Art. 342 – Codice penale – Oltraggio a un Corpo politico, amministrativo o giudiziario
Chiunque offende l'onore o il prestigio di un Corpo politico, amministrativo o giudiziario, o di una rappresentanza di esso, o di una pubblica Autorità costituita in collegio , al cospetto del Corpo, della rappresentanza o del collegio , è punito con la multa da euro 1.000 a euro 5.000.
La stessa pena si applica a chi commette il fatto mediante comunicazione telegrafica, o con scritto o disegno, diretti al Corpo, alla rappresentanza o al collegio, a causa delle sue funzioni.
La pena è della multa da euro 2.000 a euro 6.000 se l'offesa consiste nell'attribuzione di un fatto determinato.
Si applica la disposizione dell'ultimo capoverso dell'articolo precedente.
Le parole ricomprese fra parentesi quadre sono state abrogate.
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Massime correlate
Cass. civ. n. 33019/2024
Il delitto di oltraggio a un Corpo politico, amministrativo o giudiziario, realizzato con uno scritto diretto al Corpo, alla rappresentanza o al collegio, non postula necessariamente che la condotta venga posta in essere "al cospetto" di questi ultimi, cioè mentre si trovano nell'esercizio delle funzioni. (Fattispecie in cui la Corte ha ritenuto correttamente ravvisato il reato di oltraggio corporativo in relazione ad alcune "mails", inviate agli "accounts" ufficiali di Polizia locale, Prefettura e Comune, contenenti gravi offese agli appartenenti al corpo di Polizia locale).
Cass. civ. n. 20392/2024
Nell'ipotesi in cui il giudice d'appello rigetti il gravame proponendo una interpretazione della sentenza diversa da quella dell'appellante, ma conforme a diritto, non si ha violazione dei principi di cui agli artt. 112, 342 e 345 c.p.c. ed il soccombente, se intende ricorrere per cassazione avverso la sentenza di secondo grado, ha l'onere di proporre specifica e valida impugnazione della lettura della sentenza di primo grado adottata dal giudice di appello, a pena di inammissibilità del ricorso per difetto di interesse. (Nella specie, la S.C. ha dichiarato inammissibile il ricorso proposto avverso una sentenza d'appello che aveva interpretato la sentenza di primo grado come accertamento, ex art. 615 c.p.c., dell'estinzione dei crediti erariali per prescrizione quinquennale, in quanto il ricorrente non aveva censurato la lettura data dal giudice d'appello).
Cass. civ. n. 17118/2024
In materia di consulenza tecnica d'ufficio, la nullità dell'elaborato disposto nel primo grado di giudizio per avere il c.t.u. utilizzato documenti irritualmente acquisiti, utili a provare i fatti principali, va fatta valere con l'appello, determinandosi nella specie un vizio processuale che, ove non ritualmente impugnato, resta sanato.
Cass. civ. n. 9343/2024
La declaratoria di inammissibilità dell'appello per ragioni processuali, adottata con ordinanza richiamante l'art. 348-ter c.p.c., è impugnabile con ricorso ordinario per cassazione, trattandosi, nella sostanza, di una sentenza di carattere processuale che, non contenendo alcun giudizio prognostico negativo circa la fondatezza nel merito del gravame, è pronunciata fuori dei casi normativamente previsti. (In applicazione del principio la S.C., accogliendo il motivo di ricorso con cui era dedotta la sufficiente specificità dell'atto di appello, ha cassato con rinvio l'ordinanza che aveva dichiarato inammissibile, ai sensi dell'art. 342 c.p.c., l'impugnazione avverso la sentenza di primo grado).
Cass. civ. n. 3352/2024
In tema di giudizio di cassazione, la questione processuale concernente l'ammissibilità dell'appello non valutata dal giudice di secondo grado non può essere rilevata d'ufficio dalla cassazione potendo essere esaminata soltanto a fronte di uno specifico motivo di ricorso che censuri l'error in procedendo.
Cass. civ. n. 1341/2024
Il motivo d'impugnazione è costituito dall'enunciazione delle ragioni per le quali la decisione è erronea e si traduce in una critica della decisione impugnata, non potendosi, a tal fine, prescindere dalle motivazioni poste a base del provvedimento stesso, la mancata considerazione delle quali comporta la nullità del motivo per inidoneità al raggiungimento dello scopo; tale nullità si risolve in un "non motivo" del ricorso per cassazione ed è conseguentemente sanzionata con l'inammissibilità, ai sensi dell'art. 366, n. 4, c.p.c.
Cass. civ. n. 197/2024
Nell'ambito dei procedimenti minorili, la proposizione del reclamo, per la cui ammissibilità é necessaria la formulazione di specifici motivi di impugnazione, impedisce la formazione del giudicato interno rispetto all'oggetto sostanziale (il bene della vita) del procedimento, che va individuato nell'affidamento e nel collocamento dei minori in modo conforme al loro superiore interesse, indipendentemente dalla circostanza che sia stato proposto altro reclamo incidentale. (Nella fattispecie, la S.C. ha cassato il decreto della corte d'appello che, pur accogliendo il reclamo proposto dalla madre, aveva ritenuto che la mancata proposizione del reclamo da parte del padre avesse dato luogo ad un giudicato rispetto alla statuizione assunta in primo grado nei suoi confronti, rimanendo così preclusa ogni valutazione sul possibile diverso collocamento ed affidamento dei minori anche al padre).
Cass. civ. n. 31330/2023
Il giudicato si forma anche sulla qualificazione giuridica data dal giudice alla domanda se la parte interessata non ha proposto specifica impugnazione, salvo i casi in cui tale qualificazione o non ha condizionato l'impostazione e la definizione dell'indagine di merito, o è incompatibile con le censure formulate dall'appellante, o non ha formato oggetto di contestazione tra le parti, o quando si tratti soltanto di stabilire, fermi i fatti accertati, quale norma debba applicarsi ad una determinata fattispecie concreta.
Cass. civ. n. 30507/2023
L'operatività del principio della ragione più liquida nel giudizio di appello è soggetta al limite derivante dall'effetto devolutivo del gravame, in virtù del quale la decisione non può esorbitare dal thema decidendum delineato dai motivi di impugnazione, pena la violazione dell'art. 112 c.p.c.
Cass. civ. n. 24867/2023
In tema di giudicato l'esatto contenuto della sentenza va individuato non alla stregua del solo dispositivo, bensì integrando questo con la motivazione nella parte in cui la medesima riveli l'effettiva volontà del giudice. Ne consegue che va ritenuta prevalente la parte del provvedimento maggiormente attendibile e capace di fornire una giustificazione del "dictum" giudiziale.
Cass. civ. n. 24550/2023
Nel giudizio di cassazione, i motivi che, a fronte della dichiarazione di inammissibilità del gravame, attingano direttamente l'apprezzamento di merito operato dal giudice d'appello, senza censurare l'"error in procedendo" cui questi è incorso, così da rimuovere la ragione in rito che aveva impedito la valutazione nel merito delle censure mosse con l'atto di appello, determinano l'inammissibilità del ricorso, derivando da tale omissione il passaggio in giudicato della statuizione di inammissibilità e il conseguente venir meno dell'interesse della parte a far valere in sede di legittimità l'erroneità delle ulteriori statuizioni della decisione impugnata.
Cass. civ. n. 20905/2023
In tema di patrocinio a spese dello Stato, il procedimento avente ad oggetto un ordine di protezione in ambito familiare ha natura contenziosa, con conseguente applicazione, ai fini della determinazione del compenso del difensore, delle tabelle relative ai giudizi ordinari innanzi ai tribunali, che prevedono la separazione per fasi, e non già delle tabelle relative ai procedimenti di volontaria giurisdizione, che individuano una voce di compenso unica.
Cass. civ. n. 16155/2023
In tema di protezione internazionale, nei giudizi di appello la revoca dell'ammissione dello straniero al gratuito patrocinio con effetto "ex tunc" è ammessa, ex art. 136 TUSG, limitatamente alle ipotesi in cui risultino insussistenti i presupposti per l'ammissione ovvero l'interessato abbia agito o resistito in giudizio, fin dall'origine, con mala fede o colpa grave. (Nella specie, la S.C. ha cassato l'ordinanza emessa in sede di appello con la quale era stata revocata l'ammissione al beneficio del ricorrente "ex tunc" in ragione della manifesta infondatezza dei motivi di appello).
Cass. civ. n. 13189/2023
L'inammissibilità dell'appello pronunciata in ragione del difetto di specificità dell'impugnazione, ai sensi dell'art. 342 c.p.c., e non sulla base dei presupposti di cui all'art. 348-bis c.p.c. (ossia, in considerazione dell'insussistenza di alcuna ragionevole probabilità di accoglimento dell'impugnazione) non è soggetta ai termini di preclusione imposti dall'art. 348-ter c.p.c., e, pertanto, può essere emessa anche dopo l'udienza di cui all'art. 350 c.p.c..
Cass. civ. n. 12128/2023
dalla fusione di quella presente in primo grado (o incorporante la stessa) - Prova del predetto adempimento - Necessità. Gli effetti giuridici della fusione o dell'incorporazione si producono dal momento dell'adempimento delle formalità pubblicitarie concernenti il deposito, per l'iscrizione nel registro delle imprese, dell'atto di fusione; ne consegue che - ai fini del riconoscimento della legittimazione all'impugnazione della società incorporante o risultante dalla fusione, in qualità di successore della società soccombente nel grado precedente - è necessaria la prova del predetto adempimento.
Cass. civ. n. 10926/2023
La mancanza nell'atto di citazione d'appello di tutti i requisiti indicati dall'art. 164, comma 1, c.p.c. e, quindi, di tutti gli elementi integranti la "vocatio in ius", non determina l'inammissibilità del gravame, dovendosi disporre, ai sensi dell'art. 164 c.p.c., la rinnovazione, entro un termine perentorio, della menzionata citazione, i cui vizi sono così sanati con efficacia "ex tunc". (In applicazione del principio, la S.C. ha cassato la decisione del giudice di appello che aveva ritenuto che la mancanza, nell'atto di citazione notificato e iscritto a ruolo, dell'indicazione della data di udienza di comparizione e degli inviti previsti dall'art. 163, terzo comma, n. 7 c.p.c., vigente "ratione temporis", non poteva essere sanata con la costituzione dell'appellato, né con la rinnovazione della citazione, ritenendo inapplicabile l'art. 164 c.p.c. al giudizio d'appello.)
Cass. civ. n. 10126/2023
In materia di giudizio di cassazione, la discordanza, per mero errore materiale, tra i dati identificativi della sentenza impugnata indicati nell'atto d'impugnazione e quelli risultanti dalla sentenza prodotta in copia autentica dall'impugnante, non determina l'inammissibilità del ricorso, ove la corrispondenza tra la sentenza depositata e quella nei cui confronti è rivolta l'impugnazione risulti comunque dalla congruenza tra i motivi di gravame ed il contenuto della sentenza in atti, consentendo di individuare univocamente quest'ultima come oggetto effettivo del ricorso.
Cass. civ. n. 9224/2023
All'inosservanza delle disposizioni sulla composizione collegiale o monocratica del tribunale è applicabile, in forza del rinvio operato dall'art. 50-quater c.p.c., il regime della nullità di cui all'art. 161, comma 1, c.p.c., con la conseguenza che il relativo vizio (che non comporta la nullità degli atti precedenti) si converte in motivo di impugnazione, senza che quest'ultima produca l'effetto della rimessione degli atti al primo giudice, ove il giudice dell'impugnazione sia anche giudice del merito, essendo egli chiamato a rinnovare la decisione come se fosse nella posizione del giudice di primo grado, e non potendo, pertanto, sindacare il mancato rispetto, nell'atto di appello, dei requisiti di ammissibilità di cui all'art. 342 c.p.c.
Cass. civ. n. 6397/2023
L'appello proposto da una società estinta è inammissibile e tale vizio è rilevabile d'ufficio in sede di legittimità, qualora sul punto non si sia formato il giudicato; a tal fine, la parte originariamente appellata, che ricorra per cassazione, è ammessa a produrre, ai sensi dell'art. 372 c.p.c., i documenti comprovanti la suddetta estinzione, essendo quello della proposizione dell'impugnazione il momento in cui è tenuta a verificare l'esistenza del soggetto cui deve notificarla.
Cass. civ. n. 4770/2023
La rilevabilità d'ufficio del concorso di colpa della vittima di un fatto illecito, di cui all'art. 1227, comma 1, c.c., non è incondizionata, dovendo coordinarsi con gli oneri dell'allegazione e della prova; ne discende che la questione del concorso colposo è rilevabile d'ufficio, in primo grado, allorché risultino prospettati gli elementi di fatto dai quali sia desumibile la sussistenza d'una condotta colposa del danneggiato, che abbia concausato il danno e, in grado di appello, se in primo grado ne sia stato omesso il rilievo, ove la parte interessata abbia impugnato la sentenza che non ha provveduto sull'eccezione ovvero la abbia riproposta quando la questione sia rimasta assorbita.
Cass. civ. n. 891/2023
In tema di impugnazioni, l'appellante può limitarsi a porre a fondamento del gravame la mancata sospensione del giudizio di primo grado, senza alcuna deduzione sulle questioni di merito, sempre che specifichi che l'arresto del procedimento è funzionale all'attesa di una pronuncia che influirà sull'esito della lite.
Cass. civ. n. 50/2023
Il rilievo d'ufficio della nullità del contratto è precluso al giudice dell'impugnazione quando sulla validità del rapporto si è formato il giudicato interno e cioè, nel caso in cui la nullità abbia formato oggetto di domanda o di eccezione in primo grado e la decisione (anche implicita) su tale eccezione o domanda non abbia formato oggetto di uno specifico motivo di impugnazione. (Nella specie, la S.C. ha rilevato che l'eccezione di invalidità per carenza di forma scritta di un contratto della P.A. - già esaminata dal giudice di primo grado, che, in funzione della declaratoria di sussistenza dell'obbligazione derivante da tale negozio, ne aveva necessariamente presupposto ed implicitamente ritenuto la validità - non aveva formato oggetto di uno specifico motivo d'impugnazione da parte del Comune - il quale aveva riproposto l'eccezione soltanto all'udienza di precisazione delle conclusioni - e ha quindi statuito che alla Corte d'appello era preclusa la rilevazione officiosa della nullità, in applicazione della regola della formazione progressiva del giudicato).
Cass. pen. n. 2804/2007
Qualora l'oltraggio ad un Corpo politico, amministrativo o giudiziario venga consumato, come prevede l'art. 342, comma secondo c.p., con uno scritto diretto al Corpo, alla rappresentanza o al collegio, non è necessario che esso avvenga al «cospetto» di questi ultimi, cioè mentre essi si trovino nell'esercizio delle funzioni. (Fattispecie in cui la Corte ha ritenuto correttamente ravvisato il reato di oltraggio corporativo in relazione ad una lettera diretta ad un Presidente di sezione del Tar contenente affermazioni oltraggiose nei confronti dei magistrati della stessa sezione nonché del corpo giudiziario di appartenenza, a causa di una decisione assunta dal predetto collegio in pregiudizio dell'imputato).
Cass. pen. n. 4159/2000
In tema di oltraggio a un corpo politico, amministrativo o giudiziario, è necessario che l'espressione oltraggiosa avvenga «al cospetto del corpo», e quindi sia rivolta a uno dei predetti consessi costituiti in collegio per l'esercizio delle relative funzioni. Non integra pertanto il reato l'offesa recata ai vigili urbani da chi, nel compilare il bollettino postale di versamento di una sanzione amministrativa inserisca nella causale di versamento la frase «rapina legalizzata».
Cass. pen. n. 7498/1998
Ai fini della sussistenza del reato di oltraggio a un corpo politico, amministrativo o giudiziario, di cui all'art. 342 c.p., è necessario che l'espressione oltraggiosa sia rivolta ad uno dei predetti consessi al «cospetto del corpo», cioè nel momento in cui essi si trovino riuniti nell'esercizio delle loro funzioni. (Nell'affermare il principio la Corte di cassazione ha annullato la decisione dei giudici di merito che avevano ritenuto la sussistenza del reato in questione da parte di un rappresentante sindacale che, alla presenza di tre vigili urbani prossimi a prendere servizio, aveva espresso l'opinione che l'intero corpo della polizia municipale fosse composto da ladri).
Cass. pen. n. 660/1997
Ai fini della sussistenza del delitto di cui all'art. 342 c.p. (Oltraggio a un corpo politico amministrativo o giudiziario), per «corpo amministrativo» deve intendersi l'organo pubblico dello Stato o dell'amministrazione statale indiretta nell'integrità della sua composizione, mediante la quale esso normalmente funziona, oppure una rappresentanza dello stesso. Ne consegue che risponde del delitto in questione colui il quale usi espressioni offensive dirette all'organo medesimo nel suo complesso e al suo cospetto. Se, invece, dette espressioni sono rivolte a persone facenti parte dell'organo, cioè a singoli membri di esso, la condotta può integrare, ricorrendone gli altri elementi costitutivi, solo il reato di cui all'art. 341 c.p. (Oltraggio a un pubblico ufficiale), salva la possibilità del concorso formale tra i due reati ove, con un unico atto, sia arrecata offesa pure al corpo amministrativo.
Cass. pen. n. 9417/1994
In tema di oltraggio, la «presenza» del pubblico ufficiale, presupposto indefettibile del reato di cui all'art. 341 c.p., è concetto ben diverso dal «cospetto», richiesto dal reato di cui all'art. 342 c.p. La «presenza» richiesta dalla prima norma prescinde dal contatto fisico o anche semplicemente visivo ed è estesa ad un ambito spaziale tale da consentire al pubblico ufficiale la semplice possibilità di percepire l'espressione oltraggiosa. Essa va dunque ben oltre la possibilità di visione diretta e reciproca del soggetto attivo e di quello passivo espressa dal sostantivo «cospetto». Questo presuppone la contemporanea presenza, reciprocamente avvertita, nel medesimo luogo, fronte a fronte, del soggetto attivo e del corpo politico, amministrativo o giudiziario ovvero di una rappresentanza di esso, riuniti in forma propria e solenne, quale ad esempio, con riferimento ad un corpo di polizia, un picchetto d'onore, la banda musicale, un qualsiasi reparto organico schierato o adunato nel corso di una cerimonia o per l'adempimento di funzioni sue proprie, ipotesi di fatto queste ben diverse dalla presenza sparsa e dispersa tra la folla di diversi appartenenti al Corpo, come singoli comandati e impegnati in servizio d'ordine in un determinato luogo. Ne consegue che risulta violato il principio di correlazione tra l'imputazione contestata e la sentenza (art. 521 c.p.p.) nell'ipotesi che, tratto l'imputato a giudizio per rispondere del delitto di oltraggio a pubblico ufficiale per aver profferito le parole «polizia boia assassina», in presenza di un soprintendente della Polizia di Stato e di agenti in servizio in una zona dello stadio, venga ritenuto il reato previsto dall'art. 342 c.p.
Cass. pen. n. 3606/1986
In tema di oltraggio ad un corpo amministrativo, politico o giudiziario il dolo consiste nella volontà di pronunciare la frase offensiva con la consapevolezza a ledere l'onore e il prestigio del corpo, a nulla rilevando un eventuale stato di risentimento o di reazioni emotive del soggetto, cagionato da presunte ingiustizie subite.