Art. 673 – Codice di procedura penale – Revoca della sentenza per abolizione del reato
1. Nel caso di abrogazione o di dichiarazione di illegittimità costituzionale della norma incriminatrice, il giudice dell'esecuzione revoca la sentenza di condanna o il decreto penale dichiarando che il fatto non è previsto dalla legge come reato e adotta i provvedimenti conseguenti [193 disp. att.].
2. Allo stesso modo provvede quando è stata emessa sentenza di proscioglimento [529-532] o di non luogo a procedere [425] per estinzione del reato o per mancanza di imputabilità.
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Massime correlate
Cass. civ. n. 12640/2018
La formazione progressiva del giudicato connessa all'annullamento con rinvio disposto ai soli fini della rideterminazione della pena non preclude la possibilità di far valere, o di rilevare di ufficio, nel successivo giudizio di cassazione in cui sia impugnata la sentenza emessa all'esito del giudizio di rinvio, l'estinzione del reato per prescrizione, maturata prima della pronuncia di annullamento, in conseguenza della dichiarazione di illegittimità costituzionale della norma incriminatrice contestata che abbia determinato la modifica del regime sanzionatorio in senso più favorevole all'imputato. (Fattispecie relativa alla dichiarazione di parziale incostituzionalità dell'art. 181, comma 1-bis, d.lgs. 22 gennaio 2004, n. 42, in tema di illeciti paesaggistici, da parte della sentenza della Corte costituzionale n. 56 del 2016 - intervenuta dopo la proposizione del secondo ricorso per cassazione - con conseguente riqualificazione del reato come contravvenzione ai sensi dell'art. 181, comma 1, stesso d.lgs.).
Cass. civ. n. 21102/2018
Rientra tra le competenze del giudice dell'esecuzione la revoca, ai sensi dell'art. 673 cod. proc. pen., delle statuizioni civili contenute in una sentenza definitiva di assoluzione dell'imputato dal delitto ascrittogli per intervenuta abrogazione dello stesso e sua trasformazione in illecito civile ai sensi dell'art. 1 d.lgs. 15 gennaio 2016, n. 7, essendo tali statuizioni state adottate in totale assenza di potere giurisdizionale.
Cass. civ. n. 5248/2017
Il giudice dell'esecuzione, richiesto di revoca della sentenza per sopravvenuta "abolitio criminis", ai sensi dell'art. 673 cod. proc. pen., pur non potendo ricostruire la vicenda per cui vi è stata condanna in termini diversi da quelli definiti con la sentenza irrevocabile, nè valutare i fatti in modo difforme da quanto ritenuto dal giudice della cognizione, deve accertare se il reato per il quale è stata pronunciata condanna sia considerato ancora tale dalla legge e, a tal fine, può effettuare una sostanziale ricognizione del quadro probatorio già acquisito ed utilizzare elementi che, irrilevanti al momento della sentenza, siano divenuti determinanti, alla luce del diritto sopravvenuto, per la decisione sull'imputazione contestata. (Nella fattispecie, la Corte ha annullato con rinvio l'ordinanza di rigetto della richiesta di revoca della sentenza che aveva dichiarato l'estinzione per intervenuta prescrizione del reato di cui all'art. 4, D.Lgs. n. 74 del 2000, rilevando l'omessa valutazione, da parte del giudice dell'esecuzione, del profilo relativo all'importo dell'imposta evasa, che, dagli elementi agli atti, risultava inferiore alla soglia attualmente rilevante di euro 150.000.00).
Cass. civ. n. 11076/2017
In tema di esecuzione, la sentenza di condanna passata in giudicato non può essere revocata, ai sensi dell'art. 673 cod. proc. pen., nell'ipotesi in cui, in assenza di innovazione legislativa ovvero di declaratoria di incostituzionalità, si verifichi un mutamento dell'interpretazione giurisprudenziale di una disposizione rimasta invariata, in quanto tale mutamento - anche se sancito dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione - non determina alcun effetto abrogativo della disposizione interpretata. (Fattispecie in cui era invocata la rideterminazione "in executivis" della pena, previa esclusione dell'aggravante ex art. 80, comma secondo, d.P.R. n. 309 del 1990, in virtù dell'arresto giurisprudenziale relativo ai presupposti applicativi di tale disposizione, rappresentato dalla pronuncia delle Sezioni Unite Penali n. 36258 del 2012).
Cass. civ. n. 52242/2016
In tema di "abolitio criminis" non rilevata dal giudice della cognizione, lo strumento per ottenere la revoca della sentenza di condanna va individuato nell'incidente di esecuzione ex art. 673 cod. proc. pen. e non nel ricorso straordinario per errore di fatto ex art. 625-bis dello stesso codice. (Fattispecie in cui la S.C. ha riqualificato come incidente di esecuzione, ordinando la trasmissione degli atti al tribunale competente, il ricorso straordinario per errore di fatto proposto avverso l'ordinanza con cui era stato dichiarato inammissibile il ricorso per cassazione contro la sentenza della corte territoriale confermativa della condanna per il reato di cui all'art. 73, comma primo-bis, d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, non più previsto come tale già prima dell'ordinanza stessa, giusta sentenza della C. Cost. 25 febbraio 2014, n. 32).
Cass. civ. n. 44193/2016
Lo strumento per adeguare l'ordinamento interno ad una decisione definitiva della Corte EDU va individuato, in via principale, nella revisione introdotta dalla sentenza additiva della Corte costituzionale n. 113 del 2011, applicabile sia nelle ipotesi di vizi procedurali rilevanti ex art. 6 della Convenzione EDU, sia in quelle di violazione dell'art. 7 della stessa Convenzione che non implichino un vizio assoluto di responsabilità (per l'assenza di una norma incriminatrice al momento del fatto), ma solo un difetto di prevedibilità della sanzione - ferma restando la responsabilità penale - o che comunque lascino aperte più soluzioni del caso; lo strumento dell'incidente di esecuzione, invece, può essere utilizzato solo quando l'intervento di rimozione o modifica del giudicato sia privo di contenuto discrezionale, risolvendosi nell'applicazione di altro e ben identificato precetto senza necessità della previa declaratoria di illegittimità costituzionale di alcuna norma, fermo restando che, qualora l'incidente di esecuzione sia promosso per estendere gli effetti favorevoli della sentenza della Corte EDU ad un soggetto diverso da quello che l'aveva adita, è necessario anche che la predetta decisione (pur non adottata nelle forme della "sentenza pilota") abbia una obiettiva ed effettiva portata generale, e che la posizione dell'istante sia identica a quella del caso deciso dalla Corte di Strasburgo.
Cass. civ. n. 1611/2015
La revoca della sentenza di condanna per abolizione del reato, prevista dall'art. 673 c.p.p., deve essere disposta anche in caso di giudicato formatosi successivamente al tempo dell'intervenuta abrogazione. (Fattispecie in cui la Suprema Corte, annullando senza rinvio l'ordinanza del giudice dell'esecuzione, ha revocato la sentenza di condanna per il reato di inottemperanza all'ordine di esibizione del permesso di soggiorno, commesso prima della sostituzione dell'art. 6 comma terzo, d.l.vo n. 286 del 1998 ad opera dell'art. 1, comma 22, lett. h), della legge 2009, n. 94, che ha abrogato tale fattispecie incriminatrice nei confronti degli stranieri in posizione irregolare).
Cass. civ. n. 13411/2013
In tema di esecuzione, l'art. 673 c.p.p. opera soltanto nel caso in cui, a seguito di innovazione legislativa o di declaratoria di incostituzionalità, si verifichi un'ipotesi di abrogazione esplicita o implicita di una norma, non potendo, invece, la predetta disposizione trovare applicazione, quando l'eventuale abrogazione implicita derivi da un mutamento di indirizzo giurisprudenziale, che non può costituire "ius superveniens" anche a seguito di pronuncia delle sezioni unite della Corte di cassazione.
Cass. civ. n. 2638/2013
In tema di revoca della sentenza per "abolitio criminis", deve escludersi l'operatività dell'istituto qualora esso richieda al giudice della esecuzione non un riscontro meramente ricognitivo della perdita di efficacia della norma incriminatrice, ma una indagine valutativa in ordine alla sussistenza delle condizioni cui è subordinata la produzione dell'effetto abrogativo. ( Fattispecie in cui la Suprema Corte ha ritenuto che dalla dichiarazione di parziale illegittimità costituzionale dell'art. 68 T.U.L.P.S. sulla necessità della licenza del questore non sia dato desumere, attraverso un percorso meramente ricognitivo, l'intervenuta abrogazione della diversa fattispecie di reato proprio prevista dall'art. 31 legge n. 110 del 1975, in materia di vigilanza sulle attività di tiro a segno).
Cass. civ. n. 4334/2012
Il giudice dell'esecuzione è tenuto a dichiarare che il fatto non è più previsto dalla legge come reato anche quando quest'ultimo sia stato trasformato in illecito amministrativo dopo l'intervento di una causa estintiva, in quanto, in applicazione del principio del "favor rei", tale declaratoria fa cessare tutti gli effetti penali della condanna, con la conseguente cancellazione della relativa iscrizione nel casellario giudiziario, ex art. 5, comma secondo, lett. a) del D.P.R. n. 313 del 2002. (Fattispecie in tema di reato di guida senza patente depenalizzato).
Cass. civ. n. 40334/2008
Il giudice dell'esecuzione che disponga la revoca di condanna per "abolitio criminis" può applicare ad altra condanna la sospensione condizionale della pena che sia stata impedita, nel giudizio di cognizione, dalla sentenza revocata, quando la concessione del beneficio sia giustificata dalla valutazione degli elementi acquisiti nel momento in cui egli stesso formula il giudizio prognostico.
Cass. civ. n. 4687/2006
Il giudice dell'esecuzione può applicare, a norma dell'art. 673 c.p.p., la sospensione condizionale della pena qualora disponga la revoca per abolitio criminis delle precedenti sentenze di condanna che abbiano impedito, nel giudizio di cognizione, l'applicazione del beneficio, e questa sia giustificata dalla valutazione degli elementi acquisiti nel momento in cui è formulato dallo stesso giudice dell'esecuzione il giudizio prognostico.
Cass. civ. n. 4266/2006
La revoca della sentenza di condanna per abolitio criminis, disposta in sede esecutiva ai sensi dell'art. 673 c.p.p., non comporta il venir meno della illiceità civile del fatto cui la condanna si riferiva, per cui è da escludere che la revoca possa investire anche le statuizioni civili contenute in detta sentenza (principio affermato, nella specie, in relazione a revoca di condanna per il reato di abuso d'ufficio, a seguito della nuova formulazione dell'art. 323 c.p. introdotta dalla legge 16 luglio 1997 n. 234).
Cass. civ. n. 23852/2004
La previsione dell'art. 673 c.p.p. è circoscritta alla revoca di sentenze di condanna e di proscioglimento o di non luogo a procedere per estinzione del reato o difetto di imputabilità, nei casi di abrogazione o declaratoria di illegittimità costituzionale della norma incriminatrice, e non può trovare alcuna applicazione in caso di condanna al pagamento di sanzioni pecuniarie in forza di disposizioni di natura processuale. (Fattispecie in cui la Corte ha confermato la decisione del giudice dell'esecuzione che aveva stabilito che le sanzioni pecuniarie inflitte dalla Corte di cassazione ex art. 616 c.p.p. non possono costituire oggetto di sindacato in sede di esecuzione alla stregua della parziale declaratoria di illegittimità costituzionale di detto articolo).
Cass. civ. n. 38110/2003
Ai sensi dell'art. 673, comma 1, c.p.p. al giudice dell'esecuzione, nel caso di abrogazione anche parziale di una norma incriminatrice, non è consentita la completa rivisitazione del giudizio di merito o meglio ancora l'esecuzione di accertamenti ulteriori, al fine di stabilire se il fatto per il quale era stata pronunciata condanna costituisca o meno reato, ma deve limitarsi ad interpretare il giudicato e, quindi, ad accertare se nella contestazione fatta all'imputato risultano anche tutti gli elementi costituenti la nuova categoria dell'illecito. (Fattispecie relativa a sentenza in tema di reato di false comunicazioni sociali passata in giudicato prima dell'entrata in vigore della riforma societaria).
Cass. civ. n. 8030/2003
Il giudice richiesto in sede di esecuzione, ai sensi dell'art. 673 c.p.p., della revoca di una sentenza di condanna a seguito di abolitio criminis è tenuto ad interpretare il giudicato e a renderne esplicito il contenuto e i limiti, desumendo dalla decisione irrevocabile tutti quegli elementi, anche non chiaramente espressi, necessari all'applicazione o al diniego .della disciplina dettata dal citato art. 673 c.p.p.
Cass. civ. n. 32612/2002
Le perquisizioni e i sequestri effettuati ad iniziativa della polizia giudiziaria non comportano l'obbligo di dar luogo agli adempimenti previsti dall'art. 369 bis c.p.p. (informazione della persona sottoposta a indagini sul diritto di difesa). Ciò, manifestamente, non si pone in contrasto alcuno con la Costituzione, considerando che vi è sostanziale identità di disciplina tra gli atti anzidetti e quelli corrispondenti disposti direttamente al pubblico ministero, giacché tanto per gli uni quanto per gli altri non è previsto alcun obbligo di preavviso ma soltanto l'obbligo di avvertire la persona sottoposta alle indagini, se presente, della facoltà di farsi assistere da un difensore, con l'unica differenza - pienamente giustificata nella logica del sistema - che solo il pubblico ministero, ai sensi dell'art. 365 c.p.p., e non la polizia giudiziaria, in mancanza di un difensore di fiducia, deve designarne uno d'ufficio.
Cass. civ. n. 7667/2002
Nei casi in cui la revoca ex art. 673 c.p.p. della sentenza di condanna per un reato continuato riguardi una parte soltanto degli illeciti confluiti nella fattispecie unitaria all'esito del giudizio di cognizione, ed in particolare quello considerato più grave ai fini dell'art. 81 cpv. c.p., è richiesta al giudice della esecuzione una nuova ed autonoma determinazione della pena per i reati già ritenuti satelliti, poiché la deroga alla intangibilità del giudicato è imposta dalla necessità di osservare la regola fissata all'art. 2, comma 2, del codice penale.
Cass. civ. n. 20693/2001
Nell'ipotesi in cui vi sia stata sentenza di condanna irrevocabile per più reati unificati dalla continuazione ad una pena complessiva ostativa alla concessione della sospensione condizionale della pena, e successivamente intervenga una revoca parziale della sentenza in ordine ad alcuni dei reati unificati, per abrogazione o per dichiarazione di illegittimità costituzionale delle norme incriminatrici, e la pena per i reati residui venga rideterminata in una misura che consentirebbe la concessione del predetto beneficio, il giudice dell'esecuzione può concederlo previa valutazione dei presupposti ed il compimento del giudizio prognostico ex art. 164 c.p. che il giudice della cognizione non aveva avuto motivo di effettuare.
Cass. civ. n. 4968/2000
L'istituto della revoca della sentenza a seguito di abolitio criminis, a norma dell'art. 673 c.p.p., opera anche in relazione alla sentenza di applicazione della pena su richiesta delle parti prevista dall'art. 444 stesso codice, atteso che, da un lato, il rito del patteggiamento non tocca il principio di diritto sostanziale nullum crimen sine lege, operante anche retroattivamente, con conseguente cessazione delle sanzioni irrogate e dei loro effetti, in caso di abrogazione della norma incriminatrice, e, dall'altro, il giudice dell'esecuzione non deve compiere alcun accertamento di merito, ma solo la valutazione in astratto della fattispecie oggetto della sentenza rispetto al nuovo assetto del sistema penale, e ciò anche quando la norma incriminatrice non sia stata interamente abrogata, ma riscritta con una riduzione del relativo ambito di operatività. (Fattispecie concernente il reato di cui all'art. 323 c.p., commesso prima dell'entrata in vigore della legge n. 234 del 1997 e consistito nel rilascio di concessioni edilizie in contrasto con la disciplina urbanistica locale, in relazione alla quale si trattava di stabilire se tale condotta rientrasse nella nuova definizione dell'illecito come fatto compiuto «in violazione di norme di legge o di regolamento»).
Cass. civ. n. 3165/2000
L'intervenuta abrogazione, per effetto dell'art. 18 della legge 25 giugno 1999 n. 205, del reato di oltraggio a pubblico ufficiale, previsto dall'art. 341 c.p., non ha dato luogo ad un fenomeno di successione di leggi penali nel tempo, quale disciplinato dall'art. 2, comma terzo, c.p., ma ad una vera e propria abolitio criminis rientrante, come tale, nelle previsioni di cui al secondo comma dello stesso articolo. Ne consegue che la permanenza nell'ordinamento penale dei reati di ingiuria e di minaccia, aggravati (se commessi in danno di un pubblico ufficiale), ai sensi dell'art. 61 n. 10 c.p. e rispetto ai quali il reato di oltraggio si poneva in rapporto non di specialità ma di assorbimento, non può costituire valida ragione per negare la revoca, ai sensi dell'art. 673 c.p.p., di una condanna per oltraggio inflitta con sentenza divenuta esecutiva prima dell'intervento abrogativo.
Cass. civ. n. 3137/2000
L'intervenuta abrogazione, per effetto dell'art. 18 della legge 25 giugno 1999 n. 205, dell'art. 341 c.p. ha dato luogo non ad una pura e semplice abolitio criminis, disciplinata dall'art. 2, comma secondo, c.p., ma ad un fenomeno di successione di leggi penali nel tempo, inquadrabile nelle previsioni di cui al successivo terzo comma dello stesso articolo; ciò in quanto la condotta già qualificata come oltraggio a pubblico ufficiale dall'abrogata norma incriminatrice sarebbe stata - ed è rimasta - punibile, sia pure meno severamente, in assenza di detta norma, a titolo di ingiuria o di minaccia aggravate ai sensi dell'art. 61 n. 10 c.p. Ne consegue che, facendosi espressamente salvi, nella disciplina dettata dal terzo comma dell'art. 2 c.p., gli effetti del giudicato, non può darsi luogo a revoca, ai sensi dell'art. 673 c.p.p., della sentenza di condanna per il reato di oltraggio a pubblico ufficiale divenuta esecutiva prima dell'intervento abrogativo.
Cass. civ. n. 2748/2000
L'intervenuta abrogazione dell'art. 341 c.p. ha dato luogo non ad una pura e semplice abolitio criminis, disciplinata dall'art. 2, comma secondo, c.p., ma ad un fenomeno di successione di leggi nel tempo, inquadrabile nelle previsioni di cui al successivo terzo comma dello stesso articolo, posto che la condotta già qualificata come oltraggio a pubblico ufficiale dalla norma abrogata sarebbe stata — ed è rimasta — punibile, sia pure meno severamente, in assenza di detta norma, a titolo di ingiuria aggravata ai sensi dell'art. 61 n. 10 c.p. Ne consegue che, facendosi espressamente salvi, nella disciplina dettata dall'art. 2, comma terzo, c.p., gli effetti del giudicato, non può darsi luogo a revoca, ex art. 673 c.p.p., delle sentenze di condanna per il reato di oltraggio a pubblico ufficiale divenute definitive prima dell'intervento abrogativo.
Cass. civ. n. 2716/2000
L'intervenuta abrogazione, ad opera dell'art. 18 della legge 25 giugno 1999 n. 205, del reato di oltraggio a pubblico ufficiale, previsto dall'art. 341 c.p. non ha dato luogo ad un fenomeno di successione di leggi penali nel tempo, quale previsto o disciplinato dall'art. 2, terzo comma, c.p., ma ad una vera e propria abolitio criminis, rientrante, come tale, nelle previsioni di cui al secondo comma dello stesso art. 2 c.p. Ne consegue che non può essere negata la revoca, ai sensi dell'art. 673 c.p.p., delle condanne per il suddetto reato inflitte con sentenze divenute esecutive prima dell'intervento abrogativo.
Cass. civ. n. 1805/2000
A seguito dell'entrata in vigore dell'art. 18 della L. n. 205 del 1999, il fatto costituente oltraggio deve ritenersi penalmente irrilevante, con la conseguente applicazione, ai procedimenti in corso, dell'art. 2, secondo comma, c.p., non potendo configurarsi quel fenomeno di «espansione normativa» che lo faccia sussumere in ipotesi di ingiuria e/o minaccia aggravate ai sensi dell'art. 61 n. 10 c.p., essendo, queste ultime, figure criminose dirette alla protezione di differenti beni giuridici. (Fattispecie relativa a revoca della sentenza di condanna a norma dell'art. 673 c.p.p.).
Cass. civ. n. 7211/1999
L'abrogazione della norma incriminatrice, in base alla quale la confisca è stata ordinata con sentenza irrevocabile, non può incidere sulla confisca che costituisce una misura di sicurezza patrimoniale destinata, per definizione normativa, a sopravvivere all'estinzione del reato. Ed invero dalla confisca consegue un istantaneo trasferimento a titolo originario in favore del patrimonio dello Stato del bene, del credito o della somma di denaro che ne costituisce l'oggetto, pertanto, la successiva invalidazione della norma incriminatrice per l'intervenuta dichiarazione di illegittimità costituzionale, operando su una situazione giuridica che deve considerarsi ormai esaurita, non può comportare il venire meno di tale effetto in applicazione dell'art. 673 c.p.p. (La Corte, nella specie, ha ritenuto corretta l'ordinanza che aveva respinto la richiesta di revoca della confisca disposta con la sentenza emessa per il reato di cui all'art. 708 c.p. prima della dichiarazione di illegittimità costituzionale della predetta contravvenzione).
Cass. civ. n. 7058/1998
La revoca della condanna definitiva prevista dall'art. 673 c.p.p. per l'ipotesi di abrogazione o di dichiarazione di illegittimità costituzionale della norma incriminatrice si applica anche nel caso di norma incriminatrice contenuta in un decreto-legge decaduto per mancata conversione. Ed invero, la decadenza di un decreto-legge ha effetti maggiori della abrogazione, poiché fa venir meno sin dall'origine la norma decaduta, determinando una situazione sostanzialmente assimilabile a quella dell'efficacia ex tunc della dichiarazione di incostituzionalità.
Cass. civ. n. 3922/1998
In caso di successione di decreti legge in continuità, presupposto per la revoca della sentenza emessa per fatto commesso in vigenza di previsione sanzionatoria è che la successiva abrogazione della norma incriminatrice, contenuta in uno dei detti decreti sia attuale. Per altro il decreto legge non convertito non ha effetti nella successione di leggi penali ex art. 2, secondo e terzo comma, c.p. a seguito della sentenza della Corte cost. n. 51/85, pur regolando i fatti commessi sotto la sua vigenza. La clausola di salvezza degli effetti dei decreti legge non convertiti, contenuta nella legge di conversione n. 172/1995, che chiudeva la serie di decreti legge in materia di inquinamento delle acque, ha la funzione di ripristinare un continuum normativo facendo risalire nel tempo la nuova disciplina all'originaria disposizione decaduta e consolidandola negli effetti, così da assicurare la permanenza dei medesimi senza soluzione di continuità. (Nella specie il continuum normativo traeva origine dalla legge 10 maggio 1976 n. 319, che prevedeva come reato lo scarico da insediamento produttivo con superamento dei limiti, e l'anomalia era stata introdotta dal D.L. 15 luglio 1994 n. 449, e dal successivo D.L. 17 settembre 1994 n. 577, cui avevano fatto seguito i DD.LL. 629/94, 9/95 e 79/95 nuovamente prevedenti il fatto come reato, con la previsione finale incriminatrice ex L. 17 maggio 1995 n. 172, ed il fatto era stato commesso antecedentemente alla depenalizzazione temporanea operata con il D.L. 449/94).
Cass. civ. n. 3499/1998
In tema di revoca della sentenza per abolitio criminis, non è consentito al giudice dell'esecuzione alcun apprezzamento di merito in contrasto con il precedente giudicato. (Fattispecie in cui la Corte ha ritenuto non revocabile la sentenza in quanto la destinazione della droga al fine di spaccio, e non all'uso personale, aveva costituito oggetto del giudizio).
Cass. civ. n. 928/1998
L'istituto della revoca della sentenza per abolitio criminis derivante da abrogazione o da declaratoria di illegittimità costituzionale della norma incriminatrice, quale previsto dall'art. 673 c.p.p., non può trovare applicazione con riguardo all'ordinanza, divenuta definitiva, con la quale il tribunale di sorveglianza, prima della declaratoria di parziale incostituzionalità dell'art. 54, comma 3, dell'ordinamento penitenziario, di cui a sentenza della Corte costituzionale 23 maggio 1995 n. 186, abbia disposto la revoca del beneficio della liberazione anticipata a cagione dell'intervenuta condanna del soggetto per un delitto non colposo (nella specie, evasione).