Art. 1105 – Codice civile – Amministrazione
Tutti i partecipanti hanno diritto di concorrere nell'amministrazione della cosa comune.
Per gli atti di ordinaria amministrazione le deliberazioni della maggioranza dei partecipanti, calcolata secondo il valore delle loro quote, sono obbligatorie per la minoranza dissenziente [259 cod. nav.].
Per la validità delle deliberazioni della maggioranza si richiede che tutti i partecipanti siano stati preventivamente informati dell'oggetto della deliberazione [1109 n. 2].
Se non si prendono i provvedimenti necessari per l'amministrazione della cosa comune o non si forma una maggioranza, ovvero, se la deliberazione adottata non viene eseguita, ciascun partecipante può ricorrere all'autorità giudiziaria. Questa provvede in camera di consiglio e può anche nominare un amministratore [261 cod. nav.].
Le parole ricomprese fra parentesi quadre sono state abrogate.
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Massime correlate
Cass. civ. n. 1635/2025
Il rappresentante comune degli azionisti di risparmio non è un organo sociale, ma è un esponente rappresentativo della predetta categoria, in posizione tendenzialmente contrapposta alla società, alla luce delle esigenze di tutela degli azionisti "risparmiatori" rispetto agli azionisti "imprenditori".
Cass. civ. n. 10637/2024
In tema di diritti di privativa industriale, in caso di comunione sul marchio, il contratto di licenza d'uso del segno distintivo a terzi in via esclusiva richiede, per il suo perfezionamento, il consenso unanime dei contitolari, perché la concessione al licenziatario dell'esclusiva priva i contitolari del godimento diretto dell'oggetto della comunione, assumendo rilievo contrario il disposto dell'art. 1108, commi 1 e 3, c.c.
Cass. civ. n. 27772/2023
In tema di condominio negli edifici, in presenza di unità immobiliari in regime di comunione legale tra coniugi, la legittimazione ad impugnare le delibere assembleari spetta a ciascun coniuge separatamente, trovando applicazione l'art. 180, comma 1, c.c., secondo cui la rappresentanza in giudizio per gli atti relativi all'amministrazione dei beni della comunione spetta ad entrambi; ne consegue che, in caso di partecipazione all'assemblea di uno solo dei coniugi, ove vengano deliberati argomenti non inseriti all'ordine del giorno, il coniuge non presente può impugnare la delibera ai sensi dell'art. 1137, comma 2, c.c. (In applicazione di tale principio, la S.C. ha affermato l'irrilevanza, ai fini dell'ammissibilità e della fondatezza dell'impugnazione proposta da un coniuge, della presenza all'assemblea dell'altro coniuge comproprietario).
Cass. civ. n. 20885/2023
Il contratto di locazione stipulato da un comproprietario in favore di un altro, in quanto riconducibile alla gestione d'affari altrui, è valido ed efficace nei confronti dei comproprietari non locatori che non si siano preventivamente opposti alla stipula, i quali possono ratificare l'operato del gestore, ai sensi dell'art. 1705 c.c., senza particolari formalità, e chiedere al conduttore il pagamento "pro quota" dei canoni di locazione maturati in data successiva alla intervenuta ratifica.
Cass. civ. n. 16934/2023
LEGITTIMAZIONE DEL CONDOMINO Condominio edifici - Legittimazione del singolo condòmino a tutela del diritto di comproprietà - Legittimazione concorrente o aggiuntiva rispetto all’amministratore e legittimazione autonoma - Rilevanza della volontà degli altri condomini - Esclusione - Fattispecie. In tema di condominio negli edifici, il singolo condòmino, che intenda tutelare il proprio diritto di comproprietario "pro quota" dei beni comuni, oltre ad avere legittimazione concorrente e aggiuntiva rispetto a quella dell'amministratore nei giudizi in cui questi abbia già assunto legittimamente la difesa, è altrettanto legittimato a promuovere azioni (o a resistere ad azioni proposte da altri), senza che assuma a tal fine rilevanza la volontà degli altri condomini. (Nella specie, la S.C. ha confermato la sentenza d'appello che, a fronte dell'azione esercitata dal singolo condòmino onde ottenere lo sgombero delle parti comuni da mobilio e la rimozione della canna fumaria realizzata sulla sommità del fabbricato, aveva escluso che costituisse l'esercizio dell'azione giudiziaria fosse subordinato alla convocazione dell'assemblea condominiale, affermata viceversa dal giudice di primo grado).
Cass. civ. n. 10264/2023
In materia di comunione del diritto di proprietà, se per la natura del bene o per qualunque altra circostanza non ne sia possibile, ai sensi dell'art. 1102 c.c., un godimento diretto con pari uso da parte dei comproprietari, essi possono deliberarne l'uso indiretto e, in mancanza di tale deliberazione, il comproprietario, che da solo ha goduto del bene, deve corrispondere agli altri partecipanti alla comunione i frutti civili con decorrenza dalla data in cui gli perviene la richiesta di uso turnario o comunque di partecipazione al godimento da parte degli altri comunisti. (In applicazione del principio, la S.C. ha affermato che, in caso di separazione dei coniugi, l'indennità di occupazione della casa coniugale acquistata in regime di comunione legale non va corrisposta dalla data della separazione, ma da quella in cui il coniuge non occupante manifesti all'altro la richiesta di uso turnario o comunque la volontà di godimento dell'immobile.)
Cass. civ. n. 6338/2023
Il comproprietario può concedere in locazione la cosa comune nei limiti della propria quota ideale, dal momento che il potere di disporre di quest'ultima – assicurato a ciascun partecipante alla comunione dall'art. 1103 c.c. – non è limitato dalla disposizione di cui all'art 1105 c.c., la quale regola il potere di amministrazione della cosa comune nella sua interezza.
Cass. civ. n. 14120/2021
Il provvedimento di revoca giudiziaria dell'amministratore della comunione ordinaria ha natura di atto di volontaria giurisdizione, ex art. 1105, comma 4, c.c. - in ogni tempo suscettibile, pertanto, di revoca o modificazione, ma non ricorribile per cassazione, ex art. 111, comma 7, Cost., salvo che, travalicando i limiti per la propria emanazione, abbia risolto una controversia su diritti soggettivi - non essendo configurabile un diritto dell'amministratore medesimo alla prosecuzione dell'incarico e potendo eventuali pretese dello stesso, analogamente a quanto avviene in ambito condominiale, in ipotesi di dedotta insussistenza della giusta causa di revoca, trovare tutela in forma risarcitoria o per equivalente nella sede propria del giudizio di cognizione. (Nella specie, la S.C. ha dichiarato inammissibile il ricorso per cassazione proposto dall'amministratore giudiziario di un complesso immobiliare rispetto al decreto di revoca adottato, nei propri confronti, dalla Corte di appello, adìta in sede di reclamo ex art. 739 c.p.c.).
Cass. civ. n. 18038/2020
In tema di regolamentazione dell'uso della cosa comune, la previsione, ad opera dell'art. 1105, comma 4, c.c. del ricorso, da parte di ciascun partecipante, all'autorità giudiziaria per adottare gli opportuni provvedimenti in sede di volontaria giurisdizione (inclusi gli atti di conservazione), preclude al singolo partecipante alla comunione di rivolgersi al giudice, in sede contenziosa, per ottenere provvedimenti di gestione della "res", ai fini della sua amministrazione nei rapporti interni tra i comunisti; ne consegue che non è consentito il ricorso all'A.G. per ottenere determinazioni finalizzate al "migliore godimento" delle cose comuni, ovvero l'imposizione di un regolamento contenente norme circa l'uso delle stesse, spettando unicamente al gruppo l'espressione della volontà associativa di autorganizzazione contenente i futuri criteri di comportamento vincolanti per i partecipanti alla comunione. (Nella specie, la S.C. ha cassato la decisione di merito, che aveva proceduto, in sede contenziosa, alla determinazione giudiziale delle superfici delle mura perimetrali dell'androne, utilizzabili dai proprietari dei locali terranei del condominio per apporvi delle vetrine espositive). (Cassa con rinvio, CORTE D'APPELLO SALERNO, 14/01/2016).
Cass. civ. n. 29747/2017
L'assemblea dei partecipanti alla comunione ordinaria, diversamente da quanto stabilito per il condominio degli edifici, è validamente costituita mediante qualsiasi forma di convocazione purché idonea allo scopo, in quanto gli artt. 1105 e 1108 c.c. non prevedono l'assolvimento di particolari formalità, menzionando semplicemente la preventiva conoscenza dell'ordine del giorno e la decisione a maggioranza dei partecipanti. (Rigetta, CORTE D'APPELLO BOLOGNA, 21/05/2015).
Cass. civ. n. 1986/2016
Nel caso di acquisto di un immobile da parte di un soggetto, con denaro fornito da un terzo per spirito di liberalità, si configura una donazione indiretta, che si differenzia dalla simulazione giacché l'attribuzione gratuita viene attuata, quale effetto indiretto, con il negozio oneroso che corrisponde alla reale intenzione delle parti ed alla quale, pertanto, non si applicano i limiti alla prova testimoniale - in materia di contratti e simulazione - che valgono, invece, per il negozio tipico utilizzato allo scopo.
Cass. civ. n. 1650/2015
Ciascun comproprietario, in quanto titolare di un diritto che, sia pure nei limiti segnati dalla concorrenza dei diritti degli altri partecipanti, investe l'intera cosa comune (e non una sua frazione), è legittimato ad agire o resistere in giudizio per la tutela della stessa nei confronti dei terzi o di un singolo condomino, anche senza il consenso degli altri partecipanti.
Cass. civ. n. 11553/2013
In tema di tutela del diritto di comproprietà, qualora il partecipante alla comunione compia un atto di ordinaria amministrazione, anche consistente in un negozio giuridico o in un'azione giudiziale aventi tali finalità, come l'agire per finita locazione contro i conduttori della cosa comune, la presunzione del consenso degli altri che sussiste ai sensi dell'art. 1105, primo comma, c.c., può essere superata dimostrando l'esistenza del dissenso degli altri comunisti per una quota maggioritaria o eguale della comunione, senza che occorra che tale dissenso risulti espresso in una deliberazione a norma dell'art. 1105, secondo comma, c.c.
Cass. civ. n. 4616/2012
In tema di amministrazione della cosa comune, il decreto emesso ai sensi dell'art. 1105, quarto comma, c.c. ha natura di provvedimento di volontaria giurisdizione, che, essendo suscettibile di revoca e modifica ex art. 742 c.p.c., è privo del carattere di definitività e, quindi, non è impugnabile con ricorso per cassazione ex art. 111 Cost., a meno che il provvedimento, travalicando i limiti previsti per la sua emanazione, abbia risolto in sede di volontaria giurisdizione una controversia su diritti soggettivi. (Nella specie, il giudice di merito, atteso il disaccordo tra i comunisti, aveva nominato un amministratore affinché procurasse la condanna del locatario a rimuovere le opere abusive eseguite sugli immobili comuni; in applicazione dell'enunciato principio, la S.C., negando la consistenza di diritto soggettivo all'interesse di alcuni comunisti di ottenere la sanatoria degli illeciti edilizi, ne ha dichiarato inammissibile il ricorso).
Cass. civ. n. 11589/2010
Il recesso del concedente da un contratto di comodato o di precario di beni comuni è atto di amministrazione ordinaria, in quanto è una modalità di indiretto godimento della cosa comune, e, quindi, può essere esercitato anche da un comproprietario, a meno che tale iniziativa sia esclusa dalla maggioranza, la cui determinazione, vincolando la minoranza, esclude la legittimazione ad agire del comproprietario.
Cass. civ. n. 480/2009
Con riguardo alle domande di risoluzione del contratto di locazione e di condanna del conduttore al pagamento dei canoni, deve essere negata la legittimazione (attiva ) del comproprietario del bene locato pro parte dimidia, ove risulti l'espressa volontà contraria degli altri comproprietari (e sempre che il conflitto, non superabile con il criterio della maggioranza economica, non venga composto in sede giudiziale, a norma dell'art. 1105 c.c. ), considerato che, in detta situazione, resta superata la presunzione che il singolo comunista agisca con il consenso degli altri, e, quindi, cade il presupposto per il riconoscimento della sua abilitazione a compiere atti di utile gestione rientranti nell'ordinaria amministrazione della cosa comune.
Cass. civ. n. 26408/2008
L'assemblea dei partecipanti alla comunione ordinaria, diversamente da quanto stabilito per il condominio degli edifici, è validamente costituita mediante qualsiasi forma di convocazione purché idonea allo scopo, in quanto gli artt. 1105 e 1108 cod. civ non prevedono l'assolvimento di particolari formalità, menzionando semplicemente la preventiva conoscenza dell'ordine del giorno e la decisione a maggioranza dei partecipanti.
Cass. civ. n. 14759/2008
In tema di comunione, il potere di concorrere nell'amministrazione della cosa comune statuito dal primo comma dell'art. 1105 c.c. può, nei confronti dei terzi, indurre a ritenere che chi agisce per la comunione la rappresenti ma, per vincolare i comunisti agli atti non stipulati dalla maggioranza, occorre, in ogni caso, che gli stessi vi prestino consenso. Infatti, per gli atti di ordinaria amministrazione, tra cui quelli indicati dall'art. 374 c.c., poiché l'esercizio da parte del singolo della facoltà di amministrare la cosa comune può collidere con quello analogo degli altri, ai sensi del secondo comma della norma citata, la potestà di disporre spetta alla maggioranza delle quote, la cui volontà vincola la minoranza e, comunque, ciascun comunista, se ritiene di esserne pregiudicato, può ricorrere all'autorità giudiziaria, ai sensi del quarto comma del richiamato art. 1105 c.c., come nel caso in cui non si formi la volontà della maggioranza o non si deliberi sull'amministrazione della cosa comune.
Cass. civ. n. 16075/2007
L'art. 1105 c.c. che stabilisce le regole di amministrazione della cosa comune è applicabile, in forza del rinvio contenuto nell'art. 1139 c.c. in materia condominiale, solo nell'ipotesi di condominio minimo, costituito di due soli condomini. In tutte le altre ipotesi le deliberazioni condominiali vengono assunte mediante le modalità e le maggioranze indicate nell'art. 1136 c.c. e alla ripartizione delle spese urgenti, eseguite senza la preventiva autorizzazione assembleare, si applica l'art. 1134 c.c.
Cass. civ. n. 24052/2004
La mancata comunicazione dell'avviso di convocazione dell'assemblea di un consorzio atipico, di gestione di parti comuni poste al servizio di proprietà esclusive (nella specie, consorzio di urbanizzazione), ad uno dei partecipanti al consorzio, in quanto vizio del procedimento collegiale, comporta, non già la nullità, ma l'annullabilità della delibera che, ove non impugnata nei termine di trenta giorni (dalla comunicazione per i consorziati assenti e dalla approvazione per quelli dissenzienti), è valida ed efficace nei confronti di tutti i partecipanti al consorzio, in applicazione di un indirizzo, rinvenibile nella materia delle delibere delle assemblee condominiali, cui la materia delle delibere consortili è assimilabile, ed al quale il legislatore si è uniformato anche in materia societaria, che, invertendo i principi comuni di diritto negoziale, ha assunto la generalità dei casi di contrasto con la legge od il regolamento nella categoria dell'annullabilità, rimanendo pertanto confinata la nullità assoluta in casi nominati o residuali nella elaborazione giurisprudenziale. Ne consegue che, eccepita, in sede di opposizione a decreto ingiuntivo relativo al pagamento di contributi deliberati dall'assemblea consortile, la nullità della deliberazione per il mancato avviso di convocazione dell'assemblea stessa a tutti i consorziati, sulla decisione del giudice di pace che, giudicando secondo equità, rigetti la opposizione escludendo la radicale nullità della deliberazione e ritenendo che la eventuale illegittimità dell'assemblea si sarebbe dovuta far valere in via di impugnazione nel termine di trenta giorni, non può esercitarsi alcun sindacato di legittimità, circoscritto alla osservanza delle norme costituzionali e di quelle comunitarie, oltre che, in applicazione della sentenza della Corte costituzionale n. 206 del 2004, dei principi informatori della materia.
Cass. civ. n. 5889/2001
In materia di gestione condominiale il ricorso all'autorità giudiziaria ex art. 1105 c.c. presuppone ipotesi tutte riconducibili ad una situazione di assoluta inerzia in ordine alla concreta amministrazione della cosa comune per mancata assunzione dei provvedimenti necessari o per assenza di una maggioranza o per difetto di esecuzione della deliberazione adottata; detta norma non è, invece, applicabile quando l'assemblea condominiale abbia approvato dei lavori considerati necessari per la manutenzione delle parti comuni dell'edificio, contestati da taluni compartecipanti, in quanto l'intervento del giudice in tal caso si risolverebbe in un'ingerenza nella gestione condominiale ed in una sovrapposizione della volontà assembleare.
Cass. civ. n. 4133/2001
Non sussiste la violazione dell'art. 1102 c.c. se al condomino aspirante ad esser conduttore della cosa comune è preferito un terzo perché la predetta norma tutela l'uso diretto di ciascun condominio sulla medesima e non quello indiretto, come nel caso la maggioranza dei condomini, secondo il valore delle rispettive quote, deliberi di locare la cosa comune un terzo, ancorché a condizioni meno vantaggiose per il condominio rispetto a quelle offerte dal condomino, non essendovi il limite del pregiudizio agli interessi dei condomini, come invece per le innovazioni, al potere di scelta della maggioranza.
Cass. civ. n. 4131/2001
Quando non sia possibile l'uso diretto della cosa comune per tutti i partecipanti al condominio, proporzionalmente alla loro quota, promiscuamente ovvero con sistema di turni temporali o frazionamento degli spazi, i condomini possono deliberare l'uso indiretto della cosa comune, a maggioranza se è un atto di ordinaria amministrazione, come nel caso della locazione.
Cass. civ. n. 330/2001
Quando il potere dispositivo della cosa appartiene a più soggetti nella forma della comunione, tutti possono, rinunziando al godimento diretto, concederla in affitto a terzi ed anche a taluno soltanto dei contitolari che, in caso di affitto d'azienda, viene ad assumere l'esclusivo potere di gestione. Allo stesso modo, il condomino può concedere in affitto la propria quota.
Cass. civ. n. 14162/2000
In tema di comunione semplice — diversamente da quanto statuito per il condominio degli edifici — gli artt. 1105 e 1108 c.c. non prevedono la costituzione formale dell'assemblea, ma semplicemente la decisione a maggioranza dei partecipanti. Pertanto deve ritenersi regolarmente costituita e capace di deliberare, la riunione dei partecipanti alla comunione con la presenza dell'amministratore per decidere su oggetti di comune interesse.
Cass. civ. n. 3653/1998
Sui beni oggetto di comunione concorrono pari poteri gestori da parte di tutti i comproprietari, in virtù della presunzione, relativa, che ognuno di essi operi con il consenso degli altri, con la conseguenza che il singolo condomino può stipulare contratti aventi ad oggetto il godimento del bene comune.
Cass. civ. n. 7613/1997
L'inerzia dell'amministratore nel compimento di un atto di ordinaria amministrazione non legittima il singolo condomino a rivolgersi all'autorità giudiziaria in sede contenziosa senza avere, in precedenza, provocato la convocazione dell'assemblea condominiale. La mancata convocazione dell'organo assembleare, la mancata formazione di una volontà maggioritaria, la adozione di una delibera poi ineseguita legittimano, per l'effetto, il condomino ad agire non in sede contenziosa bensì di volontaria giurisdizione, giusto disposto dell'art. 1105 c.c. (mentre la deliberazione di maggioranza risulterà impugnabile in via contenziosa nelle sole ipotesi di lesione di diritti individuali dei partecipanti dissenzienti, ovvero di violazione di legge o del regolamento condominiale), non rilevando, in contrario, la disposizione di cui all'art. 1133 c.c. (a mente della quale il ricorso avverso i provvedimento dell'amministratore, per il singolo condomino, è proponibile, oltreché all'assemblea, anche all'autorità giudiziaria), poiché detta norma delimita la possibilità di esercizio della ivi prevista facoltà ai casi espressamente stabiliti nel successivo art. 1137 (ostativo, per l'autorità giudiziaria, all'esercizio di qualsivoglia sindacato di merito sulle deliberazioni dell'assemblea), escludendo, pertanto, che il giudice possa, in sede contenziosa, sopperire all'inerzia dell'amministratore nel compimento di atti di ordinaria amministrazione.
Cass. civ. n. 7457/1997
Il singolo condomino può agire per la risoluzione del contratto di affitto salvo che risulti la volontà contraria degli altri condomini, nel qual caso la sua carenza di legittimazione attiva deve essere rilevata dal giudice anche d'ufficio.
Cass. civ. n. 3831/1996
Il singolo condomino può locare la cosa comune senza necessità di espresso assenso degli altri condomini trattandosi di un atto di ordinaria amministrazione che si presume fino a prova contraria compiuto nell'interesse di tutti e può del pari domandare la risoluzione del contratto senza necessità di integrare il contraddittorio nei confronti degli altri condomini. Tuttavia, nel caso di dissenso dei due soli condomini circa l'opportunità di promuovere o coltivare il giudizio di risoluzione contrattuale, essendo esclusa la possibilità della formazione della maggioranza ed essendo altresì esclusa ogni presunzione di consenso o di utile gestione, è necessario il preventivo intervento dell'autorità giudiziaria a norma dell'art. 1105 c.c.
Cass. civ. n. 12241/1995
La realizzabilità giuridica dell'intenzione, posta dal locatore a fondamento del diniego di rinnovo, di adibire l'immobile all'esercizio di attività di ristorante non trova ostacolo nel dissenso di alcuni comproprietari dell'immobile stesso, atteso che, integrando la gestione di detta attività un atto di ordinaria amministrazione, non è necessario il consenso di tutti i partecipanti alla comunione, ma è sufficiente quello della maggioranza di essi.
Cass. civ. n. 9113/1995
Sugli immobili oggetto di comunione concorrono, in difetto di prova contraria, pari poteri gestori da parte di tutti i comproprietari, in virtù della presunzione che ognuno di essi operi con il consenso degli altri. Ne consegue che il singolo condomino può stipulare il contratto di locazione avente ad oggetto l'immobile in comunione e che un condomino diverso quello che ha assunto la veste di locatore è legittimato ad agire per il rilascio del bene stesso (senza che sia necessaria l'integrazione del contraddittorio nei confronti degli altri condomini), purché non risulti l'espressa ed insuperabile volontà contraria degli altri comproprietari, la quale fa venire meno il presunto consenso della maggioranza.
Cass. civ. n. 8085/1995
Il potere di ogni condomino di agire per la gestione ordinaria della cosa comune, traendo origine dal diritto di concorrere all'amministrazione di tale bene (art. 1105 c.c.), incontra il suo limite nell'obbligo di rispettare la volontà della maggioranza. Pertanto, allorché un immobile locato appartenga ad una molteplicità di condomini e dagli stessi sia congiuntamente stipulato il relativo contratto, è la maggioranza dei condomini a stabilire circa l'amministrazione ed il godimento della cosa comune e, quindi, della possibilità e volontà di disdire e far cessare, alla scadenza contrattuale, il contratto di locazione, anche in contrasto con la minoranza dissenziente.
Cass. civ. n. 4005/1995
Con riguardo ad un procedimento di sfratto per finita locazione relativo ad un immobile in comproprietà, ciascun comproprietario — quale titolare del diritto di concorrere alla gestione ordinaria del bene, con il solo limite del rispetto della volontà della maggioranza — è legittimato ad agire in giudizio, nella presunzione del consenso degli altri alla proposizione dell'azione, salva la possibilità per i comproprietari che rappresentino una quota maggioritaria di opporsi all'azione medesima. Nel caso in cui siano i comproprietari rappresentanti una quota maggioritaria ad agire in giudizio, un eventuale loro interesse personale al rilascio dell'immobile (nella specie, ai fini dell'utilizzazione di esso in proprio) non vale a trasformare la domanda giudiziale in un atto eccedente l'ordinaria amministrazione, atteso che il suddetto interesse non «qualifica» l'atto di gestione, inerendo alla successiva utilizzazione del bene, peraltro rimessa alla determinazione anche degli altri comproprietari e comunque non realizzabile senza un corrispondente vantaggio di tutti.
Cass. civ. n. 10575/1994
L'art. 1105 c.c. prevede il ricorso all'A.G., che provvede in camera di consiglio, nell'ipotesi in cui la deliberazione dei partecipanti alla comunione relativa all'amministrazione della cosa comune non venga eseguita dagli stessi partecipanti, ovvero dall'amministratore nel caso in cui questo sia stato nominato. È inammissibile, pertanto, il ricorso alla procedura anzidetta per la declaratoria di esecutività della deliberazione (che integra un atto negoziale privato) nei confronti di soggetti estranei alla comunione medesima.
Cass. civ. n. 11431/1993
I decreti emessi dal giudice ordinario, anche in sede di reclamo, in ordine ai provvedimenti necessari per l'amministrazione della cosa comune a norma dell'art. 1105 ultimo comma c.c. hanno natura di provvedimenti di volontaria giurisdizione, come tali suscettibili in ogni tempo di revoca o di modificazione, a norma dell'art. 742 c.p.c. Essi, pertanto, non sono impugnabili con il ricorso per cassazione ex art. 111 Cost.
Cass. civ. n. 10732/1993
In tema di cessazione, recesso o risoluzione di contratti aventi ad oggetto l'utilizzazione economica dell'immobile oggetto di comunione (allorché questa si esprima sul piano negoziale con i terzi, nel suo aspetto esterno e dinamico, ma difetti di un organo titolare del potere deliberativo, come l'assemblea), vige il principio della concorrenza dei pari poteri gestori in tutti i comproprietari, in forza del quale ciascuno di essi — anche in presenza di un organo rappresentativo unitario — è legittimato ad agire, anche in giudizio — e senza che sia all'uopo necessaria una autorizzazione, ai sensi e per gli effetti di cui all'art. 5 c.p.c., degli altri compartecipi, contro chi pretenda di avere un diritto di godimento sul bene, e ciò indipendentemente dall'operatività dell'istituto della negotiorum gestio, bensì sulla base della comunanza di interessi tra tutti i partecipanti alla comunione e della conseguente presunzione di un loro consenso all'iniziativa volta alla tutela di detti interessati, salvo che si deduca e si dimostri, a superamento di tale presunzione, il dissenso della maggioranza dei partecipanti stessi.
Cass. civ. n. 8110/1991
Anche quando venga pronunciata risoluzione del contratto di locazione avente ad oggetto un bene comune locato ad uno dei proprietari per inadempimento del conduttore, questo — avendo diritto al godimento dello stesso in proporzione della sua quota — non può essere condannato al rilascio del bene medesimo all'altro comproprietario, restando invece ai comunisti di disciplinare l'ordinaria amministrazione della cosa comune senza privare alcuno dei contitolari del bene delle sue facoltà di godimento e così eventualmente di ricorrere, in caso di persistente disaccordo, all'autorità giudiziaria, ai sensi dell'art. 1105, ultimo comma, c.c., per la nomina di un amministratore.