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Negoziazione. Il primo pilastro della “consensuologia”: l’interrelazione

Negoziazione. Il primo pilastro della “consensuologia”: l’interrelazione

Caro lettore,

l’approccio integrale allo studio della creazione del consenso mi ha portato ad individuare sei pilastri su cui esso effettivamente si basa. Essi sono: 1. l’interrelazione (sociologia); 2. la comprensione reciproca (comunicazione); 3. la creatività (psicologia) 4. i bisogni (economia); 5. i criteri (etica); 6. i benefici (redazione contrattuale).

Ora è il turno della prima.

Come vedi non c’è il diritto poiché è tipico di quest’ultimo vedere la vita umana dal punto di vista traumatico per punire i responsabili del trauma causato alla collettività e alla controparte trasformandolo in illecito civile o penale piuttosto che trovare una riparazione.
Infatti la sentenza di condanna inverte illogicamente la cura ed il rischio della “restitutio in pristinum”: e se il vincitore in una causa da incidente stradale si rivolge ad un carrozziere incapace?
Tutto questo non ha nulla a che fare con la negoziazione e la mediazione che mirano a creare il miglior accordo possibile per le parti e per la collettività.
Tale è lo scambio in cui la parte riceve qualcosa cui dà più valore rispetto a ciò che ha dato (sbagliavano i romani quando dicevano “res inter alios acta tertio neque prodest neque nocet”).

Loro non conoscevano né la globalizzazione né internet che hanno molto avvicinato gli effetti delle azioni personali sugli altri intorno a noi, per cui oggi continuare a pensare che (1) la pax romana debba essere imposta con il gladio e che (2) si vis pacem para bellum , sullo stile “bastone e carota”, significa provocare delle reazioni distruttive non facilmente prevedibili, come terribili atti terroristici hanno dimostrato.
E’ come confondere l’arbitro con l’allenatore: quest’ultimo usa le sinergie dei suoi giocatori per ottenere il risultato; l’arbitro punisce chi trasgredisce e non si occupa del risultato.
E’ stato detto che la guerra serve ad ammazzare: io dico che litigare serve a impoverire.

Ormai si parla apertamente di diritto collaborativo e di giustizia riparativa, entrambi basati sulla ricerca del consenso.
La spiegazione è semplice: la sentenza, la più giusta e la più rapida, rovina comunque la relazione tra le parti: a) il soccombente perché si vergogna, perché incolpa la collettività, perché deve scontare una pena “ingiusta”, perché non ha danaro a sufficienza in quanto povero; b) il vincente perché vede crescere il suo disprezzo per l’altro che ha la “colpa” certificata, perché prova gusto ad infierire, perché gioisce per aver provocato una sofferenza che spesso non provoca un beneficio a sé stesso, attore in giudizio.
Il diritto non si interessa dei motivi, per la mediazione invece essi sono essenziali.
Così la consensuologia impone al mediatore che egli si interessi in profondità su chi “abbia cominciato per primo” la violenza è anche quella strutturale che mobilità la gente molto di più di quella visibile.
La pace può assumere anche l’aspetto della guerra fredda!

Quante situazioni di non dialogo esistono nelle famiglie (padre padrone), negli uffici (capoufficio arrogante), nelle università (professore barone), nella politica (parlamentari distratti dopo le elezioni) così vanno a fondo le istituzioni della famiglia, delle imprese, delle università, del parlamento.
L’essere umano è per definizione un animale sociale: solo gli eremiti e i disperati vivono da soli. Solo gli animali socializzano secondo la legge del più forte attraverso l’aggressione e la fuga.
Noi umani dovremmo essere più costruttivi, visto che abbiamo uno strumento che ci consente di trovare una soluzione consapevolmente competente e costruttiva: la parola.

La sentenza giusta e rapida tra persone che devono convivere crea conflitti: come si guarderanno nella tromba della scala due condomini dopo un processo tra loro indipendentemente da chi abbia vinto e chi perso? Come funzionerà la successiva assemblea condominiale dove siederanno i partigiani dell’uno “contro” quelli dell’altro?
Noi italiani siamo tutti caratterizzati da quella che gli psicologi chiamano la “svalutazione reattiva”: una parte non è d’accordo per il solo fatto che la tesi è sostenuta dal suo avversario (pensate alle tifoserie o ai politici contrapposti).
Sembra quasi che noi italiani parliamo solo per due motivi: difenderci o attaccarci non siamo capaci di “separare le persone dal problema” come dicono ad Harvard ossia tendiamo a “personalizzare il problema”.
Vedo in mediazione documenti degli avvocati intitolati “memoria difensiva”: ma in mediazione non c’è nulla da difendere visto che non c’è nessuno che attacca. La mediazione non è neanche una transazione.
Se sparisce la chiave di casa cosa è più utile aprire la porta con l’intervento di un fabbro o sapere chi è il colpevole? Se arriva un malato grave in ospedale, è più utile cercare di farlo guarire o scoprire chi lo ha infettato?

La innovativa conclusione a cui desidero arrivare è che una cosa è cercare la soluzione, un’altra del tutto diversa è cercare il colpevole.
Comprendere non significa condividere, ma non si può condividere senza aver compreso. L’altro può anche aver sbagliato ma insieme le parti dovrebbero trovare il modo per rimediare che è più utile che estromettere dalla collettività o impoverire l’altro e tutti i suoi aventi causa.
Una probabile spiegazione di questo atteggiamento molto chiuso forse sta nel concetto di “onore offeso” che fino a qualche tempo fa giustificava anche l’omicidio.
Il diritto non può continuare ad essere visto come un modo a parte sempre giustificato di affrontare le cose di tutti i giorni del tipo “dura lex sed lex”: anch’esso deve partecipare a creare progresso e sviluppo proprio attraverso la pace costruttiva perché, come è stato autorevolmente detto, “il nuovo nome della pace è sviluppo”.
La pace imposta, in qualsiasi modo, invoca vendetta; la pace ottenuta attraverso la manipolazione invoca il ripensamento.
Per motivi opposti queste due forme di pseudo-pace, queste due forma di pseudo-consenso provocano la guerra o la voglia di litigare.

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