Art. 329 – Codice di procedura civile – Acquiescenza totale o parziale
Salvi i casi di cui ai numeri 1, 2, 3 e 6 dell'articolo 395, l'acquiescenza risultante da accettazione espressa o da atti incompatibili con la volontà di avvalersi delle impugnazioni ammesse dalla legge ne esclude la proponibilità.
L'impugnazione parziale importa acquiescenza alle parti della sentenza non impugnate.
Le parole ricomprese fra parentesi quadre sono state abrogate.
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Massime correlate
Cass. civ. n. 25876/2024
In tema di impugnazioni, qualora un'eccezione di merito sia stata respinta in primo grado, in modo espresso o attraverso un'enunciazione indiretta che ne sottenda, chiaramente ed inequivocamente, la valutazione di infondatezza, la devoluzione al giudice d'appello della sua cognizione, da parte del convenuto rimasto vittorioso quanto all'esito finale della lite, esige la proposizione del gravame incidentale, non essendone, altrimenti, possibile il rilievo officioso ex art. 345, comma 2, c.p.c. (per il giudicato interno formatosi ai sensi dell'art. 329, comma 2, c.p.c.), né sufficiente la mera riproposizione, utilizzabile, invece, e da effettuarsi in modo espresso, ove quella eccezione non sia stata oggetto di alcun esame, diretto o indiretto, ad opera del giudice di prime cure. (Nella specie, la S.C. ha confermato la decisione della Corte d'appello che, in mancanza di impugnazione incidentale, aveva rilevato il giudicato interno sulla sussistenza del fatto illecito di diffamazione attribuito al convenuto appellato, questione decisa separatamente dal giudice di primo grado e del tutto distinta dall'accertamento della sussistenza dell'esimente di cui all'art. 32 bis della l. n. 195 del 1958, oggetto dell'appello principale dell'attore).
Cass. civ. n. 3352/2024
In tema di giudizio di cassazione, la questione processuale concernente l'ammissibilità dell'appello non valutata dal giudice di secondo grado non può essere rilevata d'ufficio dalla cassazione potendo essere esaminata soltanto a fronte di uno specifico motivo di ricorso che censuri l'error in procedendo.
Cass. civ. n. 36272/2023
Il giudice d'appello ha il potere di interpretare e qualificare la domanda in modo diverso rispetto a quanto prospettato dalle parti o ritenuto dal giudice di primo grado, salvo il caso in cui sulla qualificazione accolta da quest'ultimo si sia formato il giudicato interno e a condizione che i fatti costitutivi della diversa fattispecie giuridica oggetto di riqualificazione coincidano (o si pongano, comunque, in relazione di continenza) con quelli allegati nell'atto introduttivo. (Nella specie, in cui la domanda volta al recupero delle somme versate quali premi assicurativi di polizze rivelatesi false era stata qualificata dal giudice di primo grado alla stregua di azione di ripetizione dell'indebito, la S.C. ha confermato la sentenza d'appello che l'aveva riqualificata come domanda di risarcimento del danno extracontrattuale, basandosi sui medesimi fatti oggetto dell'originaria prospettazione dell'attore, che faceva espresso riferimento alla condotta colposa delle promotrici finanziarie).
Cass. civ. n. 26916/2023
La questione della violazione del giudicato esterno, derivante dalla mancata proposizione dell'appello incidentale in un diverso giudizio, non può essere proposta per la prima volta in sede di legittimità ove tale fatto, già verificatosi nel momento in cui è andato in decisione il giudizio di merito la cui pronuncia è oggetto del ricorso per cassazione, non sia stato tempestivamente sottoposto all'esame del giudice di merito.
Cass. civ. n. 26305/2023
In sede di giudizio di ottemperanza, il versamento, da parte dell'Amministrazione finanziaria, di quanto ordinato dal giudice tributario in favore del contribuente non costituisce pura e semplice acquiescenza tacita alla sentenza, che preclude il diritto di impugnazione, ma rappresenta un adempimento non spontaneo, posto in essere in osservanza di un ordine di giustizia ed ispirato, potenzialmente, anche ad altre finalità, tra cui quella di evitare l'esecuzione forzata ed ulteriori spese giudiziali.
Cass. civ. n. 21514/2019
In tema di litisconsorzio facoltativo, quale quello che si determina nel giudizio promosso nei confronti di più coobbligati solidali (nella specie, più committenti convenuti per il pagamento del corrispettivo relativo ai lavori appaltati), verificatasi una causa di interruzione nei confronti di uno di essi e riassunto tempestivamente il giudizio, interrotto nei confronti di tutti, il vizio della notificazione dell'atto di riassunzione nei confronti di uno o alcuni tra i litisconsorti facoltativi ed il mancato rispetto del termine per la rinnovazione della notificazione non impediscono l'ulteriore prosecuzione del processo nei confronti dei restanti litisconsorti ritualmente citati, non potendosi estendere a costoro l'eventuale estinzione del processo ex art. 307 c.p.c. relativa ad uno dei convenuti originari.
Cass. civ. n. 12615/2017
L'acquiescenza espressa costituisce atto dispositivo del diritto di impugnazione e quindi, indirettamente, del diritto fatto valere in giudizio, sicché la relativa manifestazione di volontà deve essere inequivoca e provenire dal soggetto che di quel diritto possa disporre, con la conseguenza che la stessa deve essere ricostruita in applicazione delle regole ermeneutiche sugli atti negoziali unilaterali, proprio per la sua sostanziale valenza abdicativa del diritto di proporre impugnazione, risultando, pertanto, la sua declaratoria censurabile in sede di legittimità ai sensi degli artt. 1362 e ss. c.c. (In applicazione del principio, la S.C. ha escluso che – in relazione ad un giudizio conclusosi, in primo grado, con la condanna di un comune al rilascio di immobile urbano dato allo stesso in comodato precario – potesse assumere univoco significato di atto di acquiescenza la nota intercorsa tra due uffici dell’amministrazione municipale, con la quale il primo segnalava, al secondo, di non ritenere sussistenti motivi per proporre appello e/o opposizione al rilascio, sul presupposto della mancata disponibilità di documentazione in ordine all’immobile e, quindi, della necessità di limitare l’onere a carico dell’amministrazione, rappresentando che, diversamente, ogni onere finanziario per la formalizzazione dell’uso sarebbe stato a carico dell’ufficio destinatario della nota, al quale si rimetteva, pertanto, ogni ulteriore e diversa determinazione).
Cass. civ. n. 13780/2017
Nel caso di sentenza di condanna al pagamento di un debito pecuniario, oltre interessi e rivalutazione, qualora l'appello del soccombente, pur investendo la pronuncia nella sua interezza, contenga specifici motivi solo sulla sussistenza del debito e nessuno, neppure subordinato, sulle dette statuizioni accessorie, al giudice del gravame è inibito il riesame di queste ultime, rispetto alle quali, per effetto dell'indicata delimitazione delle ragioni della impugnazione, deve ritenersi vi sia stata acquiescenza dell'appellante.
Cass. civ. n. 18713/2016
La formazione della cosa giudicata su un capo della sentenza per mancata impugnazione può verificarsi solo con riferimento ai capi che siano completamente autonomi perché fondati su distinti presupposti di fatto e di diritto, sicché l'acquiescenza alle parti della sentenza non impugnata non si verifica quando queste si pongano in nesso conseguenziale con altra e trovino in essa il suo presupposto. (Nella specie, la S.C. ha confermato la pronuncia della corte d'appello che aveva escluso l'acquiescenza della parte che aveva contestato la sussistenza dei presupposti per l'applicazione della liquidazione equitativa, in relazione all'inesattezza dell'inadempimento nonché al parametro adottato per la liquidazione).
Cass. civ. n. 3934/2016
L'acquiescenza tacita alla sentenza ex art. 329 c.p.c. può sussistere soltanto qualora l'interessato abbia posto in essere atti dai quali sia possibile desumere, in maniera precisa ed univoca, il proposito di non contrastare gli effetti giuridici della pronuncia, trattandosi di atti assolutamente incompatibili con la volontà di impugnare. (Nella specie, la S.C. ha ritenuto che la parte avesse prestato acquiescenza ad una sentenza di divisione, alla quale, sebbene priva di efficacia immediatamente esecutiva, aveva dato spontanea attuazione, ricevendo le somme dovute a titolo di conguaglio e provvedendo alla riconsegna dell'immobile all'altro condividente).
Cass. civ. n. 25959/2015
La proposizione di un nuovo giudizio, identico ad altro già pendente tra le stesse parti, non costituisce manifestazione inequivoca della volontà di accettare la sentenza emessa in quest'ultimo, né, tantomeno, un comportamento incompatibile con la volontà di impugnarla, non potendosi negare l'interesse del soccombente al proseguimento del primo giudizio, onde ottenere, in via principale, la tutela della propria posizione giuridica ovvero un favorevole regolamento delle spese processuali.
Cass. civ. n. 6027/2015
In tema di impugnazioni, ove nel grado precedente un unico difensore abbia difeso più parti, la proposizione dell'impugnazione da parte del medesimo difensore solo per conto di alcune di esse non implica acquiescenza rispetto alle altre, giacché il diritto di impugnare può essere esercitato anche con diverso difensore.
Cass. civ. n. 21491/2014
Gli atti incompatibili con la volontà di avvalersi delle impugnazioni previste dalla legge, e che, perciò, implicano una tacita acquiescenza alla sentenza ai sensi dell'art. 329 cod. proc. civ., sono esclusivamente quelli che possono essere spiegati solo supponendo il proposito della parte di non contrastare gli effetti giuridici della decisione, così rivelando, oggettivamente, in modo inequivoco, una corrispondente volontà della parte che li ha posti in essere. Ne consegue che la richiesta di pagamento e l'effettiva riscossione, ad opera della parte vittoriosa nel giudizio, di quanto alla stessa ivi riconosciuto, non comportano acquiescenza in quanto condotte suscettibili di essere ricondotte alla volontà di conseguire quanto già riconosciuto nella sentenza, che, di per sé, non è incompatibile con l'intento di impugnarla per ottenere quanto negato o, comunque, dovuto.
Cass. civ. n. 14368/2014
Il pagamento, anche senza riserve, delle spese processuali liquidate nella sentenza d'appello, o comunque esecutiva, non comporta acquiescenza alla stessa, neppure quando sia antecedente alla minaccia di esecuzione o all'intimazione del precetto.
Cass. civ. n. 13293/2014
L'acquiescenza alla sentenza, preclusiva dell'impugnazione ai sensi dell'art. 329 cod. proc. civ. (configurabile solo anteriormente alla proposizione del gravame, giacché successivamente allo stesso è possibile solo una rinunzia espressa all'impugnazione da compiersi nella forma prescritta dalla legge), consiste nell'accettazione della pronuncia, ossia nella manifestazione, da parte del soccombente, della volontà di non impugnare, la quale può avvenire sia in forma espressa che tacita, potendo, in quest'ultimo caso, ritenersi sussistente soltanto quando l'interessato abbia posto in essere atti assolutamente incompatibili con la volontà di avvalersi dell'impugnazione e dai quali sia possibile desumere, in maniera precisa ed univoca, il proposito di non contrastare gli effetti giuridici della pronuncia. Ne consegue che la spontanea esecuzione della decisione di primo grado favorevole al contribuente da parte della P.A. non comporta acquiescenza alla sentenza, trattandosi di un comportamento che può risultare fondato anche sulla mera volontà di evitare le eventuali ulteriori spese di precetto e dei successivi atti di esecuzione.
Cass. civ. n. 9075/2014
L'acquiescenza, ai sensi dell'art. 329 cod. proc. civ., come non può essere ravvisata nel fatto che il soccombente abbia pagato il debito di cui alla sentenza esecutiva, ancorché senza espressa riserva d'impugnazione, a maggior ragione, non può evincersi dal fatto che egli ne abbia chiesto la rateazione.
Cass. civ. n. 1553/2014
L'acquiescenza preclusiva dell'impugnazione ex art. 329 cod. proc. civ., è - anche nel processo tributario - soltanto quella successiva alla sentenza, sicché non è configurabile nell'ipotesi in cui la parte abbia dichiarato di "rimettersi al giudizio della commissione" circa un'avversa domanda, che, trattandosi di questione di puro diritto (per essere incontrastati i riferimenti in fatto della controversia), presuppone che la parte si attende dal giudice una pronuncia secondo giustizia, senza alcuna preventiva accettazione, né impedimento all'impugnazione. (Così statuendo, la S.C., nel confermare la legittimità di un avviso di liquidazione avente base in una precedente sentenza passata in giudicato, ha ritenuto non ravvisabile, nell'ammessa esistenza in fatto, in primo grado, da parte dell'amministrazione finanziaria - sul punto rimessasi alla decisione del giudice - della conciliazione intervenuta nel giudizio a monte, un'acquiescenza giuridicamente rilevante, riconoscendole, pertanto, l'interesse ad appellare la relativa statuizione ad essa sfavorevole).
Cass. civ. n. 3664/2013
Il principio della rilevabilità solo su eccezione di parte della acquiescenza alla sentenza si riferisce esclusivamente all'acquiescenza totale (per accettazione espressa o per atti incompatibili con la volontà di avvalersi dell'impugnazione), ma non anche a quella conseguente all'impugnazione di alcuni capi soltanto della sentenza (acquiescenza parziale), atteso che il giudice deve accertare anche d'ufficio quali siano i limiti oggettivi dell'impugnazione.
Cass. civ. n. 10785/2012
Siccome l'acquiescenza alla sentenza costituisce atto dispositivo del diritto di impugnazione e quindi, indirettamente, del diritto fatto valere in giudizio, la relativa manifestazione di volontà, oltre ad essere inequivoca, deve necessariamente provenire dal soggetto che di quel diritto possa disporre o dal procuratore munito di mandato speciale e, nel caso in cui sia contestata l'esistenza dei poteri rappresentativi in capo a quest'ultimo, incombe su chi intende avvalersi di tale dichiarazione l'onere di dimostrare che l'atto di acquiescenza provenga da soggetto legittimato a compierlo. (In applicazione di questo principio, la S.C. ha escluso di poter attribuire valore d'acquiescenza alla dichiarazione in tal senso sottoscritta, successivamente al deposito della sentenza di appello, dal procuratore incaricato della difesa esclusivamente in tale grado di giudizio).
Cass. civ. n. 1963/2012
L'acquiescenza alla sentenza, preclusiva dell'impugnazione ai sensi dell'art. 329 c.p.c. (e configurabile solo anteriormente alla proposizione del gravame, giacché successivamente allo stesso è possibile solo la rinunzia espressa all'impugnazione, da compiersi nella forma prescritta dalla legge), consiste nell'accettazione della sentenza, ovverosia nella manifestazione da parte del soccombente della volontà di non impugnare, la quale può avvenire sia in forma espressa che tacita: in quest'ultimo caso, l'acquiescenza può ritenersi sussistente soltanto quando l'interessato abbia posto in essere atti dai quali sia possibile desumere, in maniera precisa ed univoca, il proposito di non contrastare gli effetti giuridici della pronuncia, e cioè gli atti stessi siano assolutamente incompatibili con la volontà di avvalersi dell'impugnazione. Ne consegue che la spontanea esecuzione della pronunzia di primo grado favorevole al contribuente da parte della p.a., anche quando la riserva d'impugnazione non venga dalla medesima a quest'ultimo resa nota, non comporta acquiescenza alla sentenza, preclusiva dell'impugnazione ai sensi del combinato disposto di cui agli artt. 329 c.p.c. e 49 d.l.vo 31 dicembre 1992, n. 546, trattandosi di un comportamento che può risultare fondato anche sulla mera volontà di evitare le eventuali ulteriori spese di precetto e dei successivi atti di esecuzione.
Cass. civ. n. 19747/2011
Il comportamento della parte soccombente che, all'atto della notifica della sentenza di primo grado dichiarata provvisoriamente esecutiva e del pedissequo precetto intimato per il pagamento delle somme dovute a termini della sentenza medesima, abbia invitato la controparte ad operare la compensazione del credito fatto valere mediante il citato atto di precetto con la maggiore somma della quale essa sia creditrice ed a restituire la differenza, non può assumere l'univoco significato di una libera, totale e incondizionata accettazione del "decisum" e quindi di una acquiescenza preclusiva, ex art. 329 c.p.c., del diritto di impugnazione, trattandosi di comportamento ispirato alla finalità di evitare l'esecuzione intimata con l'atto di precetto.
Cass. civ. n. 33/2008
Nel caso di impugnazione parziale, l'acquiescenza ai sensi dell'art. 329, secondo comma, c.p.c., alle parti della sentenza non impugnate, si verifica quando si desuma dall'atto in modo inequivoco la volontà dell'appellante di sottoporre solo in parte la decisione all'appello (elemento soggettivo) e le diverse parti siano del tutto autonome l'una dall'altra (elemento oggettivo) e non anche quando la parte impugnata sia sviluppo logico della parte non impugnata, per cui in realtà l'impugnazione della argomentazione, pur distinta, della prima si ponga in nesso conseguenziale con l'altra. (Nella specie, accolta dal giudice di merito una domanda ex art. 2932 c.c. previa reiezione dell'eccezione di improponibilità della stessa e impugnata la statuizione relativa alla proponibilità, la S.C. ha escluso il giudicato sul capo di accoglimento data l'interdipendenza tra le due affermazioni).
Cass. civ. n. 8137/2005
L'acquiescenza prevista dall'art. 329 c.p.c. è fondata sul rapporto di incompatibilità (quale reciproca esclusione) fra la volontà che è alla base di un atto – che può essere anche anteriore alla stessa sentenza – e la volontà che è alla base dell'impugnazione; conseguentemente, la predisposizione di un conteggio nel corso del giudizio di primo grado, per l'eventuale affermazione giudiziale del diritto controverso del quale si contesta la sussistenza, integrando solo un condizionato riconoscimento del quantum, non è incompatibile con l'impugnazione dell'an, nè con l'impugnazione del riconoscimento delle spettanze fondato sulla negazione del diritto. Essendo l'accertamento della compatibilità giudizio di fatto, la valutazione di tali atti da parte del giudice di merito non è sindacabile in sede di legittimità se assistita da congrua motivazione.
Cass. civ. n. 17842/2004
La pronuncia emessa a conclusione di un giudizio relativo a diverse annualità dello stesso tributo produce effetti circoscritti alle singole annualità, ancorché essa abbia ad oggetto analoghe questioni, ed anche se unica è stata la domanda (nella specie, di rimborso di tassa di concessione governativa) e unica la condanna, riguardante tutte le annualità. Una siffatta pronuncia, infatti, consta sostanzialmente di più capi completamente autonomi, ciascuno riguardante un singolo periodo d'imposta e suscettibile di conservare efficacia precettiva anche sugli altri vengono meno, di tal che è configurabile l'acquiescenza, ai sensi dell'art. 329, secondo comma, c.p.c., in ordine ai capi non impugnati, i quali non possono pertanto formare oggetto di nuovo esame da parte del giudice del gravame.
Cass. civ. n. 16460/2004
L'acquiescenza alla sentenza, preclusiva dell'impugnazione ai sensi dell'art. 329 c.p.c. (e configurabile solo anteriormente alla proposizione del gravame, giacché successivamente allo stesso è possibile solo una rinunzia espressa all'impugnazione da compiersi nella forma prescritta dalla legge), consiste nell'accettazione della sentenza, ovverosia nella manifestazione da parte del soccombente della volontà di non impugnare, la quale può avvenire sia in forma espressa che tacita: in quest'ultimo caso, l'acquiescenza può ritenersi sussistente soltanto quando l'interessato abbia posto in essere atti da quali sia possibile desumere, in maniera precisa ed univoca, il proposito di non contrastare gli effetti giuridici della pronuncia, e cioè gli atti stessi, siano assolutamente incompatibili con la volontà di avvalersi dell'impugnazione. Ne consegue che la spontanea esecuzione della pronunzia di primo grado favorevole al contribuente da parte della P.A., anche quando la riserva d'impugnazione non venga dalla medesima a quest'ultimo resa nota, non comporta acquiescenza alla sentenza, preclusiva dell'impugnazione ai sensi del combinato disposto di cui agli artt. 329 c.p.c. e 49 D.L.vo n. 546 del 1992, trattandosi di un comportamento che può risultare fondato anche sulla mera volontà di evitare le eventuali ulteriori spese di precetto e dei successivi atti di esecuzione.
Cass. civ. n. 11729/2004
L'obbligo della restituzione delle somme pagate in esecuzione di una decisione successivamente cassata, ovvero di sentenza di primo grado provvisoriamente esecutiva, successivamente riformata in appello, sorge per il solo fatto della cassazione o della riforma della sentenza, ancorché questa non contenga la condanna alle restituzioni. Ne consegue che, a seguito della riforma della sentenza, la spontanea esecuzione di tale obbligo da parte del soccombente non configura acquiescenza, non dimostrando una volontà di accettare la sentenza, incompatibile con la volontà di valersi delle impugnazioni.
Cass. civ. n. 10963/2004
L'acquiescenza del soccombente, che costituisce ostacolo alla proposizione dell'impugnazione ex art. 329 c.p.c., ove non risulti da un'accettazione espressa della pronuncia giudiziale o da una formale rinuncia a sottoporla a gravame, può desumersi soltanto da atti o fatti univoci, del tutto incompatibili con la volontà di avvalersi del mezzo di impugnazione nell'ipotesi prevista. Ne consegue che non dà luogo ad acquiescenza l'adempimento spontaneo da parte del soccombente della prestazione dovuta in base a sentenza esecutiva, non essendo tale comportamento incompatibile con la volontà di avvalersi del mezzo di impugnazione esperibile e risultando esso volto ad evitare l'esecuzione forzata del provvedimento giurisdizionale.
Cass. civ. n. 1266/2004
L'acquiescenza alla sentenza, preclusiva dell'impugnazione ai sensi dell'art. 329 c.p.c. (cui rinvia l'art. 49 del D.L.vo 31 dicembre 1992, n. 546), è configurabile solo anteriormente alla proposizione del gravame (giacché successivamente allo stesso è possibile solo una rinunzia espressa all'impugnazione da compiersi nella forma prescritta dalla legge), e consiste nell'accettazione della sentenza, ovverosia nella manifestazione, da parte del soccombente, della volontà di non impugnare, la quale può avvenire sia in forma espressa che tacita. In quest'ultimo caso, l'acquiescenza può ritenersi sussistente soltanto quando l'interessato abbia posto in essere atti dai quali sia possibile desumere, in maniera precisa ed univoca, il proposito di non contrastare gli effetti giuridici della pronuncia, e cioé quando gli stessi siano assolutamente incompatibili con la volontà di avvalersi dell'impugnazione.
Cass. civ. n. 15838/2002
Qualora la sentenza di primo grado abbia solo parzialmente riconosciuto il diritto di credito fatto valere in giudizio, l'accettazione del pagamento eseguito dal debitore, per la parte per la quale è stata pronunziata condanna, non costituisce per il creditore un comportamento univocamente, incompatibile con la volontà di impugnare la sentenza per ottenere l'integrale riconoscimento del suo diritto e, quindi, non comporta l'inammissibilità per acquiescenza dell'impugnazione da lui proposta.
Cass. civ. n. 11488/2002
L'acquiescenza ad una sentenza, con conseguenti effetti preclusivi della sua impugnazione ai sensi dell'art. 329, primo comma, c.p.c., presuppone che il comportamento posto in essere dall'interessato – dal quale sia possibile desumere, in maniera precisa ed univoca, il suo proposito di non voler contrastare gli effetti giuridici della pronuncia – si riferisca allo specifico rapporto oggetto dell'intervenuta sentenza. Ne consegue, pertanto, che l'acquiescenza tacita non è ravvisabile allorché il comportamento tenuto dall'interessato concerna pretese creditorie diverse, ossia rapporti autonomi con altri soggetti o con lo stesso soggetto ma per periodi diversi.
Cass. civ. n. 15279/2001
Nel giudizio di separazione personale dei coniugi, la richiesta di addebito, pur essendo proponibile solo nell'ambito del giudizio di separazione, ha natura di domanda autonoma; infatti, la stessa presuppone l'iniziativa di parte, soggiace alle regole e alle preclusioni stabilite per le domande, ha una causa petendi (la violazione dei doveri nascenti dal matrimonio in rapporto causale con le ragioni giustificatrici della separazione, intollerabilità della convivenza o dannosità per la prole) ed un petitum (statuizione destinata a incidere sui rapporti patrimoniali con la perdita al diritto al mantenimento e della qualità di erede riservatario e di erede legittimo) distinti da quelli della domanda di separazione; pertanto, in carenza di ragioni sistematiche contrarie e di norme derogative dell'art. 329, secondo comma, c.p.c., l'impugnazione proposta con esclusivo riferimento all'addebito contro la sentenza che abbia pronunciato la separazione ed al contempo ne abbia dichiarato l'addebitabilità, implica il passaggio in giudicato del capo sulla separazione, rendendo esperibile l'azione di divorzio pur in pendenza di detta impugnazione.
Cass. civ. n. 2062/2001
Nel caso di impugnazione parziale, l'acquiescenza alle parti della sentenza non impugnate si verifica solo quando le diverse parti siano del tutto autonome l'una dall'altra e non anche quando la parte non impugnata si ponga in nesso consequenziale con l'altra e trovi in essa il suo presupposto. (Nella specie, la S.C. ha annullato la decisione del tribunale, che aveva confermato la sentenza pretorile di riconoscimento di dipendenza da causa di servizio della malattia contratta da un conduttore della FFSS Spa anche con riferimento alla categoria della infermità, nonostante il consulente tecnico, in appello, avesse ravvisato una infermità meno grave di quella riscontrata in primo grado, avendo ritenuto estranea al thema decidendum, per difetto di specifica impugnazione, la valutazione della gravità della malattia, senza considerare che la Spa FF.SS aveva negato in radice la causa di servizio, e che in tale negazione era compreso anche il grado di incidenza della infermità).
Cass. civ. n. 1061/2001
La circostanza che la parte parzialmente vittoriosa abbia notificato alla parte soccombente la sentenza in forma esecutiva non costituisce acquiescenza alla decisione.
Cass. civ. n. 9867/2000
Qualora il giudice di appello non siasi ancora pronunciato sulla richiesta di sospensione dell'efficacia esecutiva della sentenza di primo grado, l'adeguamento della parte alle statuizioni della decisione, integra un atto dovuto insuscettibile, come tale, di comportare acquiescenza alla sentenza.
Cass. civ. n. 8223/2000
L'adeguamento alle statuizioni di una sentenza esecutiva non costituisce acquiescenza alla stessa e pertanto non si configura come comportamento idoneo ad escludere l'ammissibilità dell'impugnazione; ne consegue che deve ritenersi ammissibile l'impugnazione proposta da un comune avverso una sentenza esecutiva che lo condanni al pagamento di una somma di danaro, anche quando il suddetto comune abbia, con propria delibera, riconosciuto, ai sensi e per gli effetti dell'art. 37 D.L.vo n. 77 del 1995, la legittimità del debito fuori bilancio accertato in sentenza, atteso che, così agendo, il comune si è meramente adeguato alle statuizioni della sentenza esecutiva, nella valutazione dell'interesse pubblico di non gravare il debito dei maturandi accessori, e che il riconoscimento della legittimità del debito risulta un necessario incombente, essendo imposto dalla norma citata per l'adempimento dei debiti fuori bilancio.