Art. 242 – Codice civile – Principio di prova per iscritto
[Il principio di prova per iscritto [241, 2724 n. 1] risulta dai documenti di famiglia, dai registri e dalle carte private del padre o della madre, dagli atti pubblici e privati provenienti da una delle parti che sono impegnate nella controversia o da altra persona, che, se fosse in vita, avrebbe interesse nella controversia.]
Le parole ricomprese fra parentesi quadre sono state abrogate.
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Massime correlate
Cass. civ. n. 21865/2025
Il reato di false comunicazioni sociali di cui all'art. 2621 cod. civ. in relazione all'esposizione in bilancio di enunciati valutativi, è configurabile qualora, sulla base di una valutazione "ex ante" delle norme tecniche e legali esistenti al momento del fatto, si accerti che l'agente ha disatteso criteri di valutazione normativamente fissati o criteri tecnici generalmente accettati, indiscussi e indiscutibili già all'atto di redazione del bilancio, discostandosi consapevolmente dagli stessi, senza fornire adeguata informazione giustificativa.
Cass. civ. n. 14689/2025
In tema di obbligazioni, l'effetto estintivo derivante da compensazione volontaria non è rilevabile d'ufficio e, poiché attiene allo specifico contenuto dell'accordo inter partes, deve formare oggetto di eccezione in senso proprio, da sollevarsi a cura della parte interessata.
Cass. civ. n. 11192/2025
In tema di deduzione di costi pluriennali, quelli derivanti da impianti realizzati su beni altrui risultano disciplinati, ai sensi dell'art. 108 d.P.R. n. 917 del 1986, sulla base del criterio sancito dall'art. 2426, n. 5., c.c. che prevede che la durata dell'ammortamento sia regolata sulla base della relativa utilità futura dell'impianto, avendosi in ogni caso come limite massimo quello della residua vigenza del titolo in base al quale il contribuente dispone del bene a cui l'impianto stesso accede.
Cass. civ. n. 9918/2025
In tema di accesso alla detassazione prevista per gli investimenti ambientali dall'art. 6, commi da 13 a 19, della l. n. 388 del 2000 (cd. Tremonti ambiente), il momento di avvio del procedimento - rilevante anche al fine di stabilire la possibilità di accesso ai benefici pur in presenza dell'intervenuto regime abrogativo, ai sensi dell'art. 23, comma 1, del d.l. n. 83 del 2012 (conv. nella l. n. 134 del 2012) - è quello in cui ha avuto inizio la realizzazione dell'opera nella quale l'investimento si concretizza, per tale dovendosi intendere quello dell'esborso dei "costi direttamente imputabili al prodotto", di cui all'art. 2426, comma primo, c.c. e, correlativamente, dell'effettiva consegna dei beni che afferiscono all'intervento, ai sensi dell'art. 109 TUIR.
Cass. civ. n. 1865/2025
In tema di fallimento, il rapporto tra l'istituto della postergazione dei crediti da rimborso dei finanziamenti dei soci, regolato dall'art. 2467 c.c. e quello della compensazione in sede fallimentare, di cui all'art. 56 l.fall., si pone in termini di ontologica incompatibilità, nel senso che il creditore postergato non può compensare nella predetta sede i crediti di cui al menzionato art. 2467 c.c. con gli eventuali debiti verso il fallito, stante la inderogabile finalità di protezione dei creditori perseguita dalla disciplina in tema di finanziamento soci.
Cass. civ. n. 25348/2024
In tema di reddito d'impresa, la scelta civilistica di un ammortamento decennale delle spese di pubblicità con utilità pluriennale non preclude la possibilità di una loro deduzione, ai fini fiscali, in cinque esercizi, anche ove le stesse non risultino dal conto dei profitti e delle perdite, ma siano annotate nelle scritture contabili, poiché l'art. 74 (ora 108), comma 2, del d.P.R. n. 917 del 1986, nella versione ratione tempore applicabile, è norma speciale rispetto all'art. 2426, n. 5, c.c. e consente al contribuente di scegliere solo tra le due alternative della integrale deduzione immediata, nell'esercizio in cui le spese sono state sostenute, ovvero della distribuzione in quote costanti nell'esercizio stesso e nei quattro anni successivi, non prevedendo né uno ius variandi, né la possibilità di modificare l'opzione prescelta.
Cass. civ. n. 19395/2024
L'eccezione di compensazione, fondata su un fatto costitutivo verificatosi successivamente alla scadenza delle preclusioni assertive, è ammissibile, e può essere valutata dal giudice, solo ove venga dedotta previa motivata applicazione dell'istituto generale della rimessione in termini ex art. 153, comma 2, c.p.c., posto a tutela dei principi costituzionali sulle garanzie difensive e sul giusto processo.
Cass. civ. n. 13290/2024
In tema di valutazione della quota sociale del socio uscente, l'art. 2289 c.c., nel fare riferimento allo scioglimento del rapporto nei confronti di un socio, presuppone la continuazione dell'attività sociale, con la conseguenza che, ai fini della quantificazione della somma dovuta, occorre tenere conto anche dell'avviamento, ossia dell'attitudine che consente ad un complesso aziendale di conseguire risultati economici diversi e, in ipotesi maggiori, di quelli raggiungibili attraverso l'utilizzazione isolata dei singoli elementi che lo compongono; la valutazione economica di detto avviamento va operata con una stima ragionevolmente prudenziale, seguendo uno dei metodi di calcolo, patrimoniali, reddituali o misti, la cui scelta è riservata al giudice del merito ed è incensurabile in sede di legittimità, se adeguatamente motivata.
Cass. civ. n. 11532/2024
In tema di associazione in partecipazione, il rendiconto che l'associante è tenuto a predisporre deve contenere l'affermazione dei fatti storici relativi all'attività svolta che abbiano prodotto entrate ed uscite di denaro, determinandone il relativo saldo, e deve essere redatto nelle forme del bilancio civilistico con applicazione del principio di cassa, sicché gli eventi successivi al sorgere di un credito, e in particolare il suo mancato incasso, devono trovare ivi rappresentazione, in quanto incidono sul risultato finale.
Cass. civ. n. 10160/2024
Integra il reato di bancarotta impropria da reato societario di falso in bilancio la condotta dell'amministratore che, procedendo alla rivalutazione dei beni giustificata da "casi eccezionali" - di cui all'art. 2423, comma quinto, cod. civ. - che, però, non hanno inciso effettivamente sul valore al rialzo di quei beni, eviti che si manifesti la necessità di ricapitalizzare o di porre in liquidazione la fallita, così determinando l'ulteriore aggravamento del suo dissesto. (Fattispecie relativa alla rivalutazione arbitraria e strumentale di cespiti immobiliari effettuata al fine di compensare le rilevanti perdite di esercizio subite dalla società in conseguenza dell'incendio di un suo capannone).
Cass. civ. n. 6700/2024
In tema di estinzione delle obbligazioni, la compensazione impropria (o atecnica) riguarda crediti e debiti che hanno origine da uno stesso rapporto e risolvendosi in una verifica delle reciproche poste attive e passive delle parti, consente al giudice di procedere d'ufficio al relativo
Cass. civ. n. 35305/2023
In tema di amministrazione straordinaria, il commissario straordinario può opporre in compensazione, in base alle ordinarie regole civilistiche, il credito maturato dalla società poi sottoposta ad amministrazione straordinaria antecedentemente all'apertura della procedura, ad estinzione del corrispondente credito prededucibile che il debitore di quella somma vanti nei confronti dell'amministrazione straordinaria per l'effetto della prosecuzione di rapporti contrattuali dopo l'apertura della procedura.
Cass. civ. n. 27970/2023
Integra il delitto di false comunicazioni sociali l'appostazione in bilancio, alla voce di ricavo straordinario da "sopravvenienze attive", di un importo pari all'ammontare di un debito tributario, precedentemente iscritto al passivo, quando questo sia ancora oggetto di contenzioso essendo stata emessa sentenza pur favorevole al debitore, ma non ancora definitiva.
Cass. civ. n. 24093/2023
Per versamento in conto futuro aumento di capitale devono intendersi quelle dazioni di danaro dei soci a favore della società che non siano, tuttavia, definitivamente acquisite al patrimonio sociale, avendo uno specifico vincolo di destinazione, con la conseguenza che, ove l'aumento non sia operato, il socio avrà diritto alla restituzione di quanto versato, per essere venuta meno la causa giustificativa dell'attribuzione patrimoniale da lui eseguita in favore della società, quale ripetizione dell'indebito.
Cass. civ. n. 11631/2023
In tema di redditi di impresa, l'allocazione in bilancio degli immobili-merce, cioè destinati al mercato della compravendita e al cui scambio o produzione è diretta l'attività di impresa, dipende dalla destinazione economica ad essi concretamente impressa, sicché tali beni, quando non ancora ceduti, devono essere iscritti, se sfitti, alla voce "rimanenze di magazzino" e non a quella "ricavi", senza che assuma alcuna rilevanza, ai fini dell'imposizione fiscale, la loro avvenuta ultimazione.
Cass. civ. n. 10773/2023
In tema di valutazione delle rimanenze in chiusura d'esercizio, ai fini della determinazione del reddito d'impresa, il criterio del minore fra il valore di mercato o di possibile realizzo ed il costo specifico (quale costo di acquisto o di produzione), di cui all'art. 92, comma 5, TUIR, non può essere applicato a beni diversi da quelli raggruppabili in categorie omogenee per natura e per valore ai sensi del comma 1 del medesimo articolo, con particolare riguardo ai beni valorizzati a costi specifici.
Cass. civ. n. 7530/2023
Nel caso di vendita delle partecipazioni sociali, ove al pagamento di una parte del corrispettivo si affianchi, al fine del pagamento del prezzo residuo, l'assunzione a carico dell'acquirente dell'obbligo di eseguire un finanziamento in favore della società compravenduta, con l'accordo che il socio entrante si attivi affinché quest'ultima paghi la relativa somma non allo stesso socio entrante, ma ai soci alienanti, al fine di tenerli indenni degli esborsi in precedenza eseguiti in favore della società a titolo di versamenti in conto aumento capitale sociale, tale accertata natura (di versamenti in conto aumento del capitale e non di finanziamenti) degli originari versamenti dei soci alienanti alla società non rende di per sé nulla, per violazione dell'art. 2423 c.c. o per preteso rimborso del capitale di rischio, la clausola che l'assunzione di quell'obbligo preveda.
Cass. civ. n. 7433/2023
Nelle società di capitali, il bilancio di esercizio, avendo la funzione non solo di misurare gli utili e le perdite dell'impresa, ma anche di fornire ai soci e al mercato tutte le informazioni richieste dall'art. 2423 c.c., deve essere redatto nel rispetto dei principi di verità, correttezza e chiarezza e delle regole di redazione poste dal legislatore, che, pur essendo tratte dai principi contabili ed avendo un contenuto di discrezionalità tecnica, sono norme giuridiche cogenti, alla cui violazione consegue l'illiceità del bilancio e la nullità della deliberazione assembleare con cui è stato approvato, poiché le scelte operate dai redattori, nel fornire la rappresentazione contabile dell'elemento considerato, sono sempre sindacabili, salvo che non siano riconducibili all'ambito proprio delle scelte insindacabili di gestione.
Cass. civ. n. 1167/2023
In tema di imposte sui redditi, l'art. 23, comma 3, d.lgs. n. 175 del 1995, nel disporre che le società di assicurazione costituiscano alla fine di ogni esercizio la "riserva sinistri" iscrivendo nel bilancio le somme necessarie per far fronte al pagamento dei sinistri avvenuti in quell'esercizio o negli esercizi precedenti, atteso il suo tenore letterale, si limita a prevedere che l'ammontare di essa sia determinato sulla base di una valutazione fondata su elementi obiettivi e guidata dal criterio di prudenza, senza imporre alcun metodo specifico, purché quello impiegato sia tecnicamente idoneo a perseguire le finalità della riserva di accantonare le somme necessarie per far fronte al pagamento dei sinistri avvenuti, e non anche esuberante rispetto a tali finalità.
Cass. civ. n. 7530/2023
Nel caso di vendita delle partecipazioni sociali, ove al pagamento di una parte del corrispettivo si affianchi, al fine del pagamento del prezzo residuo, l'assunzione a carico dell'acquirente dell'obbligo di eseguire un finanziamento in favore della società compravenduta, con l'accordo che il socio entrante si attivi affinché quest'ultima paghi la relativa somma non allo stesso socio entrante, ma ai soci alienanti, al fine di tenerli indenni degli esborsi in precedenza eseguiti in favore della società a titolo di versamenti in conto aumento capitale sociale, tale accertata natura (di versamenti in conto aumento del capitale e non di finanziamenti) degli originari versamenti dei soci alienanti alla società non rende di per sé nulla, per violazione dell'art. 2423 c.c. o per preteso rimborso del capitale di rischio, la clausola che l'assunzione di quell'obbligo preveda.
Cass. civ. n. 7433/2023
Nelle società di capitali, il bilancio di esercizio, avendo la funzione non solo di misurare gli utili e le perdite dell'impresa, ma anche di fornire ai soci e al mercato tutte le informazioni richieste dall'art. 2423 c.c., deve essere redatto nel rispetto dei principi di verità, correttezza e chiarezza e delle regole di redazione poste dal legislatore, che, pur essendo tratte dai principi contabili ed avendo un contenuto di discrezionalità tecnica, sono norme giuridiche cogenti, alla cui violazione consegue l'illiceità del bilancio e la nullità della deliberazione assembleare con cui è stato approvato, poiché le scelte operate dai redattori, nel fornire la rappresentazione contabile dell'elemento considerato, sono sempre sindacabili, salvo che non siano riconducibili all'ambito proprio delle scelte insindacabili di gestione.
Cass. civ. n. 35130/2022
In tema di redazione di bilancio, per i soggetti che applicano i principi contabili internazionali, ispirati alla prevalenza della sostanza sulla forma, il calcolo del risultato operativo lordo va effettuato dopo aver individuato, tra le poste del conto economico redatto sulla base dei principi contabili internazionali, quelle che risultino, in concreto, corrispondenti alle voci contenute nello schema di conto economico di cui all'art. 2425 c.c., richiamate dall'art. 96, comma 2, del d.P.R. n. 917 del 1986; a tal fine, il giudice del merito non può esimersi dal valutare anche lo schema di riconciliazione tra i due sistemi di rilevazione contabile che sia stato predisposto e prodotto dal contribuente "Ias adopter".
Cass. civ. n. 15087/2022
In tema di società di capitali, la riserva costituita, ai sensi dell'art. 2426, comma 1, n. 4, c.c., dalle plusvalenze, derivanti dalla valutazione delle partecipazioni in imprese controllate secondo il criterio del patrimonio netto, ha natura di riserva non distribuibile, basandosi su un valore solo stimato e non ancora realizzato, e può essere utilizzata per la copertura delle perdite solo dopo l'assorbimento di ogni altra riserva distribuibile iscritta in bilancio.
Cass. civ. n. 7436/2022
In tema di Irap, la possibilità di ammortizzare il costo del terreno strumentale all'esercizio dell'attività di impresa sussiste alla condizione che rimanga accertato, in concreto, che detto terreno abbia una "vita utile" limitata, nel senso che la sua utilizzazione sia limitata nel tempo ai sensi dell'art. 2426, comma 1, n. 2, c.c., senza che tale condizione possa automaticamente farsi discendere dalla limitatezza nel tempo della vita dei beni su di esso insistenti e utilizzati dall'imprenditore per l'esercizio della propria attività economica.
Cass. civ. n. 3994/2021
In tema di reddito di impresa, il criterio di competenza previsto per la redazione del bilancio di esercizio dall'art. 2423-bis c.c. per tutti gli interessi, moratori e corrispettivi, che ne impone l'imputazione nell'esercizio in cui sono maturati e che li considera rilevanti ai fini della determinazione del relativo risultato indipendentemente dall'effettivo loro percepimento, opera nella materia tributaria soltanto con riguardo agli interessi legali ex art. 109, comma 2, lett. b), d.P.R. n. 917 del 1986, ma non anche per gli interessi moratori su crediti, i quali, ai sensi dell'art. 109, comma 7, del medesimo d.P.R., concorrono a formare il reddito di impresa e sono dunque assoggettati a tassazione soltanto nell'esercizio in cui vengono effettivamente percepiti e non in quello in cui maturano, valendo per essi il criterio di cassa.
Cass. civ. n. 24220/2020
In tema di compensazione, i principi generali enunciati dall'art. 1242, comma 1, c.c., circa l'efficacia estintiva dei due debiti da essa derivante e la sua non rilevabilità d'ufficio dal giudice, sono applicabili anche al giudizio tributario, con la conseguenza che la relativa eccezione non può essere sollevata neppure dall'Amministrazione finanziaria in grado di appello ai sensi dell'art. 57 del d.lgs. n. 546 del 1992, trattandosi di eccezione in senso proprio o stretto.
Cass. civ. n. 7018/2020
La compensazione giudiziale può operare anche relativamente ad una ragione creditoria già prescritta, ove il credito opposto sia certo e, benché indeterminato nel suo ammontare, di facile e pronta liquidazione, poiché la regola generale contenuta nell'art. 1242, comma 2, c.c., che postula la prevalenza del diritto alla compensazione rispetto alla prescrizione qualora il relativo termine non sia spirato nell'arco temporale di coesistenza dei crediti e dei debiti, si fonda sul principio di ragionevolezza e di buona fede nella disciplina dei rapporti negoziali e rappresenta una declinazione di quello, pure generale, per il quale, quando due persone sono obbligate l'una verso l'altra, i debiti si estinguono per le quantità corrispondenti.
Cass. civ. n. 9686/2020
Con l'opposizione ex art. 615 c.p.c. il debitore esecutato può opporre in compensazione al creditore procedente un controcredito certo (cioè, definitivamente verificato giudizialmente o incontestato) oppure un credito illiquido di importo certamente superiore (la cui entità possa essere accertata, senza dilazioni nella procedura esecutiva, nel merito del giudizio di opposizione) anche nell'ipotesi di espropriazione forzata promossa per il credito inerente al mantenimento del coniuge separato, non trovando applicazione, in difetto di un "credito alimentare", l'art. 447, comma 2, c.c.
Cass. civ. n. 13416/2019
Se tra due soggetti insorgano in tempi diversi reciproci crediti, il primo dei quali soggetto a rivalutazione automatica ex art. 429, comma 3, c.p.c. e solo parzialmente estinto, occorre quantificare il credito, comprensivo di rivalutazione ed interessi maturati fino all'estinzione parziale, e calcolare sul residuo quegli stessi accessori fino al momento in cui, divenuto liquido ed esigibile anche il credito contrapposto, opera la compensazione, dopo la quale vanno calcolati rivalutazione e interessi sull'eventuale residuo del primo credito, oppure i soli interessi sull'altro rimasto dopo la parziale compensazione.
Cass. civ. n. 12016/2019
In tema di compensazione, con riferimento alla rivalutazione ed agli interessi, quando sia stata giudizialmente riconosciuta in favore del convenuto - attore in riconvenzionale a titolo di indebito oggettivo per le somme trattenute senza titolo da controparte - la sussistenza di un credito, posto contestualmente in detrazione, e pertanto compensato, con il maggior credito vantato dalla parte attrice - nella specie per il ritardato rilascio dell'immobile al convenuto medesimo locato -, in forza del disposto dell'articolo 1242 c.c. il primo dei due crediti deve ritenersi estinto per compensazione sin dal momento della coesistenza degli stessi, senza che sia stato mai produttivo di interessi o di rivalutazione monetaria. Ed invero, tale effetto compensativo si era già verificato al momento della proposizione della domanda riconvenzionale, momento dal quale, giusto disposto dall'art. 2033 c.c., decorrono gli interessi moratori, dovendosi presumere la buona fede dell'"accipiens" in difetto di specifiche prove contrarie.
Cass. civ. n. 4825/2019
Quando tra due soggetti i rispettivi debiti e crediti hanno origine da un unico - ancorché complesso - rapporto, non vi è luogo ad una ipotesi di compensazione "propria", bensì ad un mero accertamento di dare e avere, con elisione automatica dei rispettivi crediti fino alla reciproca concorrenza, cui il giudice può procedere senza che siano necessarie l'eccezione di parte o la domanda riconvenzionale. Tale accertamento, che si sostanzia in una compensazione "impropria", pur producendo risultati analoghi a quelli della compensazione "propria", non è sottoposto alla relativa disciplina tipica, sia processuale sia sostanziale, ivi compresa quella contenuta nell'art. 1248 c.c., riguardante l'inopponibilità al cessionario, da parte del debitore che abbia accettato puramente e semplicemente la cessione, della compensazione che avrebbe potuto opporre al cedente. (Nella specie, veniva in rilievo il caso di una dipendente che aveva dato in garanzia il proprio TFR per ottenere un prestito da una società la quale, dopo le dimissioni della lavoratrice, aveva chiesto il versamento del detto TFR al datore di lavoro che, però, aveva rifiutato, eccependo, in parziale compensazione, il suo credito verso la medesima dipendente avente ad oggetto l'indennità di mancato preavviso da essa dovuta perché dimessasi in tronco; la S.C., enunciando il principio massimato, ha cassato la decisione di appello che, applicando l'art. 1248 c.c., aveva accolto la domanda della società cessionaria).
Cass. civ. n. 34398/2019
In tema di determinazione del reddito d'impresa, l'art. 2426 c.c. (nel testo applicabile "ratione temporis"), prevedendo l'estinzione delle spese di impianto e di ampliamento mediante ammortamento annuale "entro un periodo non superiore a cinque anni", individua il quinquennio come periodo massimo di ammortamento, senza prevedere alcun periodo minimo, sicché resta salva la facoltà della società di estinguere le spese stesse in un periodo più breve o anche in un solo anno.
Cass. civ. n. 32438/2019
Nella compensazione di debiti reciproci aventi natura diversa, per essere uno di valore, in quanto a titolo di risarcimento danni, e l'altro di valuta, ai fini della determinazione del primo si deve tenere conto dell'incidenza della svalutazione monetaria, mentre la parte che fa valere il secondo può richiedere, ai sensi dell'art. 1224, comma 2, c.c., l'ulteriore risarcimento del "danno maggiore" da essa eventualmente subìto, rispetto a quello forfettariamente determinato dal primo comma dello stesso articolo nella misura degli interessi legali. (Cassa con rinvio, CORTE D'APPELLO CAGLIARI, 12/05/2015).
Cass. civ. n. 23948/2018
La compensazione legale presuppone pur sempre che una delle parti dichiari di volersene avvalere, così esercitando un diritto potestativo, il quale postula che valutando liberamente il proprio interesse all'adempimento, la parte predetta decida di determinare l'estinzione dei debiti contrapposti dal giorno della loro coesistenza.
Cass. civ. n. 12323/2018
La compensazione impropria - che si verifica quando i contrapposti crediti e debiti delle parti hanno origine da un unico rapporto - non è applicabile sul trattamento pensionistico di invalidità civile per il recupero di somme indebitamente erogate a titolo di assegno sociale ex art. 3, comma 6, della l. n. 335 del 1995L. 08/08/1995, n. 335, quale provvidenza avulsa dallo stato di invalidità che non investe la tutela di condizioni minime di salute o gravi situazioni di urgenza.
Cass. civ. n. 10750/2016
La disciplina della compensazione ex art. 1241 c.c. è applicabile nelle ipotesi in cui le reciproche ragioni di credito, pur avendo il loro comune presupposto nel medesimo rapporto, siano fondate su titoli aventi diversa natura, l'una contrattuale e l'altra extracontrattuale.
Cass. civ. n. 7586/2016
Il bilancio di esercizio di una società per azioni, in forza del principio di continuità, deve partire dai dati di chiusura del bilancio dell'anno precedente, anche nel caso in cui l'esattezza e la legittimità di questi ultimi siano state poste in discussione in sede contenziosa e siano state negate con sentenza non passata in giudicato (nella specie, per il mancato rispetto dei termini di convocazione di un socio). Infatti, solo il passaggio in giudicato di quella sentenza fa sorgere il dovere degli amministratori di apporre al bilancio contestato le variazioni imposte dal comando giudiziale, e, quindi, di modificare di conseguenza i dati di partenza del bilancio successivo.
Cass. civ. n. 4120/2016
Gli amministratori devono soddisfare l'interesse del socio ad una conoscenza concreta dei reali elementi contabili recati dal bilancio al fine di realizzare il diritto di informazione previsto dall'art. 2423 c.c., che è in rapporto di strumentalità con il principio di chiarezza, sicché sono obbligati a rispondere alla domanda d'informazione pertinente e a cui non ostino oggettive esigenze di riservatezza, in modo da dissipare le insufficienze, le incertezze e le carenze di chiarezza in ordine ai dati di bilancio ed alla relativa relazione.
Cass. civ. n. 22044/2016
Quando il creditore richiede l'ammissione al passivo per un importo inferiore a quello originario deducendo la compensazione, l'esame del giudice delegato investe il titolo posto a fondamento della pretesa, la sua validità, la sua efficacia e la sua consistenza. Ne consegue che il provvedimento di ammissione del credito residuo nei termini richiesti comporta implicitamente il riconoscimento della compensazione quale causa parzialmente estintiva della pretesa, riconoscimento che determina una preclusione endofallimentare, che opera in ogni ulteriore eventuale giudizio promosso per impugnare, sotto i sopra indicati profili dell'esistenza, validità, efficacia, consistenza, il titolo dal quale deriva il credito opposto in compensazione.
Cass. civ. n. 5450/2015
In tema di iscrizione in bilancio dei crediti delle società, ai sensi dell'art. 2425, n. 6, cod. civ. (nel testo anteriore al d.lgs. 9 aprile 1991, n. 127), il criterio legale del "valore presumibile di realizzazione" deve essere esercitato dagli amministratori alla stregua del canone generale della ragionevolezza della valutazione (o svalutazione) operata, con prudente apprezzamento della situazione patrimoniale ed economica del debitore e della sua solvibilità, sicché essi sono tenuti a formulare una prognosi "ex ante" circa il grado di probabilità del futuro adempimento, pieno e tempestivo, del debitore, di modo che il valore nominale dei crediti costituisce soltanto un parametro, da correggere prudenzialmente tenendo conto di tutti i suoi caratteri "e latere debitoris", senza che assuma rilievo quanto attiene alla sfera giuridica del creditore. (Omissis).
Cass. civ. n. 20874/2013
Perché operi la compensazione, ai sensi dell'art. 1241 c.c., è necessario che vi sia reciprocità di posizione creditoria e debitoria fra le medesime parti; ne consegue che è illegittima la compensazione operata da una banca tra un proprio credito ed il debito di un Comune del quale la stessa banca gestisca il servizio di tesoreria.
Cass. civ. n. 2758/2012
Il diritto del socio ad una chiara, corretta e veritiera rappresentazione di bilancio, ed il conseguente interesse ad impugnare la deliberazione che lo approva, sussiste anche allorché la società abbia perduto il proprio capitale e se il valore economico delle singole partecipazioni sia azzerato, dal momento che pure in presenza di una causa di scioglimento la partecipazione costituisce un bene nel patrimonio del socio e permane la struttura organizzativa della società ed i suoi organi, né cessa l'obbligo degli amministratori (o dei liquidatori) di redigere e sottoporre all'approvazione dell'assemblea il bilancio, che, quindi, deve essere redatto secondo le modalità inderogabilmente prescritte dalla legge.
Cass. civ. n. 17306/2011
La compensazione estintiva di un'obbligazione accertata con decisione passata in giudicato non può essere opposta dal debitore se il credito opposto in compensazione sia sorto anteriormente alla formazione del giudicato, che preclude l'efficacia dei fatti estintivi od impeditivi ad esso contrari, ma può esserlo soltanto se il credito sia sorto successivamente. (Nella fattispecie, il debito del ricorrente era stato accertato con sentenza passata in giudicato, con cui era stata anche respinta l'eccezione di compensazione, mentre i fatti costitutivi del credito erano anteriori al fallimento in cui il ricorrente si era insinuato, conseguendovi l'ammissione con sentenza resa in base a transazione con la curatela).
Cass. civ. n. 10586/2011
In caso di acquisto di azienda in perdita, il relativo avviamento - configurabile laddove trovi congrua giustificazione l'attesa di profitti futuri (come nella specie, essendo stata acquistata, unitamente all'azienda, l'autorizzazione amministrativa all'esercizio del commercio nello specifico settore) - può essere iscritto dalla società acquirente nell'attivo del bilancio, con conseguente deducibilità dai redditi d'impresa delle corrispondenti quote di ammortamento, ai sensi dell'art. 68 del d.p.r. 22 dicembre 1986, n. 917 (nel testo applicabile "ratione temporis"), anche se, invece di versare il prezzo, si accolli i debiti inerenti all'azienda ceduta, in quanto, a seguito delle modifiche introdotte dall'art. 9 del d.l.vo 9 aprile 1991, n. 127, l'art. 2426, comma 1, n. 6), c.c., consente l'appostazione in bilancio dell'avviamento " se acquisito a titolo oneroso, nei limiti del costo per esso sostenuto", a prescindere, quindi, dalle forme con le quali lo schema negoziale viene a rivestire tale carattere.
Cass. civ. n. 9218/2011
L'art. 2425, n. 6, c.c. (nella vecchia formulazione), disponendo che, ai fini dell'iscrizione nell'attivo del bilancio di società per azioni, i crediti "devono essere valutati secondo il presumibile valore di realizzazione", non attribuisce agli amministratori una discrezionalità assoluta, ma implica una valutazione fondata sulla situazione concreta, secondo principi di razionalità; ciò preclude l'iscrizione in bilancio non soltanto dei crediti semplicemente sperati, ma, anche dei crediti certi, liquidi ed esigibili, qualora siano di dubbia o difficile esazione, i quali, in tal caso, non devono essere iscritti nel loro intero ammontare, bensì nella minore misura che - secondo un prudente apprezzamento - si presume di poter realizzare.
Cass. civ. n. 11125/2010
Con la cessione delle obbligazioni convertibili in azioni (nella specie, in adesione ad un'offerta pubblica di acquisto residuale) l'obbligazionista cede l'intera sua posizione contrattuale, entrando essa nella titolarità e disponibilità dei cessionari e continuando a regolare interamente i rapporti tra gli obbligazionisti cessionari e la società emittente: pertanto, deve escludersi la configurabilità, in capo ai cedenti, di crediti derivanti da inadempimento delle obbligazioni cedute, diritti che in ogni caso fanno capo, anche come crediti di tipo risarcitorio, ai nuovi titolari.
Cass. civ. n. 1147/2010
Ai fini della determinazione del reddito d'impresa, i contributi a fondo perduto (in conto capitale o in conto impianti) costituiscono una sopravvenienza attiva tassabile nell'esercizio in cui sono stati incassati, ai sensi dell'art. 55, terzo comma, lett. c) del d.p.r. 22 dicembre 1986, n. 917 (nel testo, applicabile "ratione temporis", modificato dall'art. 21, comma 4, della legge 27 dicembre 1997, n. 449), da indicare nello stato patrimoniale e nel conto economico del relativo bilancio rispettando l'obbligo, previsto dall'art. 2423-ter c.c., di iscrivere in tali documenti le voci previste negli artt. 2424 e 2425 c.c., separatamente e secondo l'uniforme ordine tassativo da essi imposto, senza possibilità di iscrizione di mere "registrazioni di memoria". Ne consegue che, quando il contributo sia stato concesso nel corso di un esercizio, ma erogato, "pro quota", in quello successivo, è inidonea la mera ripetizione dell'indicazione, già inserita nel bilancio relativo all'anno di concessione, dell'intero importo dello stesso nella posta "ratei e risconti passivi", perché in tal modo non viene operata alcuna scelta tra le pur possibili diverse rappresentazioni tecnico-contabili del fatto (riduzione del costo delle immobilizzazioni acquisite con quel contributo e gradato accreditamento dello stesso al conto economico sulla base della vita utile del cespite, con le connesse varianti di contabilizzazione; conferimento da parte di terzo non azionista, con costituzione di specifica riserva del patrimonio netto) e si giustifica la ripresa a tassazione della sopravvenienza attiva non dichiarata.
Cass. civ. n. 12165/2009
In tema di accertamento dell'IVA, è illegittima la rettifica della dichiarazione annuale presentata dal curatore fallimentare, operata dall'ufficio mediante determinazione induttiva dell'imponibile sulla base del raffronto tra il valore delle rimanenze, indicato in bilancio, ed il valore delle merci, calcolato ai fini della redazione dell'inventario, trattandosi di valori incomparabili in quanto fondati su valutazioni non omogenee: il primo infatti, ai sensi dell'art. 2426, n. 9 c.c., è vincolato al criterio principale del costo, ed è ancorabile al minor valore di realizzo soltanto allorchè questo sia desumibile dall'andamento del mercato, nel rispetto del principio di continuità sancito dall'art. 2423 bis c.c.; il secondo, invece, si basa su una valutazione di pura stima ovvero realizzo economico, compiuta dalla curatela sulle merci giacenti al momento della dichiarazione di fallimento.
Cass. civ. n. 13413/2008
In tema di valutazione degli elementi dell'attivo del bilancio di una società per azioni, le «speciali ragioni» di cui all'art. 2425, ultimo comma, c.c. (nel testo antecedente alle modifiche introdotte dal D.L.vo n. 127 del 1991), permettono la deroga agli ordinari criteri di cui ai commi precedenti della citata disposizione e non solo ai criteri massimi di valutazione e trovano giustificazione in peculiari esigenze del caso concreto, tali da rendere inadeguato il valore legale del bene; è pertanto corretta la riduzione delle quote di ammortamento dei beni aziendali operata in ragione della contribuzione degli stessi alla gestione dell'imprese (nella specie, limitata a soli tre mesi l'anno, in considerazione del carattere stagionale dell'attività imprenditoriale), al fine di tener conto del consumo e del deperimento effettivamente verificatisi a causa di tale limitata utilizzazione.