Cass. pen. n. 3 del 29 febbraio 2000

Testo massima n. 1


Poiché il diritto di proporre ricorso per cassazione avverso le decisioni emesse dal tribunale in sede di appello o di riesame dei provvedimenti che dispongono misure cautelari personali spetta sia al pubblico ministero presso il predetto tribunale, sia a quello che ha chiesto l'applicazione della misura, nei procedimenti per uno dei delitti indicati nell'art. 51, comma 3 bis, c.p.p., in cui la competenza ad esercitare le funzioni di P.M. nelle indagini preliminari e a richiedere, quindi, le misure coercitive spetta al procuratore della Repubblica presso il tribunale del capoluogo del distretto nel cui ambito ha sede il giudice competente, e detto tribunale ha competenza esclusiva alla cognizione del riesame e dell'appello de libertate, legittimato al ricorso per cassazione, ai sensi dell'art. 311 stesso codice, è solo l'organo del P.M. individuato come sopra, e non anche quello del P.M. presso il giudice territorialmente competente a conoscere del reato, a nulla rilevando che quest'ultimo sia stato designato a svolgere le funzioni di pubblico ministero nel dibattimento a norma dell'art. 51, comma 3 ter c.p.p., stante il principio di tassatività delle impugnazioni, operante non solo relativamente ai casi e ai mezzi di impugnazione, ma anche con riguardo ai soggetti titolari del relativo diritto. (Fattispecie relativa a ricorso per cassazione avverso provvedimento emesso ex art. 310 c.p.p. dal Tribunale di Lecce, proposto dal procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Brindisi - nel cui circondario era stata commessa l'associazione per delinquere di stampo mafioso, per la quale si procedeva - incaricato di sostenere l'accusa nel giudizio in corso per detto reato. Nell'enunciare il principio di cui in massima, la S.C. ha dichiarato inammissibile il ricorso).

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