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Articolo 439 Codice di procedura civile — Cambiamento del rito in appello

Articolo 439 Codice di procedura civile — Cambiamento del rito in appello

La Corte di appello, se ritiene che il procedimento in primo grado non si sia svolto secondo il rito prescritto, procede a norma degli articoli 426 e 427.

L’eventuale comma dell’articolo ricompreso fra parentesi quadre è stato abrogato.

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Aggiornato al 1 gennaio 2020
Il testo riportato è reso disponibile agli utenti al solo scopo informativo. Pertanto, unico testo ufficiale e definitivo è quello pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale Italiana che prevale in casi di discordanza rispetto al presente.
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Massime correlate

Cass. civ. n. 10030/1998

L’omesso cambiamento del rito, anche in appello, dal rito speciale del lavoro a quello ordinario o viceversa non spiega effetti invalidanti sulla sentenza, che non è né inesistente né nulla. L’errore consistito nella utilizzazione di una diverso rito processuale può essere dedotto come motivo di impugnazione ove si indichi lo specifico pregiudizio che ne sia derivato, per aver inciso sulla determinazione della competenza ovvero sul contraddittorio o sui diritti di difesa.

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Cass. civ. n. 9774/1996

Con riguardo a causa di lavoro decisa in primo grado nelle forme ordinarie, nel passaggio al rito speciale in grado di appello la fissazione dell’udienza di discussione con assegnazione di termine per l’eventuale integrazione degli atti è finalizzata allo svolgimento del processo nei modi stabiliti per il primo grado e quindi all’utile esplicazione delle facoltà di difesa delle parti per quanto concerne la precisazione dell’oggetto della controversia e la determinazione degli elementi di prova. In relazione alla finalità sopraindicata non è pertanto preclusa alle parti la formulazione di mezzi di prova nella memoria integrativa ancorché essi non siano stati dedotti nel primo grado del giudizio e nella fase antecedente al mutamento di rito.

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Cass. civ. n. 10686/1994

Nel rito del lavoro — che si applica anche alle controversie in materia di locazione urbana, ai sensi degli artt. 30, 45 e ss. L. 27 luglio 1978, n. 392 — l’introduzione del giudizio di appello con citazione, quando questa è stata depositata nei termini indicati dagli artt. 434 comma 2 e 327 comma 1 c.p.c., determina soltanto la necessità processuale del mutamento del rito, ai sensi dell’art. 439 c.p.c. (nelle cause di lavoro) o dell’art. 52 L. n. 392/1978 (nelle cause di locazione), o, in mancanza, una mera irregolarità processuale attinente ad una questione di rito, che non può essere autonomamente dedotta come motivo di gravame e che assume rilievo, ai fini dell’impugnazione solamente se abbia arrecato alla parte un pregiudizio processuale che abbia inciso sulla competenza, sul regime delle prove o sui diritti di difesa.

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Cass. civ. n. 4567/1994

Il termine fissato per la riassunzione della causa dinnanzi al giudice ordinario al quale la causa sia stata rimessa in sede di appello dal giudice del lavoro, ai sensi degli artt. 439-427 c.p.c., decorre dalla comunicazione della sentenza di incompetenza e non dalla data in cui questa è passata in giudicato.

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Cass. civ. n. 4573/1993

La concessione del termine di cui all’art. 439 c.p.c. in relazione all’art. 426 stesso codice è volta solo a consentire alle parti di mettersi in regola con le prescrizioni introdotte dal rito del lavoro e non può quindi essere utilizzato per aggirare il divieto di proporre domande nuove in appello, con la conseguenza che è da escludere che la memoria integrativa di cui al citato art. 426 possa contenere conclusioni di merito diverse e più ampie di quelle esposte con l’atto introduttivo del giudizio di impugnazione.

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Cass. civ. n. 2405/1986

Il riscontro, in sede di gravame, dell’erronea trattazione della causa fin dal momento della sua introduzione in primo grado, con il rito ordinario anziché con il rito del lavoro, impone al giudice d’appello di disporre il cambiamento del rito medesimo, in base alle norme degli artt. 426 e 439 c.p.c., ma non spiega effetti invalidanti sull’attività processuale in precedenza compiuta (sempreché sussista la competenza del giudice adito), né, in particolare, può implicare la nullità della sentenza di primo grado, sotto il profilo della mancata lettura del dispositivo in udienza, trattandosi di nullità ricorrente soltanto nel caso in cui la relativa pronuncia venga emessa secondo il rito del lavoro.

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Cass. civ. n. 6161/1984

Il principio dell’ultrattività del rito, in forza del quale, ove una controversia sia stata trattata in primo grado con rito ordinario anziché con quello del lavoro, vanno seguite le forme ordinarie anche per la proposizione del relativo gravame, salva la possibilità che il giudice dell’appello, ricorrendone i presupposti, disponga il passaggio al rito speciale, ai sensi dell’art. 439 c.p.c., si applica anche per la determinazione della forma dell’eventuale atto di riassunzione del giudizio in appello, con la conseguenza che, qualora questo sia stato ritualmente introdotto con citazione a udienza fissa in attuazione del detto principio, sebbene relativamente ad una controversia soggetta alle disposizioni introdotte con la legge n. 533 del 1973, anche la riassunzione va eseguita in modi ordinari.

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