Art. 151 – Codice di procedura civile – Forme di notificazione ordinate dal giudice
Il giudice può prescrivere, anche d'ufficio, con decreto steso in calce all'atto, che la notificazione sia eseguita in modo diverso da quello stabilito dalla legge, e anche per mezzo di telegramma collazionato con avviso di ricevimento quando lo consigliano circostanze particolari o esigenze di maggiore celerità, di riservatezza o di tutela della dignità.
Le parole ricomprese fra parentesi quadre sono state abrogate.
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Massime correlate
Cass. civ. n. 24806/2024
La pendenza del giudizio d'appello relativo all'accertamento del proprio credito non esonera il creditore dal richiederne l'insinuazione al passivo del sopravvenuto fallimento del debitore, nel rispetto dei termini fissati dalla legge, posto che la domanda d'insinuazione è atto proprio del creditore anche in caso di pronuncia favorevole in primo grado, non rinvenendosi alcun fondamento normativo per lo spostamento, in tale ipotesi, dell'onere in capo al curatore.
Cass. civ. n. 22294/2024
Le reiterate violenze fisiche e morali, inflitte da un coniuge all'altro, costituiscono violazioni talmente gravi dei doveri nascenti dal matrimonio da fondare, di per sé, non solo la pronuncia di separazione personale, in quanto cause determinanti la intollerabilità della convivenza, ma anche la dichiarazione della sua addebitabilità al loro autore; ne consegue che il loro accertamento esonera il giudice del merito dal dovere di procedere alla comparazione, ai fini dell'adozione delle relative pronunce, col comportamento del coniuge che sia vittima delle violenze, trattandosi di atti che, in ragione della loro estrema gravità, sono comparabili solo con comportamenti omogenei. (In applicazione del detto principio, la S.C. ha confermato la sentenza impugnata che aveva ritenuto che le condotte violente e maltrattanti del marito erano state la causa scatenante dell'irreversibilità della crisi coniugale, non assumendo rilievo che il giudizio penale per il reato di maltrattamenti si fosse concluso conclusosi con l'assoluzione del ricorrente).
Cass. civ. n. 17106/2024
Il direttore dei lavori è responsabile a titolo di colpa del crollo di costruzioni anche nel caso di assenza dal cantiere, dovendo esercitare un'oculata attività di vigilanza sulla regolare esecuzione delle opere edilizie ed adottare, ove necessario, le dovute precauzioni d'ordine tecnico, ovvero scindere immediatamente la propria posizione di garanzia da quella dell'esecutore dei lavori, mediante la rinunzia all'incarico ricevuto. (Fattispecie in tema di disastro colposo, in cui la Corte ha ritenuto immune da censure la decisione che aveva affermato la penale responsabilità del direttore dei lavori per aver consentito che la demolizione di un edificio fosse eseguita in assenza di un programma e con modalità divergenti dalle "leges artis" e dalle regole della buona tecnica nella "subiecta materia").
Cass. civ. n. 11032/2024
In tema di separazione personale dei coniugi, l'allontanamento dalla casa familiare, costituendo violazione del dovere di coabitazione, è motivo di addebito solo ove abbia assunto efficacia causale nella determinazione della crisi coniugale, non avendo invece rilievo in caso di preesistente intollerabilità della convivenza, anche per una sola persona della coppia, con conseguente declino dei reciproci diritti e doveri matrimoniali. (Nella specie, la S.C. ha confermato la decisione di merito che aveva rigettato la domanda di addebito, dando rilievo ad una missiva in cui la moglie, prima del suo allontanamento dalla casa coniugale, aveva manifestato la volontà di separarsi).
Cass. civ. n. 2321/2024
Non integra un accordo integrativo del provvedimento amministrativo, ai sensi dell'art. 11 della l. n. 241 del 1990, il contratto intercorso tra gestore e utente del servizio idrico integrato che, accedendo al provvedimento che autorizzi quest'ultimo allo scarico di acque reflue industriali, regoli il corrispettivo del servizio medesimo.
Cass. civ. n. 34728/2023
coniuge - Cessazione per intervenuta instaurazione di rapporto di fatto o di comune progetto di vita con nuovo partner - Onere della prova - A carico dell’obbligato - Contenuto. In tema di crisi familiare, il diritto all'assegno di mantenimento viene meno ove, durante lo stato di separazione, il coniuge avente diritto instauri un rapporto di fatto con un nuovo partner, che si traduca in una stabile e continuativa convivenza, ovvero, in difetto di coabitazione, in un comune progetto di vita connotato dalla spontanea adozione dello stesso modello solidale che connota il matrimonio, con onere della prova a carico del coniuge tenuto a corrispondere l'assegno; ne consegue che la stabilità e la continuità della convivenza può essere presunta, salvo prova contraria, se le risorse economiche sono state messe in comune, mentre, ove difetti la coabitazione, la prova relativa all'assistenza morale e materiale tra i partner dovrà essere rigorosa.
Cass. civ. n. 10711/2023
In tema di separazione dei coniugi, ove uno di essi sia affetto da una patologia psichiatrica che non comporti un'effettiva incapacità di intendere e volere, il giudice, ai fini della pronunzia di addebito, non è esonerato dalla verifica e valutazione dei comportamenti coniugali allo scopo di accertare l'eventuale violazione dei doveri di cui all'art. 143 c.c. e la loro efficacia causale nella crisi coniugale.
Cass. civ. n. 20078/2008
La notifica del ricorso ex art. 28 della legge n. 300 del 1970, e dell'unito decreto di convocazione delle parti, mediante utilizzo del fax previa autorizzazione del giudice ai sensi dell'art. 151 c.p.c., effettuato ad opera del procuratore del ricorrente, trova giustificazione nelle esigenze di particolare celerità che caratterizzano il procedimento di repressione della condotta antisindacale, prevedendo la norma che il giudice decida nei due giorni successivi «convocate le parti » (e, quindi, nel rispetto dell'imprescindibile garanzia del contraddittorio ) ; conseguentemente, l'idoneità delle modalità di convocazione non specificamente stabilite dalla norma va valutata in funzione dell'effettiva attitudine a consentire la conoscenza del procedimento e il rispetto del diritto di difesa, dovendosi altresì escludere attesa la prescrizione di cui all'art. 137 c.p.c., che, nel prevedere che le notifiche siano effettuate dall'ufficiale giudiziario, fa salva l'ipotesi che sia disposto altrimenti la necessità di ricorrere all'ufficiale giudiziario.
Cass. civ. n. 14570/2007
Le ambasciate sono organi esterni dello Stato cui appartengono ed i loro titolari hanno la funzione di rappresentare ad ogni effetto ed in ogni campo, compreso quello privatistico, il proprio Stato presso quello straniero dove sono accreditati, con la conseguenza che l'ambasciatore è legittimato, in quanto tale, a rappresentare il proprio Stato nei giudizi in cui questo sia parte senza bisogno di alcun atto autorizzativo particolare. Ciò non esclude che l'attore possa citare in giudizio direttamente lo Stato rappresentato, e non l'ambasciatore, provvedendo alla notificazione della citazione e della sentenza direttamente all'organo che lo rappresenta; peraltro, la presenza dell'ambasciatore nello stesso luogo del giudice adito costituisce fatto notorio che esclude, di regola, la sussistenza di «circostanze particolari o esigenze di maggiore celerità» che giustificano la notificazione ai sensi dell'art. 151 c.p.c.
Cass. civ. n. 13868/2002
In tema di forme di notificazione autorizzate dal giudice, l'art. 151 c.p.c, applicabile, data la sua formulazione, anche alla notificazione degli atti di parte, lascia al giudice un'ampia libertà di apprezzamento in ordine alla individuazione dei presupposti per la sua applicazione e alla concreta determinazione delle modalità di notificazione, anche se tale libertà non è illimitata, dovendo le modalità prescelte essere pur sempre tali da non compromettere il diritto di difesa, tutelato dall'art. 24 come «inviolabile» in ogni stato e grado del processo. (Nella fattispecie, la Suprema Corte ha ritenuto legittima la notificazione del decreto di sequestro conservativo e della citazione per la convalida, eseguita all'estero per sunto e in sola lingua italiana entro il termine di quindici giorni stabilito dall'allora vigente art. 680 c.p.c. e seguita, poi, dalla notificazione secondo le forme ordinarie).