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Art. 1429 — Errore essenziale

Art. 1429 — Errore essenziale

L’errore è essenziale :

  1. 1) quando cade sulla natura o sull’oggetto del contratto;
  2. 2) quando cade sull’identità dell’oggetto della prestazione ovvero sopra una qualità dello stesso che, secondo il comune apprezzamento o in relazione alle circostanze, deve ritenersi determinante del consenso;
  3. 3) quando cade sull’identità o sulle qualità della persona dell’altro contraente, sempre che l’una o le altre siano state determinanti del consenso;
  4. 4) quando, trattandosi di errore di diritto, è stata la ragione unica o principale del contratto.
L’eventuale comma dell’articolo ricompreso fra parentesi quadre è stato abrogato.

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Aggiornato al 1 gennaio 2020
Il testo riportato è reso disponibile agli utenti al solo scopo informativo. Pertanto, unico testo ufficiale e definitivo è quello pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale Italiana che prevale in casi di discordanza rispetto al presente.
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Massime correlate

Cass. civ. n. 27916/2017

In tema di vendita immobiliare, la falsa rappresentazione della realtà circa la potenzialità edificatoria di un terreno può integrare l’ipotesi normativa dell’errore di fatto su una qualità dell’oggetto ove le parti abbiano concluso il contratto ignorando la vera natura del bene; nel caso in cui, invece, sia stata garantita la destinazione edificatoria del suolo, la fattispecie può essere ricondotta nell’ambito della garanzia prevista dall’art. 1489 c.c. in materia di cosa gravata da oneri non apparenti. Le eventuali diverse determinazioni delle competenti autorità in materia urbanistica possono poi determinare, in applicazione dell’istituto della presupposizione, la risoluzione del contratto di compravendita di un immobile che le parti abbiano concluso nel comune presupposto della sua edificabilità, sempreché tale fatto non abbia costituito oggetto di espressa regolamentazione. In nessun caso sono applicabili alla fattispecie gli artt. 1490 e 1492 c.c., relativi ai vizi redibitori, che attengono esclusivamente alla materialità del bene venduto.

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Cass. civ. n. 16031/2007

In caso di compravendita delle azioni di una società, che si assume stipulata ad un prezzo non corrispondente al loro effettivo valore, senza che il venditore abbia prestato alcuna garanzia in ordine alla situazione patrimoniale della società stessa, il valore economico dell’azione non rientra tra le qualità di cui all’art. 1429 n. 2 c.c., relativo all’errore essenziale. Pertanto, non è configurabile un’azione di annullamento della compravendita basata su una pretesa revisione del prezzo tramite la revisione di atti contabili (bilancio e conto profitti e perdite) per dimostrare quello che non è altro che un errore di valutazione da parte dell’acquirente, anche quando il bilancio della società pubblicato prima della- vendita sia falso e nasconda una situazione tale da rendere applicabili le norme in materia di riduzione e perdita del capitale sociale. La cessione delle azioni di una società di capitali o di persone fisiche ha come oggetto immediato la partecipazione sociale e solo quale oggetto mediato la quota parte del patrimonio sociale che tale partecipazione rappresenta. Pertanto, le carenze o i vizi relativi alle caratteristiche e al valore dei beni ricompresi nel patrimonio sociale — e, di riverbero, alla consistenza economica della partecipazione — possono giustificare l’annullamento del contratto per errore o, ai sensi dell’art. 1497 c.c., la risoluzione per difetto di «qualità» della cosa venduta (necessariamente attinente ai diritti e obblighi che, in concreto, la partecipazione sociale sia idonea ad attribuire e non al suo valore economico), solo se il cedente abbia fornito, a tale riguardo, specifiche garanzie contrattuali, ovvero nel caso di dolo di un contraente, quando il mendacio o le omissioni sulla situazione patrimoniale della società siano accompagnate da malizie ed astuzie volte a realizzare l’inganno ed idonee, in concreto, a sorprendere una persona di normale diligenza.

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Cass. civ. n. 19558/2003

In tema di ermeneutica contrattuale, qualora il contenuto del contratto, sì come risulta materialmente redatto, non corrisponda, quanto alle espressioni usate, alla comune, .reale volontà delle parti, per erronea formulazione, redazione o trascrizione di elementi di fatto ad esso afferenti (nella specie, erronea indicazione del nome di uno stabilimento industriale assicurato contro i danni, ma da tempo dimesso dall’assicurato, in luogo di altro opificio, attualmente operante al posto del primo), deve ritenersi, ancorché la discordanza non emerga prima facie dalle tavole negoziali, che tale situazione non integra alcuna delle fattispecie dell’errore ostativo (e, di conseguenza, non che trova applicazione la normativa dettata in tema di annullamento del contratto per tale vizio), vertendosi, viceversa, in tema di mero errore materiale, ricostruibile con ogni mezzo di prova, al di là della forma di volta in volta richiesta per il contratto cui afferisce, onde consentire al giudice la formazione di un corretto convincimento circa la reale ed effettiva volontà dei contraenti.

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Cass. civ. n. 5139/2003

L’errore sulla valutazione economica della cosa oggetto del contratto non rientra nella nozione di errore di fatto idoneo a giustificare una pronuncia di annullamento del contratto, in quanto il difetto di qualità della cosa deve alienere solo ai diritti ed obblighi che il contratto in concreto sia idoneo ad attribuire, e non al valore economico del bene oggetto del contratto, che afferisce non all’oggetto del contratto ma alla sfera dei motivi in base ai quali la parte si è determinata a concludere un determinato accordo, non tutelata con lo strumento dell’annullabilità anche perché non è riconosciuta dall’ordinamento tutela rispetto al cattivo uso dell’autonomia contrattuale, e all’errore sulle proprie, personali valutazioni, delle quali ciascuno dei contraenti assume il rischio. (Fattispecie relativa ad una transazione, impugnata successivamente da una delle parti perché il valore dei beni ottenuti a seguito della transazione stessa si era rivelato inferiore rispetto a quello che la parte si attendeva di conseguire). 

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Cass. civ. n. 985/1998

L’errore sul valore della cosa alienata è rilevante ai fini dell’invalidità del contratto quando sia conseguenza di un errore su una qualità essenziale della cosa medesima.

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Cass. civ. n. 5900/1997

La falsa rappresentazione della realtà circa la natura (agricola o edificatoria) di un terreno, ricadendo direttamente su di una qualità dell’oggetto, integra l’ipotesi normativa dell’errore di fatto e non di diritto, poiché la inesatta conoscenza della norma che ne preveda la destinazione urbanistica si risolve in una (altrettanto) inesatta conoscenza della circostanza della edificabilità o inedificabilità del suolo, di una circostanza, cioè, inerente ai caratteri reali del bene, differenziandosi un terreno non fabbricabile da un altro utilizzabile a scopi edilizi essenzialmente sotto il profilo dei relativi, possibili impieghi, così che le parti di una compravendita si determinano alla stipula del negozio proprio in relazione alle qualità del terreno ed alle utilità (ed utilizzazioni) da esso ricavabili, incorrendo in errore essenziale in caso di ignoranza della sua vera natura (errore che, per converso, non influirà sulla validità del contratto qualora verta esclusivamente sul valore, attenendo, in tal caso, ai motivi che possano aver indotto le parti alla stipula e che, come tali, non spiegano una incidenza diretta sul processo formativo del volere negoziale). Un suolo originariamente non edificabile, ma successivamente ricompreso in zona di espansione edilizia da uno strumento urbanistico (piano regolatore, programma di fabbricazione, piano paesistico, ecc.) non ancora in vigore, ma già legittimamente adottato dal consiglio comunale (con conseguente efficacia immediata, sia pur limitata, di alcune sue disposizioni, ex art. 4 della legge n. 291 del 1971), costituisce, nell’apprezzamento della generalità dei consociati, sotto il profilo funzionale e sotto quello delle qualità essenziali, un bene economicamente non omogeneo rispetto ad altri terreni, non fabbricabili, che, nel medesimo strumento urbanistico, abbiano invece conservato la loro destinazione originaria, con la conseguenza che dovrà ritenersi ricorrere la fattispecie normativa dell’errore di fatto essenziale (ricadente, nella specie, su una qualità dell’oggetto del negozio) in un contratto di compravendita (o in una promessa di vendita), avente ad oggetto un terreno edificabile, stipulato nel falso convincimento di una diversa destinazione (agraria, a spazio pubblico) del bene, non potendosi considerare rilevante, ai fini della essenzialità dell’errore, la sola contrapposizione tra le due (estreme) qualità della edificabilità e dalla inedificabilità del suolo, ma dovendosi ritenere, invece, influente anche la esistenza di altre, meno intense differenze di connotazione dei terreni sotto il profilo della destinazione urbanistica.

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Cass. civ. n. 2635/1996

L’errore sul prezzo della prestazione, pattuito dai contraenti, può dare luogo all’azione di rescissione per lesione, ma non costituisce errore essenziale, ai sensi e per gli effetti di cui all’art. 1428 codice civile, e non è causa di annullabilità del contratto, qualunque sia l’entità della sproporzione tra le reciproche prestazioni, salvo che non si traduca in un errore su di una qualità essenziale della cosa.

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Cass. civ. n. 11032/1994

Poiché l’errore di diritto rileva soltanto se concerne circostanze esterne, influenti sulla valutazione soggettiva della convenienza del negozio, deve escludersi la rilevanza dell’errore del contraente che conclude il contratto ignorando l’esistenza delle norme imperative da cui deriva l’integrazione del negozio a norma dell’art. 1339 c.c. e quindi la modifica del regolamento contrattuale, attesa la mancanza del carattere negoziale delle clausole rispetto alle quali si è verificata una sostituzione legale.

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Cass. civ. n. 8290/1993

L’errore sul valore della cosa oggetto della compravendita può dar luogo, se ne ricorrono i presupposti, all’azione di rescissione per lesione e non a quella di annullamento del contratto per vizi della volontà.

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Cass. civ. n. 3892/1985

La presunzione di conoscenza delle norme giuridiche (
ignorantia legis non excusat) non può essere invocata per escludere la configurabilità e la rilevanza, ai fini dell’annullamento del contratto, di un errore vizio della volontà determinato dall’ignoranza o dall’inesatta conoscenza di una norma né per escludere la riconoscibilità di un errore siffatto, la quale — atteso che l’ordinamento vigente non esige più l’ulteriore requisito della scusabilità — deve essere accertata non in astratto ma in relazione alle concrete circostanze del singolo caso ed alla concreta situazione soggettiva delle parti dello specifico rapporto.

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Cass. civ. n. 3854/1985

L’obiettiva difformità fra proposta ed accettazione in ordine ad un elemento essenziale di una compravendita, quale il prezzo della cosa venduta, comporta che il contratto non possa considerarsi venuto a giuridica esistenza, senza che in detta ipotesi sia configurabile un contratto annullabile per errore sulla portata della propria dichiarazione o sull’interpretazione della dichiarazione altrui, in quanto questo presuppone che la proposta e l’accettazione siano convergenti obiettivamente sull’identico dato, peraltro divergente solo nella rappresentazione soggettiva. (Principio affermato in relazione ad una fattispecie in cui una società, per errore di calcolo compiuto da un soggetto che le aveva prospettato l’affare senza essere munito di potere rappresentativo della ditta produttrice, aveva a questa rivolto proposta di acquisto di una serie di merci sulla base di un determinato prezzo e tale proposta era stata accettata — mediante esecuzione delle prestazioni senza preventiva risposta — dalla ditta produttrice, che aveva peraltro correlato l’accettazione al prezzo — maggiore — derivante dall’applicazione del suo listino).

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Cass. civ. n. 2052/1984

L’art. 1429 n. 4 c.c. nello stabilire, per il giudizio di essenzialità dell’errore di diritto, che lo stesso costituisca ragione unica o principale del negozio, attribuisce in tal modo efficacia anche ai motivi soggettivi, che possono conseguentemente reagire sulla validità del negozio, anche se la causa di questo non viene meno per effetto dell’errore. (Nella specie, sancendo tale principio, la S.C. ha confermato la sentenza con la quale i giudici del merito avevano ritenuto l’essenzialità di un errore di diritto consistito nell’avere dato esecuzione ad una clausola di un bando di concorso che, prevedendo come titolo preferenziale per l’assunzione la residenza nello stesso luogo di lavoro, era perciò affetto da nullità per contrasto con norme imperative).

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Cass. civ. n. 2688/1982

L’annullabilità del contratto per errore di diritto ricorre quando il consenso di una parte sia determinato da falsa rappresentazione circa l’esistenza, l’applicabilità o la portata di una norma giuridica, imperativa o dispositiva, e tale vizio sia rilevabile dall’altro contraente con l’uso della normale diligenza, mentre l’errore è di fatto quando, ferme restando le suindicate condizioni, cade su una circostanza di fatto. Deve considerarsi errore di fatto, e non di diritto, quello che cade sulla supposta appartenenza di un immobile ad una società anziché ai singoli soci, in presenza di una clausola con la quale si conferisce l’immobile semplicemente in uso alla medesima società.

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Cass. civ. n. 98/1975

Poiché il requisito dell’essenzialità dell’errore deve essere determinato con criteri oggettivi, non è causa di annullamento del negozio l’eventuale errato apprezzamento soggettivo, in contrasto con la realtà oggettiva, di un elemento contrattuale identificato o identificabile. (Nella specie, è stato ritenuto irrilevante ai fini della risoluzione del contratto l’errore sulla ubicazione di un appartamento in un piano dell’edificio piuttosto che in un altro).

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Cass. civ. n. 2725/1973

L’errore di diritto, anche se incide sui presupposti, non dà luogo ad una causa di nullità assoluta (che abilita il giudice a respingere gli effetti di un atto o negozio del quale gli è stata domandata l’applicazione), bensì di sola annullabilità; e per fare valere tale vizio in via di opposizione all’azione di adempimento, la parte interessata — pur non vincolata a forme speciali — deve addurre una falsa rappresentazione circa l’esistenza, la portata o l’applicabilità di una norma giuridica, riconoscibile dall’altro contraente e che sia stata la ragione unica o principale del negozio.

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Cass. civ. n. 1556/1973

Ai fini dell’annullamento del contratto per errore su una qualità essenziale dell’oggetto dello stesso, non occorre accertare se tale qualità sia stata o meno pattuita tra le parti, essendo sufficiente e rilevante che una delle parti stesse si sia indotta alla stipulazione del negozio nell’erronea e determinante convinzione della sua esistenza.

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