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Articolo 329 Codice di procedura civile — Acquiescenza totale o parziale

Articolo 329 Codice di procedura civile — Acquiescenza totale o parziale

Salvi i casi di cui ai numeri 1, 2, 3 e 6 dell’articolo 395, l’acquiescenza risultante da accettazione espressa o da atti incompatibili con la volontà di avvalersi delle impugnazioni ammesse dalla legge ne esclude la proponibilità.

L’impugnazione parziale importa acquiescenza alle parti della sentenza non impugnate.

L’eventuale comma dell’articolo ricompreso fra parentesi quadre è stato abrogato.

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Aggiornato al 1 gennaio 2020
Il testo riportato è reso disponibile agli utenti al solo scopo informativo. Pertanto, unico testo ufficiale e definitivo è quello pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale Italiana che prevale in casi di discordanza rispetto al presente.
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Massime correlate

Cass. civ. n. 13780/2017

Nel caso di sentenza di condanna al pagamento di un debito pecuniario, oltre interessi e rivalutazione, qualora l’appello del soccombente, pur investendo la pronuncia nella sua interezza, contenga specifici motivi solo sulla sussistenza del debito e nessuno, neppure subordinato, sulle dette statuizioni accessorie, al giudice del gravame è inibito il riesame di queste ultime, rispetto alle quali, per effetto dell’indicata delimitazione delle ragioni della impugnazione, deve ritenersi vi sia stata acquiescenza dell’appellante.

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Cass. civ. n. 12615/2017

L’acquiescenza espressa costituisce atto dispositivo del diritto di impugnazione e quindi, indirettamente, del diritto fatto valere in giudizio, sicché la relativa manifestazione di volontà deve essere inequivoca e provenire dal soggetto che di quel diritto possa disporre, con la conseguenza che la stessa deve essere ricostruita in applicazione delle regole ermeneutiche sugli atti negoziali unilaterali, proprio per la sua sostanziale valenza abdicativa del diritto di proporre impugnazione, risultando, pertanto, la sua declaratoria censurabile in sede di legittimità ai sensi degli artt. 1362 e ss. c.c. (In applicazione del principio, la S.C. ha escluso che – in relazione ad un giudizio conclusosi, in primo grado, con la condanna di un comune al rilascio di immobile urbano dato allo stesso in comodato precario – potesse assumere univoco significato di atto di acquiescenza la nota intercorsa tra due uffici dell’amministrazione municipale, con la quale il primo segnalava, al secondo, di non ritenere sussistenti motivi per proporre appello e/o opposizione al rilascio, sul presupposto della mancata disponibilità di documentazione in ordine all’immobile e, quindi, della necessità di limitare l’onere a carico dell’amministrazione, rappresentando che, diversamente, ogni onere finanziario per la formalizzazione dell’uso sarebbe stato a carico dell’ufficio destinatario della nota, al quale si rimetteva, pertanto, ogni ulteriore e diversa determinazione).

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Cass. civ. n. 4908/2017

La parte rimasta, in tutto o in parte, soccombente, ove non proponga impugnazione della sentenza che la pregiudica (nella specie, la pronuncia con la quale la corte d’appello ha deciso nel merito il gravame incidentale, senza affrontare la questione della sua ammissibilità), assume un comportamento incompatibile con la volontà di far valere, nel giudizio di impugnazione, la relativa questione – anche se a carattere pregiudiziale (che dà luogo ad un capo autonomo della sentenza e non costituisce un mero passaggio interno della decisione di merito, come si desume dall’art. 279, comma 2, nn. 2 e 4, c.p.c.) – in tal modo prestandovi acquiescenza, con le conseguenti preclusioni sancite dagli artt. 324 e 329, comma 2, c.p.c. (In applicazione del principio esposto, la S.C. ha dichiarato inammissibile l’eccezione, proposta solo in controricorso, di inammissibilità dell’appello incidentale, ritenendo la questione coperta dal giudicato implicito).

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Cass. civ. n. 9075/2014

L’acquiescenza, ai sensi dell’art. 329 cod. proc. civ., come non può essere ravvisata nel fatto che il soccombente abbia pagato il debito di cui alla sentenza esecutiva, ancorché senza espressa riserva d’impugnazione, a maggior ragione, non può evincersi dal fatto che egli ne abbia chiesto la rateazione.

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Cass. civ. n. 1553/2014

L’acquiescenza preclusiva dell’impugnazione ex art. 329 cod. proc. civ., è – anche nel processo tributario – soltanto quella successiva alla sentenza, sicché non è configurabile nell’ipotesi in cui la parte abbia dichiarato di “rimettersi al giudizio della commissione” circa un’avversa domanda, che, trattandosi di questione di puro diritto (per essere incontrastati i riferimenti in fatto della controversia), presuppone che la parte si attende dal giudice una pronuncia secondo giustizia, senza alcuna preventiva accettazione, né impedimento all’impugnazione. (Così statuendo, la S.C., nel confermare la legittimità di un avviso di liquidazione avente base in una precedente sentenza passata in giudicato, ha ritenuto non ravvisabile, nell’ammessa esistenza in fatto, in primo grado, da parte dell’amministrazione finanziaria – sul punto rimessasi alla decisione del giudice – della conciliazione intervenuta nel giudizio a monte, un’acquiescenza giuridicamente rilevante, riconoscendole, pertanto, l’interesse ad appellare la relativa statuizione ad essa sfavorevole).

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