligo di mettere a disposizione gli atti nella loro integralità, segnatamente ove ricorrano concrete esigenze di tutela del segreto di indagine.

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Cass. pen. n. 7931/2011

Qualora il pubblico ministero, nelle more della decisione su una impugnazione incidentale de libertate, intenda utilizzare, nei confronti dello stesso indagato e per lo stesso fatto, elementi probatori “nuovi”, preesistenti o sopravvenuti, può scegliere se riversarli nel procedimento impugnatorio o porli a base di una nuova richiesta di misura cautelare personale, ma la scelta così operata gli preclude di coltivare l’altra iniziativa cautelare.

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Cass. pen. n. 1235/2011

Non può essere adottata o mantenuta una misura cautelare se sussistoni le condizioni che rendono probabile l’applicabilità dell’indulto alla pena che si ritiene possa essere irrogata.

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Cass. pen. n. 10295/2010

Le dichiarazioni accusatorie rese da collaboratore di giustizia in procedimento definito con sentenza irrevocabile prima della data di entrata in vigore della L. 1 marzo 2001 n. 63 [modificazioni al c.p. e al codice di procedura penale in materia di formazione e valutazione della prova] sono utilizzabili nel corso di indagini sul medesimo fatto avviate dopo quella data, senza che si debba far luogo alla loro “rinnovazione”, quando il dichiarante sia deceduto prima dell’inizio dell’ulteriore procedimento. [Nella specie, relativa a provvedimento cautelare personale, la Corte ha osservato che in ogni caso prima dell’inizio delle nuove indagini non si sarebbe potuto provvedere alla “rinnovazione”, in assenza di un procedimento pendente, e che comunque, stante l’utilizzabilità delle medesime dichiarazioni in giudizio a norma dell’art. 512 c.p.p., per impossibilità oggettiva di ripetizione, “a fortiori” deve ritenersi legittima l’utilizzazione in fase cautelare].

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Cass. pen. n. 1150/2009

Sono utilizzabili per l’adozione di misure cautelari nel corso delle indagini preliminari le dichiarazioni rese da un collaboratore di giustizia, oltre il termine di centottanta giorni dall’inizio della collaborazione, davanti al giudice nel dibattimento di un diverso processo, seppure in assenza del difensore della persona nei cui confronti è stata richiesta l’applicazione della misura.

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Cass. pen. n. 1149/2009

Le dichiarazioni rese dal collaboratore di giustizia oltre il termine di centottanta giorni dalla manifestazione della volontà di collaborare sono utilizzabili nella fase delle indagini preliminari, in particolare ai fini della emissione delle misure cautelari personali e reali, oltre che nell’udienza preliminare e nel giudizio abbreviato.

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Cass. pen. n. 44081/2008

Le questioni relative alla persistenza dei gravi indizi di colpevolezza necessari al mantenimento della misura di cautela personale non sono più proponibili dopo la sentenza di condanna, anche non irrevocabile.

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Cass. pen. n. 40997/2008

Sono utilizzabili come gravi indizi di colpevolezza, ai fini della valutazione di legittimità delle misure cautelari personali, atti di altri procedimenti [nella specie, dichiarazioni di collaboranti rese in dibattimento ], indipendentemente dalla circostanza che siano state osservate le condizioni stabilite nell’art. 238 c.p.p., non richiamate dall’art. 273 stesso codice.

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Cass. pen. n. 37087/2007

In tema di misure cautelari personali, la norma dell’art. 273 comma secondo c.p.p., nella parte in cui dispone che nessuna misura cautelare può essere applicata se sussiste una causa di estinzione della pena, ha efficacia vincolante e preclusiva per il giudice nel caso in cui la causa estintiva copra per intero la pena astrattamente irrogabile; quando, invece, l’estinzione riguardi soltanto una parte di tale pena è compito del giudice cautelare determinare in via prognostica l’entità della pena presumibilmente irrogabile e stabilire di conseguenza se vi sia un margine residuo per l’applicabilità della misura coercitiva. [Fattispecie in tema di indulto di cui alla L. 31 luglio 2006 n. 241].

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Cass. pen. n. 28632/2007

In tema di misure cautelari personali, la semplice prospettiva di applicabilità dell’indulto in relazione ai reati per cui si procede non comporta, di per sé, il divieto di applicare misure coercitive e non legittima la revoca di quelle che sono state imposte, ove la causa estintiva della pena, ai sensi dell’art. 273, comma secondo, c.p.p., non risulti applicabile alla persona che vi è sottoposta in base ad elementi certi, obiettivi e desunti dalla posizione personale dell’indagato. [Nel caso di specie, la Corte ha ritenuto corretta la decisione del giudice di merito che aveva respinto l’istanza di revoca della misura cautelare in corso, osservando che, in ragione delle precedenti condanne riportate dal ricorrente, il presofferto, detratta la pena massima condonabile per l’indulto, non raggiungeva neanche la metà della pena residua].

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Cass. pen. n. 13165/2007

L’emissione del decreto di giudizio immediato non può in alcun modo pregiudicare la diversa e autonoma valutazione che il giudice de libertate è chiamato ad operare circa la sussistenza o no dei «gravi indizi di colpevolezza» richiesti dall’articolo 273 del c.p.p. per l’applicazione e il mantenimento delle misure cautelari personali. [La Corte ha annullato con rinvio l’ordinanza del tribunale del riesame che, invece, aveva erroneamente ritenuto che il tema di gravi indizi di colpevolezza fosse superato in ragione del fatto che era stato emesso il decreto di giudizio immediato, fondato sull’apprezzamento effettuato dal Gip sulla evidenza della prova di colpevolezza]. [ Mass. redaz. ].

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Cass. pen. n. 39366/2006

In tema di misure cautelari, il richiamo ad opera del comma primo bis dell’art. 273 c.p.p. dei commi terzo e quarto dell’art.192 c.p.p., non comporta la necessità che le dichiarazioni della persona offesa trovino riscontro in elementi esterni, così che esse possono ancora costituire da sole fonte di prova quando siano ritenute dal giudice, secondo il suo libero e motivato apprezzamento, attendibili sul piano oggetto e su quello soggettivo [fattispecie in tema di misura cautelare personale].

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Cass. pen. n. 35710/2006

Ai fini dell’adozione di una misura di cautela personale, la chiamata in correità può costituire grave indizio di colpevolezza a carico del chiamato, purché risulti suffragata da riscontri esterni individualizzanti, sì da acquisire idoneità dimostrativa in ordine all’attribuzione del fatto-reato al soggetto destinatario di essa, fermo restando che la relativa valutazione, siccome formulata nel contesto del procedimento cautelare, non deve mirare alla certezza processuale della responsabilità del chiamato, ma a farne ritenere altamente probabile la prognosi di colpevolezza.

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Cass. pen. n. 4132/2005

In tema di misure cautelari e con specifico riguardo al disposto di cui all’art. 273, comma 1 bis, c.p.p., deve ritenersi che i riscontri obiettivi alle dichiarazioni accusatorie, pur indispensabili, non devono tuttavia necessariamente raggiungere quel livello di individualizzazione che sarebbe occorrente per la formazione della prova nel giudizio di merito, essendo, invece, sufficiente una ricostruzione logica degli stessi che consenta di valutare appieno l’attendibilità del dichiarante e di offrire un quadro storico della vicenda narrata del tutto rispondente al vero ed in cui la posizione dell’accusato trovi collocazioni sintomatiche della sua colpevolezza. Può quindi affermarsi che anche la valutazione complessiva di plurime chiamate in correità, munite del comune attributo della «vocazione individualizzante», rispetta il principio di «individualizzazione» del riscontro. [ Mass. redaz. ].

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Cass. pen. n. 5052/2004

Per i procedimenti che al momento dell’entrata in vigore della legge 1 marzo 2001 n. 63 [c.d. giusto processo], si trovavano nella fase delle indagini preliminari, l’inutilizzabilità, ai fini della valutazione dei gravi indizi di colpevolezza necessari per l’applicazione di misure cautelari personali, delle dichiarazioni concernenti la responsabilità di altri rese da indagato il cui interrogatorio ovvero le cui dichiarazioni ai sensi dell’art. 350 c.p.p. siano stati assunti senza l’osservanza delle garanzie previste dall’art. 64, comma 3, lett. c], stesso codice, come introdotto dall’art. 2 della citata legge, opera anche se l’interrogatorio o le dichiarazioni siano stati resi prima della data della sua entrata in vigore, allorché il pubblico ministero non abbia provveduto a rinnovare l’esame del soggetto autore delle dichiarazioni eteroaccusatorie.

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Cass. pen. n. 46190/2003

L’art. 273, comma 2, c.p.p., nella parte in cui stabilisce che nessuna misura cautelare può essere applicata se risulta che il fatto è stato compiuto in presenza di una causa di giustificazione, non richiede che quest’ultima sia provata con certezza ma solo che esista un elevato o rilevante grado di probabilità in ordine alla sua sussistenza [principio affermato, nella specie, con riguardo ad un caso di omicidio, in cui si prospettava come causa di giustificazione la legittima difesa].

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Cass. pen. n. 42748/2003

Alle c.d. dichiarazioni tardive rese da un collaboratore di giustizia al pubblico ministero o alla polizia giudiziaria non può essere riconosciuta la consistenza dei gravi indizi di colpevolezza necessari per l’applicazione di una misura cautelare personale, in quanto la regola di esclusione probatoria prevista dall’art. 16 quater, comma 9, della L. 15 marzo 1991, n. 82, configura una specifica sanzione di inutilizzabilità delle dichiarazioni rese contra alios, che le rende radicalmente e funzionalmente inidonee, sotto l’aspetto probatorio, non solo ai fini dell’accertamento sulla colpevolezza dell’imputato all’esito del dibattimento o dei riti speciali, ma anche nel contesto delle indagini preliminari e, in particolare, nell’ambito del procedimento cautelare.

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Cass. pen. n. 36767/2003

In tema di valutazione dei gravi indizi di colpevolezza, richiesti per l’adozione di misure cautelari personali, la disposizione dell’art. 273 primo comma bis c.p.p., che rinvia ai criteri di valutazione della prova di cui all’art. 192 terzo e quarto comma c.p.p., impone che le dichiarazioni accusatorie del chiamante in correità siano sottoposte ad una verifica attraverso riscontri parzialmente individualizzanti. Anche la valutazione complessiva di plurime chiamate in correità, munite del comune attributo della “vocazione individualizzante”, rispetta tale “principio di individualizzazione” del riscontro.

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Cass. pen. n. 32366/2003

In tema di collaboratori di giustizia, la nuova disciplina prevista dall’art. 16 quater D.L. 15 gennaio 1991, n. 8 [convertito nella L. 15 marzo 1991, n. 82], come modificato dall’art. 14 L. 13 febbraio 2001, n. 45, che stabilisce, a pena di inutilizzabilità, precisi limiti temporali per la raccolta delle dichiarazioni eteroaccusatorie rese dalle persone che hanno manifestato la volontà di collaborare, è applicabile, giusta la norma transitoria di cui all’art. 25 della legge da ultimo citata, alle sole collaborazioni prestate dopo la sua entrata in vigore.

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Cass. pen. n. 31205/2003

L’avvenuta citazione dell’imputato a giudizio immediato, ai sensi dell’art. 453 c.p.p., siccome basata sulla valutazione operata dal solo pubblico ministero in ordine alla evidenza della prova, non può in alcun modo pregiudicare la diversa ed autonoma valutazione che il giudice de libertate sia chiamato ad operare circa la sussistenza o meno dei «gravi indizi di colpevolezza» richiesti dal’art. 273 c.p.p. per l’applicazione ed il mantenimento delle misure cautelari personali.

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Cass. pen. n. 29671/2003

Il divieto di applicazione di una misura cautelare, sulla base di nuovi elementi di prova, a carico di soggetto nei cui confronti sia stata pronunciata sentenza di non luogo a procedere, prima che tale pronuncia sia stata revocata, in tanto opera in quanto il fatto sia sempre lo stesso; il che è da escludere quando vi sia diversità in ordine alla condotta, all’evento o al nesso di causalità. Pertanto, quando trattisi di reati permanenti quali, in particolare, i delitti di associazione, e l’incolpazione per la quale vi è stata sentenza di non luogo a procedere sia stata formulata a «contestazione chiusa», cioè con l’indicazione della data iniziale e finale della condotta addebitata, costituendo fatto diverso il ritenuto protrarsi di tale condotta al di là della data finale, può essere legittimamente disposta, per tale fatto, l’applicazione di una misura cautelare senza che sia intervenuta revoca della suddetta declaratoria.

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Cass. pen. n. 29403/2003

L’avvenuto inserimento, nel testo dell’art. 273 c.p.p., del comma 1 bis [ove si stabilisce che nella valutazione dei gravi indizi di colpevolezza si applicano, fra le altre, le disposizioni dell’art. 192, commi 3 e 4, stesso codice], non ha introdotto la necessità, anche ai fini cautelari, di «riscontri individualizzanti» alle dichiarazioni accusatorie rese da imputati dello stesso reato o di reati connessi o collegati, ma ha avuto il solo effetto di superare taluni precedenti arresti giurisprudenziali secondo cui le disposizioni codicistiche in materia cautelare, affermando espressamente l’operatività della regola secondo cui le suddette dichiarazioni vanno invece valutate «unitamente agli altri elementi di prova che ne confermano l’attendibilità»; il che significa che tali elementi debbono esistere ma non che debbano essere necessariamente costituiti da riscontri «individualizzanti» giacché, altrimenti, verrebbe meno la sostanziale differenza tra la nozione di «prova», funzionale ai fini del giudizio sulla responsabilità penale, e quella di «indizio grave», funzionale all’emissione di una misura cautelare.

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Cass. pen. n. 18103/2003

I “gravi indizi di colpevolezza” richiesti per l’adozione di una misura cautelare personale [art. 273 c.p.p.] non si identificano con gli “indizi” che rappresentano la prova logica o indiretta idonea a fondare il giudizio di colpevolezza [art. 192, comma 2], in quanto ai fini cautelari è sufficiente un giudizio di qualificata probabilità in ordine alla responsabilità dell’imputato.

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Cass. pen. n. 12390/2003

In tema di misure cautelari personali, la valutazione circa la permanenza di gravi indizi di colpevolezza a carico dell’indagato che abbia proposto appello avverso l’ordinanza di rigetto di una istanza di revoca della misura in atto non è preclusa dalla sopravvenienza del rinvio a giudizio per il reato in ordine al quale detta misura è stata applicata, atteso che le modificazioni alla disciplina dell’udienza preliminare introdotte dalla legge 16 dicembre 1999 n. 479 non hanno alterato la portata della dichiarazione di incostituzionalità degli artt. 309 e 310 c.p.p., intervenuta con sentenza 15 marzo 1996 n. 71 della Corte costituzionale.

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Cass. pen. n. 319/2003

I gravi indizi di colpevolezza richiesti dall’art. 273, comma 1, c.p.p., per l’applicazione ed il mantenimento di misure cautelari personali possono essere ricavati da qualsiasi elemento di indagine, con esclusione soltanto di quelli che non hanno, fin dall’origine, alcuna possibilità di divenire prove nel dibattimento. Ne deriva che, ai fini cautelari, possono essere utilizzate anche dichiarazioni di persone informate sui fatti riferite dalla polizia giudiziaria, relativamente alle quali opererebbe, in dibattimento, il divieto di testimonianza de relato di cui all’art. 195, comma 4, c.p.p., non essendovi ragione di dubitare che dette dichiarazioni abbiano un’alta probabilità di divenire prove in sede dibattimentale, mediante l’assunzione come testimone della persona dalla quale esse sono state rese.

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Cass. pen. n. 1278/2003

In tema di misure cautelari, il comma 1 bis dell’art. 273 c.p.p., introdotto dall’art. 11 della legge 1 marzo 2001 n. 63, nello stabilire che nella valutazione dei gravi indizi di colpevolezza si applicano, tra le altre, le disposizioni dell’art. 192, commi 3 e 4 c.p.p., comporta soltanto che le dichiarazioni accusatorie provenienti da coimputati o coindagati per il medesimo reato ovvero per reato connesso o interprobatoriamente collegato debbono essere valutate, ai fini del giudizio in ordine alla loro gravità indiziaria, «unitamente agli altri elementi di prova che ne confermano l’attendibilità», senza che ciò implichi anche la necessità che i detti elementi [c.d. «riscontri»] abbiano anche carattere individualizzante giacché, altrimenti, verrebbe meno la sostanziale differenza tra «prova» richiesta ai fini del giudizio di responsabilità e «indizio grave», richiesto ai soli fini cautelari.

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Cass. pen. n. 35359/2002

In tema di misure cautelari, l’art. 273, comma 1 bis c.p.p. [introdotto dall’art. 11 della legge 1 marzo 2001, n. 63 in attuazione dei principi del giusto processo], disponendo che nella valutazione dei gravi indizi di colpevolezza, atti a legittimare l’applicazione di misure cautelari personali, debbono essere osservate le disposizioni di cui all’art. 192, commi 3 e 4, 195, comma 7, 203 e 271, comma 1, c.p.p., implica che le dichiarazioni accusatorie del coimputato o dell’imputato in procedimento connesso debbono essere valutate unitamente agli altri elementi che valgono a confermarne l’attendibilità, anche se non occorre raggiungere quel grado di certezza della prova sulla responsabilità proprio del processo cognitivo in quanto la colpevolezza, ai fini cautelari, può essere sufficientemente configurata a livello di gravità del quadro indiziario e, quindi, non di certezza ma di elevato grado di probabilità di colpevolezza del soggetto sottoposto a misura cautelare. Ne deriva che i riscontri obiettivi delle dichiarazioni accusatorie, pur dovendosi ritenere indispensabili con l’introduzione della novella suddetta, non necessariamente devono raggiungere quel livello di individualizzazione occorrente per la formazione della prova nel giudizio di merito essendo, invece, sufficiente una ricostruzione logica degli stessi che consenta di valutare appieno l’attendibilità del dichiarante e di offrire un quadro storico della vicenda narrata del tutto rispondente al vero ed in cui la posizione dell’accusato trovi collocazioni sintomatiche della sua colpevolezza.

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Cass. pen. n. 31992/2002

In materia cautelare, il giudice, nella valutazione dei gravi indizi di colpevolezza fondati sulle dichiarazioni accusatorie rese da coimputati o coindagati, deve verificare, ai sensi dell’art. 273 comma 1 bis c.p.p. [che richiama espressamente i commi 3 e 4 dell’art. 192], la sussistenza di riscontri individualizzanti alle suddette dichiarazioni, sia pure nel contesto meramente incidentale del procedimento de libertate ed in termini, quindi, non di certezza, ma solo di qualificata probabilità di colpevolezza del soggetto sottoposto a misura.

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Cass. pen. n. 31986/2002

Il comma 1 bis dell’art. 273 c.p.p., introdotto dall’art. 11 della legge 1 marzo 2001 n. 63, secondo il quale, nella valutazione dei gravi indizi di colpevolezza richiesti per l’applicazione e il mantenimento di misure cautelari personali, trovano applicazione, fra le altre, le disposizioni dell’art. 192, commi 3 e 4, c.p.p., va interpertato nel senso che le dichiarazioni rese dai soggetti indicati in dette disposizioni debbono essere corroborate da riscontri i quali, a differenza di quanto già richiesto in precedenza [sulla base al diritto vivente, tenendo conto del quale è da intendersi il significato della «novella»] debbono avere anche un contenuto sia pur parzialmente individualizzante, funzionale alla formulazione di un giudizio che, peraltro, resta pur sempre limitato all’apprezzamento dei presupposti indispensabili per la cautela personale, diversi da quelli richiesti per il giudizio di cognizione.

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Cass. pen. n. 30179/2002

Il rinvio a giudizio dell’imputato, pur dopo l’entrata in vigore della legge 16 dicembre 1999 n. 479 che ha, tra l’altro, inserito l’art. 421 bis e sostituito gli artt. 422 e 25 del codice di rito, non implica necessariamente il riconoscimento del requisito dei gravi indizi di colpevolezza previsto dall’art. 273, comma 1, c.p.p. per l’applicazione ed il mantenimento delle misure cautelari personali, per cui rimane valida la disciplina scaturita dalla sentenza della Corte costituzionale n. 71/1996 con la quale era stata dichiarata l’illegittimità costituzionale degli artt. 309 e 310 c.p.p. nella parte in cui non prevedevano la possibilità di valutare, pur dopo l’emissione del decreto che dispone il giudizio, la sussistenza o meno del suddetto requisito.
In tema di misure cautelari personali, qualora vi sia stato annullamento con rinvio di una ordinanza per difetto di motivazione in ordine alla ritenuta sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza, il giudice di rinvio non è tenuto ad un nuovo esame sul punto, ove la questione risulti superata per fatti sopravvenuti alla pronuncia di annullamento.

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Cass. pen. n. 21088/2002

In tema di misure cautelari, il comma 1 bis dell’art. 273 c.p.p., introdotto dall’art. 11 della legge 1 marzo 2001, n. 63, nello stabilire che nella valutazione dei gravi indizi di colpevolezza si applicano, fra le altre, le disposizioni dell’art. 192, commi 3 e 4, c.p.p., comporta soltanto che le dichiarazioni accusatorie provenienti da coimputati o coindagati per il medesimo reato ovvero per reato connesso o interprobatoriamente collegato debbono essere valutate, ai fini del giudizio in ordine alla loro gravità indiziaria, “unitamente agli altri elementi di prova che ne confermano l’attendibilità”, senza che ciò implichi anche la necessità che i detti elementi [c.d. “riscontri”] abbiano anche carattere individualizzante giacché, altrimenti, verrebbe meno la sostanziale differenza tra “prova” richiesta ai fini del giudizio di responsabilità e “indizio grave”, richiesto ai soli fini cautelari.

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Cass. pen. n. 15685/2002

L’art. 273 comma 1 bis c.p.p., inserito dall’art. 11 della legge 1 marzo 2001, n. 63, secondo cui, ai fini dell’applicazione di una misura cautelare personale, per la valutazione dei gravi indizi di colpevolezza devono applicarsi i criteri fissati dall’art. 192 commi 3 e 4 c.p.p. per apprezzare l’attendibilità della chiamata in correità, rende in ogni caso necessario che le dichiarazioni accusatorie su fatto altrui siano confermate da riscontri esterni individualizzanti.

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Cass. pen. n. 13011/2002

In tema di «giusto processo» e con riferimento alla materia delle misure cautelari personali, qualora prima dell’entrata in vigore della L. 1 marzo 2001, n. 63 si sia svolto regolarmente, secondo la disciplina all’epoca vigente, il procedimento di acquisizione e valutazione del quadro indiziario e sia intervenuta la chiusura della fase delle indagini preliminari — con conseguente preclusione della possibilità per il pubblico ministero di procedere alla rinnovazione dell’esame dei soggetti indicati negli artt. 64 e 197 bis c.p.p., come previsto dalla disciplina transitoria di cui all’art. 26, comma 2, della citata L. n. 63 del 2001 — deve ammettersi che, ai soli fini del mantenimento delle misure in questione, conservino validità le dichiarazioni precedentemente rese dai medesimi soggetti, ancorché la loro assunzione sia stata effettuata senza l’osservanza delle formalità previste a pena di inutilizzabilità dalla normativa sopravvenuta. [Nella specie, la Corte di cassazione ha ritenuto utilizzabili le dichiarazioni rese da soggetti indicate negli artt. 34 e 197, senza che fosse stato dato l’avvertimento previsto dal comma 3 del medesimo art. 64, in quanto all’epoca non ancora vigente].

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Cass. pen. n. 22035/2001

La regola dettata dal comma 1 bis dell’art. 273 c.p.p. [introdotto dall’art. 11 della legge 1 marzo 2001 n. 63] — secondo cui, nella valutazione dei gravi indizi di colpevolezza richiesti per la sottoposizione di taluno ad una misura cautelare personale, debbono essere osservate, fra le altre, le disposizioni di cui all’art. 192, commi 3 e 4, c.p.p. — trova applicazione anche nei giudizi de libertate pendenti davanti alla Corte di cassazione la quale, pertanto, nel verificare la legittimità della ritenuta sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza, quando questi siano tratti da dichiarazioni rese da coimputati o coindagati, dovrà estendere il proprio esame anche al tema del carattere necessariamente individualizzante che ora debbono assumere, anche ai fini cautelari, gli elementi di riscontro alle suddette dichiarazioni, sia pure nel contesto meramente incidentale del procedimento de libertate ed in termini, quindi, non di certezza ma solo di alta probabilità di colpevolezza del soggetto sopposto a misura.

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Cass. pen. n. 43721/2001

In tema di valutazione dei gravi indizi di colpevolezza richiesti per l’adozione di misure cautelari personali, poiché la disposizione di cui all’art. 273, comma 1 bis c.p.p. si applica ai procedimenti in corso alla data di entrata in vigore della legge 1 marzo 2001, n. 63, anche nel giudizio di legittimità la gravità del quadro indiziario richiede, oltre alla credibilità intrinseca del dichiarante e l’oggettiva attendibilità di ogni singola dichiarazione, la verifica dei riscontri «parzialmente individualizzanti» che consentano di collocare la condotta del chiamato in correità nello specifico fatto dell’imputazione provvisoriamente elevata, pur nei limiti imposti dalla fase e dalla finalità cui la verifica è collegata.

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Cass. pen. n. 49523/2001

Nella fase delle indagini preliminari, i gravi indizi di colpevolezza richiesti per l’applicazione di una misura cautelare, che devono essere tali da lasciar desumere la qualificata probabilità di attribuzione all’indagato del reato per cui si procede, possono fondarsi sulla dichiarazione di un collaborante, qualora questa sia precisa, coerente e circostanziata ed abbia trovato riscontro in elementi esterni, anche di natura logica, che siano tali da rendere verosimile il contenuto della dichiarazione [nel caso di specie, la Corte ha ritenuto immune da vizi logici l’ordinanza con cui il tribunale del riesame ha valutato intrinsecamente attendibile la dichiarazione del collaborante, indicando nella dichiarazione resa dalla persona offesa un riscontro esterno confermativo di quanto riferito dal collaborante].

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Cass. pen. n. 34534/2001

In tema di valutazione dei gravi indizi di colpevolezza richiesti per l’adozione di misure cautelari personali, la disposizione dell’art. 273, comma 1 bis c.p.p. [introdotta dall’art. 11 della legge 1 marzo 2001, n. 63] che rinvia ai criteri di valutazione della prova di cui all’art. 192, comma 3 c.p.p., si applica ai procedimenti in corso alla data di entrata in vigore di tale legge ed anche nei giudizi di cassazione, atteso che la regola derogatoria stabilita dall’art. 26, comma 5, della legge n. 63 del 2001 è limitata al dibattimento. Ne discende che, anche nel giudizio di legittimità, la gravità del quadro indiziario richiede, oltre alla credibilità intrinseca del dichiarante e l’oggettiva attendibilità di ogni singola dichiarazione, la verifica di riscontri «parzialmente individualizzanti» che consentano di collocare la condotta del chiamato in correità nello specifico fatto dell’imputazione provvisoriamente elevata, restando pur sempre nell’ambito di un giudizio limitato all’apprezzamento dei presupposti indispensabili per la cautela personale e non nel giudizio di cognizione.

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Cass. pen. n. 29082/2001

In tema di impugnazioni de libertate, allorché sia accolta l’impugnazione proposta dal pubblico ministero avverso il diniego del giudice per le indagini preliminari di emissione dell’ordinanza cautelare per l’insussistenza dei gravi indizi di colpevolezza, il giudice di appello deve valutare se ricorrano tutte le condizioni richieste per l’adozione delle misure cautelari e giustificarne la sussistenza, atteso che il provvedimento limitativo della libertà personale può essere adottato soltanto se sussistano oltre che i gravi indizi anche le esigenze cautelari.

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Cass. pen. n. 27001/2001

La preclusione all’applicazione di misure cautelari personali sancita dalla disposizione contenuta nell’art. 273, comma 2, c.p.p., secondo la quale nessuna misura può essere applicata se risulta che il fatto è stato compiuto in presenza di una causa di giustificazione, opera solo — in forza dell’espressione «se risulta» — allorché la ricorrenza dell’esimente sia stata positivamente comprovata in termini di certezza e non di mera possibilità. [Nella specie la Corte ha ritenuto, in un caso concernente l’applicazione della custodia in carcere per omicidio, asseritamente commesso in stato di legittima difesa, che a far ritenere integrata la sussistenza della scriminante non bastano posizioni difensive meramente assertive o dichiarazioni testimoniali di prossimi congiunti, da sottoporre, per la loro sospetta provenienza, ad approfondita verifica].

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Cass. pen. n. 17243/2001

Il comma 1 bis dell’art. 273 c.p.p., introdotto dalla legge di attuazione dell’art. 111 Cost., quale novellato dalla legge costituzionale 23 novembre 1999 n. 2, nello stabilire che nella valutazione dei gravi indizi di colpevolezza atti a legittimare l’applicazione di misure cautelari personali devono trovare applicazione, fra le altre, le disposizioni degli artt. 192, commi 3 e 4, c.p.p., non implica l’inderogabile necessità che le dichiarazioni accusatorie provenienti da taluno dei soggetti indicati in dette disposizioni siano corroborate da riscontri individualizzanti, giacché, altrimenti, verrebbe meno la stessa differenza tra prova della responsabilità e gravi indizi [cioè qualificata probabilità] di colpevolezza. Non è quindi giustificato ritenere che i riscontri in questione debbano ora avere sempre carattere individualizzante così come, per converso, non era giustificato, in passato, ritenere che tale carattere non occorresse mai.

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Cass. pen. n. 2563/2000

Le dichiarazioni accusatorie de relato sono idonee ad integrare il quadro gravemente indiziario richiesto dall’art. 273 c.p.p. per l’applicazione delle misure cautelari personali ancorché non siano suffragate da riscontri individualizzanti, dovendosi ritenere sufficiente, a tal fine, la sussistenza di riscontri oggettivi anche non riferibili alla persona dell’indagato, dai quali risulti confermata la credibilità intrinseca del dichiarante in riferimento all’episodio o agli episodi delittuosi in cui l’indagato è coinvolto.

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Cass. pen. n. 3388/2000

Sono utilizzabili a fini cautelari le dichiarazioni spontanee rese dalla persona indagata [nella specie contra se ] alla polizia giudiziaria.

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Cass. pen. n. 91/2000

Benché non sia ipotizzabile una automaticità assoluta tra la attività collaborativa e la libertà del collaborante, il giudice, nel valutare la persistenza delle esigenze cautelari, deve partire dalla constatazione che la attività di collaborazione, riconosciuta proficua in sede di cognizione, costituisce uno di quegli elementi, indicati nell’art. 273 comma 3 c.p.p., e ritenuti dal legislatore idonei a superare la presunzione di persistenza delle predette esigenze in relazione al delitto di cui all’art. 416 bis c.p. o ai delitti commessi con modalità mafiose o per agevolare l’attività di associazioni mafiose. A tanto consegue che la violazione del giudicante deve avere specificamente ad oggetto gli ulteriori eventuali elementi che, nonostante la attività di collaborazione, inducano ad escludere che siano venute meno le originarie esigenze cautelari. [Nella fattispecie, la Corte, rilevando che nessuno di tali elementi era stato evidenziato dal Tribunale, ha annullato con rinvio l’ordinanza che aveva rigettato la richiesta di revoca della misura cautelare, a suo tempo disposta a carico del soggetto collaboratore di giustizia].

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Cass. pen. n. 6350/2000

Nel procedimento de libertate, la valutazione del contenuto e dei risultati delle intercettazioni telefoniche e del significato delle espressioni usate anche dagli interlocutori costituiscono accertamento di fatto, riservato al giudice del merito e insindacabile in sede di legittimità, se sostenuto da motivazione congrua e logica. [La Corte nella specie ha ritenuto sufficiente l’indizio raccolto attraverso intercettazioni telefoniche che documentano, in modo genuino e originario, fatti e dichiarazioni, all’insaputa degli interlocutori, costitutivi della probabile colpevolezza in ordine al reato di cui all’articolo 416 c.p.].

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Cass. pen. n. 7266/2000

La mancanza assoluta di motivazione in ordine alla sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza è annoverabile fra le ragioni meramente formali di annullamento dell’ordinanza applicativa di misura cautelare, la cui riscontrata sussistenza non impedisce la reiterazione della suddetta ordinanza.

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Cass. pen. n. 2961/1999

I gravi indizi di colpevolezza, necessari per l’applicazione di una misura cautelare, possono essere desunti anche dal semplice dispositivo di una sentenza di condanna, presupponendo l’affermazione di responsabilità un quadro indiziario necessariamente più solido di quello richiesto dall’art. 273 c.p.p. [Nella specie il tribunale de libertate aveva ritenuto la sussistenza di detti indizi a carico dell’imputato, assolto in primo grado e condannato in sede di appello, sulla base del solo dispositivo della sentenza di secondo grado].

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Cass. pen. n. 2416/1999

La pericolosità sociale dell’indagato, valutata ai sensi dell’art. 133 c.p., si pone come presupposto positivo per la appliazione della misura cautelare restrittiva ed impedisce la concessione del beneficio della sospensione condizionale della pena. Pertanto, poiché ogni provvedimento cautelare deve essere proporzionato alla entità del fatto ed alla pena che potrebbe essere irrogata, da un lato, è fatto divieto al giudice di disporre la custodia cautelare qualora ritenga possibile la applicazione del beneficio della sospensione condizionale, dall’altro, la ritenuta sussistenza delle esigenze di cui alla lett. c] dell’art. 274 c.p.c. [la necessità di contrastare, appunto, la pericolosità sociale dell’indagato] impedisce qualsiasi prognosi favorevole in ordine al futuro comportamento dello stesso ed esclude la possibilità di concessione del predetto beneficio.

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Cass. pen. n. 2547/1999

Ai fini dell’emissione del provvedimento della custodia cautelare in carcere, non è necessario che la chiamata di correo presenti le caratteristiche e il livello probatorio voluti dall’articolo 192 c.p.p. per il giudizio definitivo di colpevolezza tipico della sentenza di condanna, ma è sufficiente che le dichiarazioni accusatorie del coimputato o dell’imputato del reato connesso o collegato, valutate unitamente a tutti gli altri elementi di prova, ritualmente acquisiti al procedimento, quale che ne sia la natura, siano soggettivamente e oggettivamente attendibili e consentano, con valutazione allo stato degli atti, di ritenere, con qualificata probabilità, l’esistenza del reato e della colpevolezza dell’imputato.

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Cass. pen. n. 12/1999

In tema di concorso “esterno” nel sodalizio criminale dell’associazione mafiosa, per la sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza a carico dell’indagato occorre riscontrare che il soggetto, pur non appartenendo organicamente all’associazione mafiosa, presti consapevolmente alla stessa un contributo utile per la sua vita e il suo funzionamento. Tale contributo può manifestarsi nelle forme più varie, anche nel collaborare con l’associazione mafiosa mediante il procacciamento di risorse finanziarie da destinare a lavori pubblici e nell’aggiudicazione “pilotata” dei relativi appalti, attività che offre al sodalizio criminale la possibilità di esercitare ulteriormente il proprio dominio e di accrescere le proprie risorse economiche. [Fattispecie in cui la S.C., nel ribadire il principio sopra enunciato, ha escluso, tuttavia, che il giudice di merito abbia dato sufficiente conto in motivazione degli indizi idonei a dimostrare la sussistenza e la riferibilità all’indagato della condotta criminosa ipotizzata].

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Cass. pen. n. 3371/1999

Allorché gli elementi indiziari provengono da un solo «collaborante» e, per di più, si basano su affermazioni sostanzialmente de relato, la ricerca dei riscontri esterni che confermino l’attendibilità di tali dichiarazioni deve essere particolarmente rigorosa e, quando si affermi semplicemente che un soggetto sia affiliato a un’associazione mafiosa, tale affermazione deve essere confortata dalla verifica dell’esistenza di circostanze che in qualche modo consentono di contestualizzare la chiamata in reità.

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Cass. pen. n. 863/1999

In materia di applicazione delle misure cautelari, i gravi indizi di colpevolezza vanno individuati in quegli elementi a carico, di natura logica o rappresentativa, che – contenendo in nuce tutti o soltanto alcuni degli elementi strutturali della corrispondente prova – non valgono di per sé a dimostrare oltre ogni dubbio la responsabilità dell’indagato, e tuttavia consentono per la loro consistenza di prevedere che, attraverso la futura acquisizione di ulteriori elementi, saranno idonei a dimostrare tale responsabilità, fondando nel frattempo una qualificata probabilità di colpevolezza.

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Cass. pen. n. 124/1999

Il requisito della gravità degli indizi di colpevolezza non può essere ritenuto insussistente sulla base di una valutazione separata dei vari dati probatori, dovendosi invece verificare se gli stessi, coordinati ed apprezzati globalmente secondo logica comune, assumano la valenza richiesta dall’art. 273 c.p.p. Ciò in considerazione della natura stessa degli indizi, quali circostanze collegate o collegabili ad un determinato fatto che non rivelano, se esaminate singolarmente, un’apprezzabile inerenza al fatto da provare, essendo ciascuno suscettibile di spiegazioni alternative, ma che si dimostrano idonei a dimostrare il fatto se coordinati organicamente.

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Cass. pen. n. 2852/1998

Alla luce della sentenza della Corte costituzionale del 15 marzo 1996, n. 71, pur dovendosi riconoscere l’autonomia del provvedimento de libertate, impositivo di una misura cautelare, ove intervenga una decisione sul merito [quale quella di condanna] l’apprezzamento dei gravi indizi di colpevolezza deve ritenersi in essa assorbito, e, quindi, ragionevolmente precluso il riesame di tale punto da parte del giudice chiamato a pronunciarsi in sede di impugnativa avverso il provvedimento applicativo della misura coercitiva.

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Cass. pen. n. 3117/1998

L’inutilizzabilità dei risultati delle intercettazioni telefoniche, dichiarata nell’ambito di un procedimento de libertate sul presupposto che, non essendo stati trasmessi i relativi decreti autorizzativi, il Gip prima e, successivamente, il tribunale del riesame non avevano potuto esercitare il potere-dovere di verificare la legittimità delle intercettazioni al fine di valutare la sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza, opera soltanto in detto procedimento, e non in altri. Ne consegue che è legittima, nell’ambito dello stesso procedimento, ma in diverso e autonomo procedimento de libertate, l’applicazione di misura cautelare personale ad opera di altro giudice, sulla base della piena cognizione dei decreti di autorizzazione, allegati agli atti, delle dette intercettazioni telefoniche, dalle quali emergano gravi indizi di colpevolezza. [Nella specie il ricorrente aveva lamentato che il giudice di merito avesse posto a base del provvedimento cautelare le stesse intercettazioni telefoniche dichiarate inutilizzabili dalle sezioni unite con sentenza 20 novembre 1996, n. 21].

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Cass. pen. n. 4915/1998

La statuizione del giudice del riesame circa la sussistenza di gravi indizi di colpevolezza, funzionale alla conferma dell’originario provvedimento coercitivo, preclude, in mancanza di fatti nuovi sopravvenuti o di significative variazioni del quadro di riferimento probatorio, la rivalutazione del medesimo requisito. Comunque, quando con il ricorso de libertate si ripropongono le medesime deduzioni già respinte in sede di riesame, è sempre affidato al giudice il delicato compito di apprezzare motivatamente se la nuova istanza sia o meno sorretta da ulteriori acquisizioni o valutazioni che giustifichino il superamento della limitata preclusione endoprocessuale formatasi in ordine alle questioni esplicitamente o implicitamente già trattate.

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Cass. pen. n. 7416/1998

Ai fini della sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza necessari per l’emissione di una misura cautelare personale, le dichiarazioni provenienti dai collaboratori di giustizia possono fornire un adeguato supporto indiziario anche quando siano riscontrate esclusivamente attraverso l’incrocio di dichiarazioni provenienti da soggetti diversi, purché i fatti riferiti abbiano almeno potenzialmente una qualche idoneità probatoria e le dichiarazioni siano sufficientemente precise e definite da prestarsi alla conferma o alla smentita.

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Cass. pen. n. 1700/1998

In tema di gravi indizi di colpevolezza ai fini dell’emissione di provvedimenti di coercizione personale, allorché ci si trovi in presenza di dichiarazioni di c.d. collaborante che abbiano ricevuto riscontri solo in parte, il giudice non può darsi una regola generale, nel senso della sua inattendibilità complessiva o nel senso di una sua completa e altrettanto generale affidabilità, ma ha il dovere di verificare e motivare in ordine alla diversità delle valutazioni eseguite a proposito delle plurime parti di dichiarazioni rese dallo stesso soggetto, non potendo escludersi che l’attendibilità di una dichiarazione accusatoria, anche se denegata per una parte del racconto, non ne coinvolga necessariamente tutte le altre che reggano alla verifica giudiziale.

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Cass. pen. n. 1495/1998

In tema di intercettazioni telefoniche, la trascrizione integrale delle registrazioni e delle eventuali operazioni accessorie, come la nomina di un interprete, con le forme e le garanzie previste per l’espletamento delle operazioni di cui agli artt. 143 e seguenti c.p.p., è necessaria solamente per l’inserimento nel fascicolo per il dibattimento e per la conseguente loro utilizzazione come prove in sede di giudizio, e non anche per la valutazione della sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza ai fini dell’applicazione delle misure cautelari personali ai sensi dell’art. 273 c.p.p.

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Cass. pen. n. 567/1998

In tema di emissione di misure cautelari può riconoscersi valenza indiziaria al cosiddetto riscontro incrociato esclusivamente quando più collaboranti facciano riferimento agli stessi fatti ed al coinvolgimento in questi del medesimo soggetto; il reciproco conforto di attendibilità è, invece, da escludere quando le circostanze rispettivamente riferite siano estremamente generiche, come nel caso di mera collocazione di una associazione di tipo mafioso, della quale poco o nulla venga specificato in concreto ed in riferimento ad un determinato indagato, e senza che venga fatto convergente riferimento ad eventi delittuosi determinati.

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Cass. pen. n. 433/1998

In tema di applicabilità di misure cautelari personali gli elementi descrittivi del fatto o del suo autore intrinseci alla chiamata in correità e da essa stessa mutuati non possono, anche se positivamente verificati, costituire elementi di riscontro poiché nulla aggiungono alla chiamata né la rafforzano oggettivamente e dall’esterno ma dimostrano solo la conoscenza da parte del dichiarante di particolari che, tuttavia, non avvincono l’accusato al reato. [Nella fattispecie si trattava del riconoscimento fotografico e dell’indicazione dell’abitazione].

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Cass. pen. n. 3809/1997

In tema di esigenze cautelari, tra gli elementi rilevanti ai fini della valutazione della sussistenza del pericolo di reiterazione della condotta criminosa di cui all’art. 274, lett. c], c.p.p., possono essere presi in considerazione, oltre che i precedenti risultanti dal certificato penale, anche i procedimenti pendenti a carico dell’indagato. Invero la valutazione della personalità non deve essere riferita soltanto ai precedenti penali, bensì anche ad altri elementi, quali i c.d. “carichi pendenti”, atti a determinare un apprezzamento parimenti utile per ritenere la sussistenza del concreto pericolo di reiterazione di reati della stessa specie, alla luce delle modalità del fatto.

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Cass. pen. n. 3329/1997

In tema di emissione delle misure cautelari, ai fini della verifica della sussistenza dei gravi indizi che ne giustificano l’adozione, l’elemento di riscontro di una chiamata in correità può essere costituita dalle convergenti dichiarazioni rese da un altro coindagato a condizione che le dichiarazioni accusatorie, ritenute intrinsecamente attendibili, siano realmente autonome e la loro coincidenza non sia fittizia, come nel caso in cui una chiamata in correità abbia condizionato l’altra. Per di più quando la chiamata in correità è frutto di diretta e personale conoscenza dei fatti oggetto dell’indagine, il livello di riscontro da attingere impone cautele valutative meno pregnanti e meno rigorose sebbene la dichiarazione provenga da soggetti dediti al delitto.

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Cass. pen. n. 3497/1997

Per la valutazione di gravità del quadro indiziario a carico dell’indagato a norma dell’art. 273 c.p.p. è essenziale la ragione di conoscenza dei fatti da parte del dichiarante. Ma, ferma la verifica di attendibilità soggettiva per spontaneità e disinteresse, può non essere decisiva la provvisoria mancata indicazione della fonte di conoscenza, quando sia implicita nella frequentazione dello stesso ambiente delinquenziale del chiamato, nel quale è maturato il delitto, purché l’attendibilità oggettiva sia intanto dimostrata dalla completezza, coerenza e ragionevolezza del narrato. In questo caso non occorrono riscontri individualizzanti, che possono conseguirsi successivamente ai fini della prova, mentre la stessa conferma dei risultati delle indagini intorno al fatto è intanto idonea a confermare esternamente l’attendibilità del dichiarante.

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Cass. pen. n. 4140/1997

In tema di misure cautelari, in ordine al valore di riscontro che una dichiarazione accusatoria resa da un collaboratore di giustizia assume nei confronti di altra chiamata in reità o correità, resa da altro o da altri soggetti parimenti qualificati, l’elemento richiesto dalla disposizione dall’art. 192, comma terzo, c.p.p., può essere costituito da qualsiasi circostanza, e quindi anche da un’altra dichiarazione accusatoria, sicché, salva la positiva dimostrazione del previo accordo menzognero tra i due [o più] dichiaranti, una dichiarazione in tal modo riscontrata e correttamente utilizzata ai fini di cui all’art. 273 c.p.p. Ne deriva che, poiché l’art. 273 c.p.p. richiede per l’adozione di una misura cautelare personale l’esistenza di gravi indizi di colpevolezza, senza altra e diversa qualificazione, l’elemento di riscontro può essere ben costituito dalla dichiarazione accusatoria resa da un coindagato, a condizione che le convergenti dichiarazioni accusatorie, ritenute intrinsecamente attendibili, siano realmente autonome e la loro coincidenza non sia fittizia, come nel caso che una chiamata in correità abbia condizionato l’altra.

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Cass. pen. n. 4584/1997

In tema di valutazione dei gravi indizi di colpevolezza richiesti per l’applicazione o il mantenimento di misure cautelari personali, quando tali indizi debbano essere desunti da dichiarazioni di soggetti indicati nell’art. 192, comma terzo e quarto, c.p.p., i riscontri esterni, sempre necessari, possono non avere carattere individualizzante solo in caso di elevata attendibilità intrinseca della chiamata in correità e di pregnante valore confermativo delle circostanze inerenti al fatto per cui si procede; detto carattere è da considerare invece indispensabile quando non sia possibile un tranquillizzante riconoscimento dell’attendibilità intrinseca ed estrinseca delle dichiarazioni accusatorie a causa della presenza, in esse, di errori, contraddizioni e incoerenze.

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Cass. pen. n. 6586/1997

Anche in tema di misure cautelari la chiamata in correità è una prova minore rispetto a quella desumibile da un’ordinaria dichiarazione testimoniale e deve perciò essere riscontrata da elementi di prova che si muovano nella stessa direzione della chiamata, cioè che attingano il chiamato e lo attingano nel senso voluto dalla chiamata, in modo da far ritenere quest’ultima certa, almeno nella fase del giudizio

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Cass. pen. n. 1524/1997

In tema di valutazione delle dichiarazioni dei collaboranti ai fini della sussistenza dei gravi indizi che legittimano l’emissione della misura cautelare per il reato di partecipazione ad associazione mafiosa, erra il giudice che ritiene che la dichiarazione secondo la quale un determinato soggetto appartiene all’associazione rappresenta un dato neutro sul piano indiziario. Il valore indiziario di una tale dichiarazione dipende infatti dall’esito del giudizio di attendibilità che il giudice è tenuto ad operare prima con riferimento al soggetto dichiarante e poi con riferimento alla dichiarazione in sè ed infine alla luce dei riscontri che la confortano. Mentre i requisiti di attendibilità del dichiarante e della dichiarazione non mutano sostanzialmente sia quando la valutazione sia propedeutica all’emanazione della misura che alla emissione del giudizio, per quanto riguarda i riscontri riferibili in modo specifico alla posizione del chiamato è indispensabile ai fini dell’affermazione di responsabilità all’esito del giudizio.

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Cass. pen. n. 1709/1997

L’intervenuta pronuncia, nel corso del procedimento principale, di sentenza non definitiva di condanna implica la non riproponibilità, in sede di procedimento incidentale de libertate, della questione concernente la sussistenza o meno dei gravi indizi di colpevolezza; e ciò avuto riguardo anche ai principi affermati dalla Corte costituzionale con sentenza n. 71/1996, nella quale risulta assunto come punto di riferimento il rispetto del «principio di assorbimento», nel senso che la valutazione in sede incidentale del requisito dei gravi indizi di colpevolezza può dirsi preclusa solo quando «intervenga una decisione che contenga in sè una valutazione del merito di tale incisività da assorbire», appunto, l’apprezzamento in ordine al suddetto requisito il che, secondo la stessa corte, non si verificava quando fosse soltanto intervenuto il rinvio a giudizio, ma ben può e deve dirsi verificato quando il giudizio abbia dato luogo ad un’affermazione, sia pur non definitiva di colpevolezza.

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Cass. pen. n. 662/1997

Ai fini della sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza necessari per l’emissione della misura cautelare, le dichiarazioni provenienti dai collaboratori di giustizia possono fornire un adeguato supporto indiziario anche quando siano riscontrate esclusivamente attraverso l’incrocio di dichiarazioni provenienti da soggetti diversi, tuttavia è necessario che i fatti riferiti abbiano almeno potenzialmente una qualche idoneità probatoria e che tali dichiarazioni siano sufficientemente precise e definite da prestarsi alla conferma o alla smentita. [Nell’affermare il principio di cui in massima la Corte ha confermato il provvedimento del tribunale che aveva annullato una ordinanza impositiva della misura cautelare basata sulle dichiarazioni, convergenti ma assolutamente generiche, di due collaboratori di giustizia che indicavano un soggetto come aderente ad una determinata famiglia mafiosa senza che tale indicazione fosse accompagnata da ulteriori precisazioni].

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Cass. pen. n. 655/1997

In tema di partecipazione ad associazione di stampo mafioso la dichiarazione proveniente da un appartenente ad una famiglia mafiosa secondo la quale un soggetto è inserito nell’altra associazione contrapposta, rivale della propria, e svolge per essa funzioni di controllo del territorio, sebbene debba essere valutata con i criteri propri dell’informazione fornita da un estraneo e non come chiamata in correità, costituisce un indizio consistente nei confronti della persona indicata, ma non sufficientemente grave da giustificare l’adozione di una misura restrittiva. Infatti l’attribuzione a taluno della qualità di appartenente ad associazione di stampo mafioso, per assumere il carattere di indizio «grave», deve essere accompagnata da concreti elementi di fatto e di condotta, idonei a storicizzare l’accusa. In caso contrario detta affermazione si riduce ad un mero giudizio soggettivo.

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Cass. pen. n. 58/1997

Ai sensi dell’art. 273 comma secondo c.p.p., la prospettiva di una possibile concessione della sospensione condizionale della pena non è impeditiva dell’adozione di una misura cautelare personale, poiché per l’applicazione delle norme occorre che la causa estintiva del reato sia immediatamente operante, mentre quella derivante dalla sospensione condizionale è subordinata prima ad una valutazione discrezionale del giudice e poi al decorso del tempo senza che il condannato commetta una contravvenzione o un delitto della stessa indole e adempia agli obblighi impostigli. Tale interpretazione è confermata proprio dall’introduzione nel codice dell’art. 275 comma secondo bis, che pone limiti, quando sia prevedibile la sospensione della pena, esclusivamente all’applicabilità delle misure custodiali più afflittive [detenzione in carcere e arresti domiciliari].

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Cass. pen. n. 2664/1996

Al fine di sostenere un provvedimento di cautela personale, l’accusa di partecipazione ad associazione per delinquere di stampo mafioso non può fondarsi su meri elementi verbali, come dichiarazioni, ancorché provenienti da persone soggettivamente attendibili, di essere «uomo d’onore» ovvero di partecipare a un dato sodalizio criminoso ma ha bisogno di essere assistita dall’acquisizione di elementi che individuino, benché con il grado di relativa certezza propria della fase di indagini preliminari, il ruolo svolto dall’indagato o l’attività tenuta nell’ambito del sodalizio.

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Cass. pen. n. 4478/1996

In tema di partecipazione ad associazioni di stampo mafioso, quando si tratta di associazioni chiuse, cioè strutturate in maniera che possa dirsene partecipe solo l’associato con rito prestabilito, l’acquisizione da fonte diretta dell’avvenuta affiliazione costituisce grave e preciso indizio di partecipazione all’associazione e perciò ai fini dell’emissione di una misura cautelare, per la quale è richiesta appunto solo la gravità degli indizi, è sufficiente la dichiarazione di altro appartenente all’associazione che assume di avere conoscenza diretta della partecipazione di altri alla medesima associazione, indipendentemente dal riferimento al fatto storico specifico dell’affiliazione ed anche quando i riscontri allo stato ottenuti non siano specifici, specificità invece indispensabile quando la chiamata di correo sia indiretta.

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Cass. pen. n. 3273/1996

In tema di applicazione delle misure cautelari non è fatto obbligo al pubblico ministero — neppure dopo la riforma dell’art. 291 c.p.p. attuata con la legge 8 agosto 1995, n. 332 — di allegare alla richiesta presentata al giudice per le indagini preliminari tutte le intercettazioni telefoniche effettuate nei confronti dell’indagato, ben potendo la discovery limitarsi alle sole conversazioni utilizzate per formulare l’istanza, fermo restando comunque il dovere dello stesso pubblico ministero di esibire anche gli elementi oggettivamente favorevoli all’indagato

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Cass. pen. n. 3932/1996

Anche le sentenze non irrevocabili possono essere acquisite, nel corso delle indagini preliminari, ai limitati fini della verifica delle condizioni di applicabilità delle misure cautelari; i gravi indizi di colpevolezza di cui all’art. 273 c.p.p., infatti, devono distinguersi dalle risultanze probatorie utilizzabili nel dibattimento ai fini del giudizio di colpevolezza, in relazione al quale, ai sensi dell’art. 238 bis c.p.p. e con riferimento al fatto in esse accertato, valgono esclusivamente le decisioni passate in giudicato.

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Cass. pen. n. 4671/1996

Ai fini dell’emissione di una misura cautelare personale, la sussistenza di gravi indizi di colpevolezza deve necessariamente riferirsi alla persona nei confronti della quale si deve applicare la misura custodiale. [In motivazione, la S.C. ha affermato che l’individualizzazione degli indizi costituisce un principio fondamentale dal quale è impossibile derogare senza violare in maniera patente il sistema delle garanzie apprestate dalla legge in favore della libertà dell’individuo e, contemporaneamente, principi costituzionalmente garantiti].

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Cass. pen. n. 2080/1996

Nessuna norma processuale vieta l’emissione di una seconda ordinanza di custodia cautelare in carcere, in base a nuovi elementi non presi precedentemente in considerazione, anche se erano noti al P.M. precedente. A tal fine è solo necessario che essi presentino il carattere della gravità richiesto dall’art. 273 c.p.p. Dalla reiterazione del provvedimento restrittivo deriva, come unica conseguenza, che i termini di durata della misura decorrono dal giorno in cui è stata eseguita o notificata la prima ordinanza di custodia cautelare. [Nella fattispecie il ricorrente aveva dedotto che, essendo stata annullata dal tribunale del riesame una precedente ordinanza di custodia cautelare per difetto di gravi indizi di colpevolezza, non era possibile la reiterazione del provvedimento in base a nuovi elementi già noti al P.M. al momento della prima richiesta di cattura].

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Cass. pen. n. 2006/1996

In tema di misure cautelari, i gravi indizi di colpevolezza che giustificano l’emissione della misura possono essere legittimamente tratti da un giudizio ragionevolmente probabilistico che tenga conto delle massime di esperienza, cioè della verifica empirica della probabile sussistenza di una situazione di fatto basata sull’id quod plerumque accidit, ma non è consentito equiparare la massima di esperienza ad una congettura, facendo discendere una conseguenza univoca da una premessa ipotetica attraverso un procedimento sillogistico in cui rimane incerto il primo termine del sillogismo. [Nell’affermare il principio di cui in massima la Corte ha annullato con rinvio l’ordinanza del tribunale della libertà che aveva ritenuto sussistenti i gravi indizi di colpevolezza per il reato di corruzione sul presupposto dell’asserito esborso di somme di denaro per fini corruttivi dedotto dalla accertata percezione sine titulo di ingenti somme di denaro da parte di soggetto che plausibilmente avrebbe potuto operare da intermediario senza che fosse accertata la sicura partecipazione di un pubblico ufficiale nel fatto di corruzione, indipendentemente dalla sua identità fisica, né l’atto illecitamente retribuito].

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Cass. pen. n. 3951/1996

In sede cautelare non è necessario che i riscontri riguardino in modo specifico la posizione soggettiva del chiamato, poiché l’assenza di quest’ultimo requisito — nell’ipotesi in cui non risultino elementi contrari al coinvolgimento di costui — non esclude, di per sè, anche per la naturale incompletezza delle indagini, l’attendibilità complessiva della chiamata, una volta che la stessa sia stata accertata, sotto il profilo intrinseco, e sia confortata da riscontri, attinenti allo svolgimento dei fatti, tali da confermare ab extrinseco la credibilità della chiamata, considerata nel suo complesso, in modo da allontanare, a livello indiziario, il sospetto che il chiamante in correità possa aver mentito.

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Cass. pen. n. 2230/1996

Le dichiarazioni spontanee rese dall’indagato ai sensi dell’art. 350, comma 7, c.p.p., se assunte senza il difensore, non sono utilizzabili ai fini del giudizio [salvo quanto previsto dall’art. 503, comma 3, c.p.p.] e, quindi, non hanno rilevanza probatoria ai fini della decisione, ma possono essere utilizzate nella fase delle indagini preliminari; ne consegue che possono ritualmente essere poste a fondamento della sussistenza di gravi indizi di colpevolezza ai fini dell’applicazione di una misura cautelare.

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Cass. pen. n. 1273/1996

È ineludibile l’analisi degli elementi specifici, e cioè l’analisi in concreto delle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia sui fatti attribuiti, che sola ne consente la verifica di attendibilità oggettiva, prima ancora che estrinseca.

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Cass. pen. n. 2471/1995

In tema di misure cautelari, l’attendibilità degli indizi non può essere valutata in astratto, né rapportata alle conclusioni logicamente infinite che sono compatibili con i fatti noti, ma deve essere riferita alle diverse «storie» alternative che emergano eventualmente dal confronto delle prospettazioni delle parti coinvolte. Pertanto, l’accusato non può limitarsi ad offrire le possibili interpretazioni dei fatti, ma ha l’onere di proporre una plausibile ricostruzione alternativa, se vuole evitare che il giudice compia la verifica di attendibilità degli indizi nella sola prospettiva dell’ipotesi formulata dall’accusa. [Fattispecie relativa a riesame in tema di reato ex art. 416 bis c.p., nella quale un indagato non aveva fornito spiegazione sulla sua presenza ad una riunione di affiliati ad una cosca il giorno dopo la sua scarcerazione, mentre un altro aveva fornito una versione incompatibile con i fatti acclarati].

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Cass. pen. n. 3634/1995

Nel caso di riconoscimento fotografico a carico dell’indagato raccolto dalla autorità di polizia per delega del pubblico ministero ex art. 370 c.p.p., la descrizione ed i riferimenti contestualmente effettuati da chi ha operato il riconoscimento stesso al fine di corredarlo dei dati concernenti l’identità e l’esatta individuazione della persona riconosciuta, anche a mezzo di indicazioni afferenti la sua vita di relazione, non abbisognano di ulteriore delega essendo inerenti al contenuto dell’atto delegato a tenore dell’art. 348, comma 3, c.p.p. secondo cui, dopo l’intervento del pubblico ministero, la polizia giudiziaria compie gli atti delegati e tutte le attività di indagine che, anche nell’ambito delle direttive impartite, sono necessarie per l’accertamento dei reati. [Affermando siffatto principio la Cassazione ha ritenuto che correttamente un riconoscimento quale quello di cui sopra e le relative dichiarazioni allo stesso connesse fossero stati presi in considerazione quali componenti il quadro indiziario a carico dell’indagato ai fini dell’applicazione alla custodia cautelare in carcere].

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Cass. pen. n. 38/1995

Il rinvio a giudizio dell’imputato disposto a conclusione dell’udienza preliminare, implicando un accertamento positivo della sussistenza di elementi tali da integrare quella qualificata probabilità di affermazione della responsabilità che è richiesta perché si possa configurare il requisito dei “gravi indizi di colpevolezza” di cui all’art. 273 c.p.p., preclude, in assenza di fatti nuovi sopravvenuti — la cui idoneità a fondare la revoca della misura cautelare rimane affidata al giudice del dibattimento —, la possibilità di rimettere in discussione il requisito medesimo. [Nell’occasione la Corte ha altresì precisato che analoga preclusione sussiste tutte le volte in cui la rivalutazione della gravità degli indizi si risolva in un contrasto con altre stauizioni, adottate da organi giurisdizionali nell’ambito dello stesso processo, a fondamento delle quali sia posta, in modo esplicito o implicito, la sussistenza di gravi indizi di colpevolezza; ed ha indicato, fra queste, la sentenza di condanna, il decreto che dispone il giudizio immediato, che è basato sull’“evidenza della prova” riscontrata dal giudice per le indagini preliminari, e l’istaurazione del giudizio direttissimo, il quale si fonda sull’arresto in flagranza convalidato dal giudice o sulla confessione, anch’essa verificata dal giudice].

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Cass. pen. n. 3777/1995

Poiché i gravi indizi di colpevolezza di cui all’art. 273 c.p.p. sono quegli elementi a carico, di natura logica o rappresentativa, che, contenendo in nuce tutti o soltanto alcuni degli elementi strutturali della corrispondente prova, non valgono di per sé a dimostrare oltre ogni ragionevole dubbio la responsabilità dell’indagato e tuttavia consentono, per la loro consistenza, di prevedere che, attraverso la futura acquisizione di ulteriori elementi, saranno idonei a dimostrare tale responsabilità, così fondando una qualificata probabilità di colpevolezza, l’individuazione fotografica o personale, effettuata dalla polizia giudiziaria o dal pubblico ministero, pur essendo priva di valenza probatoria nel dibattimento ai fini del giudizio di responsabilità, ben può essere posta a fondamento di una misura cautelare, perché lascia fondatamente ritenere che sbocchi in un atto di riconoscimento, formale o informale, o in una testimonianza che tale individuazione confermi, sì da costituire il fondamento di una prognosi di affermazione di responsabilità.
Tra i «gravi indizi di colpevolezza», idonei, come tali, a legittimare l’applicazione di una misura cautelare, può annoverarsi anche l’individuazione fotografica o personale effettuata dalla polizia giudiziaria o dal pubblico ministero, potendosi fondatamente ritenere che detta individuazione possa poi trovare conferma in un atto di riconoscimento, formale o informale, ovvero in una testimonianza.

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Cass. pen. n. 3133/1995

Il concetto di gravità degli indizi — posto dall’art. 273 c.p.p. — postula un’obiettiva precisione dei singoli elementi indizianti che, nel loro complesso, devono consentire di pervenire logicamente ad un giudizio che — pur senza raggiungere il grado di certezza richiesto per un’affermazione di condanna — sia di alta probabilità della esistenza del reato e della sua attribuibilità all’indagato.

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Cass. pen. n. 2923/1995

In tema di applicazione di misure cautelari personali, il riscontro alla chiamata in correità non può essere dato dalla stessa chiamata, né dal generico e vago riferimento ad abitudini di vita, più o meno «aspecifiche» dell’indagato, e che nulla hanno a che fare con l’episodio oggetto d’imputazione.

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Cass. pen. n. 2786/1995

In tema di applicazione di misure cautelari personali, la chiamata in correità, e più in generale le dichiarazioni accusatorie da chiunque rese — specie se si riferiscano a notizie apprese de relato o per aver fatto parte del medesimo ambiente nel quale i reati sono maturati o sono stati consumati — richiedono sempre da parte del giudice un prudente apprezzamento in ordine all’attendibilità intrinseca del dichiarante e la loro verifica sulla base di elementi che, pur potendo essere, almeno in materia di misure cautelari, di qualsiasi natura, debbono tuttavia consentire il collegamento diretto ed univoco dell’indagato con i fatti per cui si procede.

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Cass. pen. n. 2803/1995

Ai fini dell’adozione di una misura cautelare personale, l’art. 273 c.p.p. postula la sussistenza di gravi indizi di colpevolezza quale minimum probatorio che deve inderogabilmente assistere l’adozione della misura, solo nel caso in cui sussista una prova indiziaria; quando, invece, sia presente una prova diretta, va escluso il ricorso al concetto di «gravità» inerente alla prova logica costituente l’indizio né occorre la verifica di attendibilità intrinseca o il riscontro esterno, in quanto il minimo di gravità indiziaria è soverchiato dal diverso e più soddisfacente grado di prova acquisita. Il che si verifica nell’ipotesi di prova testimoniale proveniente dalla persona offesa dal reato, purché non validamente inficiata, e che rappresenta un plus rispetto all’apporto richiesto dall’art. 273 c.p.p. e non abbisogna, per l’emissione del provvedimento cautelare, né di altri elementi di prova né di riscontro esterno.

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Cass. pen. n. 1763/1995

Pur non potendosi in assoluto affermare che il ruolo dirigenziale o verticistico, di cui taluno risulti investito nell’ambito di un sodalizio mafioso, sia di per sé sufficiente a far ritenere quel soggetto automaticamente responsabile di ogni delitto materialmente compiuto da altri appartenenti all’organizzazione e rientrante nel quadro generale del programma ad essa riferibile, quando si tratti della formulazione di un giudizio non di definitiva colpevolezza, ma di sola probabilità di essa, ai fini dell’applicazione di una misura cautelare, lo stesso ruolo dirigenziale o verticistico, unito alla accertata rapportabilità del singolo delitto alla associazione in cui quel ruolo viene esercitato, può legittimamente essere qualificato come indizio grave, nel senso richiesto dall’art. 273, comma 1, c.p.p., specie quando il delitto commesso sia di particolare importanza, sì da rendere del tutto ragionevole la presunzione che esso non possa essere stato attuato se non con la preventiva deliberazione dei vertici dell’organizzazione stessa. In tale ipotesi è irrilevante l’eventuale dissenso nella fase di formazione della specifica deliberazione delittuosa, poiché, una volta che la decisione di compiere quel determinato crimine sia intervenuta, nella successiva fase di esecuzione, in virtù delle regole ferree dell’organizzazione criminale, il singolo — il quale nella partecipazione con carattere permanente al sodalizio e nell’accettazione preventiva del programma e della strategia operativa comune continua a perseguire e a condividere — concorre a realizzare il perfezionamento, se non altro nella forma del concorso morale con gli autori materiali, nei cui confronti appare anche egli quale mandante comune.

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Cass. pen. n. 3521/1995

La perizia, anche se disposta nelle forme dell’incidente probatorio, può essere utilizzata ai fini dell’emissione della misura cautelare non appena sia stata depositata la relazione scritta, e quindi anche prima che il pericolo sia stato sentito, ponendosi il problema del rapporto temporale fra la lettura della relazione e l’esame orale del perito solo nella fase dibattimentale a norma dell’art. 511, comma 3, c.p.p.

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Cass. pen. n. 11/1995

Affinché la chiamata in reità o correità possa assurgere a grave indizio di colpevolezza ai sensi dell’art. 273 c.p.p. è necessario che la stessa sia corredata da riscontri esterni – non necessariamente riferiti in modo specifico alla posizione soggettiva del chiamato, poiché l’assenza di questo ulteriore requisito, nell’ipotesi in cui non risultino elementi contrari al coinvolgimento di costui, non esclude, di per sé, anche per la naturale incompletezza delle indagini, l’attendibilità complessiva della chiamata – o quanto meno da un principio di riscontro di tale natura da confortarne la portata accusatoria, restando in ogni caso esclusa, in materia cautelare, l’applicabilità dell’art. 192 stesso codice. La sua valutazione, rimessa sempre al cauto apprezzamento del giudice di merito – insindacabile in cassazione se non sotto il profilo della manifesta assenza o illogicità della motivazione – deve svolgersi sotto un duplice profilo, intrinseco ed estrinseco. Sotto il primo profilo, il giudice è tenuto ad apprezzarne la precisione, la coerenza interna e la ragionevolezza, nonché a individuare il grado di interesse dell’autore per la specifica accusa, alla stregua della sua personalità e dei motivi che lo hanno indotto a coinvolgere l’indagato, avendo riguardo alla circostanza che lo spessore dell’attendibilità intrinseca della chiamata, è certamente influenzato dal tipo di conoscenza acquisita dal chiamante, variando secondo che costui riferisca vicende alle quali abbia partecipato o assistito, ovvero che abbia appreso de relato. Sotto il secondo profilo, il giudice deve appurare se sussistano, o non, elementi obiettivi che la smentiscano e se la stessa sia confermata da riscontri esterni di qualsiasi natura, rappresentativi o logici, dotati di tale consistenza da resistere agli elementi di segno opposto eventualmente dedotti dall’accusato. Ne consegue che, soltanto quando l’indagine del giudice di merito abbia avuto un esito positivo in ordine a entrambi i profili indicati, la chiamata in correità integra un grave indizio di colpevolezza ai sensi dell’art. 273 c.p.p.

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Cass. pen. n. 3211/1995

Il principio della non rivalutabilità, successivamente al decreto che dispone il giudizio, del quadro indiziario posta a base del provvedimento di applicazione di una misura cautelare — con il conseguente esonero del giudice a quo dal motivare in proposito — opera anche con riferimento alle ordinanze che dispongono una misura cautelare pronunciate nel corso del dibattimento.

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Cass. pen. n. 1003/1995

La trascrizione integrale delle registrazioni con le forme e le garanzie previste per l’espletamento delle perizie è necessaria solamente per l’inserimento nel fascicolo per il dibattimento e per la conseguente loro utilizzazione come prove in sede di giudizio e non anche per la valutazione della sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza ai fini dell’applicazione delle misure cautelari ai sensi dell’art. 273 c.p.p. [Fattispecie relativa ad intercettazione ambientale di una conversazione, in relazione alla quale la Suprema Corte ha ritenuto irrilevante la circostanza che il contenuto di tale conversazione risultasse non da una riproduzione fedele di essa, ma dal riassunto dell’operatore preposto all’ascolto].

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Cass. pen. n. 1758/1995

In tema di misure cautelari, ai fini della verifica dei gravi indizi di colpevolezza richiesti dall’art. 273 c.p.p., la sola presunta appartenenza ad organizzazione collegiale di vertice in seno all’organizzazione criminale «Cosa Nostra», può legittimamente essere qualificato come indizio grave della commissione d’altri delitti di cui si accerta la riferibilità all’associazione in cui il ruolo verticistico viene esercitato, specie quando il delitto commesso sia di particolare importanza, sì da rendere del tutto ragionevole la presunzione che esso non possa essere stato attuato se non con la preventiva deliberazione dei vertici della stessa organizzazione. In tal caso, diventa irrilevante, al fine della esclusione della responsabilità penale personale, l’eventuale momento partecipativo di dissenso nella fase di formazione della specifica deliberazione delittuosa, poiché, una volta che la decisione di compiere quel determinato crimine sia intervenuta, nella successiva fase di esecuzione, in virtù delle regole ferree del consenso criminale, il singolo — che nella partecipazione con carattere permanente al sodalizio e nell’accettazione preventiva del programma e della strategia operativa comune continua a perseguire e condividere — non può non concorrere a realizzare il perfezionamento, se non altro nella forma del concorso morale con gli autori materiali, nei cui confronti appare anch’egli quale mandante comune, tale, peraltro, direttamente interessato a manifestarsi, per confermare, intatto, all’esterno, il potere intimidatorio e di supremazia, derivante dalla sua posizione apicale; per riaffermare, all’interno dell’organo verticistico, la preesistente ed immutata consapevole adesione partecipativa alle finalità comuni.

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Cass. pen. n. 1605/1995

In tema di applicazione delle misure di prevenzione personali e patrimoniali nei confronti di appartenenti ad associazioni mafiose, se la pendenza di un procedimento penale per associazione di stampo mafioso non è di per sè sufficiente a legittimare l’applicazione delle misure, nondimeno il tribunale deve valutare autonomamente gli elementi emergenti dal procedimento sotto il profilo delle esigenze proprie del processo di prevenzione e in tale sede non è richiesto che la chiamata di correo sia necessariamente accompagnata da quei riscontri estrinseci individualizzati necessari per la sua utilizzazione ai fini della formazione della prova dibattimentale, purché non vi sia ragione di sospettare che l’accusa a carico del chiamato possa essere stata fuorviata da ragioni personali. L’affinità tra i giudizi indiziari e prognostici propri dell’emissione delle misure cautelari e dell’applicazione delle misure di prevenzione inducono infatti ad applicare anche a quest’ultima ipotesi i criteri elaborati in tema di applicazione delle misure cautelari.

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Cass. pen. n. 1737/1995

Ai fini della emissione di una misura cautelare per il reato di partecipazione ad associazione di stampo mafioso i gravi indizi di colpevolezza possono essere legittimamente costituiti dalle dichiarazioni di più collaboranti che reciprocamente si riscontrano e che indicano un soggetto come «avvicinato» poiché nel linguaggio mafioso è possibile attribuire a tale termine uno specifico significato teso ad indicare una persona ormai inserita, anche se non ancora a pieno titolo, nell’associazione criminosa; peraltro una volta accertata la partecipazione al sodalizio, il reato di cui all’art. 416 bis c.p. è da ritenersi concretizzato indipendentemente dall’accertamento sugli apporti del soggetto alla realizzazione degli scopi sociali.

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Cass. pen. n. 529/1995

In presenza di procedimento connesso in sede di riesame, la cui udienza si è celebrata unitariamente per diversi coindagati, anche per differenti titoli di reato, ai fini della decisione sulla singola misura custodiale sono correttamente utilizzabili tutti gli atti depositati dal P.M. procedente, anche se alcuni di essi non riguardano specificamente il singolo interessato al riesame, ma pur tuttavia servono a confortare i particolari elementi accusatori a carico di costui, sì da far sussistere, nel complesso del loro esame, i gravi indizi di colpevolezza di cui all’art. 273 c.p.p.

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Cass. pen. n. 4401/1995

Il fatto notorio non richiede, pure in tema di valutazione indiziaria, la verifica del probandum , qualificandosi come tale ogni dato che può essere facilmente asseribile perché corrispondente a cognizioni comuni, storiche o de rerum natura. Ma tale non può certo qualificarsi un’intervista rilasciata ad un quotidiano locale, non potendo dirsi che detta circostanza risulti acquisita dalla collettività locale con grado tale di certezza da apparire indubitabile ed incontestabile ed occorrendo, comunque, per essa l’accertamento in concreto della provenienza, della genuinità, della fedeltà e della completezza delle dichiarazioni rilasciate al giornalista. [Applicazione in tema di misure cautelari personali].

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Cass. pen. n. 4480/1995

La mancata verbalizzazione, da parte della polizia giudiziaria, di atti che, ai sensi dell’art. 357, comma 2, c.p.p., dovrebbero essere verbalizzati comporta che tali atti, in quanto privi di documentazione, siano da considerare inesistenti e, come tali, indipendentemente da ogni riferimento alle categorie della nullità e della inutilizzabilità, inidonei ad essere assunti a base anche della semplice adozione di misure cautelari. [Nella specie, in applicazione di tali principi, la Corte ha ritenuto legittima la decisione di un tribunale del riesame che aveva annullato un’ordinanza applicativa di misura cautelare basata, fra l’altro, su dichiarazioni rese da un soggetto alla polizia giudiziaria, la quale, senza verbalizzarle, le aveva registrate all’insaputa del dichiarante].

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Cass. pen. n. 1079/1995

I gravi indizi richiesti dall’art. 267 c.p.p. quale necessario presupposto del provvedimento che autorizza le intercettazioni telefoniche attengono all’esistenza del reato, e non alla colpevolezza di un soggetto, che può essere del tutto ignoto nel momento in cui l’operazione è disposta. Ciò si desume, oltre che dal dettato dell’art. 267 c.p.p., che usa l’espressione «gravi indizi di reato», in difformità a quella gravi indizi di colpevolezza di cui all’art. 273 c.p.p., dal fatto che le norme che autorizzano le intercettazioni consentono, ai fini di tutela della collettività, in via eccezionale, la violazione del diritto di segretezza di ogni forma di comunicazione sancito dall’art. 15, comma primo, della Costituzione anche ai danni di un soggetto che non sia indagato, ad esempio di una parte lesa.

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Cass. pen. n. 4653/1994

I divieti assoluti di utilizzabilità previsti dal codice di procedura penale in tema di prove, trovano applicazione anche per gli indizi posto che questi sono pur sempre una probatio sia pur minor. Conseguentemente una dichiarazione su voci correnti, inutilizzabili ex art. 194, comma 3, c.p.p., è del tutto inidonea a costituire riscontro esterno ad accuse rese da altri al fine di dare compiuta ragione della sussistenza della gravità degli indizi richiesti dal comma 1 dell’art. 273 c.p.p. per l’applicazione di una misura cautelare personale.

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Cass. pen. n. 4148/1994

Ai fini dell’applicazione della custodia cautelare in carcere l’indicazione di una persona come «uomo d’onore» può costituire indizio consistente di partecipazione ad associazione di stampo mafioso. Infatti l’affiliazione a «cosa nostra», data la natura totalizzante di tale organizzazione, implica necessariamente l’effettivo far parte della medesima con accettazione delle sue regole e finalità al fine di ampliarne la sfera di influenza e di favorirne la realizzazione delittuosa con la permanente messa a disposizione della propria attività: conseguentemente per l’integrazione della fattispecie associativa di cui all’art. 416 bis c.p. non occorre che ogni partecipe si renda protagonista di specifici atti delittuosi attraverso i quali il sodalizio raggiunge i suoi scopi

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Cass. pen. n. 4141/1994

Le dichiarazioni de relato di un collaboratore, qualora se ne sia verificata l’intrinseca attendibilità, possono, ai fini dell’applicazione della misura cautelare della custodia in carcere, avere rilevanza, nel contesto globale degli elementi indizianti disponibili, in funzione di riscontro estrinseco alle accuse di altro collaboratore.

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Cass. pen. n. 3734/1994

Ai fini dell’applicazione delle misure cautelari, l’indizio può anche essere unico: ed invero l’uso del plurale – «gravi indizi» – ha scopo soltanto indeterminativo.

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Cass. pen. n. 1370/1994

Ai fini della non applicazione, ex art. 273, secondo comma, c.p.p., di una misura cautelare personale, può rilevare anche il favorevole giudizio prognostico in ordine alla concessione, in caso di condanna, della sospensione condizionale della pena.

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Cass. pen. n. 3174/1994

Nell’applicare una qualunque misura cautelare personale il giudice non può omettere la valutazione, sia pure in termini sommari inerenti alla fase procedimentale, circa la possibilità che venga irrogata una pena interamente assorbibile in una identificata causa di estinzione: ciò in quanto l’esito negativo di tale valutazione costituisce presupposto essenziale per l’applicabilità della misura.

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Cass. pen. n. 752/1994

Agli effetti dell’indagine in ordine alla sussistenza dei gravi indizi, necessari, ai sensi del primo comma dell’art. 273 c.p.p. per l’emissione della misura cautelare, si richiede che da essi possa trarsi il convincimento della elevata probabilità che il reato sia attribuibile all’indagato e non già della certezza, necessaria, poi, in sede di giudizio, per l’affermazione di responsabilità. Siffatto principio trova supporto, da un lato, nella norma — l’art. 274, lettera a] c.p.p. — per la quale la misura cautelare può essere, tra l’altro, disposta allorquando sussistono inderogabili esigenze afferenti situazioni di concreto pericolo per l’acquisizione della prova [dal che si desume che questa non è ancora costituita, ma solo costituenda] e, dall’altro, nella manifesta non estensibilità alle misure cautelari della norma — l’art. 530, secondo comma, c.p.p. — per la quale anche la insufficienza o contradditorietà della prova importa l’assoluzione dell’imputato.

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Cass. pen. n. 626/1994

Al fine della configurabilità dei gravi indizi di colpevolezza, la cui sussistenza è richiesta dall’art. 273 c.p.p. quale condizione per l’applicabilità delle misure cautelari personali, i diversi dati probatori non vanno considerati svincolati gli uni dagli altri ma globalmente, di modo che, quantunque valutati singolarmente possano sembrare dotati di non apprezzabile rilevanza, mediante la reciproca integrazione e l’organico coordinamento assumano ugualmente la valenza necessaria.

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Cass. pen. n. 317/1994

Le intercettazioni telefoniche sono utilizzabili nella fase delle indagini preliminari ai fini dell’accertamento dei gravi indizi di colpevolezza richiesti per l’applicazione delle misure cautelari, purché siano state autorizzate e non siano state disposte al di fuori dei casi previsti dall’art. 266 c.p.p., senza che rilevi a quei fini l’inosservanza degli altri precetti posti dagli artt. 267 e 268, primo e terzo comma, stesso codice, preclusiva soltanto dell’efficacia probatoria delle intercettazioni stesse nel giudizio.

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Cass. pen. n. 5323/1994

In tema di gravità di indizi ai fini dell’applicazione di una misura cautelare, l’esistenza di un movente, pur non costituendo, di per sé, un serio indizio, ha tuttavia la specifica funzione di rendere più credibile la riferibilità del fatto-reato all’indagato, a carico del quale debbono comunque esistere altri elementi dai quali sia possibile desumere, con un rilevante grado di probabilità, la sua colpevolezza.

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Cass. pen. n. 915/1994

Quando le propalazioni accusatorie provenienti da un cosiddetto collaboratore di giustizia investano la posizione processuale di più persone, per il riconoscimento del carattere della gravità indiziaria di tali propalazioni è indispensabile che i riscontri necessari a conferire loro attendibilità estrinseca riguardino ciascuno degli indiziati.

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Cass. pen. n. 303/1994

Il termine «indizi» ha valore e significato diversi, secondo che con esso si voglia far riferimento agli elementi di prova necessari e sufficienti per affermare la responsabilità di un soggetto in ordine a reati ascrittigli, ovvero a quelli legittimanti una misura cautelare coercitiva. In quest’ultimo caso la parola «indizi» fa riferimento ad ogni elemento probatorio, di qualsiasi natura, tale da far apparire probabile la responsabilità dell’indagato in ordine ai fatti per i quali si procede.

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Cass. pen. n. 422/1994

La motivata sussistenza di gravi indizi di colpevolezza per uno soltanto dei reati in relazione ai quali è stata disposta l’applicazione di una misura cautelare non esime il giudice dall’obbligo di motivare anche in ordine agli indizi relativi agli altri reati. L’inosservanza di tale obbligo rende il provvedimento annullabile, in sede di legittimità, nella parte relativa ai detti ultimi reati.

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Cass. pen. n. 3285/1994

In tema di misure cautelari personali, la norma dell’art. 273 secondo comma c.p.p., nella parte in cui dispone che nessuna misura cautelare può essere applicata se sussiste una causa di estinzione della pena, ha efficacia certamente vincolante e preclusiva per il giudice nel caso in cui la causa estintiva copra per intero la pena astrattamente irrogabile. Quando, invece, l’estinzione riguardi soltanto una parte di tale pena [come nella specie, per l’indulto di anni due di cui al D.P.R. 22 dicembre 1990 n. 394 in relazione a reato punito con la pena della reclusione fino ad anni 5] è compito del giudice cautelare determinare in via prognostica l’entità della pena presumibilmente irrogabile e stabilire di conseguenza se vi sia margine residuo per l’applicabilità della misura coercitiva.

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