Art. 395 – Codice civile – Rifiuto del consenso da parte del curatore
Nel caso in cui il curatore rifiuta il suo consenso, il minore può ricorrere al giudice tutelare, il quale, se stima ingiustificato il rifiuto, nomina un curatore speciale per assistere il minore nel compimento dell'atto.
Le parole ricomprese fra parentesi quadre sono state abrogate.
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Massime correlate
Cass. civ. n. 14265/2025
L'azione individuale del socio nei confronti dell'amministratore di una società di capitali non è esperibile quando il danno lamentato costituisca solo il riflesso del pregiudizio al patrimonio sociale, giacché l'art. 2395 c.c. esige che il singolo socio sia stato danneggiato "direttamente" dagli atti colposi o dolosi dell'amministratore, mentre il diritto alla conservazione del patrimonio sociale appartiene unicamente alla società. (Nella specie, il S.C. ha confermato la decisione di merito che aveva respinto la domanda risarcitoria proposta dalle creditrici di una società poi fallita, le quali avevano agito per il ristoro dei danni subiti nei confronti di una società di revisione, assumendo che l'erronea o infedele certificazione dei bilanci rilasciata da quest'ultima le aveva indotte a contrattare con la società destinataria dell'attività di revisione, di cui ignoravano incolpevolmente lo stato di decozione).
Cass. civ. n. 11071/2025
L'azione individuale del socio nei confronti dell'amministratore di una società di capitali non è esperibile quando il danno lamentato costituisca solo il riflesso del pregiudizio al patrimonio sociale, giacché l'art. 2395 c.c. esige che il singolo socio sia stato danneggiato "direttamente" dagli atti colposi o dolosi dell'amministratore, mentre il diritto alla conservazione del patrimonio sociale appartiene unicamente alla società; la mancata percezione degli utili e la diminuzione di valore della quota di partecipazione non costituiscono danno diretto del singolo socio, poiché gli utili fanno parte del patrimonio sociale fino all'eventuale delibera assembleare di distribuzione e la quota di partecipazione è un bene distinto dal patrimonio sociale la cui diminuzione di valore è conseguenza soltanto indiretta ed eventuale della condotta dell'amministratore. (Nella specie, la S.C. ha confermato la sentenza di merito che ha negato la natura diretta dei danni lamentati dal socio di una s.r.l., in conseguenza della condotta dolosa degli amministratori della medesima società, i quali, attraverso vendite non fatturate e la distrazione di somme, avevano portato all'azzeramento del capitale sociale, alla mancata percezione di dividendi ed alla perdita di valore della quota del socio).
Cass. civ. n. 9774/2025
Qualora pendano contemporaneamente, proposti dalla stessa parte, sia ricorso per cassazione avverso la sentenza di appello, impugnata anche per revocazione, sia ricorso avverso la sentenza che ha deciso, rigettandola, sulla revocazione, è sufficiente trattare i ricorsi nella stessa udienza o camera di consiglio. (Nella specie, la Corte ha dato priorità all'esame del ricorso avverso la sentenza di appello, sul rilievo che il suo accoglimento era suscettibile di riconoscere la giurisdizione italiana anche sulla domanda concernente l'entità del contributo, da parte del genitore, del mantenimento della figlia minore, giurisdizione invece esclusa dalla sentenza di appello, e di incidere, così, sulla sentenza resa in sede di impugnazione per revocazione, il cui ricorso sarebbe divenuto privo di oggetto).
Cass. civ. n. 32270/2023
Il ricorso per cassazione avverso la sentenza con la quale venga dichiarata l'inammissibilità della revocazione della sentenza d'appello, nel caso in cui venga previamente accolto il ricorso per cassazione avverso la sentenza d'appello oggetto del predetto ricorso per revocazione, è inammissibile per difetto d'interesse, stante l'intervenuto soddisfacimento della pretesa fatta valere, salvo che il ricorrente faccia valere una pretesa specifica sul capo relativo alle spese invocando e giustificando, ad esempio, la possibilità di pervenire ad una compensazione delle stesse malgrado la declaratoria di inammissibilità.
Cass. civ. n. 7272/2023
Ragioni - Configurabilità del concorso tra inadempimento della società e illecito dell’amministratore - Sussistenza. L'inadempimento contrattuale di una società di capitali non può, di per sé, implicare responsabilità risarcitoria degli amministratori nei confronti dell'altro contraente ex artt. 2395 o 2476, comma 6, c.c., nella formulazione "ratione temporis" vigente, atteso che tale responsabilità, di natura extracontrattuale, postula fatti illeciti direttamente imputabili a comportamento colposo o doloso degli amministratori medesimi; laddove ne ricorrano tutti gli estremi può, peraltro, configurarsi un concorso tra l'inadempimento della società e l'illecito dell'amministratore.
Cass. civ. n. 11439/2022
In tema di conflitto di interessi, la predeterminazione del contenuto del contratto e la specifica autorizzazione del rappresentato sono elementi richiesti unicamente dall'art. 1395 c.c. per la validità del contratto che il rappresentante conclude con sé stesso, quali cautele previste in via alternativa dal legislatore per superare la presunzione legale circa l'esistenza connaturale, in tal caso, del conflitto medesimo, attesa l'identità tra la persona del rappresentante e dell'altro contraente, mentre non rilevano ai fini dell'annullabilità del contratto concluso dal rappresentante in conflitto di interessi con il rappresentato, ex art. 1394 c.c..
Cass. civ. n. 11223/2021
L'azione individuale del socio nei confronti dell'amministratore di una società di capitali non è esperibile quando il danno lamentato costituisca solo il riflesso del pregiudizio al patrimonio sociale, giacché l'art. 2395 c.c. esige che il singolo socio sia stato danneggiato "direttamente" dagli atti colposi o dolosi dell'amministratore, mentre il diritto alla conservazione del patrimonio sociale appartiene unicamente alla società; la mancata percezione degli utili e la diminuzione di valore della quota di partecipazione non costituiscono danno diretto del singolo socio, poichè gli utili fanno parte del patrimonio sociale fino all'eventuale delibera assembleare di distribuzione e la quota di partecipazione è un bene distinto dal patrimonio sociale la cui diminuzione di valore è conseguenza soltanto indiretta ed eventuale della condotta dell'amministratore.
Cass. civ. n. 10096/2020
In tema di azioni di responsabilità dei soci nei confronti degli amministratori di società di capitali, non costituisce condotta illecita la mancata rivalutazione, in sede di redazione di bilancio, delle partecipazioni in imprese controllate o collegate, pure consentita dall'art. 2426, comma 1, n. 4, c.c., perché si tratta di una scelta discrezionale rimessa all'organo gestorio, che ha la facoltà, e non l'obbligo, di valutare le menzionate immobilizzazioni finanziarie con il metodo del patrimonio netto, seguendo le modalità indicate dalla norma, invece di iscriverle al costo di acquisto.
Cass. civ. n. 9206/2020
In tema di società, l'azione individuale di responsabilità, ai sensi dell'art. 2395 c.c., esige che il comportamento doloso o colposo dell'amministratore, posto in essere tanto nell'esercizio dell'ufficio quanto al di fuori delle correlate incombenze, abbia determinato un danno direttamente sul patrimonio del socio o del terzo, restando irrilevante che il comportamento dell'amministratore sia stato conforme agli interessi della società o a vantaggio di questa.
Cass. civ. n. 29959/2019
In tema di contratto concluso dal rappresentante con se stesso, l'art. 1395 c.c. contiene una presunzione "iuris tantum" di conflitto di interessi, che è onere dello stesso rappresentante superare mediante la dimostrazione di una delle due condizioni tassativamente previste, in via alternativa, dalla legge, vale a dire la predeterminazione del contenuto di tale contratto da parte del rappresentato o l'autorizzazione specifica di quest'ultimo, la quale può considerarsi idonea ove sia accompagnata dalla puntuale indicazione degli elementi negoziali sufficienti ad assicurare la tutela del rappresentato medesimo. Ne consegue che, con riferimento ad una compravendita, l'esistenza di detta autorizzazione non può escludere l'annullabilità del contratto, ove sia da reputare generica perché priva di indicazioni in ordine al prezzo, così da non impedire eventuali abusi del rappresentante.
Cass. civ. n. 15822/2019
L'inadempimento contrattuale di una società di capitali non implica automaticamente la responsabilità risarcitoria degli amministratori nei confronti dell'altro contraente ai sensi dell'art. 2395 c.c., atteso che tale responsabilità, di natura extracontrattuale, richiede la prova di una condotta dolosa o colposa degli amministratori medesimi, del danno e del nesso causale tra questa e il danno patito dal terzo contraente, come si evince, fra l'altro, dall'utilizzazione, nel testo della norma, dell'avverbio "direttamente", il quale esclude che l'inadempimento e la pessima amministrazione del patrimonio sociale siano sufficienti a dare ingresso all'azione di responsabilità.
Cass. civ. n. 3779/2019
La responsabilità degli organi sociali, derivante dall'azione proposta dal socio ex art. 2395 c.c. ha natura extracontrattuale, postulando la sussistenza di fatti illeciti direttamente imputabili ad un comportamento colposo o doloso degli amministratori. Ne discende che, qualora l'evento dannoso si ricolleghi a più azioni od omissioni, il problema della concorrenza di una pluralità delle cause trova la sua soluzione nella disciplina di cui all'art. 41, c.p., in virtù del quale il concorso di cause preesistenti, simultanee o sopravvenute, anche se indipendenti dall'omissione del colpevole, non esclude il rapporto di causalità fra dette cause e l'evento, essendo quest'ultimo riconducibile a ciascuna di esse, a meno che non sia raggiunta la prova dell'esclusiva efficienza causale di una sola, pur se imputabile alla stessa vittima dell'illecito, da ritenersi idoena ad impedire l'evento od a ridurne le conseguenze.
Cass. civ. n. 17794/2015
A fronte dell'inadempimento contrattuale di una società di capitali, la responsabilità risarcitoria degli amministratori nei confronti dell'altro contraente non deriva automaticamente da tale loro qualità, ma richiede, ai sensi dell'art. 2395 c.c., la prova di una condotta dolosa o colposa degli amministratori medesimi, del danno e del nesso causale tra questa e il danno patito dal terzo contraente. Ne consegue che, nel caso di bilancio contenente indicazioni non veritiere, che si assumano avere causato l'affidamento incolpevole del terzo circa la solidità economico-finanziaria della società e la sua decisione di contrattare con essa, il terzo che agisca per il risarcimento del danno avverso l'amministratore che abbia concorso alla formazione del bilancio asseritamente falso ha l'onere di provare non solo tale falsità, ma anche, con qualsiasi mezzo, il nesso causale tra il dato falso e la propria determinazione di concludere il contratto, da cui sia derivato un danno in ragione dell'inadempimento della società alle proprie obbligazioni.
Cass. civ. n. 8458/2014
In tema di azioni nei confronti dell'amministratore di società, a norma dell'art. 2395 cod. civ., il terzo (o il socio) è legittimato, anche dopo il fallimento della società, all'esperimento dell'azione (di natura aquiliana) per ottenere il risarcimento dei danni subiti nella propria sfera individuale, in conseguenza di atti dolosi o colposi compiuti dall'amministratore, solo se questi siano conseguenza immediata e diretta del comportamento denunciato e non il mero riflesso del pregiudizio che abbia colpito l'ente, ovvero il ceto creditorio per effetto della cattiva gestione, dovendosi proporre, altrimenti, l'azione, contrattuale, di cui all'art. 2394 cod. civ., esperibile, in caso di fallimento della società, dal curatore, ai sensi dell'art. 146 della legge fall. (Nella specie, la S.C. ha ritenuto la legittimazione del creditore ad agire ex art. art. 2395 cod. civ. nel caso in cui si accerti che gli amministratori della società fallita, attraverso il sostanziale trasferimento di tutte le attività e passività aziendali in favore di altro soggetto, avessero perseguito l'obiettivo di sottrarre la garanzia patrimoniale con riguardo unicamente all'obbligazione di cui l'attore era titolare).
Cass. civ. n. 9525/2014
L'annullabilità del contratto che il rappresentante conclude con se stesso è esclusa, giusta disposto dell'art. 1395 cod. civ., nelle due ipotesi di autorizzazione specifica rilasciata dal rappresentato e di predeterminazione, da parte di questi, del contenuto del contratto, ricorrendo la prima ipotesi tutte le volte in cui il rappresentato stesso autorizzi il rappresentante alla stipula del negozio determinandone gli elementi necessari e sufficienti ad assicurare la tutela dei suoi interessi; si configura, per converso, la seconda qualora il rappresentato, per tutelarsi contro eventuali infedeltà del rappresentante, predetermini il contenuto contrattuale onde la persona dell'altro contraente venga, in definitiva, a risultare indifferente, sì da impedire l'insorgere di ogni possibile conflitto di interessi. La suddetta autorizzazione può, peraltro, legittimamente considerarsi idonea ad escludere la possibilità di un conflitto - e la conseguente annullabilità dell'atto - solo quando sia accompagnata dalla puntuale determinazione degli elementi negoziali - determinazione funzionale a tutelare gli interessi del rappresentato -, e non anche qualora essa risulti affatto generica, non contenendo, tra l'altro, alcuna indicazione in ordine al prezzo della compravendita.
Cass. civ. n. 10109/2014
L'art. 2624 cod. civ. (nel testo anteriore alle modifiche disposte dal d.lgs. 11 aprile 2002, n. 61), nel sanzionare penalmente gli amministratori delegati, i direttori generali, i sindaci ed i liquidatori di società che sotto qualsiasi forma, sia direttamente, sia per interposta persona, contraggono prestiti con la società che amministrano o con società controllante o controllata, ovvero si facciano prestare da una delle predette società garanzie per debiti propri, punisce condotte anche indirettamente finalizzate al risultato di obbligare una società per debiti del proprio amministratore, non anche per debiti altrui. Ne consegue che, ove la società abbia presentato una fideiussione a favore di un'altra società amministrata dallo stesso amministratore e per la quale quest'ultimo abbia già prestato a sua volta fideiussione, l'atto, in quanto relativo a debiti altrui, non è nullo ma sussiste un potenziale conflitto di interessi che, in assenza di specifica autorizzazione da parte della prima società, determina l'annullabilità del contratto di garanzia ex art. 1395 cod. civ. (Nella specie la S.C. ha cassato la sentenza di merito che aveva escluso il conflitto di interessi, atteso che l'amministratore disponeva unicamente di un'autorizzazione generale a prestare fideiussione a favore di terzi, mentre l'autorizzazione specifica era stata prodotta solo in fotocopia disconosciuta dalla controparte e per la quale il giudice di merito non era pervenuto ad una affermazione di veridicità).
Cass. civ. n. 19229/2013
In tema di contratto concluso dal rappresentante con se stesso, l'art. 1395 c.c. contiene una presunzione "iuris tantum" di conflitto di interessi, che è onere del rappresentante superare mediante la dimostrazione delle condizioni assunte dal legislatore come idonee ad assicurare la tutela del rappresentato per via del ruolo attivo che egli assume nella fase prodromica del contratto.
Cass. civ. n. 4548/2012
L'azione individuale del socio nei confronti dell'amministratore di una società di capitali non è esperibile quando il danno lamentato costituisca solo il riflesso del pregiudizio al patrimonio sociale, giacché l'art. 2395 c.c. esige che il singolo socio sia stato danneggiato "direttamente" dagli atti colposi o dolosi dell'amministratore, mentre il diritto alla conservazione del patrimonio sociale appartiene unicamente alla società; la mancata percezione degli utili e la diminuzione di valore della quota di partecipazione non costituiscono danno diretto del singolo socio, poichè gli utili fanno parte del patrimonio sociale fino all'eventuale delibera assembleare di distribuzione e la quota di partecipazione è un bene distinto dal patrimonio sociale, la cui diminuzione di valore è conseguenza soltanto indiretta ed eventuale della condotta dell'amministratore.
Cass. civ. n. 6558/2011
In tema di società, l'azione promossa individualmente dal socio nei confronti degli amministratori, ai sensi dell'art. 2395 c.c., richiede la realizzazione di un danno diretto alla sfera giuridico-patrimoniale del singolo socio danneggiato. Ne consegue che costituiscono condotte in relazioni alle quali difetta il carattere del danno diretto richiesto dalla norma indicata quelle degli amministratori che abbiano impedito il conseguimento di utili, danneggiato il patrimonio della società e reso impossibile la liquidazione delle quote sociali, trattandosi di comportamenti dolosi o colposi che colpiscono in via diretta esclusivamente la società, avendo un effetto solo riflesso sui soci.
Cass. civ. n. 6398/2011
L'annullabilità del contratto concluso dal rappresentante con se stesso è esclusa nelle due ipotesi, previste in via alternativa dall'art. 1395 c.c., dell'autorizzazione specifica e della predeterminazione del contenuto del contratto. Peraltro, l'autorizzazione data dal rappresentato al rappresentante a concludere il contratto con se stesso in tanto può considerarsi idonea ad escludere la possibilità di un conflitto di interessi, e quindi l'annullabilità del contratto, in quanto sia accompagnata dalla puntuale determinazione degli elementi negoziali sufficienti ad assicurare la tutela del rappresentato; ne consegue che tale autorizzazione non è idonea quando risulti generica, non contenendo, tra l'altro (come nella specie), alcuna indicazione in ordine al prezzo della compravendita, che impedisca eventuali abusi da parte del rappresentante.
Cass. civ. n. 15220/2010
L'art. 2395 c.c. esige, ai tini dell'esercizio dell'azione di responsabilità del socio nei confronti degli amministratori, che il pregiudizio subito dal socio non sia il mero riflesso dei danni eventualmente arrecati al patrimonio sociale, ma gli derivi direttamente come conseguenza immediata del comportamento illecito degli amministratori: pertanto, né l'inattività dell'assemblea, né la perdita del capitale sociale e né l'inadempimento contrattuale posto in essere dall'amministratore integrano, di per sé, i presupposti della disposizione, in quanto la prima inerisce al mero funzionamento degli organi sociali e non comporta necessariamente un danno alla società o al socio, mentre il capitale è un bene della società e non dei soci, i quali dalle perdite subiscono soltanto un danno riflesso a causa della diminuzione di valore della propria partecipazione, ed, infine, il mancato rimborso della somma presa a mutuo dalla società può comportare la responsabilità dell'amministratore soltanto quando derivi da un illecito colposo o doloso dell'organo nell'inadempimento del mutuo. (Fattispecie in tema di s.r.l., anteriore all'entrata in vigore del d.l.vo 17 gennaio 2003, n. 6).
Cass. civ. n. 6870/2010
In tema di azioni nei confronti dell'amministratore di società, a norma dell'art. 2395 c.c., il terzo (o il socio) è legittimato, anche dopo il fallimento della società, all'esperimento dell'azione (di natura aquiliana) per ottenere il risarcimento dei danni subiti nella propria sfera individuale, in conseguenza di atti dolosi o colposi compiuti dall'amministratore, solo se questi siano conseguenza immediata e diretta del comportamento denunciato e non il mero riflesso del pregiudizio che abbia colpito l'ente, ovvero il ceto creditorio per effetto della cattiva gestione, essendo altrimenti proponibile la diversa azione (di natura contrattuale) prevista dall'art. 2394 c.c., esperibile, in caso di fallimento della società, dal curatore, ai sensi dell'art. 146 della legge fall.
Cass. civ. n. 1195/2010
Il socio di una società di capitali è titolare, già prima che divenga esigibile il suo diritto alla quota di liquidazione, di una situazione giuridica direttamente tutelata, avente ad oggetto innanzi tutto il diritto alla durata tendenzialmente illimitata della società ed alla propria partecipazione al libero svolgimento dell'attività negoziale di essa e delle operazioni sociali. (Nel caso di specie, la C. S. ha cassato la sentenza impugnata, la quale - a fronte della domanda risarcitoria proposta dal socio per gli illeciti commessi, in concorso fra loro, dagli altri soci e dall'amministratore di una società a responsabilità limitata,.consistenti nella falsificazione delle scritture sociali, nella distruzione del libro dei soci e nella sostituzione dello stesso con un nuovo libro attestante falsamente la titolarità delle quote in capo ai soci - aveva omesso di individuare esattamente l'evento di danno lamentato, considerato unitariamente come risultato della condotta concorrente degli autori dell'illecito, e di accertare se tale evento fosse lesivo della situazione giuridica soggettiva del socio direttamente tutelata in capo allo stesso, come sopra individuata).
Cass. civ. n. 21130/2008
L'inadempimento contrattuale di una società di capitali non può , di per sè, implicare responsabilità risarcitoria degli amministratori nei confronti dell'altro contraente, secondo la previsione dell'art. 2395 cod. civ., atteso che tale responsabilità, di natura extracontrattuale, postula fatti illeciti direttamente imputabili a comportamento colposo o doloso degli amministratori medesimi, come si evince, fra l'altro, dall'utilizzazione dell'avverbio "direttamente", la quale esclude che detto inadempimento e la pessima amministrazione del patrimonio sociale siano sufficienti a dare ingresso all'azione di responsabilità.
Cass. civ. n. 14558/2008
La responsabilità risarcitoria dell'amministratore di una società di capitali nei confronti dei soci e dei terzi non è in alcun modo dipendente, sul piano logico, da quella, di natura contrattuale, eventualmente fatta valere nei confronti della società, cosi come questa seconda non presuppone l'accertamento di quella; ne consegue che, promossa una causa in primo grado nei confronti sia dell'amministratore che della società, e deceduto nelle more l'amministratore, la mancata integrazione del contraddittorio, in grado di appello, relativamente ad uno degli eredi di questo, non si traduce in conseguente inammissibilità del gravame proposto contro la società, non configurandosi una situazione di inscindibilità delle cause, ai sensi dell'art. 331 c.p.c.
Cass. civ. n. 14982/2002
L'annullabilità del contratto che il rappresentante conclude con sé stesso è esclusa, giusta disposto dell'art. 1395 c.c., nelle due ipotesi di autorizzazione specifica rilasciata dal rappresentato e di predeterminazione, da parte di questi, del contenuto del contratto, ricorrendo la prima ipotesi tutte le volte in cui il rappresentato stesso autorizzi il rappresentante alla stipula del negozio determinandone gli elementi necessari e sufficienti ad assicurare la tutela dei suoi interessi, configurandosi, per converso, la seconda qualora il rappresentato, per tutelarsi contro eventuali infedeltà del rappresentante, predetermini il contenuto contrattuale onde la persona dell'altro contraente venga, in definitiva, a risultare indifferente, sì da impedire l'insorgere di ogni possibile conflitto di interessi. La suddetta autorizzazione può, peraltro, legittimamente considerarsi idonea ad escludere la possibilità di un conflitto — e la conseguente annullabilità dell'atto — solo quando sia accompagnata dalla puntuale determinazione degli elementi negoziali — determinazione funzionale a tutelare gli interessi del rappresentato —, e non anche qualora essa risulti affatto generica, non contenendo, tra l'altro (come nella specie), alcuna indicazione in ordine al prezzo della compravendita.
Cass. civ. n. 9270/1999
Quando il contratto concluso dal rappresentante con se stesso è stato concluso in adempimento di un contratto preliminare non opera la presunzione di conflitto di interessi che l'art. 1395 c.c. pone per il caso in cui il rappresentante è tale nei confronti di due diversi soggetti e regola i rapporti tra questi. In tal caso, infatti, il contenuto del contratto non solo è determinato, ma è anche obbligato, con la conseguenza che in relazione a tale contenuto non è neppure ipotizzabile un conflitto d'interessi rilevante ai sensi della citata disposizione.
Cass. civ. n. 9385/1993
Il diritto alla conservazione del patrimonio sociale spetta alla società e non al socio come tale, il quale ha in materia un interesse, la cui eventuale lesione non può concretare quel danno diretto necessario per potersi esperire l'azione individuale di responsabilità contro gli amministratori. Tale danno diretto, peraltro, non sussiste neppure per il solo fatto che nel comportamento degli amministratori possa configurarsi un illecito penale, né può consistere nella mancata distribuzione degli utili, perché questi, prima della distribuzione appartengono alla società, si che il danno derivante dalla loro distrazione ad opera degli amministratori è della società e non dei soci, Che De vengono pre giudicati solo di riflesso, tanto da non essere neppure abilitati a proporre azione di indebito arricchimento per conseguire la quota di utili occultata nel bilancio di esercizio.
Cass. civ. n. 12081/1992
L'art. 1395 c.c. trova applicazione nel caso di contratto di vendita di propri beni ad una società per azioni concluso, alle condizioni da lui ritenute più vantaggiose, dall'amministratore che rappresenta detta società, anche dopo che sono trascorsi i due anni dalla data di iscrizione nel registro delle imprese, ove sia mancata l'autorizzazione dell'assemblea dei soci, non essendovi alcun rapporto di specialità tra il citato art. 1395 (che, nell'ambito della disciplina generale dei contratti, sancisce l'annullabilità del contratto che il rappresentante conclude con se stesso senza l'autorizzazione specifica del rappresentato) e l'art. 2343 bis c.c., che, nell'ambito della disciplina delle società di capitali, vietando l'acquisto, senza l'autorizzazione dell'assemblea ordinaria dei soci, dei beni degli amministratori, promotori, fondatori o soci della società per azioni nei due anni successivi all'iscrizione della società nel registro delle imprese, persegue la diversa ed autonoma finalità di prevenire la possibilità di operazioni in frode al principio del precedente art. 2343 (a norma del quale il conferimento dei beni all'atto della costituzione della società deve essere preceduto da stima giurata).
Cass. civ. n. 8882/1991
Nel caso di contratto stipulato con se stesso dal mandatario sfornito dei relativi poteri, il mandante può contestualmente esercitare sia l'azione di responsabilità per infedele esecuzione del mandato a termini dell'art. 1710 c.c. sia l'azione di annullamento del contratto ex art. 1395 c.c., in quanto ciascuna azione è fondata su un titolo distinto ed autonomo, con conseguente regime differenziato di prescrizione, senza alcuna loro incompatibilità perseguendo tali azioni le rispettive finalità di ripristino del patrimonio del mandante con riguardo al danno ricevuto dall'attività del mandatario infedele e di annullamento degli effetti giuridici del contratto da questi concluso.
Cass. civ. n. 63/1985
L'annullabilità del contratto che il rappresentante concluda con sé stesso (art. 1395 c.c.) trova applicazione quando questi agisca sia in proprio che come rappresentante di un'altra parte, e quindi non soltanto quando il rappresentante si serve di un terzo fittiziamente per stipulare a proprio favore, ma anche quando il terzo è utilizzato al fine di stipulare il contratto a favore di un soggetto, di cui l'altra parte sia il medesimo unico rappresentante, come nel caso dell'amministratore unico di due società contraenti.
Cass. civ. n. 2043/1977
L'atto con il quale uno degli amministratori di una società assuma se stesso, quale dipendente subordinato della società medesima, non è viziato da nullità assoluta, ma è solo annullabile, su istanza della società, a norma dell'art. 1395 c.c. Detto atto, pertanto, può essere idoneo alla costituzione di quel rapporto di lavoro, ove risulti la volontà della società, tramite il proprio consiglio di amministrazione, di mantenere ferma e convalidare l'assunzione stessa.
Cass. civ. n. 3154/1971
Sebbene le due ipotesi indicate nell'art. 1395 c.c. nelle quali il contratto con se stesso può essere ritenuto valido, e cioè l'espressa autorizzazione del rappresentato e la predeterminazione del contenuto del contratto debbano intendersi previste alternativamente, nel senso che è sufficiente che sussista l'una o l'altra di esse per escludere l'invalidità del contratto concluso dal rappresentante, tuttavia l'autorizzazione data dal rappresentato al rappresentante non può essere considerata idonea ad escludere il conflitto di interessi e quindi l'annullabilità del contratto, se non sia accompagnata da una determinazione degli elementi negoziali sufficiente ad assicurare la tutela del rappresentato medesimo.
Cass. civ. n. 1852/1970
Il conflitto di interessi tra rappresentante e rappresentato costituisce causa di annullabilità del contratto concluso dal rappresentante, se comporta, attualmente o potenzialmente, un pregiudizio degli interessi del rappresentato e non soltanto una utilità del rappresentante. Nella ipotesi particolare di contratto concluso dal rappresentante con se stesso opera una presunzione juris tantum di conflitto d'interessi rilevante ai fini dell'annullabilità del contratto: detta presunzione può essere superata dalla prova contraria da cui risulti o che il contratto era stato autorizzato dal rappresentato o che il pregiudizio non possa comunque sussistere in quanto il contenuto del contratto era stato autorizzato dal rappresentato o che il pregiudizio non possa comunque sussistere in quanto il contenuto del contratto era stato determinato in modo da escluderlo.