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Art. 660 — Esecuzione delle pene pecuniarie

Art. 660 — Esecuzione delle pene pecuniarie

1. Le condanne a pena pecuniaria sono eseguite nei modi stabiliti dalle leggi e dai regolamenti.

2. Quando è accertata la impossibilità di esazione della pena pecuniaria o di una rata di essa, il pubblico ministero trasmette gli atti al magistrato di sorveglianza competente per la conversione, il quale provvede previo accertamento dell’effettiva insolvibilità del condannato e, se ne è il caso, della persona civilmente obbligata per la pena pecuniaria. Se la pena è stata rateizzata, è convertita la parte non ancora pagata.

3. In presenza di situazioni di insolvenza , il magistrato di sorveglianza può disporre la rateizzazione della pena a norma dell’articolo 133 ter del codice penale, se essa non è stata disposta con la sentenza di condanna ovvero può differire la conversione per un tempo non superiore a sei mesi. Alla scadenza del termine fissato, se lo stato di insolvenza perdura, è disposto un nuovo differimento, altrimenti è ordinata la conversione. Ai fini della estinzione della pena per decorso del tempo, non si tiene conto del periodo durante il quale l’esecuzione è stata differita.

4. Con l’ordinanza che dispone la conversione, il magistrato di sorveglianza determina le modalità delle sanzioni conseguenti in osservanza delle norme vigenti.

5. Il ricorso contro l’ordinanza di conversione ne sospende l’esecuzione .

L’eventuale comma dell’articolo ricompreso fra parentesi quadre è stato abrogato.

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Aggiornato al 1 gennaio 2020
Il testo riportato è reso disponibile agli utenti al solo scopo informativo. Pertanto, unico testo ufficiale e definitivo è quello pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale Italiana che prevale in casi di discordanza rispetto al presente.
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Massime correlate

Cass. pen. n. 25355/2014

Il provvedimento di rateizzazione della pena pecuniaria, attribuito alla competenza del magistrato di sorveglianza dall’art. 660, comma terzo, cod. proc. pen., è subordinato alla esistenza di “situazioni di insolvenza” e non presuppone affatto la richiesta di conversione della pena pecuniaria da parte del pubblico ministero, alla quale deve darsi luogo, ai sensi del precedente comma secondo dello stesso art. 660 cod. proc. pen., solo in presenza della diversa condizione costituita dall’accertata “impossibilità di esazione della pena pecuniaria o di una rata di essa”.

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Cass. pen. n. 2548/2000

Il provvedimento di rateizzazione della pena pecuniaria, attribuito alla competenza del magistrato di sorveglianza dall’art. 660, comma 3, c.p.p. [dovendosi considerare implicitamente abrogati l’art. 237 del R.D. 23 gennaio 1865 n. 2701 e gli artt. 78 e 79 della tariffa penale approvata con D.M. 28 giugno 1866, in base ai quali poteva darsi luogo a dilazioni in via amministrativa], è subordinato alla sola ritenuta sussistenza, da parte del magistrato di sorveglianza, di «situazioni di insolvenza». Esso, quindi, non presuppone affatto la richiesta di conversione della pena pecuniaria da parte del pubblico ministero, alla quale deve darsi luogo, ai sensi del precedente comma 2 dello stesso art. 660 c.p.p., solo in presenza della diversa condizione costituita dall’accertata «impossibilità» di esazione della pena pecuniaria o di una rata di essa».

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Cass. pen. n. 21/2000

Chi ha pagato quanto dovuto in esecuzione di una pena pecuniaria non può ottenere la restituzione delle somme versate qualora, con successiva sentenza, i fatti di cui alla prima condanna siano ritenuti episodi di un unico reato continuato e sia per essi applicato, a titolo di continuazione, un aumento della pena pecuniaria inferiore alla somma già versata.

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Cass. pen. n. 6853/1998

È illegittimo il provvedimento del magistrato di sorveglianza che, a fronte di un’espressa richiesta di rateizzazione della pena pecuniaria avanzata da condannato insolvibile, ometta di motivare sul punto.

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Cass. pen. n. 12/1997

La competenza a conoscere le materie attribuite alla magistratura di sorveglianza appartiene al tribunale o al magistrato di sorveglianza che hanno giurisdizione sull’istituto di prevenzione o di pena in cui si trova l’interessato all’atto della richiesta, della proposta o dell’inizio di ufficio del procedimento. [Fattispecie in tema di conversione delle pene pecuniarie].
La competenza a disporre la conversione delle pene pecuniarie spetta al tribunale o al magistrato di sorveglianza che hanno giurisdizione sull’istituto di prevenzione o di pena in cui si trova l’interessato all’atto della richiesta, della proposta o dell’inizio di ufficio del procedimento.

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Cass. pen. n. 3378/1997

Attesa la inscindibilità fra provvedimento di conversione della pena pecuniaria per insolvibilità del condannato e provvedimento di determinazione delle modalità di esecuzione delle pene conseguenti alla conversione, di cui all’art. 107 della legge 24 novembre 1981 n. 689, è in base a tale ultima disposizione che va individuato il magistrato di sorveglianza territorialmente competente a disporre la conversione e a determinare le suddette modalità di esecuzione. Conseguentemente, facendo riferimento, il citato art. 107, al luogo di residenza del condannato risulti detenuto o internato in luogo diverso, ricompreso nella giurisdizione di altro magistrato di sorveglianza; e ciò anche in considerazione dell’interesse pubblico a che la verifica in ordine alla solvibilità o meno del condannato venga affidata ad un organo che, per essere più vicino al luogo di residenza del medesimo, sia in grado di acquisire in maniera più diretta e immediata le notizie riflettenti la situazione patrimoniale del soggetto.

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Cass. pen. n. 1874/1997

La competenza a disporre la conversione delle pene pecuniarie per insolvibilità del condannato spetta al magistrato di sorveglianza avente giurisdizione sull’istituto penitenziario nel quale si trovava, all’atto della richiesta del P.M., il condannato. [In motivazione, la S.C. ha escluso che, nella compiuta regolamentazione prevista in proposito dal nuovo codice di rito penale, possa sopravvivere il criterio di cui all’art. 107 della legge n. 689 del 1981]

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Cass. pen. n. 5760/1997

Le «situazioni di insolvenza» in presenza delle quali, ai sensi dell’art. 660, comma terzo, c.p.p., il magistrato di sorveglianza può disporre la rateizzazione della pena non presuppongono affatto l’accertamento della «insolvibilità» del condannato prevista dal precedente comma secondo del medesimo articolo, come è dimostrato, fra l’altro, dal fatto che detta insolvibilità può essere accertata anche quando, essendosi già disposta la rateizzazione, risulti impossibile l’esazione anche di una sola rata.

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Cass. pen. n. 786/1996

L’atto con il quale il magistrato di sorveglianza dà avviso di procedimento di conversione di pena pecuniaria, è una semplice comunicazione, priva di contenuto decisorio e costituisce un semplice invito ad adempiere. Si tratta di un atto atipico, diretto ad evitare l’inizio del procedimento, e come tale non è impugnabile.

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Cass. pen. n. 35/1996

Nel procedimento di esecuzione delle pene pecuniarie, secondo il combinato disposto degli artt. 660, secondo comma, c.p.p., 181 e 182 disp. att. c.p.p., il compito del pubblico ministero, nelle ipotesi in cui la procedura di recupero — cui è preposta istituzionalmente la cancelleria del giudice dell’esecuzione — abbia avuto esito negativo, consiste soltanto nel controllo formale dell’attività svolta dalla cancelleria predetta; pertanto, una volta ricevuti gli atti della procedura risoltasi negativamente, egli deve limitarsi ad accertare se le ragioni di tale esito diano luogo ad un’effettiva impossibilità di esazione della pena pecuniaria ovvero se risultino in qualche modo superabili, rivolgendosi quindi, nella prima ipotesi, come espressamente previsto dal secondo comma dell’art. 660 c.p.p., al magistrato di sorveglianza — cui è demandata l’attività di accertamento del passaggio della situazione fisiologica di insolvibilità per impossibilità a quella di insolvenza effettiva e concreta — perché provveda alla conversione della pena pecuniaria, previo accertamento dell’effettiva insolvibilità del condannato; ovvero restituendo gli atti, nella seconda, alla cancelleria del giudice dell’esecuzione che li aveva inviati, perché riprenda la procedura di riscossione. [Nella specie la Corte ha altresì precisato che il magistrato di sorveglianza al quale devono essere trasmessi gli atti nell’ipotesi in cui l’impossibilità di esazione riguardi un condannato irreperibile è quello del luogo in cui fu pronunciata la sentenza di condanna, individuato ai sensi dell’art. 677, secondo comma, ultima parte, c.p.p.].
Qualora il magistrato di sorveglianza, investito dal pubblico ministero della procedura per la conversione della pena pecuniaria, riscontri, nell’ambito dell’accertamento sulla sussistenza o meno dello stato di insolvenza, l’irreperibilità del condannato e, quindi, l’impossibilità di dichirarne l’effettiva insolvibilità, non può dar luogo al provvedimento di conversione e deve restituire gli atti al pubblico ministero; il quale, a sua volta, deve restituirli alla cancelleria del giudice dell’esecuzione, affinché quest’ultimo ufficio, il quale è istituzionalmente preposto, ai sensi dell’art. 181 disp. att. c.p.p., alla riscossione delle pene pecuniarie, provveda a rinnovare periodicamente la procedura esecutiva.

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Cass. pen. n. 6654/1996

Presupposto della conversione di pene pecuniarie, di cui agli artt. 136 c.p., 660 comma 2 c.p.p., e 102 L. 24 novembre 1981 n. 689 è l’effettiva insolvibilità del condannato, intesa come situazione oggettiva e permanente di impossibilità di adempienza. [Nella specie la Corte ha rigettato il ricorso affermando che il ricorrente è percettore di redditi da lavoro dipendente aggredibili nei limiti consentiti dalla legge, con conseguente non configurabilità di una situazione di «effettiva insolvenza»].

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Cass. pen. n. 1233/1995

Il provvedimento con il quale il magistrato di sorveglianza, a fronte della richiesta, da parte del pubblico ministero, di conversione di pena pecuniaria per insolvibilità di condannato irreperibile, declini la competenza propria e di qualsiasi altro magistrato di sorveglianza, restituendo gli atti allo stesso pubblico ministero, non è qualificabile – indipendentemente dalla sua fondatezza o meno – come abnorme, ma è assimilabile, per il suo contenuto sostanziale, ad una declaratoria di inammissibilità della richiesta, pronunciata ai sensi dell’art. 666, comma secondo, c.p.p. Avverso detto provvedimento, quindi, in base a quanto previsto dall’ultima parte della disposizione normativa ora richiamata, è esperibile ricorso per cassazione.

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Cass. pen. n. 107/1995

La rateizzazione della pena di cui all’art. 660 comma terzo c.p.p. è il risultato di un apprezzamento rimesso al potere discrezionale del magistrato di sorveglianza del cui esito negativo questo non è tenuto a dare ragione quando non sia stata posta un’espressa richiesta.

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Cass. pen. n. 373/1994

Il pubblico ministero presso la pretura non è legittimato a proporre impugnazione avverso l’ordinanza con la quale il magistrato di sorveglianza dichiara inammissibile la richiesta di conversione della pena pecuniaria, atteso che il magistrato di sorveglianza è organo del tribunale.
L’impossibilità di esecuzione del decreto di conversione delle pene pecuniarie comporta, ai sensi degli artt. 102 e 108, L. n. 689 del 1981, la riconversione in pena detentiva che va richiesta dal pubblico ministero competente per l’esecuzione alla magistratura di sorveglianza.

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Cass. pen. n. 4358/1994

In tema di esecuzione in materia penale, la norma contenuta nell’art. 103, L. 24 novembre 1981, n. 689, stante il riferimento fatto, in rubrica, al «limite degli aumenti» e, nel testo, alla «durata complessiva della libertà controllata», è applicabile nel solo caso in cui, a seguito di concorso materiale di reati, la conversione per insolvibilità del condannato deve effettuarsi dopo il cumulo di più pene pecuniarie della stessa specie. Nel caso in cui si tratta invece di pena inflitta per un solo reato, deve applicarsi il generale disposto di cui al precedente art. 102 della stessa L. n. 689 del 1981, secondo il quale la pena dell’ammenda non eseguita per insolvibilità del condannato si converte nella libertà controllata per un periodo massimo di sei mesi.

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Cass. pen. n. 3665/1992

L’ordinanza con la quale il giudice dell’esecuzione rigetta l’istanza dell’interessato deve essere adottata a seguito di udienza camerale e non [come nel caso in cui venga dichiarata l’inammissibilità dell’istanza stessa] della procedura de plano, derivandone altrimenti la nullità del provvedimento a norma dell’art. 178, lett. b] e c], c.p.p.

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