Art. 259 – Codice civile – Introduzione del figlio naturale nella casa coniugale
[Il figlio naturale di uno dei coniugi, riconosciuto durante il matrimonio, non può essere introdotto nella casa coniugale se non col consenso dell'altro coniuge, salvo che questi abbia già dato il suo assenso al riconoscimento.]
Le parole ricomprese fra parentesi quadre sono state abrogate.
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Massime correlate
Cass. civ. n. 14098/2025
Costituisce concorrenza sleale la condotta di un imprenditore che, per il tramite di propri dipendenti già alle dipendenze del concorrente, si appropria di tabulati recanti i nominativi di clienti e distributori di quest'ultimo, non rilevando la circostanza che essi fossero già noti al medesimo imprenditore ed a tali dipendenti, trattandosi di un complesso strutturato di informazioni aziendali comunque riservate, e non divulgabili ove esse superino la capacità mnemonica e l'esperienza del singolo normale individuo e configurino così una banca dati, il cui trasferimento è idoneo ad arricchire la conoscenza del concorrente e a fornirgli un vantaggio competitivo che trascende la capacità e le esperienze del lavoratore acquisito.
Cass. civ. n. 14095/2025
In presenza di un marchio complesso, benché la valutazione della somiglianza tra i segni non possa limitarsi a prendere in considerazione solo una componente e a paragonarla con quella dell'altro, occorrendo procedere all'esame dei segni in conflitto considerati ciascuno nel suo insieme, ciò non esclude che l'impressione complessiva prodotta nella memoria del pubblico di riferimento da un marchio complesso possa, in determinate circostanze, essere influenzata da una o più delle sue componenti e in tali casi, laddove tutte le altre componenti assumano un rilievo trascurabile, la valutazione di somiglianza possa essere affidata al solo esame di tali componenti. (Nel caso di specie, la S.C. ha confermato la sentenza d'appello che, giudicando della contraffazione di un marchio complesso contenente una parte denominativa ed una figurativa, aveva ricondotto la capacità distintiva del marchio all'elemento figurativo rappresentato da un cane bassotto, desumendone la sussistenza del rischio di confusione tra i segni in conflitto).
Cass. civ. n. 1923/2025
In tema di risarcimento del danno da illecito anticoncorrenziale, il termine di prescrizione della relativa azione comincia a decorrere dal momento in cui il titolare sia stato adeguatamente informato o si possa pretendere ragionevolmente e secondo l'ordinaria diligenza che lo sia stato, non solo dell'altrui violazione, ma anche dell'esistenza di un possibile danno ingiusto, il cui accertamento va compiuto senza alcun automatismo, ma sulla base delle condizioni ricavabili dal caso concreto.
Cass. civ. n. 1160/2025
Configura condotta contraria alla correttezza professionale, sanzionata dall'art. 2598, nn. 2 e 3, c.c., lo sfruttamento di un pregresso rapporto commerciale preferenziale che consente all'azienda di carpire informazioni su un prodotto altrui avente determinate caratteristiche (coperte, o meno, da diritti di privativa), al fine di immettere in pochissimo tempo in commercio, senza porre in essere gli investimenti usualmente necessari, un'innovazione tecnologica realizzata dal concorrente, presentandola al mercato come una novità assoluta.
Cass. civ. n. 626/2025
In tema di illecito concorrenziale, il presupposto della comunanza di clientela non è dato dall'identità soggettiva degli acquirenti dei prodotti, ma dall'insieme dei consumatori del medesimo bisogno di mercato, che, pertanto, si rivolgono a tutti i prodotti uguali, affini o succedanei, a quelli posti in commercio, che sono in grado di soddisfare quel bisogno, con la conseguenza che sussiste rapporto di concorrenza tra gli imprenditori che, per la commercializzazione degli stessi prodotti, si avvalgono di differenti canali di distribuzione. (Nella specie, la S.C. ha cassato la sentenza impugnata, che aveva escluso l'illecito concorrenziale tra l'imprenditore operante tramite punti di vendita fisici e quello operante online).
Cass. civ. n. 18683/2024
È invalida la registrazione di un segno come marchio, se può indurre nel pubblico l'erronea convinzione che il prodotto provenga da un'area territoriale nota per le eccellenti qualità di quel prodotto, giacché in tale ipotesi si verifica un effetto distorsivo del mercato, ingenerato dall'inganno subito dai consumatori - portati a credere che il prodotto che viene loro proposto provenga da una certa area geografica e goda dei pregi per cui essa è nota - e ciò a prescindere dall'appartenenza di un diritto di proprietà intellettuale sulla denominazione dell'area geografica in capo a chicchessia e in particolare al soggetto che denuncia la decettività del segno. (Nella specie, la S.C. ha cassato il provvedimento impugnato che aveva respinto la domanda di risarcimento del danno per contraffazione conseguente alla dedotta invalidità della registrazione di un segno come marchio, proposta da un noto birrificio nei confronti di imprese concorrenti che avevano utilizzato il segno su prodotti provenienti da area geografica diversa da quella boema, in cui l'attore produceva il proprio prodotto).
Cass. civ. n. 14944/2024
In tema di concorrenza sleale, il cd. storno vietato di dipendenti non ricorre ove l'imprenditore avvii una collaborazione professionale con il prestatore d'opera, che abbia posto fine al precedente rapporto di lavoro, disattendendo l'obbligo di preavviso o il divieto di concorrenza contratti con il vecchio datore di lavoro, poiché l'imprenditore che recluti il lavoratore dimissionario non è vincolato al rispetto degli accordi che inerivano al precedente rapporto e l'assunzione in tali circostanze non implica necessariamente una condotta disgregatrice dell'altrui impresa, salvo dimostrare che tale comportamento è univocamente finalizzato all'intenzionale scomposizione dell'organizzazione e della funzionalità dell'unità concorrente, così da menomarne la vitalità economica.
Cass. civ. n. 23739/2023
In tema di risarcimento dei danni cagionati dalla contraffazione di segni distintivi, l'accertamento di concreti fatti materiali di concorrenza sleale di cui all'art. 2598, n. 1), c.c., comporta la presunzione di colpa prevista dall'art. 2600, comma 3, c.c., che onera, pertanto, l'autore degli stessi della dimostrazione dell'assenza dell'elemento soggettivo da valutarsi secondo il canone civilistico 'oggettivato', riferito a un modello standard di comportamento, enucleato dal criterio della diligenza ex art. 1176 c.c. e parametrato sul c.d. agente modello.
Cass. civ. n. 22034/2023
In tema di segni distintivi, la valutazione della capacità distintiva di un marchio complesso, composto da elementi denominativi ed elementi figurativi, impone al giudice di esaminare le qualità intrinseche di entrambi, nonché le loro rispettive posizioni, al fine di identificare la componente dominante, in quanto, sebbene i primi siano in linea di principio maggiormente distintivi rispetto ai secondi – dato che il consumatore medio farà più facilmente riferimento ai prodotti in oggetto citando il nome del marchio piuttosto che descrivendone l'elemento figurativo – non ne consegue che gli elementi denominativi di un marchio debbano essere sempre considerati più distintivi rispetto agli elementi figurativi, potendo questi ultimi, per la forma, dimensioni, colore o la loro collocazione nel segno, occupare una posizione equivalente a quella dell'elemento denominativo.(Affermando detto principio la S.C. ha dichiarato inammissibile il ricorso avverso la sentenza emessa a seguito dell'opposizione alla registrazione di un marchio in cui l'elemento figurativo era composto da due "C" contrapposte e quello denominativo era rappresentato dal patronimico "Gianni Altieri", ritenendo che pur a fronte di innegabili somiglianze, l'aggiunta dell'elemento patronimico fosse sufficiente ad escludere il rischio di confusione fra i segni in conflitto).
Cass. civ. n. 21586/2023
In tema di risarcimento del danno da concorrenza sleale, il pregiudizio alla reputazione commerciale derivante da attività di concorrenza sleale confusoria non può ritenersi sussistente "in re ipsa", ma va allegato e dimostrato da parte del danneggiato.
Cass. civ. n. 20800/2023
In tema di diritti di privativa industriale, il titolare del marchio oggetto di contraffazione può chiedere, in luogo del risarcimento del danno da lucro cessante, la restituzione (cd. "retroversione") degli utili realizzati dall'autore della violazione, ai sensi dell'art. 125 del codice della proprietà industriale, senza che sia necessario allegare e provare che il convenuto abbia agito con colpa o dolo, ed anche nel caso in cui tali utili superino quelli che il titolare avrebbe potuto conseguire qualora la contraffazione non vi fosse stata, trattandosi di un rimedio diverso da quello puramente risarcitorio, improntato ad una funzione, oltre che compensativa anche dissuasiva e deterrente, volta a prevenire la pianificazione di attività contraffattive da parte di operatori economici più efficienti per capacità imprenditoriale del titolare del diritto di proprietà industriale.
Cass. civ. n. 12881/2023
I segni possono costituire oggetto di marchio, in quanto rispondano oggettivamente e preminentemente alla funzione distintiva del prodotto e della sua provenienza, senza esser vincolati dalla destinazione merceologica o dalla forma necessaria del prodotto stesso, sicché è suscettibile di brevetto la sola forma il cui pregio modifichi l'identità del prodotto in quanto idonea ad aumentarne il valore merceologico, senza mutarne la funzione ontologica, mentre non lo è la forma priva di carattere distintivo, tale essendo quella imposta dalla natura del prodotto come forma necessaria per l'ottenimento di un risultato tecnico ovvero quella che dà al prodotto un valore sostanziale. (Nella specie, la S.C. ha confermato la sentenza del giudice di merito che aveva ritenuto dotata di caratteristiche individualizzanti la forma della scatola per confetti "tic tac").
Cass. civ. n. 12092/2023
In tema di concorrenza sleale, qualora l'atto lesivo sia posto in essere da un terzo interposto, occorre distinguere tra l'ipotesi in cui costui sia un dipendente dell'imprenditore avvantaggiato, nel qual caso quest'ultimo risponde dell'illecito ai sensi dell'art. 2049 c.c. purché sussista un nesso di "occasionalità necessaria" fra l'incarico affidato al terzo e il compimento dell'atto pregiudizievole, e la diversa ipotesi in cui l'interposto non sia un dipendente dell'imprenditore, nel qual caso la responsabilità di quest'ultimo si collega all'art.2598 c.c., nella parte in cui qualifica illecito concorrenziale anche l'avvalersi "indirettamente" di mezzi non conformi ai principi della correttezza professionale, sempreché, tuttavia, pur in assenza di una partecipazione anche solo ispirativa dell'imprenditore, l'atto del terzo corrisponda al suo interesse e l'interposto si trovi con esso in una relazione tale da qualificarne l'agire come diretto ad avvantaggiarlo.
Cass. civ. n. 12049/2023
In tema di concorrenza sleale, la violazione di norme pubblicistiche non integra necessariamente un atto anticoncorrenziale ex art. 2598, n. 3, c.c., dovendosi distinguere tra norme volte a porre limiti all'esercizio dell'attività imprenditoriale, la cui violazione è sempre riconducibile entro il paradigma contemplato da detta disposizione, e norme che impongono costi alle imprese operanti sul mercato, la cui violazione non costituisce di per sé l'illecito in parola, occorrendo che l'imprenditore che si duole degli atti del concorrente ne dimostri l'attitudine potenzialmente lesiva dei propri diritti, mediante malizioso ed artificioso squilibrio delle condizioni di mercato. (Nella specie, l'illecito concorrenziale accertato dal giudice di merito consisteva nell'esercizio da parte di una società di attività commerciali di ristorazione e market, in assenza di autorizzazione amministrativa, all'interno dello stesso complesso turistico ove altro ente svolgeva regolarmente le medesime attività sulla base di titoli abilitativi).
Cass. civ. n. 6876/2023
In tema concorrenza sleale, la tutela risarcitoria va riconosciuta anche con riferimento alla realizzazione di atti preparatori rispetto a quelli presi in considerazione dall'art. 2598 c.c., qualora sia dimostrata l'esistenza di un danno eziologicamente collegato a questi ultimi; ove il pregiudizio riguardi l'immagine e l'apprezzamento che i consumatori nutrono per i prodotti commercializzati con un determinato segno distintivo, il risarcimento è parametrato, oltre che sul danno emergente e sul danno non patrimoniale, anche sul danno da lucro cessante, sempreché la condotta lesiva abbia determinato una contrazione dei ricavi del danneggiato o abbia avuto, comunque, un'incidenza sul relativo importo. (Nella specie, la S.C. ha affermato il principio anzidetto a fronte di una preordinata commercializzazione di prodotti con marchi contraffatti di un noto stilista, di fatto non concretizzatasi per l'intervenuto sequestro penale dei medesimi).
Cass. civ. n. 4586/2023
La revoca dell'amministratore di società a responsabilità limitata può essere disposta in ogni tempo dall'assemblea dei soci, anche in assenza di giusta causa ma, essendo il rapporto di amministrazione riconducibile quale "species" a sé stante al "genus" del mandato, l'amministratore revocato "ante tempus" senza giusta causa ha diritto al risarcimento del danno, per il principio posto dall'art. 1725, comma 1, c.c., salvo espressa pattuizione statutaria o convenzionale in senso contrario.
Cass. civ. n. 2342/2023
La clausola di "riparazione" prevista dall'art. 241 d.lgs. 10 febbraio 2005, n. 30, che consente la fabbricazione e la vendita di componenti di un prodotto complesso coperto da privativa, non si applica nel caso di pezzi di ricambio che riproducano in maniera servile modelli registrati, la cui contraffazione o introduzione nello Stato integra, pertanto, i delitti di cui agli artt. 473 e 474 cod. pen. (Fattispecie relativa al sequestro di cinturini di orologi, che, per il nome del modello, per la forma, per le dimensioni e per i materiali utilizzati si presentavano pressocché identici a quelli di analoghi accessori, protetti da privativa industriale attribuita ad un'azienda produttrice di smartphone).
Cass. civ. n. 12049/2023
In tema di concorrenza sleale, la violazione di norme pubblicistiche non integra necessariamente un atto anticoncorrenziale ex art. 2598, n. 3, c.c., dovendosi distinguere tra norme volte a porre limiti all'esercizio dell'attività imprenditoriale, la cui violazione è sempre riconducibile entro il paradigma contemplato da detta disposizione, e norme che impongono costi alle imprese operanti sul mercato, la cui violazione non costituisce di per sé l'illecito in parola, occorrendo che l'imprenditore che si duole degli atti del concorrente ne dimostri l'attitudine potenzialmente lesiva dei propri diritti, mediante malizioso ed artificioso squilibrio delle condizioni di mercato.
Cass. civ. n. 6876/2023
In tema concorrenza sleale, la tutela risarcitoria va riconosciuta anche con riferimento alla realizzazione di atti preparatori rispetto a quelli presi in considerazione dall'art. 2598 c.c., qualora sia dimostrata l'esistenza di un danno eziologicamente collegato a questi ultimi; ove il pregiudizio riguardi l'immagine e l'apprezzamento che i consumatori nutrono per i prodotti commercializzati con un determinato segno distintivo, il risarcimento è parametrato, oltre che sul danno emergente e sul danno non patrimoniale, anche sul danno da lucro cessante, sempreché la condotta lesiva abbia determinato una contrazione dei ricavi del danneggiato o abbia avuto, comunque, un'incidenza sul relativo importo.
Cass. civ. n. 36140/2022
In tema di invenzione del dipendente, l'elemento distintivo tra l'invenzione di servizio e l'invenzione di azienda - nella vigenza del r.d. n. 1127 del 1939 "ratione temporis" applicabile - risiede nel fatto che, pur presupponendo entrambe la realizzazione di un'invenzione industriale nell'adempimento di un contratto di lavoro, nel primo caso l'attività inventiva è prevista come oggetto del contratto, essendo prevista, attraverso un'esplicita previsione contrattuale, una speciale retribuzione costituente il suo corrispettivo, mentre nel caso dell'invenzione di azienda la prestazione del lavoratore non ha ad oggetto il conseguimento di un risultato inventivo, che alla prima è piuttosto collegata come frutto non dovuto, né previsto; conseguentemente, laddove l'invenzione sia oggetto della prestazione lavorativa, il risultato inventivo potrà esservi o meno, ma nel caso in cui si verifichi, la retribuzione stabilita vale già a compensarlo, mentre nel secondo caso, in quanto non è prevedibile che le ordinarie mansioni possano condurre ad un risultato inventivo, è dovuto il riconoscimento di un compenso ulteriore, costituito dall'equo premio.
Cass. civ. n. 18034/2022
In tema di atti di concorrenza sleale, l'art. 2598, n. 3, c.c., costituisce una disposizione aperta che spetta al giudice riempire di contenuti, avuto riguardo alla naturale atipicità del mercato ed alla rottura della regola della correttezza commerciale, sì che in tale previsione rientrano tutte quelle condotte che, coerentemente con la suddetta ratio, ancorché non tipizzate, abbiano come effetto l'appropriazione illecita del risultato di mercato della impresa concorrente.
Cass. civ. n. 37659/2021
In tema di concorrenza sleale, la violazione di norme pubblicistiche che non siano direttamente rivolte a porre limiti all'esercizio dell'attività imprenditoriale, integra la fattispecie illecita o quando è accompagnata dal compimento di atti di concorrenza potenzialmente lesivi dei diritti altrui ovvero quando, di per sé stessa, abbia prodotto un vantaggio concorrenziale che non si sarebbe determinato se la norma fosse stata osservata.
Cass. civ. n. 8944/2020
In tema di concorrenza sleale per confusione dei prodotti, l'imitazione rilevante ai sensi dell'art. 2598, n. 1, c.c. non esige la riproduzione di qualsiasi forma del prodotto altrui, ma solo di quella che investe le caratteristiche esteriori dotate di efficacia individualizzante, in quanto idonee, per capacità distintiva, a ricollegare il prodotto ad una determinata impresa, sempreché la ripetizione dei connotati formali non si limiti a quei profili resi necessari dalle caratteristiche funzionali del prodotto.
Cass. civ. n. 7676/2020
In tema di concorrenza sleale, la violazione di norme pubblicistiche che non siano direttamente rivolte a porre limiti all'esercizio dell'attività imprenditoriale non integra di per sé la fattispecie illecita di cui all'art. 2598, n. 3, c.c., dovendo piuttosto accompagnarsi alla violazione anzidetta il compimento di atti di concorrenza potenzialmente lesivi dei diritti altrui, mediante malizioso ed artificioso squilibrio delle condizioni di mercato.
Cass. civ. n. 4993/2019
Qualora un soggetto, qualificandosi come cessionario di un credito o come beneficiario di un contratto a favore di terzi o come creditore subentrato nei diritti del debitore ai sensi dell'art. 1259 c.c., faccia valere il credito ceduto, la prestazione prevista a suo favore o i detti diritti, convenendo in giudizio, anziché soltanto il debitore ceduto, il promittente e il terzo responsabile verso il suo debitore, anche il creditore cedente, lo stipulante o il debitore cui assuma di essere subentrato, la situazione di litisconsorzio che si determina è di carattere unitario, poiché, di sua iniziativa, l'attore ha esteso la lite, anche solo in forma di "denuntiatio", ad un soggetto cui la causa era soltanto comune e che non era litisconsorte necessario nel senso di cui all'art. 102 c.p.c., al fine di rendergli opponibile l'accertamento scaturente da essa. Ne consegue che il giudizio di impugnazione, stante il carattere unitario del litisconsorzio così determinato dall'attore, si connota, quale che sia stato l'esito del grado precedente, come inscindibile e, pertanto, riconducibile all'art. 331 c.p.c., con la conseguenza che ad esso non possono, pertanto, rimanere estranei il creditore cedente, lo stipulante a favore del terzo e il debitore nei cui riguardi sia avvenuto il subingresso.
Cass. civ. n. 21405/2019
La contraffazione per equivalente ricorre in presenza della soluzione di un problema tecnico attuata attraverso invenzioni che presentino elementi delle rivendicazioni muniti di equivalenza, non in presenza della sola identità del problema suscettibile di essere superato con soluzioni tra loro diverse.
Cass. civ. n. 18772/2019
Può configurarsi un atto di concorrenza sleale in presenza del trasferimento di un complesso di informazioni aziendali da parte di un ex dipendente di imprenditore concorrente, pur non costituenti oggetto di un vero e proprio diritto di proprietà industriale quali informazioni riservate o segreti commerciali, ma è necessario che ci si trovi in presenza di un complesso organizzato e strutturato di dati cognitivi, seppur non segretati e protetti, che superino la capacità mnemonica e l'esperienza del singolo normale individuo e configurino così una banca dati che, arricchendo la conoscenza del concorrente, sia capace di fornirgli un vantaggio competitivo che trascenda la capacità e le esperienze del lavoratore acquisito.
Cass. civ. n. 762/2018
Per la validità di un brevetto per modello ornamentale, nella vigenza della disciplina di cui al d.lgs. n. 95 del 2001, non occorre più il requisito dello speciale ornamento già previsto dall'art. 5 r.d. n. 1411 del 1940, essendo sufficiente un carattere individualizzante, ravvisabile ogni qualvolta l'aspetto complessivo del prodotto susciti, rispetto al modello di comparazione precedentemente divulgato, una differenziata impressione generale in un utilizzatore informato, per tale intendendosi il destinatario del prodotto, non necessariamente professionale, ma competente e aggiornato nel settore merceologico di riferimento.
Cass. civ. n. 12364/2018
In tema di concorrenza sleale, il rapporto di concorrenza tra due o più imprenditori, derivante dal contemporaneo esercizio di una medesima attività industriale o commerciale in un ambito territoriale anche solo potenzialmente comune, comporta che la comunanza di clientela non è data dall'identità soggettiva degli acquirenti dei prodotti, bensì dall'insieme dei consumatori che sentono il medesimo bisogno di mercato e, pertanto, si rivolgono a tutti i prodotti, uguali ovvero affini o succedanei a quelli posti in commercio dall'imprenditore che lamenta la concorrenza sleale, che sono in grado di soddisfare quel bisogno.
Cass. civ. n. 25607/2018
La concorrenza sleale parassitaria, ricompresa fra le ipotesi previste dall'art. 2598, n. 3, c.c., consiste in un continuo e sistematico operare sulle orme dell'imprenditore concorrente attraverso l'imitazione non tanto dei prodotti ma piuttosto di rilevanti iniziative imprenditoriali di quest'ultimo, mediante comportamenti idonei a danneggiare l'altrui azienda con ogni altro mezzo non conforme ai principi della correttezza professionale; essa si riferisce a mezzi diversi e distinti da quelli relativi ai casi tipici di cui ai precedenti nn. 1 e 2 della medesima disposizione, sicché, ove si sia correttamente escluso nell'elemento dell'imitazione servile dei prodotti altrui il centro dell'attività imitativa (requisito pertinente alla sola fattispecie di concorrenza sleale prevista dal n. 1 dello stesso art. 2598 c.c.), debbono essere indicate le attività del concorrente sistematicamente e durevolmente plagiate, con l'adozione e lo sfruttamento, più o meno integrale ed immediato, di ogni sua iniziativa, studio o ricerca, contrari alle regole della correttezza professionale.
Cass. civ. n. 12820/2018
La reazione dell'imprenditore che sia danneggiato dalla condotta sleale di un concorrente è legittima, e non causa un danno risarcibile, solo quando risponde ai parametri della continenza generale e della proporzionalità rispetto all'offesa ricevuta.
Cass. civ. n. 18691/2015
La concorrenza sleale costituisce fattispecie tipicamente riconducibile ai soggetti del mercato in concorrenza, sicché non è ravvisabile ove manchi il presupposto soggettivo del cosiddetto "rapporto di concorrenzialità"; l'illecito, peraltro, non è escluso se l'atto lesivo sia stato posto in essere un soggetto (il cd. terzo interposto), che agisca per conto di un concorrente del danneggiato poiché, in tal caso, il terzo responsabile risponde in solido con l'imprenditore che si sia giovato della sua condotta, mentre ove il terzo sia un dipendente dell'imprenditore che ne ha tratto vantaggio, quest'ultimo ne risponde ai sensi dell'art. 2049 c.c. ancorché l'atto non sia causalmente riconducibile all'esercizio delle mansioni affidate al dipendente, risultando sufficiente un nesso di "occasionalità necessaria" per aver questi agito nell'ambito dell'incarico affidatogli, sia pure eccedendo i limiti delle proprie attribuzioni o all'insaputa del datore di lavoro. (Nella specie, la S.C. ha confermato la sentenza di merito la quale, accertata la pronuncia di espressioni diffamatorie ascrivibili ad un soggetto persona fisica fiduciario e mandatario di un concorrente, aveva correttamente imputato a quest'ultimo la responsabilità da concorrenza sleale per denigrazione).
Cass. civ. n. 24159/2014
È nullo, in quanto contrastante con l'ordine pubblico costituzionale, il patto di non concorrenza diretto, non già a limitare l'iniziativa economica privata altrui, ma a precludere in assoluto ad una parte la possibilità di impiegare la propria capacità professionale nel settore economico di riferimento.
Cass. civ. n. 7141/2013
Sebbene la legge non imponga al lavoratore parasubordinato un dovere di fedeltà, tuttavia il dovere di correttezza della parte in un rapporto obbligatorio (art. 1175 c.c.) e il dovere di buona fede nell'esecuzione del contratto (art. 1375 c.c.) vietano alla parte di un rapporto collaborativo di servirsene per nuocere all'altra, sì che l'obbligo di astenersi dalla concorrenza nel rapporto di lavoro parasubordinato non è riconducibile direttamente all'art. 2125 c.c. - che disciplina il relativo patto per il lavoratore subordinato alla cessazione del contratto - ma, permeando come elemento connaturale ogni rapporto di collaborazione economica, rientra nella previsione dell'art. 2596 c.c.. (Nella specie, la S.C. ha confermato la sentenza impugnata che aveva ritenuto applicabile ad un rapporto di lavoro parasubordinato la disciplina del patto limitativo della concorrenza ex art. 2596 c.c., ricorrendone uno dei presupposti, previsti in via disgiuntiva, costituito dalla delimitazione ad una determinata attività, escludendo così la nullità della pattuizione per l'indiscriminato ambito geografico mondiale del vincolo negoziale).
Cass. civ. n. 6226/2013
In tema di concorrenza sleale, il carattere essenziale e tipico dell'azione inibitoria ex art. 2599 cod. civ. è quello di apprestare una tutela giurisdizionale preventiva rivolta verso il futuro. Ne consegue che la pronuncia di inibitoria implica non solo l'ordine di cessare una attività in atto, ma anche quello di astenersi in futuro dal compiere una certa attività, pur se nel frattempo cessata.
Cass. civ. n. 4739/2012
La nozione di concorrenza sleale di cui all'art. 2598 c.c. va desunta dalla "ratio" della norma, che impone, alle imprese operanti nel mercato, regole di correttezza e di lealtà, in modo che nessuna si possa avvantaggiare, nella diffusione e collocazione dei propri prodotti o servizi, con l'adozione di metodi contrari all'etica delle relazioni commerciali; ne consegue che si trovano in situazione di concorrenza tutte le imprese i cui prodotti e servizi concernano la stessa categoria di consumatori e che operino quindi in una qualsiasi delle fasi della produzione o del commercio destinate a sfociare nella collocazione sul mercato di tali beni. Infatti, quale che sia l'anello della catena che porta il prodotto alla stessa categoria di consumatori in cui si collochi un imprenditore, questi viene a trovarsi in conflitto potenziale con gli imprenditori posti su anelli diversi, proprio perché è la clientela finale quella che determina il successo o meno della sua attività, per cui ognuno di essi è interessato a che gli altri rispettino le regole di cui alla citata disposizione. (Nella specie, la S.C. ha ritenuto la produzione e la distribuzione di "gabbiette" per tappi di bottiglia di vino frizzante strettamente connesse con la fabbricazione delle macchine che dette gabbiette producono, così che, pur a diversi livelli, i produttori di tali oggetti insistono nel medesimo settore di attività).
Cass. civ. n. 18600/2011
Le controversie in materia societaria possono, in linea generale, formare oggetto di compromesso, con esclusione di quelle che hanno ad oggetto interessi della società o che concernono la violazione di norme poste a tutela dell'interesse collettivo dei soci o dei terzi; peraltro, l'area della indisponibilità deve ritenersi circoscritta a quegli interessi protetti da norme inderogabili, la cui violazione determini una reazione dell'ordinamento svincolata da qualsiasi iniziativa di parte, quali le norme dirette a garantire la chiarezza e la precisione del bilancio di esercizio; pertanto, non è compromettibile in arbitri l'azione di revoca per giusta causa di un amministratore di società in accomandita semplice ex art. 2259 c.c., in relazione agli artt. 2315 e 2293 c.c., non facendo eccezione - come invocato nella specie - la avvenuta insorgenza della controversia fra coniugi altresì soci in detta società.
Cass. civ. n. 813/2011
Il patto di non concorrenza, concluso ai sensi dell'art. 2596 c.c. e destinato a fissare una limitazione all'attività contrattuale verso una serie indeterminata di soggetti, tra cui accidentalmente anche la P.A., non integra di per sé il reato di turbata libertà degli incanti, di cui all'art. 353 c.p. - nella parte in cui esso prevede un'intesa, più o meno clandestina, che ha come finalità esclusiva l'impedimento o la turbativa della gara o l'allontanamento degli offerenti ed il conseguente dolo, cioè la volontà consapevole di determinare uno dei predetti risultati con quei mezzi - né, quindi, appare viziato da nullità virtuale, ai sensi dell'art. 1418 c.c.; non è invero ammissibile, già per la sua previsione come obbligo legale accedente all'alienazione d'azienda (ex art. 2557 c.c.) ovvero al suo affitto (ex art. 2562 c.c.), ipotizzarne "a priori" la sua contrarietà a norme imperative in caso di contingente applicabilità a forme di partecipazione ad incanti pubblici, il che, in caso di impresa attiva esclusivamente o in via prevalente nel settore dei contratti pubblici, imporrebbe, di fatto, la sua disapplicazione.
Cass. civ. n. 17144/2009
In tema di concorrenza sleale, presupposto indefettibile dell'illecito è la sussistenza di una situazione di concorrenzialità tra due o più imprenditori, derivante dal contemporaneo esercizio di una medesima attività industriale o commerciale in un ambito territoriale anche solo potenzialmente comune, e quindi la comunanza di clientela, la quale non è data dalla identità soggettiva degli acquirenti dei prodotti, bensì dall'insieme dei consumatori che sentono il medesimo bisogno di mercato e, pertanto, si rivolgono a tutti i prodotti che sono in grado di soddisfare quel bisogno. La sussistenza di tale requisito va verificata anche in una prospettiva potenziale, dovendosi esaminare se l'attività di cui si tratta, considerata nella sua naturale dinamicità, consenta di configurare, quale esito di mercato fisiologico e prevedibile, sul piano temporale e geografico, e quindi su quello merceologico, l'offerta dei medesimi prodotti, ovvero di prodotti affini e succedanei rispetto a quelli offerti dal soggetto che lamenta la concorrenza sleale. (In applicazione di tale principio, la S.C. ha confermato la sentenza impugnata, nella parte in cui, nonostante il diverso pregio dei prodotti delle parti ed il diverso livello dei negozi presso cui essi erano reperibili, aveva ritenuto sussistente la confondibilità tra gli stessi, in virtù della loro appartenenza alla medesima categoria merceologica e dell'adozione di un marchio fortemente confondibile, che avrebbero potuto indurre il pubblico a ritenere entrambi i prodotti riconducibili all'attività della medesima impresa).
Cass. civ. n. 13761/2009
Ai sensi del combinato disposto degli art. 2252 e 2259 c.c., la revoca dell'amministratore di società di persone, la cui nomina sia contenuta nell'atto costitutivo, postula l'esistenza congiunta dei presupposti dell'unanimità dei consensi e della giusta causa, mentre questi possono sussistere in via alternativa, ove la nomina sia avvenuta con atto separato. Peraltro, allorché l'amministratore sia socio, non è richiesto il consenso del medesimo al fine della sua revoca, avendo portata generale il principio del divieto di voto in conflitto di interessi con la società, ai sensi dell'art. 2373 c.c., del quale costituisce applicazione anche l'art. 2287 c.c., che impone di non considerare il socio da escludere nel computo della maggioranza necessaria per l'esclusione.
Cass. civ. n. 18833/2008
In tema di revocatoria fallimentare dei pagamenti ricevuti dal grossista farmaceutico a titolo di corrispettivo per le forniture di medicinali effettuate in favore di un farmacista poi fallito, non pub essere invocata, quale causa di esenzione, la qualificazione dell"'accipiens" quale monopolista legale (ai sensi dell'art. 2597 cod. civ tenuto a contrattare con chiunque richieda le prestazioni), non essendo idoneo in proposito il richiamo al r.d. n. 1706 del 1938, che all'art. 38 pone l'obbligo in capo al farmacista (e non al fornitore) di procurare le specialità medicinali nazionali "nel più breve tempo possibile" e all'art. 46 precisa le caratteristiche soggettive degli interessati a tali forniture, trattandosi di norme che non configurano affatto una posizione di monopolio legale, ma solo accentuano gli ordinari parametri di diligenza nell'adempimento.
Cass. civ. n. 13067/2008
In tema di concorrenza sleale, la funzione dell'azione inibitoria di cui all'art. 2599 c.c. mette capo ad una pronuncia che, sebbene non suscettibile di attuazione diretta nelle forme dell'esecuzione forzata, può costituire oggetto di giudicato, consentendo di «acquisire» ad un eventuale secondo giudizio di cognizione l'accertamento, compiuto nel primo giudizio, dell'illiceità dell'atto ex art. 2598 c.c.; i principi sui limiti oggettivi di tale giudicato sono rispettati se fra i due comportamenti (quello considerato nella pronuncia inibitoria e quello successivamente realizzato) sussista un'identità di genere e specie, all'interno della quale le eventuali variazioni meramente estrinseche e non caratterizzanti non possono fare escludere l'operatività della pronuncia medesima; ne consegue che se oggetto della seconda azione non è l'accertamento dell'adempimento del giudicato formatosi sulla prima pronuncia inibitoria, bensì la verifica di nuovi comportamenti pubblicitari in funzione anticoncorrenziale, la predetta identità non sussiste, né dunque può essere invocato alcun giudicato. (Fattispecie decisa con riguardo ad una prima pronuncia che inibiva ad una società l'uso di una certa denominazione nella pubblicità se non previa adozione di particolari accorgimenti, oggetto di azione ritenuta dalla S.C. diversa rispetto alla successiva azione con cui veniva domandata sia l'inibizione totale all'utilizzo della medesima denominazione altresì nella ragione sociale del concorrente convenuto sia l'accertamento dell'usurpazione del marchio).
Cass. civ. n. 8510/2008
Ai fini del riconoscimento del brevetto per modello di utilità è richiesto, come per il brevetto per le invenzioni, oltre al requisito formale della descrizione chiara e completa, il requisito sostanziale della novità intrinseca od originalità, da riconoscersi ogni qual volta sia possibile rinvenire un'idea nuova che incida su un meccanismo od una forma già noti, conferendogli nuova utilità mediante soluzioni ed accorgimenti che vadano oltre la mera applicazione di regole ovvie ed elementari e attribuiscano a macchine, strumenti, utensili ed oggetti, un incremento di efficienza o di comodità d'impiego. (Rigetta, App. Milano, 2 maggio 2003).
Cass. civ. n. 1285/2006
Per la sussistenza del carattere di pregiudizialità di una controversia rispetto ad un'altra, richiesto per la configurazione di un'ipotesi di sospensione necessaria ai sensi dell'art. 295 cod. proc. civ., non occorre che nelle due controversie venga prospettata la medesima questione di diritto, ma occorre, invece, che una controversia, per il suo carattere pregiudiziale, costituisca l'indispensabile antecedente logico-giuridico dal quale dipenda la decisione della causa pregiudicata ed il cui accertamento sia richiesto con efficacia di giudicato. In particolare, ricorre un'ipotesi di pregiudizialità con conseguente applicazione della disciplina sulla sospensione necessaria allorchè tra le stesse parti si verte in un processo in ordine alla nullità del titolo che in un altro è posto a fondamento della domanda. (Nella specie, la S.C., cassando con rinvio la sentenza impugnata che aveva disatteso la relativa richiesta, ha ritenuto che sussistevano tutti gli elementi costitutivi della sospensione necessaria con riferimento ad un giudizio intentato da un lavoratore dipendente in ordine alla spettanza o meno dell'equo premio relativo ad un'invenzione di azienda, ex art. 23, secondo comma, del r.d. n. 1127 del 1939, rispetto ad altro giudizio pendente fra le stesse parti avente ad oggetto la nullità del brevetto in relazione al quale si controverteva, poichè l'obbligo del datore di lavoro di corrispondere il detto premio poteva considerarsi cessato solo con la rimozione "ex tunc" del brevetto, in virtù di dichiarazione giudiziale di nullità del medesimo in esito allo speciale procedimento disciplinato dal richiamato r.d., non essendo sufficiente una declaratoria di nullità pronunziata in via meramente incidentale).
Cass. civ. n. 18595/2006
In tema di controversie concernenti i diritti del lavoratore che abbia realizzato una invenzione industriale, la competenza del giudice del lavoro sulla base del disposto degli artt. 409 e ss cod. proc. civ. va affermata fino all'entrata in vigore del d. lgs n. 30 del 2005 (codice della proprietà industriale), che ha esplicitamente previsto, con portata innovativa, l'attribuzione di tali controversie alle sezioni specializzate in materia di proprietà industriale e intellettuale, senza che abbia rilievo l'art. 3 del d. lgs. n. 168 del 2003, istitutivo delle predette sezioni, in forza del quale queste ultime sono state rese competenti in materia di controversie aventi ad oggetto, tra l'altro, i brevetti d'invenzione, atteso che nell'alternativa tra due giudici specializzati (quello del lavoro e quello della proprietà industriale), la competenza deve essere naturalmente assegnata al giudice che conosce della materia prevalente e che le controversie sulle invenzioni del dipendente non rientrano nella categoria delle controversie in materia di registrazione o validità dei brevetti a norma dell'art. 16 punto 4 della Convenzione di Bruxelles del 2 settembre 1968 (cfr. Corte di giustizia CE 15 novembre 1983 n. 228), delle quali pertanto non esigono il medesimo trattamento processuale. (Regola competenza).
Cass. civ. n. 21392/2005
La mancanza di un rapporto di concorrenzialità tra l'autore di un determinato fatto e l'imprenditore che si assume da esso danneggiato, o anche la mancanza in capo al primo di una qualsiasi relazione con l'imprenditore concorrente tale da far ritenere che l'attività sia stata oggettivamente svolta nell'interesse di quest'ultimo, se valgono ad escludere rispetto all'autore del fatto l'ipotesi della concorrenza sleale, non impediscono però di configurare nei suoi confronti la responsabilità per fatto illecito di cui all'art. 2043 c.c. (Fattispecie relativa a domanda di risarcimento del danno proposta da alcune società, quali titolari di un diritto sulla denominazione d'origine «Salame Felino» in quanto operanti nella zona tipica di tale denominazione, nei confronti di un ente senza scopo di lucro, avente come fine istituzionale l'attività di c.d. normalizzazione tecnica, in relazione alla divulgazione di una «norma tecnica» concernente l'individuazione delle componenti di qualità del «Salame Felino» e delle sue tecniche di produzione, la quale, secondo le attrici, non riproduceva le reali componenti tipiche del prodotto).
Cass. civ. n. 560/2005
Presupposto giuridico per la legittima configurabilità di un atto di concorrenza sleale è la sussistenza di una situazione di concorrenzialità tra due o più imprenditori (e la conseguente idoneità della condotta di uno dei due concorrenti ad arrecare pregiudizio all'altro, pur in assenza di danno attuale), così che la normativa dettata, in materia, dall'art. 2598 c.c. non può ritenersi applicabile ai rapporti tra professionisti (nella specie, avvocati). La nozione di azienda di cui al n. 3 dell'art. 2598 sopra citato, difatti, coincide con quella di cui al precedente art. 2555, stesso codice, sicché (pur essendo innegabile che, sotto il profilo meramente ontologico, studi di liberi professionisti siano, di fatto, per personale, mezzi tecnici impiegati e quant'altro, assimilabili ad una azienda) l'intento del legislatore, inteso a differenziare nettamente la libera professione dall'attività d'impresa (intento confermato, tra l'altro, proprio con riguardo alla professione di avvocato, dal regime delle incompatibilità di cui all'art. 3 primo comma del R.D.L. 1578/1933, comprendente, tra l'altro, il divieto dell'esercizio del commercio in nome proprio o altrui, divieto privo di significato se lo studio professionale fosse assimilabile ad un'azienda commerciale) va interpretato ed attuato nel senso della inapplicabilità tout court del regime di responsabilità da concorrenza sleale ai rapporti tra liberi professionisti, e ciò in via di interpretazione tanto diretta, quanto analogica, senza che possa, in contrario, invocarsi il disposto di cui all'art. 2105 c.c., funzionale alla disciplina della responsabilità contrattuale del prestatore nei confronti del proprio datore di lavoro ed alla repressione di una fattispecie di concorrenza illecita, laddove l'art. 2598 attiene alla responsabilità extracontrattuale tra imprenditori onde reprimerne comportamenti di concorrenza sleale.