Art. 971 – Codice civile – Affrancazione
Se più sono gli enfiteuti, l'affrancazione può promuoversi anche da uno solo di essi, ma per la totalità. In questo caso l'affrancante subentra nei diritti del concedente verso gli altri enfiteuti, salva, a favore di questi, una riduzione proporzionale del canone.
Se più sono i concedenti, l'affrancazione può effettuarsi per la quota che spetta a ciascun concedente.
[L'affrancazione si opera mediante il pagamento di una somma risultante dalla capitalizzazione del canone annuo sulla base dell'interesse legale [1284]. Le modalità sono stabilite da leggi speciali. [957 comma 2]]
Le parole ricomprese fra parentesi quadre sono state abrogate.
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Massime correlate
Cass. civ. n. 17746/2024
In tema di enfiteusi, il sistema delineato dagli artt. 971, 972 e 973 c.c., in tema di domande di affrancazione, di devoluzione o di risoluzione per inadempimento, sancisce la prevalenza del diritto potestativo dell'enfiteuta all'affrancazione sul diritto potestativo del concedente alla risoluzione del contratto per inadempimento.
Cass. civ. n. 16724/2023
In tema di enfiteusi, il diritto potestativo dell'enfiteuta all'affrancazione prevale sul diritto potestativo del concedente alla risoluzione del contratto per inadempimento. (In applicazione del principio, la S.C. ha ritenuto irrilevante la particolare gravità dell'inadempimento dell'enfiteuta che aveva abusivamente edificato sui terreni ricevuti in concessione dal P.A., per una finalità speculativa).
Cass. civ. n. 12744/2022
L'annullamento della transazione su pretesa temeraria, ai sensi dell'art. 1971 c.c., presuppone la presenza di due elementi, uno obiettivo e uno soggettivo, ossia che la pretesa fatta valere dalla parte nei cui confronti si chiede l'annullamento sia totalmente infondata e che la parte versi in mala fede, ovvero che, pur essendo consapevole della infondatezza della propria pretesa, l'abbia dolosamente sostenuta.
Cass. civ. n. 2704/2019
In tema di usi civici, nell'affrancazione (o liquidazione) cd. invertita, prevista in favore della popolazione dall'art. 9 del r.d. n. 1510 del 1891, ancora vigente, per le sole provincie ex pontificie, in virtù del richiamo contenuto nell'art. 7, comma 2, della l. n. 1766 del 1927, a differenza di quella ordinaria - ove è il proprietario del fondo a liberarlo dall'uso civico, affrancando il proprio diritto di proprietà mediante il pagamento di un canone enfiteutico od il rilascio di una parte del possedimento - è la collettività che riscatta, in tutto o in parte, l'immobile, dietro versamento di un canone al proprietario, così realizzandosi il pieno riconoscimento del diritto di uso civico nella nuova forma dell'assegnazione della piena proprietà in capo alla comunità. Pertanto, il comune, qualora il terreno sia stato allo stesso attribuito nella qualità di ente esponenziale (o rappresentativo) degli utenti, è tenuto ad assicurare l'uso civico di destinazione del bene affrancato, al quale non può rinunziare liberamente - soprattutto in maniera tacita in virtù di atti univoci ed incompatibili con la volontà di conservarlo - poiché non gli appartiene, la sua rappresentatività differenziandosi, in questo caso, da quella generale e tipica degli enti territoriali; infatti, il detto comune può essere autorizzato a mutare la menzionata destinazione o le sue modalità di esercizio, laddove le ritenesse non più compatibili con le trasformazioni socio-economiche intervenute, solo attraverso la procedura prevista dalla normativa speciale. (Nella specie, la S.C. ha escluso che il Comune di Vallinfreda avesse tacitamente "sdemanializzato" il fondo mediante atti di cessione gratuita ai privati, i quali vi avevano costruito sopra dei complessi edilizi, non avendo l'ente territoriale il relativo potere).
Cass. civ. n. 14294/2017
La temerarietà della pretesa comportante l’annullamento della transazione ex art. 1971 c.c., come può essere eccepita dal convenuto per paralizzare la domanda dell'attore che faccia valere come titolo della sua richiesta la transazione stessa, parimenti può essere invocata dall’attore per bloccare gli effetti impeditivi dell’eccezione di transazione sollevata dal convenuto. (Nella specie, la S.C. ha ritenuto che l’attore, chiesta la rescissione per lesione di un contratto di vendita, e vistosi eccepire l’esistenza di una transazione preclusiva della domanda rescissione, potesse opporre, a sua volta, l’annullabilità della transazione stessa per temerarietà della pretesa).
Cass. civ. n. 712/1997
L'annullamento della transazione su pretesa temeraria ai sensi dell'art. 1971 c.c., presuppone che la pretesa fatta valere dalla parte nei cui confronti si chieda l'annullamento sia assolutamente ed obiettivamente infondata, e ciò in aderenza alla necessità che il rapporto dal quale scaturisce la transazione sia una res dubia, che, cioè vi sia incertezza sui rispettivi diritti delle parti. La mancanza di detto presupposto esclude, di per sé, l'annullamento, e, pertanto, il giudice, accertato che la pretesa non era assolutamente infondata, deve respingere la domanda di annullamento della transazione senza compiere alcuna altra indagine, tanto più che l'art. 1971 cit., richiedendo, per l'annullamento della transazione la consapevolezza, in una delle parti, della temerarietà della sua pretesa, esclude che sia sufficiente la colpa grave, essendo invece necessario il dolo.
Cass. civ. n. 143/1997
E' incostituzionale l'art. 1 comma 1 e 4, l. 22 luglio 1966 n. 607, nella parte in cui, per le enfiteusi fondiarie costituite anteriormente al 28 ottobre 1941, non prevede che il valore di riferimento per la determinazione del capitale per l'affrancazione delle stesse sia periodicamente aggiornato mediante l'applicazione di coefficienti di maggiorazione idonei a mantenerne adeguata, con ragionevole approssimazione, la corrispondenza con la effettiva realtà economica.
Cass. civ. n. 4448/1996
Poiché il presupposto della res dubia che caratterizza la transazione, è costituito non dall'incertezza obiettiva circa lo stato di fatto e diritto, ma dalla sussistenza di discordanti valutazioni in ordine alle correlative situazioni giudiziali dei rispettivi diritti ed obblighi delle parti, nessuna incidenza sulla validità ed efficacia del negozio può attribuirsi, al di fuori delle ipotesi previste dagli artt. 1971 e ss. c.c. all'accertamento ex post della assoluta infondatezza delle contrapposte pretese. Pertanto, la sentenza di mero accertamento con cui in sede di opposizione all'esecuzione venga affermata l'inesistenza del diritto del creditore di procedere ad esecuzione forzata, non vale a fondare la domanda giudiziale rivolta a conseguire, a titolo di liquidazione di un debito la restituzione di quanto il debitore esecutato abbia in via transattiva pagato al creditore per ottenerne la desistenza dall'azione esecutiva o addirittura la rinuncia al credito.
Cass. civ. n. 74/1996
E' inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell'art. 971 ultimo comma c.c., sollevata in riferimento all'art. 42 cost., nella parte in cui, nel disporre che l'affrancazione dell'enfiteusi si operi mediante il pagamento di una somma di denaro frutto della capitalizzazione del canone annuo sulla base dell'interesse legale, non prevede l'aggiornamento periodico del canone enfiteutico e quindi del capitale di affranco, mediante l'applicazione di adeguati coefficienti di maggiorazione, in quanto tale norma si deve intendere abrogata dall'art. 1 l. 14 giugno 1974 n. 270 (aggiuntivo di un terzo comma all'art. 2 l. 18 dicembre 1970 n. 1138), disposizione, quest'ultima, che la sent. 7 aprile 1988 n. 406 ha dichiarato incostituzionale non per ciò che dispone in ordine al modo di calcolare il canone minimo dell'enfiteusi, ma solo per quello che ha omesso di disporre in tema di aggiornamento di detto canone, sulla cui base computare il predetto capitale di affranco ai sensi dell'art. 9 cit. l. n. 1138 del 1970, non bastando a far rivivere una norma abrogata la circostanza che il legislatore non abbia poi attuato la sentenza della Corte costituzionale con il necessario meccanismo integrativo.
Cass. civ. n. 2730/1995
Ai fini della qualificabilità come transazione dell'accordo intervenuto, nell'assicurazione contro i danni, tra assicuratore e assicurato-danneggiato circa l'indennizzo a quest'ultimo dovuto, è sufficiente che sussistano tra le parti difformità di valutazioni in ordine all'entità del danno e, conseguentemente, all'indennità dovuta dall'assicuratore, poiché anche in tal caso si rendono necessarie quelle reciproche concessioni dei contraenti in cui si sostanzia la transazione. D'altra parte, considerato che la temerarietà della pretesa che comporta l'annullabilità della transazione sussiste solo se la stessa pretesa sia obiettivamente e assolutamente infondata, deve ritenersi che esattamente il giudice di merito escluda la configurabilità di tale causa di invalidità — dedotta dall'assicurato (che nella specie aveva fatto valere la modesta entità dell'indennizzo rispetto a presunti elementi di prova documentale da lui indicati) — dell'accordo transattivo raggiunto in merito all'indennizzo assicurativo, quando a tal fine dia rilievo, con adeguata motivazione, a risultanze relative alla scarsa entità delle merci distrutte.