Art. 389 – Codice penale – Inosservanza di pene accessorie
Chiunque, avendo riportato una condanna, da cui consegue una pena accessoria , trasgredisce agli obblighi o ai divieti inerenti a tale pena, è punito con la reclusione da due a sei mesi.
[La stessa pena si applica a chi trasgredisce agli obblighi o ai divieti inerenti ad una pena accessoria provvisoriamente applicata].
Le parole ricomprese fra parentesi quadre sono state abrogate.
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Massime correlate
Cass. civ. n. 46787/2023
La pena accessoria interdittiva di cui all'art. 32-bis cod. pen., che inibisce al condannato - in funzione specialpreventiva - l'esercizio delle mansioni nell'esercizio delle quali ha commesso il delitto, comporta la perdita temporanea della capacità di esercitare uffici direttivi o di rappresentanza delle persone giuridiche e delle imprese, con la conseguenza che la violazione di tale divieto produce, sotto il profilo civilistico, la nullità degli atti posti comunque in essere, perché contrari a norme imperative, ai sensi dell'art. 1418, comma primo, cod. civ., ed integra, sotto il profilo penalistico, il delitto di cui all'art. 389 cod. pen.
Cass. civ. n. 33810/2023
In tema di bancarotta fraudolenta, sussiste piena continuità normativa fra la previsione dell'art. 216 legge fall. e l'art. 322 d.lgs. 12 gennaio 2019, n. 14 (cd. Codice della crisi e dell'insolvenza di impresa) stante l'identità della formulazione delle due norme incriminatrici, al netto di non rilevanti, in sede penale, aggiornamenti lessicali, sicché la disciplina antecedente, da applicarsi ai sensi delle disposizioni transitorie di cui all'art. 390, comma 3, Codice della crisi, in ordine a tutti i casi in cui vi sia stata dichiarazione di fallimento, non determina alcun trattamento deteriore, rilevante ai fini dell'art. 2 cod. pen.
Cass. civ. n. 27409/2023
Il giudizio di rinvio e quello per le restituzioni ex art. 389 c.p.c. sono autonomi e possono essere instaurati separatamente, fermo restando che, ove il giudice del rinvio si sia pronunciato nel senso della conferma della sentenza cassata, prima che giunga a decisione la causa sulle restituzioni, il giudice di quest'ultima può omettere la pronuncia di accoglimento della domanda restitutoria o risarcitoria, essendo stato nuovamente posto in essere il titolo giustificativo del corrispondente spostamento patrimoniale.
Cass. civ. n. 26105/2023
La domanda di condanna alla restituzione delle somme pagate in esecuzione di sentenza penale annullata dalla Corte di cassazione è di competenza del giudice civile.
Cass. civ. n. 6614/2023
La domanda di restituzione delle somme versate in esecuzione della sentenza di primo grado o del decreto ingiuntivo può essere proposta nel giudizio d'appello senza che ciò implichi violazione del divieto di domande nuove posto dall'art. 345 c.p.c., dovendo applicarsi, in via analogica, il principio generale in base al quale, per ragioni di economia processuale, la domanda di risarcimento del danno per responsabilità aggravata ex art. 96, comma 2, c. p. c. può essere proposta anche in grado di appello, come pure la domanda di riduzione in pristino ed ogni altra conseguente davanti al giudice di rinvio (art. 389 c.p.c.).
Cass. pen. n. 9514/2020
In tema di inosservanza di pene accessorie, il giudice che procede all'accertamento del reato di cui all'art. 389 cod. pen. deve attendere l'esito dell'incidente di esecuzione che sia stato promosso dal condannato al fine di rideterminare la durata della sanzione accessoria dell'incapacità di esercitare uffici direttivi, prevista dall'art. 216, ultimo comma, legge fall., norma dichiarata parzialmente incostituzionale nella parte in cui imponeva l'interdizione in misura fissa. (Corte cost., sent., n. 222 del 2018).
Cass. pen. n. 6540/2004
Non configura il reato di inosservanza di pene accessorie (art. 389 c.p.) l'inosservanza delle prescrizioni inerenti alla libertà controllata, non essendosi la condotta concretata nella trasgressione agli obblighi o ai divieti inerenti ad una pena accessoria.
Cass. pen. n. 44733/2003
In tema di assegni bancari, la nuova disciplina relativa all'inosservanza delle sanzioni amministrative accessorie, introdotta dal D.L.vo 30 dicembre 1999, n. 507, non ha depenalizzato le violazioni dei divieti commesse nella vigenza della normativa antecedente, atteso che l'art. 7 della L. 15 dicembre 1990, n. 386, come sostituito dall'art. 32 del citato D.L.vo, conserva immutata la sua ratio in relazione al permanere della previsione di illiceità penale della medesima condotta, consistente nella inottemperanza al divieto temporaneo di emettere assegni; pertanto, con riferimento alle condotte trasgressive del divieto di emettere assegni, poste in essere in epoca antecedente all'entrata in vigore della nuova disciplina di cui al D.L.vo 507 del 1999, trova applicazione il delitto previsto dall'art. 389 c.p., in luogo di quello punito più gravemente dall'art. 7 della L. n. 386 del 1990 e ciò in forza del principio del favor rei di cui all'art. 2 terzo comma c.p.