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Art. 600 — Riduzione o mantenimento in schiavitù o in servitù

Art. 600 — Riduzione o mantenimento in schiavitù o in servitù

Chiunque esercita su una persona poteri corrispondenti a quelli del diritto di proprietà ovvero chiunque riduce o mantiene una persona in uno stato di soggezione continuativa, costringendola a prestazioni lavorative o sessuali ovvero all’accattonaggio o comunque al compimento di attività illecite che ne comportino lo sfruttamento ovvero a sottoporsi al prelievo di organi, è punito con la reclusione da otto a venti anni.

La riduzione o il mantenimento nello stato di soggezione ha luogo quando la condotta è attuata mediante violenza, minaccia, inganno, abuso di autorità o approfittamento di una situazione di vulnerabilità, di inferiorità fisica o psichica o di una situazione di necessità, o mediante la promessa o la dazione di somme di denaro o di altri vantaggi a chi ha autorità sulla persona.

[ La pena è aumentata da un terzo alla metà se i fatti di cui al primo comma sono commessi in danno di minore degli anni diciotto o sono diretti allo sfruttamento della prostituzione o al fine di sottoporre la persona offesa al prelievo di organi. ]

L’eventuale comma dell’articolo ricompreso fra parentesi quadre è stato abrogato.

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Aggiornato al 1 gennaio 2020
Il testo riportato è reso disponibile agli utenti al solo scopo informativo. Pertanto, unico testo ufficiale e definitivo è quello pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale Italiana che prevale in casi di discordanza rispetto al presente.
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Massime correlate

Cass. pen. n. 35115/2016

Il reato di riduzione in schiavitù (art. 600 cod. pen.), se aggravato ai sensi dell’art. 602 ter, comma primo, lett. a), e lett. b), cod. pen., per essere i fatti diretti allo sfruttamento della prostituzione di persona minore, assorbe quello di prostituzione minorile di cui all’art. 600 bis, comma primo, n. 2, cod. pen.

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Cass. pen. n. 39797/2015

Il delitto di tratta di persone commesso nei confronti di persone minori di età non assorbe l’aggravante prevista dall’art. 602-ter cod. pen., con riferimento a tale condizione anagrafica della persona offesa, in quanto la nuova formulazione dell’art. 601 cod. pen., introdotta dal d.lgs. 4 marzo 2014, n. 24, si limita a stabilire che, allorquando oggetto della tratta sono soggetti minori, il reato è configurabile anche in assenza delle modalità indicate nella prima parte della disposizione.

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Cass. pen. n. 32322/2015

Il reato di riduzione in schiavitù, in caso di contestazione dell’aggravante di cui all’art. 602-ter, comma primo, lett.b), cod. pen., assorbe quello di cui all’art. 3, comma primo, n. 8, legge n. 75 del 1958, quando i fatti siano diretti allo sfruttamento della prostituzione.

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Cass. pen. n. 10426/2015

Il delitto di riduzione o mantenimento in schiavitù o in servitù è a fattispecie plurima ed è integrato alternativamente dalla condotta di chi esercita su una persona poteri corrispondenti a quelli spettanti al proprietario, che, implicando la “reificazione”della vittima, ne comporta “ex se”lo sfruttamento, ovvero dalla condotta di riduzione o mantenimento di una persona in stato di soggezione continuativa, in relazione alla quale, invece, è richiesta la prova dell’ulteriore elemento costituito dalla imposizione di prestazioni integranti lo sfruttamento della vittima. (Fattispecie in cui la Corte ha ritenuto immune da censure la decisione impugnata che aveva ravvisato gravi indizi di colpevolezza del reato con riferimento a condotta di tipo “dominicale”realizzata anche attraverso lo sfruttamento dell’immagine della vittima, costretta a recarsi quotidianamente al cimitero presso la tomba del marito).

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Cass. pen. n. 12574/2013

Risponde del delitto di riduzione o mantenimento in schiavitù colui che sfrutta la prostituzione della persona offesa eccedendo il normale rapporto di meretricio. (Fattispecie in cui la Suprema Corte ha ritenuto sussistente il reato in relazione ad una condotta di cessione della prostituta da un gruppo di sfruttatori ad un altro, affermando essere elementi sintomatici della sua sussistenza la mancanza di libertà di movimento della donna assoggettata, la sua impossibilità di comunicare con terzi, la sottrazione del passaporto e la privazione dei mezzi di sussistenza).

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Cass. pen. n. 10784/2012

Integra il delitto di riduzione o mantenimento in schiavitù colui che proceda alla vendita ad altri un essere umano, atteso che in tal modo egli esercita sullo stesso un potere corrispondente al diritto di proprietà.

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Cass. pen. n. 13532/2011

Non integra la fattispecie criminosa di riduzione in schiavitù, il cui evento di riduzione o mantenimento di persone in stato di soggezione consiste nella privazione della libertà individuale, la condotta consistente nell’offerta di un lavoro con gravose prestazioni in condizioni ambientali disagiate verso un compenso inadeguato, qualora la persona si determini liberamente ad accettarla e possa sottrarvisi una volta rilevato il disagio concreto che ne consegue.

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Cass. pen. n. 2775/2011

Ai fini della configurabilità del delitto di riduzione in schiavitù (art. 600 c.p.) non è necessaria un’integrale negazione della libertà personale ma è sufficiente una significativa compromissione della capacità di autodeterminazione della persona, idonea a configurare lo stato di soggezione rilevante ai fini dell’integrazione della norma incriminatrice. (In applicazione del principio di cui in massima la S.C. ha ritenuto immune da censure la decisione con cui il giudice di merito ha affermato la responsabilità – in ordine al reato di cui all’art. 600 c.p. – dell’ imputato, il quale aveva indotto alcuni minori a seguirlo in Italia con la prospettiva di una lecita attività lavorativa ed, una volta giunti a Milano, aveva loro sottratto i passaporti e li aveva percossi intimandogli di commettere furti e di consegnargli la refurtiva con minacce di morte e di mutilazioni).

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Cass. pen. n. 40045/2010

In tema di delitti contro la personalità individuale, la condizione analoga alla schiavitù è, ex art. 600 c.p., una situazione di fatto i cui estremi sono configurabili qualora la persona sia ridotta in stato di soggezione e costretta a prestazioni di lavoro stressanti o alla prostituzione, con sfruttamento dei compensi dovutigli con inganno, per abuso di autorità, approfittando della situazione di inferiorità fisica o psichica o di necessità, oltre che minaccia o violenza. (In applicazione del principio di cui in massima la S.C. ha ritenuto immune da censure la decisione con cui il giudice di appello ha confermato l’affermazione di responsabilità, in ordine al reato di cui all’art. 600 c.p., nei confronti degli imputati, i quali avevano ridotto in soggezione persone provenienti da Paesi dell’Est, privandole dei passaporti, collocandoli in luoghi isolati privi di relazioni esterne, corrispondendo retribuzioni nettamente inferiori alle promesse e imponendo loro contestuali sacrifici di esigenze primarie, alloggi fatiscenti, assenza di servizi igienici, privazioni alimentari, impossibilità di spostarsi sul territorio essendovi veicoli preordinati solo a condurli nei campi e, quindi, rendendoli incapaci di sottrarsi allo sfruttamento altrui, corredato se del caso da violenze e minacce).

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Cass. pen. n. 35923/2010

Integra il delitto di riduzione o mantenimento in schiavitù o in servitù (art. 600) c.p., la condotta di coloro che, considerandolo alla stregua di una cosa che possa essere oggetto di scambio commerciale, acquistino il minore previa corresponsione di un prezzo dai genitori e continuino a utilizzarlo, come già i genitori, per commettere furti indicandogli le risposte da dare alla Polizia in caso di arresto e diffidandolo dal rivelare ad alcuno l’avvenuta vendita.

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Cass. pen. n. 35479/2010

Il reato di riduzione in schiavitù ha natura permanente e richiede una condizione di soggezione continuativa della vittima all’agente, la quale non è esclusa dalla circostanza che la condotta di quest’ultimo sia stata interrotta qualche giorno dopo il momento in cui è stata posta in essere, per l’intervento della polizia.

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Cass. pen. n. 18072/2010

Il reato di riduzione in schiavitù nella precedente formulazione dell’art. 600 c.p. – per il quale chiunque riduce una persona in schiavitù, o in una condizione analoga alla schiavitù è punito con la reclusione da cinque a quindici anni – comprendeva l’ipotesi del mantenimento in schiavitù come indicato dal termine ‘riduzione’ interpretato alla luce della Convenzione di Ginevra del 25 settembre 1926, resa esecutiva in Italia con R.D. 26 aprile 1928, n. 1723 nonché e, per quel che concerne la ‘condizione analoga alla schiavitù’, dalla Convenzione supplementare di Ginevra del 7 settembre 1956, resa esecutiva in Italia con legge n. 1304 del 1957 e dall’art. 4 CEDU. Ne deriva che il testo del vigente art. 600 c.p. – novellato dall’art. 1 della legge n. 228 del 2003 che titola analiticamente riduzione o mantenimento in schiavitù o servitù – offre, pur con la modifica del trattamento sanzionatorio, un’interpretazione autentica del precetto originario, con la conseguenza che, qualora soggetto passivo del delitto di cui all’art. 600 c.p. – nella previgente o nella vigente formulazione – sia un minore sottratto all’autorità di un genitore (nella specie la madre già posta in stato di schiavitù), sussistono gli estremi costitutivi della fattispecie incriminatrice in questione a carico di chiunque e quindi, come nella specie, anche del padre che abusi della propria autorità, disponendo del minore come cosa propria o costringendolo a prestazioni che ne comportino lo sfruttamento o autorizzando altri a costringerlo.

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Cass. pen. n. 47444/2008

Ai fini della configurabilità dell’aggravante di cui all’art. 600, comma terzo, cod. pen., è necessario che il colpevole sia a conoscenza della minore età della persona offesa, in quanto non è applicabile al delitto di riduzione o mantenimento in schiavitù o servitù né l’art. 609 sexies cod. pen. né l’art. 47 cod. pen., trattandosi di fatto non previsto dalla legge come delitto colposo.

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Cass. pen. n. 46128/2008

Integra il delitto di riduzione in schiavitù mediante approfittamento dello stato di necessità altrui, la condotta di chi approfitta della mancanza di alternative esistenziali di un immigrato da un Paese povero, imponendogli condizioni di vita abnormi e sfruttandone le prestazioni lavorative al fine di conseguire il saldo del debito da questi contratto con chi ne ha agevolato l’immigrazione clandestina.

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Cass. pen. n. 44516/2008

Non integra il delitto di riduzione o mantenimento in schiavitù o servitù la condotta posta in essere da chi pratichi l’accattonaggio per alcune ore del giorno facendosi aiutare dal figlio minore, e ciò per l’assenza di una condizione di integrale asservimento ed esclusiva utilizzazione del minore ai fini di sfruttamento economico. (La Corte ha precisato che la condotta, qualora sia continuativa e cagioni al minore sofferenze morali e materiali, integra il meno grave delitto di maltrattamenti in famiglia e, ove si risolva in un isolato episodio di mendicità, la contravvenzione dell’impiego di minori nell’accattonaggio).

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Cass. pen. n. 2841/2007

In tema di riduzione e mantenimento in servitù posta in essere dai genitori nei confronti dei figli e di altri bambini in rapporto di parentela, ridotti in stato di soggezione continuativa e costretti all’accattonaggio, non è invocabile da parte degli autori delle condotte la causa di giustificazione dell’esercizio del diritto, per richiamo alle consuetudini delle popolazioni zingare di usare i bambini nell’accattonaggio, atteso che la consuetudine può avere efficacia scriminante solo in quanto sia stata richiamata da una legge, secondo il principio di gerarchia delle fonti di cui all’art. 8 disp. prel. c.c.
In tema di riduzione in schiavitù o in servitù, la situazione di necessità della vittima costituisce il presupposto della condotta approfittatrice dell’agente e, pertanto, tale nozione non può essere posta a paragone con lo stato di necessità di cui all’art. 54 c.p., ma va piuttosto posta in relazione alla nozione di bisogno indicata nel delitto di usura aggravata (art. 644, comma quinto, n. 3 c.p.) o allo stato di bisogno utilizzato nell’istituto della rescissione del contratto (art. 1418 c.c.). La situazione di necessità va, quindi, intesa come qualsiasi situazione di debolezza o di mancanza materiale o morale del soggetto passivo, adatta a condizionarne la volontà personale: in altri termini, coincide con la definizione di « posizione di vulnerabilità» indicata nella decisione quadro dell’Unione Europea del 19 luglio 2002 sulla lotta alla tratta degli esseri umani, alla quale la legge 11 agosto 2003, n. 228 ha voluto dare attuazione.

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Cass. pen. n. 1090/2007

Le condotte costitutive della fattispecie criminosa di riduzione o mantenimento in schiavitù o servitù hanno tra loro in comune lo stato di sfruttamento del soggetto passivo, e di quest’ultimo implicano il maltrattamento, a prescindere dalla percezione che questi abbia della sua situazione, sicché detto reato non può concorrere, per il principio di consunzione, con quello di maltrattamenti in famiglia.

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Cass. pen. n. 4012/2006

La previsione di cui all’art. 600 c.p. (riduzione o mantenimento in schiavitù o in servitù) configura un delitto a fattispecie plurima, integrato alternativamente dalla condotta di chi esercita su una persona poteri corrispondenti a quelli spettanti al proprietario o dalla condotta di colui che riduce o mantiene una persona in stato di soggezione continuativa costringendola a prestazioni lavorative o sessuali ovvero all’accattonaggio o, comunque, a prestazioni che ne comportino lo sfruttamento. Quest’ultima fattispecie configura un reato di evento a forma vincolata in cui l’evento, consistente nello stato di soggezione continuativa in cui la vittima è costretta a svolgere date prestazioni, deve essere ottenuto dall’agente alternativamente, tra l’altro, mediante violenza, minaccia, inganno, abuso di autorità ovvero approfittamento di una situazione di inferiorità fisica o psichica o di una situazione di necessità. Ne deriva che, perché sussista la costrizione a prestazioni (nella specie sessuali) – in presenza dello stato di necessità che è un presupposto della condotta approfittatrice dell’agente e che deve essere inteso come situazione di debolezza o mancanza materiale o morale atta a condizionare la volontà della persona – è sufficiente l’approfittamento di tale situazione da parte dell’autore; mentre la costrizione alla prestazione deve essere esercitata con violenza o minaccia, inganno o abuso di autorità nei confronti di colui che non si trovi in una situazione di inferiorità fisica o psichica o di necessità. (In applicazione di questo principio la Corte, ha ritenuto immune da censure la decisione della Corte d’assise di appello che – in riforma della decisione della Corte d’assise – aveva ritenuto la sussistenza del delitto in questione escludendo a tal fine la necessità della costrizione delle vittime con violenza o minaccia ad esercitare la prostituzione, considerato che esse erano state acquistate – previa ispezione del corpo – per dieci milioni, reclutate in Moldavia, introdotte clandestinamente in Italia, private della libertà di movimento, segregate in appartamenti, assoggettate nei luoghi pubblici a costante sorveglianza e indotte a praticare la prostituzione consegnando loro i proventi).

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Cass. pen. n. 43868/2005

Nel reato di riduzione in schiavitù, la finalità di sfruttamento, che distingue la fattispecie di cui all’art. 600 c.p. da ogni altra forma di inibizione della libertà personale, non è esclusa dall’eventualità che un margine degli introiti dell’accattonaggio vada a beneficio delle persone offese dal reato. Determinante, invece, è lo stato di soggezione in cui queste ultime versano, essendo sottoposte all’altrui potere di disposizione, che si estrinseca nell’esigere, con violenza fisica o psichica, prestazioni sessuali o lavorative, accattonaggio od altri obblichi «di fare».

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Cass. pen. n. 33757/2005

Ai fini della configurabilità dell’elemento soggettivo del reato di cui all’art. 600 c.p. (Riduzione o mantenimento in schiavità o servità) è richiesta la coscienza e volontà di ridurre la vittima ad una res, oggetto di diritti patrimoniali, e la consapevole volontà di trarre profitto dalla sua persona, considerata come cosa atta a rendere utilità o servigi, a essere prestata, ceduta o venduta.

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Cass. pen. n. 81/2005

La nuova figura di reato di riduzione o mantenimento in schiavitù, prevista dall’art.1 Legge 11 agosto 2003 n. 228, si pone in rapporto di continuità normativa con quella delineata dall’art. 600 c.p., avendo la nuova disciplina soltanto definito la nozione di schiavitù, che in precedenza doveva trarsi dalla Convenzione di Ginevra sull’abolizione della schiavitù del 25 settembre 1926, resa esecutiva in Italia con R.D. 26 aprile 1928 n. 1723.

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Cass. pen. n. 39044/2004

La circostanza aggravante prevista dal terzo comma dell’art. 600 c.p., come sostituito dall’art. 1 legge 11 agosto 2003, n. 228, concorrendo ad interpretare la espressione «poteri corrispondenti a quelli del diritto di proprietà» di cui al primo comma, utilizza una nozione di «schiavitù», secondo il senso fatto proprio dall’art. 600 antecedentemente alla riforma, come di proprietà assoluta sull’individuo e non di potere di utilizzazione della persona.

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Cass. pen. n. 37489/2004

Il reato di sequestro di persona concorre con quello di riduzione in schiavitù di cui all’art. 600 c.p. nel caso in cui alla privazione della libertà di locomozione, oggetto di tutela della fattispecie di cui all’art. 605 c.p., si aggiunga una condizione di fatto ulteriore, in cui un individuo ha il potere pieno e incontrollato su un altro, assimilabile alla condizione di res posseduta da altri; tale situazione si verifica quando la vittima, subendo violenza e pressioni psicologiche, sia posta in condizioni afflittive e di costringimento tali da configurare una serie di trattamenti inumani e degradanti, tali da comprimerne in modo significativo la capacità di autodeterminarsi. (Fattispecie in cui donne extracomunitarie erano rinchiuse a chiave in un casolare da dove venivano prelevate esclusivamente per essere portate sul posto di lavoro nei campi agricoli, in regime di stretto controllo e sorveglianza, di sistematica violenza e di continue minacce, di sfruttamento, venendo private di gran parte degli emolumenti giornalieri).

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Cass. pen. n. 24000/2004

In tema di reati contro la libertà sessuale, l’attività di contrasto attraverso l’agente provocatore non può essere espletata per accertare elementi di prova in ordine al reato di cui all’art. 600 quater c.p. (detenzione di materiale pornografico), con la conseguenza che gli elementi di prova così acquisiti sono inutilizzabili in ogni stato e grado del procedimento ai sensi dell’art. 191 c.p.p.

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Cass. pen. n. 21019/2004

La nozione di «condizione analoga alla schiavitù» contenuta nella previgente disposizione di cui all’art. 600 c.p., richiama la particolare situazione di fatto di una persona, che venga ridotta in una condizione simile a quella di una res posseduta da altri; tale situazione si verifica quando la vittima, subendo violenza e pressioni psicologiche, sia posta in condizioni afflittive e di costringimento tali da eccedere gli effetti della mera condotta di induzione alla prostituzione mediante violenza e da comprimerne significativamente la libertà personale, attraverso la privazione della capacità di determinarsi autonomamente. (Nel caso di specie, la vittima era stata sottoposta ad un continuo controllo visivo e telefonico, sia nel corso dell’attività di prostituzione alla quale era stata costretta, sia nel corso della restante parte della giornata, senza possibilità di allontanarsi dai luoghi prestabiliti, nè di allacciare relazioni sociali.)

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Cass. pen. n. 21/2003

Il soggetto che si sia già reso responsabile della riduzione di taluno in schiavitù (art. 600 c.p.), può commettere anche il reato di cui all’art. 602 c.p., non solo nel caso in cui alieni ad altri la persona resa schiava ma anche in quello in cui ne acquisti la «proprietà esclusiva», avendo in precedenza contribuito a rendere schiava la medesima persona, senza tuttavia diventarne l’unico «proprietario».

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Cass. pen. n. 32363/2002

Non sussiste rapporto di specialità (art. 15 c.p.) tra il delitto di maltrattamenti in famiglia (art. 572 c.p.) e quello di riduzione in schiavitù (art. 600 c.p.), trattandosi di reati che tutelano interessi diversi – la correttezza dei rapporti familiari nella prima ipotesi, lo status libertatis dell’individuo nella seconda – e che presentano un diverso elemento materiale, in quanto nell’ipotesi dell’art. 572 c.p. è necessario che un componente della famiglia sottoponga un altro a vessazioni, mentre nel caso di riduzione in schiavitù è necessario che un soggetto eserciti su un altro individuo un diritto di proprietà, con la conseguenza che le due ipotesi di reato, sussistendone i presupposti, possono concorrere.

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Cass. pen. n. 26636/2002

È ammissibile il concorso formale tra i reati di riduzione in schiavitù (art. 600 c.p.) e di induzione, favoreggiamento e sfruttamento della prostituzione (artt. 3 e 4 legge n. 75 del 1958), nel caso in cui una cittadina straniera sia costretta, dopo essere stata venduta, a riscattare la propria libertà con i proventi dell’attività di meretricio cui venga indotta con violenza e maltrattamenti, laddove l’obbligo di pagare un prezzo per riscattare la condizione nativa di libertà acquista carattere determinato e tassativo e si configura come il quid pluris caratterizzante il reato di riduzione in «condizione analoga» alla schiavitù.

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Cass. pen. n. 7929/1998

La nozione di condizione analoga alla schiavitù di cui agli artt. 600 e 602 c.p. non si esaurisce con le descrizioni contenute nelle Convenzioni di Ginevra del 1926 e del 1956, sussistendo tutte le volte in cui sia dato verificare l’esplicazione di una condotta alla quale sia ricollegabile l’effetto del totale asservimento di una persona al soggetto responsabile della condotta stessa. Tale totale asservimento equivale alla condizione di un individuo che venga a trovarsi (pur conservando nominalmente lo status di soggetto nell’ordinamento giuridico) ridotto nell’esclusiva signoria dell’agente, il quale materialmente ne usi, ne tragga profitto e ne disponga.

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Cass. pen. n. 1615/1998

Gli elementi costitutivi o di tipicizzazione dei reati di schiavitù non si desumono solo da specifiche previsioni delle convenzioni di Ginevra, bensì proprio dalle nozioni che le stesse convenzioni propongono, sia di schiavitù come «istituzione», quando in un ordinamento una persona può essere oggetto di proprietà, che di condizione analoga alla schiavitù quale «pratica» sociale, per via della replica di fatto della schiavitù in una qualsiasi comunità. Pertanto, con la locuzione «condizione analoga alla schiavitù», gli artt. 600 ss. c.p. identificano un elemento costitutivo della fattispecie, riferendosi non solo alle pratiche elencate nella convenzione supplementare del 1956, ma alla condizione della persona quale oggetto di possesso altrui e cioè del potere di disporne e di trarne qualsiasi utilità, in quanto le è disconosciuta soggettività e conseguente capacità di libera determinazione nella comunità in cui il fatto si verifica.

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Cass. pen. n. 261/1997

La condizione analoga alla schiavitù di cui agli artt. 600 e 602 c.p. non si identifica necessariamente con una situazione di diritto, e cioè normativamente prevista, bensì anche con qualunque situazione di fatto con cui la condotta dell’agente abbia per effetto la riduzione della persona offesa nella condizione materiale dello schiavo, e cioè nella sua soggezione esclusiva ad un altrui potere di disposizione, analogo a quello che viene riconosciuto al padrone sullo schiavo negli ordinamenti in cui la schiavitù sia ammessa. (Fattispecie relativa alla vendita di una ragazza quindicenne, seguita al suo sequestro all’estero, alla sua successiva introduzione clandestina nel territorio dello Stato e, infine, al suo pieno sfruttamento. Nell’enunciare il principio di cui in massima in relazione a tale fattispecie, la S.C. ha anche precisato che le condizioni analoghe alla schiavitù – le institutions et pratiques di cui alle convenzioni di Ginevra sulla schiavitù del 1926 e del 1956 – realizzano un’elencazione meramente esemplificativa e non tassativa).

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Cass. pen. n. 2390/1996

Ai fini del delitto di cui all’art. 600 c.p., la condizione analoga alla schiavitù costituisce un elemento normativo, il cui contenuto viene definito mediante il ricorso a norme diverse da quella incriminatrice, come quella dell’art. 1, lett. d) della Convenzione supplementare di Ginevra sull’abolizione della schiavitù del 7 settembre 1956, resa esecutiva con legge di ratifica 20 dicembre 1957, n. 1304. Secondo tale disposizione costituisce istituzione o pratica analoga alla schiavitù quella in forza della quale un fanciullo o un adolescente minore degli anni diciotto è consegnato dai suoi genitori o da uno di loro o dal suo tutore ad un terzo, contro pagamento o meno, in vista dello sfruttamento della persona o del lavoro di detto fanciullo o adolescente. Risponde, pertanto, del reato in questione colui che utilizzi dei minori albanesi, ceduti dai genitori, a fini di accattonaggio, sottoponendoli a massacranti orari di «lavoro», facendoli vivere in condizioni personali, igieniche ed ambientali estremamente misere e precarie. (Fattispecie relativa a riesame di custodia cautelare, nella quale la Suprema Corte ha escluso il ricorrere della contravvenzione di cui all’art. 671 c.p.).

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Cass. pen. n. 4852/1990

L’avere acquisito, mediante cessioni o rapimenti, la padronanza assoluta su dei bambini, tenendoli in stato di soggezione e costringendoli a rubare per portare a casa giornalmente e obbligatoriamente la refurtiva, rappresenta una evidente privazione totale della altrui libertà ed una sottomissione al proprio potere e alla propria disponibilità che dà luogo ad una situazione del tutto analoga a quella della schiavitù. (Nella specie, relativa a ritenuta sussistenza dei reati di cui agli artt. 600 e 602 c.p. — rispettivamente nelle ipotesi di riduzione in schiavitù e in quelle di acquisto di minore già ridotto in tale stato — è stato escluso che i fatti potessero integrare soltanto l’ipotesi di cui all’art. 611 c.p. — violenza o minaccia per costringere a commettere un reato — poiché i fatti accertati non si manifestavano come semplici episodi di costringimento a commettere i reati di furto, ma come una ben più grave e completa situazione di totale asservimento dei minori).

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Cass. pen. n. 3909/1990

Il reato di violenza o minaccia per costringere a commettere un reato, di cui all’art. 611 c.p., commesso in danno di persona in condizione analoga alla schiavitù per indurla a perpetrare furti, concorre con i reati di riduzione in schiavitù e di alienazione e acquisto di schiavi di cui agli artt. 600 e 602 c.p., dovendosi escludere che si versi in una ipotesi di reato complesso o progressivo.

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Cass. pen. n. 3090/1990

Le norme penali che vietano la riduzione in schiavitù o l’alienazione e l’acquisto di schiavi sono ben riconoscibili, ossia tali da essere percepite come norme di civiltà vigenti nell’ambiente sociale. Perciò non può configurarsi nei confronti di tali norme una inconsapevole ignoranza delle legge penale.

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