Art. 2118 – Codice civile – Recesso dal contratto a tempo indeterminato
Ciascuno dei contraenti può recedere dal contratto di lavoro a tempo indeterminato [1373], dando preavviso nel termine e nei modi stabiliti [dalle norme corporative], dagli usi o secondo equità.
In mancanza di preavviso, il recedente è tenuto verso l'altra parte a un'indennità equivalente all'importo della retribuzione che sarebbe spettata per il periodo di preavviso [1750, 2948, n. 5].
La stessa indennità è dovuta dal datore di lavoro nel caso di cessazione del rapporto per morte del prestatore di lavoro [2751 bis, n. 1, 2948; 545 c.p.c.].
Le parole ricomprese fra parentesi quadre sono state abrogate.
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Massime correlate
Cass. civ. n. 10305/2025
Il recesso per mancato superamento del periodo di prova, pur se illegittimo perché esercitato senza osservare l'obbligo di motivazione previsto dalla contrattazione collettiva, in mancanza di una disposizione che ne preveda espressamente l'inefficacia, con conseguente reintegra del lavoratore, è comunque efficace e idoneo a produrre l'effetto estintivo del rapporto, salva la sola tutela risarcitoria. (Fattispecie in tema di recesso intimato in violazione dell'obbligo di motivazione previsto dall'art. 1, comma 5, del c.c.n.l. del 14 febbraio 2001 per il personale non dirigente degli enti pubblici non economici).
Cass. civ. n. 18263/2024
La sospensione unilaterale del rapporto disposta dal datore di lavoro durante il periodo di preavviso per dimissioni può integrare un inadempimento di gravità tale da costituire giusta causa di recesso immediato del lavoratore, se - al di là dalla sua durata - è complessivamente realizzata con modalità tali da rendere impossibile, anche in via provvisoria, la prosecuzione del rapporto. (Nella specie, la S.C. ha cassato la decisione di merito che - conferendo rilievo preminente alla breve durata, di cinque giorni lavorativi, della sospensione - aveva escluso la legittimità del recesso immediato del dipendente, consigliere e amministratore delegato di una società di brokeraggio marittimo, sebbene il datore di lavoro, ricevuta la comunicazione delle dimissioni con preavviso di sei mesi, avesse, contestualmente alla sospensione, ritirato computer, telefono, carte di credito e chiavi dell'ufficio, nonché disabilitato l'account di posta elettronica del lavoratore).
Cass. civ. n. 3247/2024
La tutela indennitaria-risarcitoria, sancita dall'art. 18, comma 5, st.lav., anche all'esito delle modifiche apportate dalla l. n. 92 del 2012, non esclude il diritto del lavoratore a percepire anche l'indennità di preavviso in caso di licenziamento dichiarato illegittimo, non essendo venute meno quelle esigenze proprie dell'istituto, di tutela della parte che subisce il recesso, volte a consentirle di fronteggiare la situazione di improvvisa perdita dell'occupazione, né autorizzando la lettera e la ratio della disposizione un'opzione ermeneutica restrittiva.
Cass. civ. n. 27331/2023
In base all'art. 26 d.lgs. n. 151 del 2015, il rapporto di lavoro subordinato può essere risolto per dimissioni o per accordo consensuale delle parti solamente previa adozione della forma scritta, con le modalità telematiche previste o presso le sedi assistite, a pena di inefficacia dell'atto.
Cass. civ. n. 27322/2023
In caso di trasferimento di azienda, la cessione dei contratti di lavoro avviene ope legis ex art. 2112 c.c., sicché il licenziamento intimato dal cedente successivamente alla cessione è totalmente privo di effetti e, conseguentemente, resta irrilevante il passaggio in giudicato della decisione di merito che aveva riconosciuto la legittimità della procedura di licenziamento, trattandosi di recesso connesso con il trasferimento di azienda e non fondato su ragioni afferenti alla struttura aziendale precedente autonomamente considerata.
Cass. civ. n. 21294/2023
In tema di contratto di apprendistato, in caso di recesso del datore di lavore anticipato rispetto alla scadenza del periodo di formazione, la domanda giudiziale di nullità o invalidità del contratto, con conseguente trasformazione in rapporto a tempo indeterminato, non è assoggettata ai termini di cui all'art. 32, commi 3 e 4, della l. n. 183 del 2010, non rientrando nei tassativi casi indicati dalla norma.
Cass. civ. n. 18030/2023
In tema di cessazione del rapporto di agenzia, il recesso senza preavviso dell'impresa preponente è consentito nel caso in cui intervenga una causa che impedisca la prosecuzione, anche provvisoria, del rapporto. Pertanto, in caso di ricorso da parte dell'impresa preponente ad una clausola risolutiva espressa, che può ritenersi valida nei limiti in cui venga a giustificare un recesso "in tronco" attuato in situazioni concrete e con modalità a norma di legge o di accordi collettivi non legittimanti un recesso per giusta causa, il giudice deve comunque verificare anche che sussista un inadempimento dell'agente integrante giusta causa di recesso, tenendo conto delle complessive dimensioni economiche del contratto, dell'incidenza dell'inadempimento sull'equilibrio contrattuale e della gravità della condotta, da valutarsi in considerazione della diversità della posizione dell'agente rispetto a quella del lavoratore subordinato, in ragione del fatto che il rapporto di fiducia nel rapporto di agenzia assume maggiore intensità, stante la maggiore autonomia di gestione dell'attività.
Cass. civ. n. 9095/2023
In tema di licenziamento, costituisce discriminazione indiretta l'applicazione dell'ordinario periodo di comporto al lavoratore disabile, perché la mancata considerazione dei rischi di maggiore morbilità dei lavoratori disabili, proprio in conseguenza della disabilità, trasmuta il criterio, apparentemente neutro, del computo del periodo di comporto breve in una prassi discriminatoria nei confronti del particolare gruppo sociale protetto in quanto in posizione di particolare svantaggio. (Principio affermato in relazione al periodo di comporto previsto dall'art. 42, lettera b), del c.c.n.l. Federambiente del 17 giugno 2011).
Cass. civ. n. 2895/2023
In caso di licenziamento del dirigente d'azienda per esigenze di ristrutturazione aziendale è esclusa la possibilità del "repêchage" in quanto incompatibile con la posizione dirigenziale del lavoratore, assistita da un regime di libera recedibilità del datore di lavoro.
Cass. civ. n. 381/2023
In tema di licenziamento disciplinare del dirigente, rilevando la giustificatezza del recesso che non si identifica con la giusta causa, a differenza di quanto avviene relativamente ai rapporti con la generalità dei lavoratori, il licenziamento non deve necessariamente costituire una "extrema ratio", da attuarsi solo in presenza di situazioni così gravi da non consentire la prosecuzione neppure temporanea del rapporto, e allorquando ogni altra misura si rivelerebbe inefficace, ma può conseguire ad ogni infrazione che incrini l'affidabilità e la fiducia che il datore di lavoro deve riporre sul dirigente.
Cass. civ. n. 28330/2022
Nell'ipotesi di contratto di lavoro nullo, al lavoratore non spetta l'indennità sostitutiva del preavviso che, per sua natura, presuppone la validità del rapporto e, salvo i casi eccezionali espressamente previsti dagli artt. 2118, comma 3, e 2122 c.c., la possibilità della sua continuazione oltre il periodo di recesso.
Cass. civ. n. 10883/2021
Per impugnare il licenziamento non si richiedono formule particolari, essendo sufficiente, come testualmente specificato dall'art. 6 della l. n. 604 del 1966, qualsiasi atto scritto idoneo a rendere nota la volontà del lavoratore di impugnare il licenziamento.(Nella specie, la sentenza confermata dalla S.C. aveva ritenuto idonea la comunicazione a mezzo PEC, inviata dal difensore del lavoratore, cui era allegato un file formato "pdf" contenente la scansione dell'impugnazione del licenziamento sottoscritta da entrambi). (Rigetta, CORTE D'APPELLO NAPOLI, 05/08/2019).
Cass. civ. n. 17606/2021
In caso di recesso del datore di lavoro dal rapporto di lavoro a tempo indeterminato, il periodo di preavviso non lavorato, per il quale sia corrisposta l'indennità sostitutiva del preavviso, sebbene il preavviso abbia natura obbligatoria ed il rapporto lavorativo cessi immediatamente, assume rilevanza in ambito previdenziale e va computato ai fini del raggiungimento del requisito dei due anni d'iscrizione nell'AGO contro la disoccupazione involontaria per la corresponsione dell'indennità ordinaria di disoccupazione, in quanto l'indennità corrisposta in tale periodo è assoggettata a contribuzione, che concorre a formare la base imponibile e pensionabile maturata durante il rapporto di lavoro.
Cass. civ. n. 27934/2021
In tema di rapporto di lavoro a tempo indeterminato, la rinuncia del datore di lavoro al periodo di preavviso, a fronte delle dimissioni del lavoratore, non fa sorgere il diritto di quest'ultimo al conseguimento dell'indennità sostitutiva, attesa la natura obbligatoria del preavviso, dovendo peraltro escludersi che alla libera rinunziabilità del preavviso possano connettersi a carico della parte rinunziante effetti obbligatori in contrasto con la disciplina delle fonti delle obbligazioni di cui all'art. 1173 c.c.
Cass. civ. n. 3822/2019
Il lavoratore che impugni il licenziamento allegandone l'intimazione senza l'osservanza della forma scritta ha l'onere di provare, quale fatto costitutivo della domanda, che la risoluzione del rapporto è ascrivibile alla volontà datoriale, seppure manifestata con comportamenti concludenti, non essendo sufficiente la prova della mera cessazione dell'esecuzione della prestazione lavorativa; nell'ipotesi in cui il datore eccepisca che il rapporto si è risolto per le dimissioni del lavoratore e all'esito dell'istruttoria - da condurre anche tramite i poteri officiosi ex art. 421 c.p.c. - perduri l'incertezza probatoria, la domanda del lavoratore andrà respinta in applicazione della regola residuale desumibile dall'art. 2697 c.c.. (Cassa con rinvio, CORTE D'APPELLO CATANZARO, 28/02/2017).
Cass. civ. n. 9665/2019
Nell'ipotesi di licenziamento individuale del dirigente d'azienda, cui, ai sensi dell'art. 10 della l. n. 604 del 1966, non trova applicazione la disciplina limitativa dei licenziamenti, la nozione di giustificatezza del recesso si discosta da quella di giustificato motivo ed è ravvisabile ove sussista l'esigenza, economicamente apprezzabile in termini di risparmio, della soppressione della figura dirigenziale in attuazione di un riassetto societario e non emerga, in base ad elementi oggettivi, la natura discriminatoria o contraria a buona fede della riorganizzazione; il giudice deve limitarsi al controllo sull'effettività delle scelte imprenditoriali poste a base del licenziamento, non potendo sindacare il merito di tali scelte, garantite dal precetto di cui all'art. 41 Cost. (Nella specie, la S.C. ha confermato la decisione di merito che, senza entrare nel merito delle scelte datoriali, aveva ritenuto insussistente il nesso di causalità tra la situazione rappresentata nella lettera di licenziamento e la soppressione del posto di responsabile "marketing"). (Rigetta, CORTE D'APPELLO VENEZIA, 07/02/2017).
Cass. civ. n. 24106/2018
In tema di rapporti di lavoro in regime di parasubordinazione, il recesso senza preavviso di una delle parti, in assenza di una giusta causa di risoluzione, è compensato dall'obbligo di corrispondere l'indennità sostitutiva che svolge una funzione indennitaria, quale rimedio contro la mera eventualità di mancato rinvenimento di nuova occupazione, nonché di tutela della parte che subisce l'improvvisa interruzione del rapporto, attenuandone le conseguenze; tale indennità, a norma dell'art. 2121 c.c., deve essere parametrata ai compensi non percepiti e non ai danni asseritamente subiti.
Cass. civ. n. 30126/2018
Ai fini della sussistenza di una situazione di incapacità di intendere e di volere ex art. 428 c.c., costituente causa di annullamento del negozio, non occorre la totale privazione delle facoltà intellettive e volitive, essendo sufficiente un turbamento psichico tale da impedire la formazione di una volontà cosciente, facendo così venire meno la capacità di autodeterminazione del soggetto e la consapevolezza in ordine all'importanza dell'atto che sta per compiere. Laddove si controverta della sussistenza di una simile situazione in riferimento alle dimissioni del lavoratore subordinato, il relativo accertamento deve essere particolarmente rigoroso, in quanto le dimissioni comportano la rinunzia al posto di lavoro - bene protetto dagli artt. 4 e 36 Cost. - sicché occorre verificare che da parte del lavoratore sia stata manifestata in modo univoco l'incondizionata e genuina volontà di porre fine al rapporto. (Cassa con rinvio, CORTE D'APPELLO BOLOGNA, 09/01/2017).
Cass. civ. n. 1743/2017
La comunicazione del datore di lavoro di collocamento a riposo del dipendente, in forza di clausola contrattuale di automatica risoluzione del rapporto lavorativo al raggiungimento del sessantacinquesimo anno di età, non integra un'ipotesi di licenziamento, ma esprime solo la volontà datoriale di avvalersi di un meccanismo risolutivo previsto in sede di autonomia negoziale, sicché, in siffatta ipotesi, non compete al lavoratore il diritto all'indennità sostitutiva del preavviso, in assenza delle finalità sottese all'art. 2118 c.c..
Cass. civ. n. 64/2017
Lo stato di malattia del lavoratore preclude al datore di lavoro l'esercizio del potere di recesso solo quando si tratta di licenziamento per giustificato motivo; esso non impedisce, invece, l'intimazione del licenziamento per giusta causa, non avendo ragion d'essere la conservazione del posto di lavoro in periodo di malattia di fronte alla riscontrata esistenza di una causa che non consente la prosecuzione neppure in via temporanea del rapporto.(Nella specie, la S.C. ha confermato la sentenza di appello che, ritenuto sospeso un primo licenziamento per giustificato motivo oggettivo, comunicato in corso di malattia, aveva limitato la verifica di legittimità al successivo licenziamento intimato per giusta causa, per assenze alle visite di controllo).
Cass. civ. n. 14457/2017
In tema di cd. patto di stabilità nel contratto di lavoro subordinato, fuori dalle ipotesi di giusta causa ex art. 2119 c.c., il lavoratore può liberamente disporre della facoltà di recesso, pattuendo una garanzia di durata minima del rapporto nell’interesse del datore di lavoro, purché la stessa sia limitata nel tempo e sia previsto un corrispettivo, a tutela del “minimo costituzionale” di cui all’art. 36 Cost.; la corrispettività, tuttavia, non va valutata atomisticamente, come contropartita dell’assunzione dell’obbligazione, bensì alla luce del complesso delle reciproche pattuizioni contrattuali, potendo consistere nella reciprocità dell’impegno di stabilità ovvero in una diversa prestazione a carico del datore di lavoro, quale una maggiorazione della retribuzione o una obbligazione non monetaria, purché non simbolica e proporzionata al sacrificio assunto dal lavoratore.
Cass. civ. n. 13988/2017
Alla stregua di una interpretazione letterale e logico-sistematica dell'art. 2118 c.c., nel contratto di lavoro a tempo indeterminato il preavviso non ha efficacia reale - che comporta, in mancanza di accordo tra le parti circa la cessazione immediata del rapporto, il diritto alla prosecuzione del rapporto stesso e di tutte le connesse obbligazioni fino alla scadenza del termine - ma obbligatoria. Ne consegue che, ove una delle parti eserciti la facoltà di recedere con effetto immediato, il rapporto si risolve altrettanto immediatamente, con l'unico obbligo della parte recedente di corrispondere l'indennità sostitutiva del preavviso e senza che da tale momento possano avere influenza eventuali avvenimenti sopravvenuti, a meno che la parte recedente, nell'esercizio di un suo diritto potestativo, acconsenta, avendone interesse, alla continuazione del rapporto lavorativo, protraendone l'efficacia sino al termine del periodo di preavviso.
Cass. civ. n. 1070/2016
L'annullamento delle dimissioni del lavoratore, perché presentate in stato di incapacità naturale, presuppone non solo la sussistenza di un quadro psichico connotato da aspetti patologici ma anche l'incidenza causale tra l'alterazione mentale e le ragioni soggettive che hanno spinto il lavoratore al recesso. (Nella specie, la S.C. ha cassato con rinvio la sentenza di appello che non aveva ammesso la consulenza tecnica di ufficio richiesta dal dipendente di una ASL, non valutando adeguatamente un certificato medico, di poco precedente le dimissioni, rilasciato da altra ASL, dal quale risultava che il dimissionario era affetto da patologia psicotica con marcata disabilità neurologica e relazionale).
Cass. civ. n. 7899/2015
Nel lavoro subordinato privato, il recesso del datore di lavoro richiede, pur se si tratta del licenziamento di un dirigente, la sussistenza di un giustificato motivo, in forza del principio generale di cui all'art. 1 della legge 15 luglio 1966, n. 604, dovendosi in ogni caso escludere, a fronte della tipicità e tassatività delle cause di estinzione del rapporto, la legittimità di clausole di risoluzione automatica al compimento di determinate età ovvero al raggiungimento dei requisiti pensionistici, ancorché esse siano contemplate dalla contrattazione collettiva.
Cass. civ. n. 9116/2015
Nel contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato, il recesso senza preavviso di ciascun contraente forma oggetto di un diritto potestativo, il cui legittimo esercizio è esclusivamente condizionato all'esistenza di una giusta causa, senza che rilevino i motivi alla base della decisione di recedere dal contratto, non sindacabili dal giudice ai fini della decisione sulla indennità sostitutiva del preavviso, salvo che gli stessi non siano illeciti od esprimano lo sviamento della causa contrattuale allo scopo di eludere l'applicazione di una norma imperativa, e sempreché non sia configurabile una simulazione dell'atto. (Nella specie, la S.C. ha cassato la sentenza che aveva ritenuto la strumentalità della giusta causa posta dal lavoratore a fondamento delle sue dimissioni, finalizzate a risolvere anticipatamente il rapporto).
Cass. civ. n. 13335/2014
La "clausola di stabilità" (che assicura una durata minima garantita) del rapporto di lavoro dirigenziale ha lo scopo, da un lato, di soddisfare l'interesse del datore di lavoro ad assicurarsi la collaborazione del dirigente e, dall'altro, di garantire a quest'ultimo la continuità della prestazione lavorativa, attraverso la preventiva rinuncia della parte datoriale alla facoltà di recesso, sicché il limite a tale rinunzia può identificarsi solo nella sussistenza di una giusta causa di recesso, che comporti il venir meno del vincolo fiduciario.
Cass. civ. n. 17010/2014
Il lavoratore subordinato può liberamente disporre della propria facoltà di recesso dal rapporto, come nell'ipotesi di pattuizione di una garanzia di durata minima dello stesso, che comporti, fuori dell'ipotesi di giusta causa di recesso di cui all'art. 2119 cod. civ., il risarcimento del danno a favore della parte non recedente, conseguente al mancato rispetto del periodo minimo di durata del rapporto; né può prospettarsi, in relazione alle clausole pattizie che regolano l'esercizio della facoltà di recesso dal rapporto di lavoro subordinato, una limitazione della libertà contrattuale del lavoratore, in violazione della tutela assicurata dai principi dell'ordinamento.
Cass. civ. n. 18522/2014
L'indennità sostitutiva del preavviso ex art. 2118, secondo comma, cod. civ. spetta in ogni caso di recesso dal rapporto di lavoro a tempo indeterminato in cui non vi sia stato il preavviso lavorato, a prescindere dalla dimostrazione dell'effettiva sussistenza di un danno per la parte receduta.
Cass. civ. n. 22063/2014
Nell'ipotesi di annullamento delle dimissioni presentate da un lavoratore subordinato (nella specie, perché in stato di incapacità naturale) le retribuzioni spettano dalla data della sentenza che dichiara l'illegittimità delle dimissioni, in quanto il principio secondo cui l'annullamento di un negozio giuridico ha efficacia retroattiva non comporta anche il diritto del lavoratore alle retribuzioni maturate dalla data delle dimissioni a quella della riammissione al lavoro, che, salvo espressa previsione di legge, non sono dovute in mancanza della prestazione lavorativa.
Cass. civ. n. 25902/2014
In tema di rapporto di lavoro dirigenziale, è valida la clausola di stabilità per una durata minima garantita, che si traduca in una preventiva rinunzia del datore di lavoro alla facoltà di recesso, salvo il limite della giusta causa ex art. 2119 cod. civ., la cui portata non può estendersi alla ipotesi di sussistenza di un giustificato motivo oggettivo, che prescinde dall'inadempimento del lavoratore e la cui inclusione comporterebbe l'esposizione del rapporto di lavoro alle stesse vicende risolutive che avrebbe potuto soffrire in assenza del patto, sì da vanificare la garanzia di stabilità concordata, in violazione del canone ermeneutico di cui all'art. 1367 cod. civ.
Cass. civ. n. 4305/2013
Il principio per cui il rapporto di lavoro continua, con la permanenza delle reciproche obbligazioni delle parti, durante il periodo di preavviso, non impedisce che, nell'ipotesi di dimissioni, il dipendente che recede dal contratto possa validamente manifestare la volontà di pervenire alla risoluzione del rapporto con effetto immediato, rinunciando così alla continuazione suddetta.
Cass. civ. n. 24335/2013
Nei contratti di lavoro dirigenziale a tempo determinato, in caso di licenziamento dichiarato illegittimo, e in mancanza di una diversa previsione nel contratto individuale, il risarcimento del danno dovuto va commisurato all'entità dei compensi retributivi che sarebbero maturati dalla data del recesso fino alla scadenza del contratto, mentre non è dovuta alcuna indennità sostitutiva del preavviso, essendo questa legislativamente prevista solo per il rapporto di lavoro a tempo indeterminato.
Cass. civ. n. 24336/2013
La prosecuzione della prestazione lavorativa da parte del dipendente oltre la data di scadenza del preavviso, fissata con la comunicazione del licenziamento, può corrispondere, in relazione al comportamento delle parti del rapporto di lavoro, ad una manifestazione di volontà di revoca tacita del licenziamento già intimato, stante l'obiettiva incompatibilità dell'iniziale dichiarazione di recesso con la successiva protrazione dell'attività lavorativa, non potendo configurarsi, del resto, una facoltà della parte recedente di determinare il momento di produzione degli effetti del recesso in data diversa da quella già indicata con l'atto negoziale perfezionatosi con la comunicazione al lavoratore. (Nella specie, la S.C. ha confermato la sentenza di merito, che, nonostante un primo preavviso di licenziamento comunicato ai dipendenti da una società appaltatrice di un servizio di pulizia, per cessazione dell'appalto, aveva considerato necessario un nuovo preavviso - e, in sua mancanza, il pagamento dell'indennità sostitutiva - in conseguenza della prosecuzione della prestazione lavorativa, per effetto della proroga del contratto di appalto).
Cass. civ. n. 27058/2013
Nel contratto di lavoro a tempo indeterminato, la volontà delle parti di realizzare l'interesse alla cessazione dei suoi effetti può essere attuata soltanto mediante il negozio unilaterale di recesso (licenziamento e dimissioni), con la conseguenza che, sebbene si sia in presenza di un contratto a prestazioni corrispettive, non si applica la disciplina della rescissione, della risoluzione per inadempimento o per eccessiva onerosità, sicché, in difetto di una specifica autorizzazione legislativa ad incidere sulla materia dell'estinzione del rapporto di lavoro, all'autonomia delle parti (individuali o collettive) non è dato inserire clausole di durata del rapporto (fuori dei casi previsti dalla legge) e neppure condizioni risolutive ai sensi dell'art. 1353 c.c. o condizioni risolutive espresse ai sensi dell'art. 1456 c.c..
Cass. civ. n. 6342/2012
La dichiarazione di recesso del lavoratore, una volta comunicata al datore di lavoro, è idonea "ex se" a produrre l'effetto dell'estinzione del rapporto, che è nella disponibilità delle parti, a prescindere dai motivi delle dimissioni (purché non inficiate da minaccia di licenziamento e perciò viziate come atto di volontà) ed anche in assenza di una giusta causa, atteso che l'effetto risolutorio si ricollega pur sempre, a differenza di quanto avviene per il licenziamento, all'atto negoziale del lavoratore, preclusivo di un'azione intesa alla conservazione del rapporto; ne consegue che il lavoratore a termine, receduto anticipatamente senza giusta causa, non ha diritto alla riammissione in servizio, né al pagamento delle retribuzioni fino alla scadenza naturale del rapporto, neppure qualora abbia costituito in mora il datore di lavoro.
Cass. civ. n. 3628/2012
Il licenziamento individuale del dirigente d'azienda può fondarsi su ragioni oggettive concernenti esigenze di riorganizzazione aziendale, che non debbono necessariamente coincidere con l'impossibilità della continuazione del rapporto o con una situazione di crisi tale da rendere particolarmente onerosa detta continuazione, dato che il principio di correttezza e buona fede, che costituisce il parametro su cui misurare la legittimità del licenziamento, deve essere coordinato con la libertà di iniziativa economica, garantita dall'art. 41 Cost.. (Nella specie, la S.C. ha respinto il ricorso avverso la decisione di merito che aveva giudicato non pretestuoso, nè arbitrario, ma rispondente ad una genuina volontà di razionalizzazione aziendale, il licenziamento intimato al dirigente da una impresa con tasso quadriennale di perdita del fatturato pari al 9,4%).
Cass. civ. n. 24477/2011
La configurabilità delle dimissioni per giusta causa, pur potendo sussistere anche quando il recesso non segua immediatamente i fatti che lo giustificano e la giusta causa sia addotta solo successivamente al recesso, è tuttavia da escludere nel caso in cui il lavoratore, manifestando la volontà di dimettersi, abbia dichiarato al datore di lavoro di essere pronto a continuare l'attività per tutto o per parte del periodo di preavviso, atteso che, in tale ipotesi, è lo stesso lavoratore ad escludere, con il suo comportamento, la ravvisabilità di circostanze tali da impedire la prosecuzione anche soltanto temporanea del rapporto.
Cass. civ. n. 6367/2011
In materia di rapporto di lavoro dei dirigenti d'azienda, le garanzie procedimentali di cui all'art. 7, secondo e terzo comma, legge n. 300 del 1970 pur compatibili anche con il licenziamento di un dirigente, senza che rilevi la specificità del rapporto di lavoro, non trovano applicazione ove il recesso del datore di lavoro sia assistito da giustificatezza e si fondi su ragioni concernenti esigenze di riorganizzazione aziendale (nella specie, il conglobamento delle attività di progettazione macchine, "engineering" e tecnologie sotto un'unica direzione, con soppressione del ruolo di direttore tecnico ricoperto dal ricorrente), non avendo natura ontologicamente disciplinare.
Cass. civ. n. 897/2011
Le garanzie procedimentali dettate dall'art. 7, secondo e terzo comma, legge n. 300 del 1970, devono trovare applicazione nell'ipotesi di licenziamento di un dirigente - a prescindere dalla specifica collocazione che lo stesso assume nell'impresa, ed anche nel caso in cui il dirigente sia stato dequalificato - sia se il datore di lavoro addebiti al dirigente stesso un comportamento negligente (o, in senso lato, colpevole), sia se a base del detto recesso ponga, comunque, condotte suscettibili di farne venir meno la fiducia. Dalla violazione di dette garanzie, che si traduce in una non valutabilità delle condotte causative del recesso, ne scaturisce l'applicazione delle conseguenze fissate dalla contrattazione collettiva di categoria per il licenziamento privo di giustificazione, non potendosi per motivi, oltre che giuridici, logico-sistematici assegnare all'inosservanza delle garanzie procedimentali effetti differenti da quelli che la stessa contrattazione fa scaturire dall'accertamento della sussistenza dell'illecito disciplinare o di fatti in altro modo giustificativi del recesso, dovendosi far riferimento, in mancanza di una specifica disciplina, ai criteri di cui all'art. 2099, secondo comma, c.c.. Ove, peraltro, il lavoratore, seppure nominativamente indicato quale dirigente (e con attribuzione di un omologo trattamento), non rivesta nell'organizzazione aziendale un ruolo di incisività e rilevanza analogo ai dirigenti convenzionali e, dunque, sia qualificabile come pseudo-dirigente, all'applicazione delle garanzie procedurali previste dall'art. 7 dello statuto dei lavoratori devono seguire le conseguenze previste, secondo le norme ordinarie, per qualsiasi lavoratore subordinato.
Cass. civ. n. 8886/2010
In caso di dimissioni presentate dal lavoratore in stato di incapacità naturale, il diritto a riprendere il lavoro sorge con la sentenza di annullamento ai sensi dell'art. 428 c.c., i cui effetti retroagiscono al momento della domanda giudiziaria in applicazione del principio generale secondo cui la durata del processo non deve andare a detrimento della parte vincitrice. Ne consegue che anche il diritto alle retribuzioni maturate sorge solo dalla data della domanda giudiziale, dovendosi escludere che l'efficacia totalmente ripristinatoria dell'annullamento del negozio unilaterale risolutivo del rapporto di lavoro si estenda al diritto alla retribuzione che, salvo diversa espressa eccezione di legge, non è dovuta in mancanza dell'attività lavorativa.