Art. 180 – Codice di procedura civile – Forma di trattazione
La trattazione della causa è orale. Della trattazione della causa si redige processo verbale.
Le parole ricomprese fra parentesi quadre sono state abrogate.
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Massime correlate
Cass. civ. n. 18274/2020
In tema di processo civile, la causa separata è mera prosecuzione della causa da cui origina e, quindi, le eccezioni fatte in quest'ultima valgono anche per l'altra; ne consegue che la tempestività dell'eccezione di prescrizione è rispettata se essa è contenuta nella comparsa di costituzione e risposta depositata nel giudizio originario, non occorrendo una reiterazione di tale eccezione in quello separato nei termini di cui all'art. 180 c.p.c. (Cassa con rinvio, CORTE D'APPELLO ROMA, 05/10/2018).
Cass. civ. n. 6009/2020
Il giudice di merito, anche quando ritenga che la domanda di usucapione formulata dal convenuto in via riconvenzionale sia per qualsiasi motivo inammissibile , non può esimersi dall'esaminare il relativo tema "sub specie" di eccezione, essendo a tale riguardo sufficiente che quest'ultima sia stata sollevata nei termini previsti dal codice di procedura. (Cassa con rinvio, CORTE D'APPELLO PALERMO, 18/05/2018).
Cass. civ. n. 20147/2013
Non essendo la prescrizione rilevabile di ufficio, la relativa eccezione deve essere sollevata con la comparsa di costituzione e risposta o, comunque, entro il termine assegnato ai sensi dell'art. 180, comma secondo, cod. proc. civ., nel testo di cui alla legge 26 novembre 1990, n. 353, vigente fino al 1° marzo 2006 ed applicabile "ratione temporis". (Cassa con rinvio, App. Salerno, 30/11/2006).
Cass. civ. n. 15690/2010
Qualora il giudizio venga promosso contro alcuni soltanto dei litisconsorti necessari, a norma dell'art. 102, secondo comma, c.p.c. il giudice deve ordinare l'integrazione del contraddittorio in un termine perentorio da lui stabilito, non solo all'udienza di prima comparizione, come previsto dall'art. 180, primo comma, c.c., ma anche nel corso del giudizio e, quindi, anche quando la non integrità del contraddittorio venga rilevata in sede di decisione della causa. Ne consegue che è errata la sentenza con la quale il giudicante, rilevata la non integrazione del contraddittorio, ne faccia discendere l'inammissibilità della domanda, anziché l'adozione del provvedimento ordinatorio imposto dall'art. 102, secondo comma, c.p.c..
Cass. civ. n. 12832/2009
A differenza del difetto di legittimazione passiva - rilevabile d'ufficio in ogni stato e grado del giudizio, salvo il limite del giudicato eventualmente formatosi - l'effettiva titolarità attiva del rapporto giuridico attiene al merito della controversia e il suo difetto, non rilevabile d'ufficio dal giudice, è rimesso al potere dispositivo delle parti, le quali sono tenute a dedurlo nei tempi e modi previsti per le eccezioni di parte; ne consegue che, nel giudizio di risarcimento dei danni, l'eccezione relativa alla titolarità del diritto di comproprietà del bene danneggiato deve essere sollevata - nella vigenza del sistema novellato dalla legge n. 353 del 1990, "ratione temporis" applicabile - nel termine assegnato dal giudice per la proposizione, da parte del convenuto, delle eccezioni non rilevabili d'ufficio. (Nella specie, la S.C. ha confermato la sentenza di merito che aveva ritenuto tardiva, e quindi inammissibile, la menzionata eccezione, sollevata per la prima volta in sede di precisazione delle conclusioni nel giudizio di primo grado e poi ribadita in appello).
Cass. civ. n. 7556/2009
Il giudice può rimettere la causa in decisione, quando non ritenga necessaria l'assunzione di mezzi di prova (art. 187, primo comma, cod. proc. civ.), non soltanto alla prima udienza di trattazione (art. 183 cod. proc. civ.), ma anche, come risulta dall'articolo 80-bis disp. att. cod. proc. civ., all'udienza di prima comparizione di cui all'art. 180 cod. proc. civ. - nella formulazione precedente le modifiche apportate dal d.l. 14 marzo 2005, n. 35, conv. nella legge 14 maggio 2005, n. 80 -, non configurandosi in tal caso una lesione del diritto di difesa, soprattutto se la parte convenuta (come nella specie) abbia rinunciato ad avvalersi del termine di cui al secondo comma del medesimo art. 180 cod. proc. civ.. (Rigetta, Trib. Castrovillari, 23/02/2005).
Cass. civ. n. 23051/2007
In tema di separazione tra i coniugi, l'atto di costituzione davanti al giudice istruttore segna il momento in cui si verificano le preclusioni e le decadenze previste a carico del convenuto dagli artt. 166 e 167 c.p.c.; ne consegue la legittimità della valutazione complessiva degli atti acquisiti al procedimento fino a quel momento, al fine di interpretare e qualificare la domanda. (Nella specie, la S.C. ha ritenuto tempestiva la richiesta di un coniuge volta ad ottenere un contributo al proprio mantenimento, pur non formulata espressamente nella memoria di costituzione in fase presidenziale, ma comunque desumibile dal contenuto sostanziale della pretesa e dalle precisazioni formulate in corso di giudizio fino al limite indicato).
Cass. civ. n. 4448/2007
In tema di udienza di prima comparizione, la mancata concessione da parte del giudice dei termini di cui agli articoli 180, 183 e 184 cod. proc. civ. (secondo la formulazione successiva alle norme modificative del d.l. 18 ottobre 1995 n.432 conv. nella legge 20 dicembre 1995 n.534, e prima delle modifiche apportate dalla legge 14 maggio 2005 n.80, oltre che dalla legge 28 dicembre 2005 n.263), non comporta né la nullità della sentenza di primo grado né la regressione della causa ai sensi dell'articolo 354 cod. proc. civ., stante la tassatività delle ipotesi da quest'ultimo previste che non ricomprendono quella della asserita violazione delle suddette disposizioni del codice di procedura civile. Ne consegue che, essendo le norme che regolano la sequenza delle udienze di cui agli articoli 180 e 183 cod. proc. civ. poste a tutela del diritto di difesa delle parti ed avendo natura inderogabile, qualora il giudice di appello ravvisi un vizio del procedimento consistente nella mancata assegnazione al convenuto del termine di cui all'articolo 180 cod. proc. civ., è tenuto soltanto a rimettere in termini le parti per l'esercizio delle attività deduttive ed istruttorie non potute esercitare in primo grado. (Rigetta, App. Torino, 20 dicembre 2002).
Cass. civ. n. 7653/2007
I procedimenti di separazione giudiziale e di scioglimento del matrimonio sono contenziosi anche nella fase iniziale e conseguentemente l'udienza presidenziale di comparizione dei coniugi, avente il solo scopo di dare corso al tentativo di conciliazione e, in caso di esito negativo, di adottare i provvedimenti temporanei ed urgenti e fissare l'udienza dinanzi al giudice nominato per il prosieguo del giudizio, non è assimilabile all'udienza prevista dall'art. 180 c.p.c. Ne consegue che, riguardo ai termini per la costituzione del coniuge convenuto e a quelli di decadenza dello stesso per la formulazione delle domande riconvenzionali, quale udienza di prima comparizione, rilevante ai sensi dell'art. 180 c.p.c. e degli artt. 166, 167 c.p.c., deve intendersi esclusivamente quella che si svolge avanti al giudice nominato all'esito della fase presidenziale, fermo restando la ritualità della domanda riconvenzionale relativa all'assegno divorzile già proposta con la comparsa di risposta dinanzi al Presidente del tribunale.
Cass. civ. n. 2625/2006
In tema di separazione tra coniugi, alla natura fin dall'origine contenziosa del procedimento non si accompagna la configurabilità dell'udienza presidenziale di comparizione dei coniugi in termini corrispondenti (nel caso di fallimento del tentativo di conciliazione) a quelli dell'udienza prevista dall'art. 180 cod. proc. civ.: sicchè, a tutti i fini che concernono i termini per la costituzione del coniuge convenuto e la decadenza dello stesso dalla formulazione delle domande riconvenzionali, deve intendersi quale udienza di prima comparizione, rilevante ai sensi dell'art. 180 cod. proc. civ. e degli artt. 166 e 167 cod. proc. civ., esclusivamente quella innanzi al giudice istruttore nominato all'esito della fase presidenziale.
Cass. civ. n. 8938/2006
Le norme con le quali la legge 20 dicembre 1995, n. 534, modificando gli artt. 180 e 183 cod. proc. civ. (nel testo risultante prima delle ulteriori modifiche apportate con il d.l. 14 marzo 2005, n. 35, convertito dalla legge 14 maggio 2005, n. 80, oltre che dalla legge 28 dicembre 2005, n. 263), ha previsto che il giudice istruttore fissi, d'ufficio o su richiesta delle parti, termini per l'esercizio di determinate attività difensive sono solo tendenzialmente inderogabili, sicché il vizio del procedimento consistente nella mancata assegnazione del termine risulta sanato in ragione del fatto che tra l'udienza di prima comparizione e quella di trattazione, quanto al termine previsto dal secondo comma dell'art. 180, ovvero tra la prima udienza di trattazione e la successiva, con riguardo al termine di cui all'ultimo comma dell'art. 183, siano trascorsi, rispettivamente, almeno i venti o i trenta giorni previsti, così da restare escluso che l'attività difensiva per la quale il termine è stato stabilito possa essere svolta oltre l'intervallo tra l'una e l'altra udienza. (Rigetta, App. Milano, 12 aprile 2002).
Cass. civ. n. 15514/2006
Il regime delle preclusioni introdotto nel processo ordinario di cognizione dalla L. 26 novembre 1990, n. 353 è rivolto a tutela non solo dell'interesse di parte, ma anche dell'interesse pubblico al corretto e celere andamento del processo. La decadenza per il mancato rispetto del termine perentorio di cui all'art. 180, comma 2, c.p.c., per la proposizione delle eccezioni processuali e di merito, pertanto, deve essere rilevata d'ufficio dal giudice, indipendentemente dall'atteggiamento processuale della controparte al riguardo.
Cass. civ. n. 11318/2005
Le norme mediante le quali la legge 20 dicembre 1995, n. 534 (di conversione del decreto legge 18 ottobre 1995, n. 432) ha regolato la sequenza delle udienze di cui agli artt. 180 e 183 c.p.c. sono poste a tutela del diritto di difesa delle parti ed hanno natura tendenzialmente inderogabile, onde, all'esito della udienza di prima comparizione, il giudice deve, d'ufficio, fissare l'udienza di trattazione e assegnare al convenuto, senza necessità di una sua istanza, il termine perentorio (non inferiore a venti giorni prima di tale udienza) per la proposizione delle eccezioni processuali e di merito che non siano rilevabili d'ufficio (tra cui rientra, "ex" art. 2938 c.c., quella di prescrizione), salvo contrario accordo delle parti o espressa rinuncia al detto termine ad opera del medesimo convenuto. Peraltro, il vizio del procedimento consistente nella mancata assegnazione a quest'ultimo dell'indicato termine, di cui al secondo comma dell'art. 180 c.p.c., risulta sanato in ragione del fatto che tra l'udienza di prima comparizione e quella di trattazione siano intercorsi almeno i venti giorni richiesti dalla legge, così da restare escluso che le suindicate eccezioni possano essere sollevate nella prima udienza di trattazione o, addirittura, in una udienza a questa successiva, dovendo esse invece essere proposte, al più tardi, nell'intervallo tra l'udienza di prima comparizione, "ex" art. 180 c.p.c., e quella di trattazione, "ex" art. 183 c.p.c..
Cass. civ. n. 12314/2004
Ai sensi dell'art. 167 c.p.c., così come modificato dall'art. 3 D.L. 21 giugno 1995 n. 238, reiterato e convertito in legge 20 dicembre 1995, n. 534, il convenuto che si costituisce tardivamente decade dalla facoltà di proporre domande riconvenzionali, ma non le eccezioni; tuttavia, quanto alle eccezioni processuali e di merito non rilevabili d'ufficio, vige pur sempre il termine perentorio di cui all'art. 180 c.p.c., secondo comma, del pari introdotto dal D.L. n. 238 del 1995 (art. 4), onde siffatte eccezioni possono essere proposte, al più tardi, nell'intervallo tra l'udienza di prima comparizione ex art. 180 c.p.c. cit. e quella di trattazione ex art. 183 c.p.c., ovvero nel termine appositamente stabilito dal giudice istruttore (il quale, all'esito dell'udienza di prima comparizione, deve fissare d'ufficio l'udienza di trattazione ed assegnare al convenuto, senza necessità di una sua istanza, il termine perentorio non inferiore a venti giorni prima di quest'ultima udienza per proporre le eccezioni in questione, salvo contrario accordo delle parti o espressa rinuncia al detto termine ad opera del medesimo convenuto, laddove, nel caso in cui quest'ultimo sia contumace, la cadenza delle udienze, con fissazione del termine, è indefettibile, potendo tuttavia la nullità connessa alla mancanza di tale fissazione venire sanata in ragione del fatto che tra l'udienza di prima comparizione e quella di trattazione siano intercorsi almeno i venti giorni richiesti dalla legge), così da restare escluso che le suindicate eccezioni possano essere sollevate nella prima udienza di trattazione o in una udienza a questa successiva.
Cass. civ. n. 12389/2004
Nel processo civile riformato dalla legge 26 novembre 1990, n. 353, e successive modificazioni, è da escludere l'applicabilità in appello della nuova disciplina sullo sdoppiamento della prima udienza dettata dall'art. 180 c.p.c., secondo comma, per il giudizio di primo grado in funzione dell'esigenza di rendere graduale il calare delle preclusioni, sicché il giudice d'appello può provvedere già in prima udienza, esauriti gli incombenti preliminari ad attività di trattazione e, qualora ritenga la causa matura per la decisione, può invitare le parti a precisare le conclusioni senza che sia necessaria la fissazione di una nuova udienza. Una tale lettura del sistema riceve ulteriori ragioni di conferma dalla nuova formulazione dell'art. 111 Cost., segnatamente nella prospettiva del principio della ragionevole durata, nella cui ottica può ritenersi ancor più accentuato il potere del giudice di concludere celermente le fasi prodromiche del processo, quando non sussista in concreto alcun ragionevole motivo per protrarre ulteriormente il giudizio finale.
Cass. civ. n. 16993/2004
Le norme che disciplinano la sequenza procedimentale risultante dal combinato disposto degli artt. 180 - 183 c.p.c. hanno natura essenzialmente inderogabile, essendo poste a tutela del diritto delle parti, sicché, all'esito della prima udienza di comparizione, il giudice deve fissare, d'ufficio, l'udienza di trattazione, con assegnazione di un termine al convenuto per la proposizione delle eccezioni in senso stretto, sempre che non vi sia accordo in senso contrario delle parti, e sempre che il convenuto non abbia espressamente rinunziato alla concessione del detto termine. Posto, peraltro, che la scansione procedimentale "de qua" non è riconducibile a ragioni di ordine pubblico, ma è piuttosto volta ad assicurare alle parti l'esercizio del diritto di difesa in un contesto di "parità delle armi", l'inderogabilità del regime delle preclusioni che ne risulta va applicato esclusivamente con riferimento a quelle già verificatesi - per le quali non è neanche logicamente possibile configurare deroghe o sanatorie, - mentre, per quelle non ancora verificatesi, ben può l'accordo delle parti - o la rinuncia a facoltà processuale da parte di una di esse consentire la disposizione dello schema delineato dal legislatore, predicativo di una inderogabilità soltanto tendenziale della sequenza delle udienze di cui agli artt. 180 - 183 c.p.c.. A tanto consegue che, dopo l'udienza di prima comparizione, deve ritenersi legittima, da parte del giudice istruttore, la immediata fissazione dell'udienza di precisazione delle conclusioni (omessa la fissazione e celebrazione di quella intermedia di trattazione), ove manchi (come nella specie) qualsivoglia richiesta di assegnazione del termine di cui all'art. 180 c.p.c., ed in assenza, altresì, di richieste istruttorie nelle successive udienze di rinvio del procedimento, dovute esclusivamente alla pendenza di trattative di bonario componimento.
Cass. civ. n. 20592/2004
Le norme con le quali la legge 20 dicembre 1995, n. 534 ha regolato la sequenza delle udienze di cui agli articoli 180 e 183 cod. proc. civ. sono poste a tutela del diritto di difesa delle parti e hanno natura tendenzialmente inderogabile; tuttavia le parti possono rinunziare ad avvalersi del rinvio dall'udienza di prima comparizione a quella di trattazione senza che il giudice sia tenuto, comunque, a fissare l'udienza ex art. 183 cod. proc. civ., atteso che lo sdoppiamento non è riconducibile a ragioni di ordine pubblico del procedimento. Peraltro qualora il giudice d'appello ravvisi il vizio del procedimento consistente nell'omessa assegnazione al convenuto del termine di cui all'art. 180 cod. proc. civ., non vertendosi in una delle ipotesi previste dall'art. 354 cod. proc. civ., il giudice medesimo è tenuto soltanto a rimettere in termini le parti per l'esercizio delle attività deduttive e istruttorie non potute esercitare in primo grado. (Nella specie la Suprema Corte ha respinto la relativa doglianza rilevando: a) che era stato l'attore, ricorrente per cassazione, in sede di udienza di prima comparizione a sollecitare l'immediata decisione della causa sul presupposto che la domanda fosse documentalmente provata, rinunziando in tal modo ad avvalersi della possibilità di rinviare la causa per eventuali richieste istruttorie; b) che in sede di gravame non aveva proposto alcuna istanza di rimessione in termini nè dedotto alcuna prova).
Cass. civ. n. 1177/2002
Tra le eccezioni processuali non rilevabili d'ufficio, suscettive di essere dedotte dal convenuto con la memoria di cui all'art. 180, comma 2, c.p.c., non può essere ricompresa l'eccezione di incompetenza per territorio nei casi diversi da quelli indicati nell'art. 28 c.p.c., posto che tale eccezione, in ragione della espressa e specifica previsione dettata dall'art. 38, comma 2, c.p.c., deve essere formulata, a pena di decadenza, nella comparsa di riposta nel rispetto dei termini previsti per il deposito di tale atto dall'art. 166 dello stesso codice.